— Confessa, maledetto assassino! — gridò Dudley.
Io rimasi lì in piedi, tremante. Engels rotolò di fianco sul materasso e soffiò un
fiotto di sangue. Quando parlò, la sua voce era rassegnata e piena di mestizia. — Ho
ucciso Maggie. Nessun’altra. È stata tutta opera mia. Di nessun altro. L’ho uccisa e
ora devo pagare. Lei non lo meritava, ma ha dovuto pagare anche lei. Tutti dobbiamo
pagare. — Poi perse i sensi.
Breuning scribacchiava furiosamente, Dudley sorrideva come un amante sazio e io
rimasi lì tentando di suonare una grancassa esultante per la mia miserabile vittoria.
Nessuno parlava e allora mi resi conto che dovevo muovermi in fretta per salvare
anche quella miserabile vittoria. Uscii a precipizio dalla stanza, poi attraversai di
corsa la strada e trovai una cabina telefonica.
Chiamai Lorna in ufficio.
— Lorna Weinberg — rispose lei.
— Sono Fred, Lorna.
— Oh, Freddy. Io...
— Ha confessato, Lorna. Per Margaret Cadwallader. Stiamo per portarlo dentro.
Probabilmente al carcere del palazzo di giustizia. Non credo che sia un caso da Gran
giurì. Penso che invocherà l’infermità mentale. Preparerai le carte?
— Non posso, finché non ho il rapporto sull’arresto. Freddy, ti senti bene?
— Sì... sì, tesoro, sto benissimo.
— A sentirti non si direbbe. Mi chiamerai quando Engels sarà registrato?
— Sì. Possiamo vederci stasera?
— Sì, quando?
— Non lo so. Potrei essere impegnato fino a stanotte per scrivere i rapporti.
— Allora vieni quando avrai finito, va bene?
— Sì.
— Freddy?
— Sì?
— Io... io... te lo dirò quando ci vediamo. Sii prudente.
— Lo sarò.
Quando rientrai nella stanza degli interrogatori, Engels era ammanettato. Indossava
pantaloni nocciola, sandali e una camicia hawaiana che Carlisle gli aveva portato dal
suo appartamento.
Breuning stava stendendo la deposizione: — ...E mi lasciai prendere dal panico. Mi
sembrò di sentire dei rumori dal piano di sopra. Saltai fuori dalla finestra della
cucina. Avevo paura di andare a prendere la macchina. Corsi verso alcuni cespugli
vicino alla rampa dell’autostrada. Restai nascosto per... ore, poi tornai a casa in taxi...
— La voce di Engels si spense. Mi guardò e sputò sangue sul pavimento. Il naso era
violaceo ed enormemente gonfio e aveva gli occhi neri.
— Perché, Eddie? — chiese Breuning.
— Perché qualcuno doveva pagare. Non doveva toccare a una persona dolce come
Maggie, ma è andata così.
Dudley mi diede una pacca sulla schiena. — Mike e io porteremo Engels al carcere
del palazzo di giustizia. Tu va’ a casa. Dobbiamo depositare le nostre dichiarazioni.
Sei stato brillante, ragazzo, brillante. Non ci saranno limiti alla tua ascesa, una volta
conclusa questa faccenda.
— Errore, Dudley — dissi io, facendo infine la mia mossa. — Vengo con voi. È il
mio arresto. Potrete presentare il vostro rapporto e la confessione di Engels, ma è il
mio arresto. Ho depositato un rapporto alla procura distrettuale il giorno prima che
arrestassimo Engels. Racconta la verità fin dall’inizio. Tu avevi intenzione di
fregarmi questo arresto, ma io non ci sto. Provaci e mi rivolgerò ai giornali.
Racconterò la storiella della Dalia e di come hai rapito Engels e lo hai pestato per
farlo cantare. Butterò la mia carriera nel cesso, se cerchi di portarmi via questo
arresto. Capito?
Dudley Smith era diventato, più che rosso, paonazzo. Le grosse mani fremevano
lungo i fianchi. Gli occhi erano capocchie di spillo che sprizzavano odio. Gli si formò
della saliva agli angoli della bocca, ma non emise neanche un suono.
Arrivai in centro prima di loro.
La scalinata del palazzo di giustizia era già affollata di cronisti. Il vecchio Dudley,
da perfetto istrione, li aveva preavvertiti del suo arrivo.
Parcheggiai sulla Prima, poco lontano da Broadway e mi piazzai a piedi all’angolo,
in attesa dei miei colleghi e del nostro prigioniero. Svoltarono l’angolo un minuto
dopo e si fermarono al semaforo. Dal posto di guida, Breuning mi fulminò con lo
sguardo. Io aprii lo sportello e salii a bordo; Dudley ed Engels erano seduti dietro.
Dudley disse: — Sei finito, Giuda — ed Engels mi rivolse un sibilo a denti stretti.
Li ignorai entrambi e mi lanciai con falsa cordialità in un’imitazione dell’accento
di Dudley: — Salve, ragazzi! Ho pensato solo di fare un salto per la registrazione.
Vedo che c’è la stampa. Magnifico! Ho un sacco di cose da dire. Dudley, hai sentito
l’ultima scoperta degli antropologi? L’uomo non discende dalla scimmia, ma
dall’irlandese! Oh, oh, oh! Non è magnifico?
— Giuda Iscariota — ringhiò Dudley.
— Errore, Dud. Sono il Babbo Natale irlandese.
Accostammo al marciapiede di fronte al crocchio di cronisti e
mi appuntai la patacca sul risvolto del completo sgualcito. Dudley spinse fuori
dalla macchina Engels ammanettato e insieme lo afferrammo per le braccia e lo
guidammo su per i gradini nel palazzo di giustizia. Qualcuno gridò: — Arrivano! — e
una calca di cronisti in maniche di camicia piombò su di noi come uno stormo di
avvoltoi, lanciando domande alla rinfusa in mezzo allo scoppio dei flash.
— Dudley, quante ne ha fatte fuori?
— Ha confessato, Dudley?
— Sorridi, assassino!
— Questa è per il «Daily News»!
— Parlaci di questa storia, Dud!
— Ehi, è lo sbirro che ha ammazzato quei due teppisti messicani. Parli con noi,
agente!
Fendemmo la folla. Engels teneva la testa bassa, Dudley sorrideva raggiante alle
macchine fotografiche e io le affrontavo stoicamente. Nell’atrio dell’edificio ci venne
incontro il capo carceriere, un tenente del dipartimento dello sceriffo in divisa. Ci
guidò verso un ascensore, dove un vice incatenò Engels alle caviglie. Salimmo al
decimo piano in silenzio. Restammo a guardare mentre gli toglievano le manette per
mettergli i ferri, gli consegnavano la divisa di tela jeans del carcere della contea e lo
rinchiudevano in una cella di sicurezza singola. Una volta al sicuro, mi fissò per
l’ultima volta e sputò sul pavimento.
Il tenente annunciò: — Voialtri siete desiderati subito alla Divisione centrale. Mi
ha chiamato il capo degli investigatori in persona.
Dudley annuì, con la faccia di pietra. Io mi congedai, scesi la scalinata fino al
livello stradale e uscii dall’ingresso principale, subito assalito dai cronisti. Alcuni mi
riconobbero e mi scagliarono addosso delle domande mentre raggiungevo il
marciapiede.
— Underhill, a chi spetta l’arresto?
— Che cosa è successo?
— Dudley dice che questo tizio è pazzo.
— Potete affibbiargli qualche caso insoluto rimasto negli archivi?
Li ignorai e appena raggiunto il marciapiede me ne liberai. Corsi per tutta la strada
fino al comando della Divisione centrale in Los Angeles Street, a quattro isolati di
distanza. Sudando, sfrecciai per i corridoi, fermandomi un attimo per ricompormi
prima di bussare alla porta di Thad Green, il capo degli investigatori. Il segretario mi
ammise nella sala d’attesa. Dudley Smith era già lì, seduto sul divano, a fumare.
Restammo a fissarci finché l’interfono sulla scrivania del segretario non suonò. —
Ora può entrare, tenente Smith.
Dudley Smith entrò nel sancta sanctorum dalla porta di vetro smerigliato e io
attesi, innervosito, pensando furiosamente a Lorna nel tentativo di calmarmi.
Mezz’ora dopo Dudley riemerse, mi passò accanto e uscì dalla porta.
Una voce dall’interno dell’ufficio del capo chiamò: — Underhill — ed entrai per
affrontare il mio destino. Il capo era seduto dietro l’imponente scrivania di quercia.
Rispose al mio saluto con un cenno brusco della testa grigio ferro. — Underhill, a
rapporto — ordinò.
Quando ebbi finito, ancora sull’attenti, il capo disse: — Benvenuto nell’ufficio
investigativo, Underhill. Rilascerò una dichiarazione alla stampa. L’ufficio del
procuratore distrettuale si metterà in contatto con lei. Voglio un rapporto scritto e
dettagliato entro due ore. Non parli con i giornalisti. Ora vada a casa a riposare.
— Grazie, signore — risposi. — Dove sarò assegnato?
— Non lo so ancora. Alla squadra di qualche stazione, probabilmente. — Controllò
la sua agenda. — Torni a rapporto fra una settimana da oggi, alle otto. Vale a dire
venerdì 12 settembre. Per allora le avremo trovato un incarico adatto.
— Grazie, signore.
— Grazie a lei, agente.
Stesi il rapporto in uno sgabuzzino vuoto lungo il corridoio e lo lasciai al segretario
del capo, poi recuperai la macchina e tornai a casa, dove mi aspettavano Night Train,
una doccia e un sonno misericordiosamente senza sogni.
12
Un crepuscolo luminoso mi trovò in attesa dei giornali della sera a un chiosco
all’incrocio fra Pico e Robertson. Uscirono, e i titoli annunciavano a lettere cubitali
COREA, anziché DELITTO A LOS ANGELES. Restai deluso. Ero curioso di vedere in che
modo il comunicato stampa del dipartimento si sarebbe conciliato con la
dichiarazione di Dudley Smith.
Dopo aver controllato la seconda e la terza pagina per un aggiornamento-lampo,
cominciai a sentirmi sollevato: tenevo Dudley per le palle, e il giorno di tregua che la
stampa ci concedeva avrebbe contribuito ad appianare quella che sarebbe potuta
diventare una serata tesa con Lorna.
Parcheggiando su Charleville scorsi Lorna nel soggiorno, che fumava
distrattamente e guardava dalla finestra. Suonai il campanello, e tutta la collera e lo
sfinimento mi caddero di dosso. Cominciai a provare un delizioso senso di
aspettativa.
Il citofono che sbloccava la porta ronzò, e salendo di corsa le scale trovai Lorna
ferma al centro del soggiorno, appoggiata al bastone. Portava un rossetto rosa e una
traccia di mascara, e i lucidi capelli castano chiaro erano pettinati in una nuova
acconciatura, tirati in alto e all’indietro sulle tempie. Pettinata così, era bella da
mozzare il fiato. Indossava una gonna scozzese e una camicia maschile da smoking,
con i gemelli ai polsi, che le delineava alla perfezione i grandi seni.
Vedendomi sorrise senza espressione, e io mi avvicinai lentamente a lei e
l’abbracciai, sfiorando delicatamente la nuova pettinatura.
— Ciao — fu tutto quello che fui capace di dire.
Lorna lasciò cadere il bastone e mi abbracciò alla vita. — Non finirà davanti al
Gran giurì, Freddy — disse.
— Lo immaginavo. Ha confessato.
— Quanti omicidi? — Feci per lasciarla libera, ma lei mi tenne stretto. — Quanti?
— insistette.
— Solo Margaret Cadwallader... Ma non ne parliamo, Lor.
— È necessario.
— Allora sediamoci.
Ci sedemmo sul divano.
— Ti ho cercato al palazzo di giustizia. Immaginavo che fossi lì per la
registrazione — disse Lorna.
— Mi hanno convocato dal capo degli investigatori. Immagino che Smith sia
tornato indietro a registrare Engels. Io ero stanco morto. Sono andato a casa a
dormire. Perché? — Il viso di Lorna s’incupì per l’ira. — Che diavolo succede?
— Io c’ero, avevo ottenuto un lasciapassare per il carcere. C’era anche il
procuratore distrettuale. Lui e Dudley Smith stavano parlando. Smith gli ha detto che
il delitto Cadwallader era soltanto la punta dell’iceberg, che Engels era un assassino
seriale.
— Oh, Dio.
— Non interrompermi. È stato registrato per quel solo capo d’accusa: Cadwallader.
Ma Smith seguitava a ripetere: “Questo è un caso da Gran giurì, non si può sapere
quante donne ha fatto fuori questo maniaco!”. Il procuratore distrettuale sembrava
d’accordo. Poi il procuratore mi ha visto e ha detto a Smith che ero io a istruire i
potenziali casi da Gran giurì. Smith ha visto che ero una donna e ha cominciato a
farmi una sviolinata. Poi mi ha chiesto che cosa facevo lì, e gli ho detto che tu e io
siamo amici. Allora è diventato livido e ha cominciato a tremare. Sembrava pazzo.
Scosso, dissi: — È pazzo. Mi odia. Gli ho attraversato la strada.
— Allora il pazzo sei tu. Potrebbe rovinarti la carriera.
— Zitta, tesoro. No, sono stato promosso. Smith ha fatto rapporto per primo, io
subito dopo. Entrerò nell’ufficio investigativo. Nella squadra di qualche stazione. Me
lo ha detto Thad Green in persona. Qualunque cosa Smith abbia detto a Green,
combacia con il rapporto che ho presentato a te e con il mio rapporto ufficiale di
agente che ha effettuato l’arresto, ed è questa la verità. Quello che Smith ha detto al
procuratore sono semplici iperboli. Tutto quello che ho...
— Freddy, tu mi avevi detto che non c’erano prove concrete che collegassero
Engels ad altri omicidi.
— È la pura verità. Ma...
Lorna diventava sempre più rossa e agitata a ogni secondo che passava. — Niente
ma, Freddy. Ho visto Engels. È conciato da fare spavento. Ho chiesto informazioni in
proposito a Smith e mi ha rifilato delle balle sul fatto che ha tentato di resistere
all’arresto. Seguitavo a ripetere a me stessa: “Buon Dio, possibile che il mio Freddy
abbia avuto a che fare con questo? È giustizia, questa? Con che razza di uomo mi
sono impegolata?”.
Mi limitai a fissare la stampa di Hieronymus Bosch sulla parete.
— Freddy, rispondimi!
— Non posso, avvocato. Buonanotte.
Tornai a casa, soffocando con fermezza ogni riflessione riguardo a Lorna, assassini
di donne e sbirri schizoidi. Mi esercitai a ripetere il mio nuovo grado: agente
investigativo Frederick U. Underhill. Investigatore Fred Underhill. A ventisette anni.
Probabilmente ero il più giovane agente investigativo del dipartimento di polizia di
Los Angeles. Avrei dovuto accertarmene. A novembre, l’esame di sergente. Sergente
investigativo Frederick Underhill. Avrei dovuto comprarmi tre vestiti nuovi e un paio
di giacche sportive, qualche cravatta e una mezza dozzina di pantaloni. Agente
investigativo Fred Underhill. Ma... lei continuava a drizzare la sua bella testa castano
lucido. Lorna Weinberg.