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Wacky e io facevamo coppia da tre mesi, quando entrò nella nostra vita Night
Train. Il sergente addetto all’appello del mattino ce ne parlò mentre stavamo per
salire sulla Ford bianca e nera del ‘48 nel parcheggio della stazione di Wilshire.
— Walker. Underhill. Venite qui un secondo — gridò. Ci avvicinammo. Si
chiamava Gately; aveva la barba lunga e sorrideva. — Il tenente ne ha una buona per
voi due. A voi golfisti toccano tutte le occasioni migliori. Vi piacciono i cani? Io li
odio. Abbiamo un cane che terrorizza i bambini. Ruba le merende alla scuola
elementare fra Orange e Olympic. Un vecchio cagnaccio schifoso, il padrone era un
alcolista. Lo ha catturato il custode della scuola. Dice che vuole ammazzarlo, o
tagliargli le palle. Quelli della Protezione animali non vogliono impicciarsene, perché
secondo loro il custode è pazzo. Voi andrete a portare il vecchio cagnaccio al canile.
Non gli sparate, perché c’è un sacco di bambini che potrebbero restare sconvolti. A
voi golfisti toccano tutte le occasioni migliori.
Wacky lanciò la bianca e nera sul Pico, ridendo e parlando in versi, come faceva a
volte quando il caffè rimetteva in circolo l’alcol che aveva ancora in corpo dalla sera
prima.
— O nobile bestia, nella nostra modestia, te, audace segugio, troverem senza
indugio, poi di prescia al canile, dopo il gas il badile.
Io morivo dal ridere, mentre Wacky continuava, pigiando l’acceleratore della
poesia.
Il custode della Wilshire Crest School era un giapponese grasso sulla cinquantina.
Wacky lo fissò alzando e abbassando le sopracciglia alla maniera di Groucho Marx, il
che ruppe il ghiaccio e gli strappò una risata. Ci accompagnò dal cane, che era
rinchiuso in una toilette portatile. Quando ci avvicinammo, sentii un uggiolio acuto
provenire dalla fragile struttura.
Al segnale prestabilito con Wacky, aprii con un calcio un foro nella parete laterale
della latrina e ci ficcai dentro il nostro pranzo: due sandwich al prosciutto e
formaggio, un sandwich alle sardine, uno al roastbeef con pane di segale e due mele.
Si sentì un rumore di mascelle che masticavano furiosamente. Spalancai la porta,
intravidi una sagoma scura e pelosa dai denti aguzzi scintillanti e la colpii a tutta
forza in pieno muso. Crollò a terra, sputando un po’ di sandwich al prosciutto. Wacky
trascinò fuori il cane.
Era un bel labrador nero, ma molto grasso. Aveva un batacchio gigantesco, che
doveva sfiorare il terreno quando camminava. Wacky se ne innamorò alla follia. —
Mio Dio, Freddy, guarda il mio povero piccolino. — Raccolse da terra il cane
svenuto e lo cullò fra le braccia. — Zio Wacky e zio Freddy ti porteranno alla
stazione e ti troveranno una bella casa.
Il custode ci scrutava insospettito. — Voi ammazzare cane? — domandò,
passandosi un dito di traverso sulla gola e guardando Wacky, che stava già
trasportando affettuosamente il suo nuovo amico verso l’autopattuglia.
Salii al posto di guida. — Non possiamo portare questo bastardo alla stazione —
dissi.
— Col cavolo che non possiamo. Lo rinchiuderemo nello spogliatoio. Quando
smontiamo dal servizio lo porto a casa mia. Questo cane mi farà da caddie. Lo
attrezzerò con una bardatura in modo che possa portarmi la sacca.
— Beckworth vorrà il tuo culo.
— Beckworth può baciarmelo, il culo. Pensaci tu a Beckworth.
Il cane si svegliò mentre entravamo nel parcheggio della stazione. Cominciò ad
abbaiare furiosamente. Io mi voltai sul sedile per colpirlo di nuovo, ma Wacky mi
deviò il braccio. — Buono — disse alla bestia. E il cane si zittì.
Portai quella bestia fino allo spogliatoio passando dall’ingresso sul retro. Wacky
fece una corsa al banchetto degli hot dog vicino a Sears e tornò indietro con sei
cheeseburger. Stavo coccolando il cane davanti al mio armadietto quando Wacky
scaricò quell’ammasso unto sul pavimento di fronte a me. Il labrador ci si buttò
sopra, e Wacky e io schizzammo fuori della porta per riprendere il giro di pattuglia.
Così cominciò l’odissea di Night Train, come fu soprannominato il cane.
Rientrando dal giro di ronda, quella sera, sentimmo il sassofono di Reuben Ramos
risuonare dallo spogliatoio. Reuben era un agente motociclista che si era preso una
cotta per il jazz lavorando nella Buoncostume sulla Settantasettesima dove faceva
regolarmente retate nei locali di bop di Central Avenue a caccia di battone, allibratori
e drogati. Aveva imparato a suonare il sax a orecchio; per lo più gli sfuggivano acuti
flebili e note fasulle, ma qualche volta riusciva ad azzeccare una melodia semplice
come Green Dolphin Street. Quella sera ci stava dando dentro sul serio: il tema
principale di Night Train ripetuto all’infinito.
Quando Wacky e io entrammo nello spogliatoio, non credevamo ai nostri occhi.
Reuben, in mutande, si torceva tutto, soffiando le prime note selvagge di Night Train,
mentre il grasso labrador nero si dimenava pancia all’aria sul pavimento di cemento,
uggiolando, ululando e schizzando in aria un getto portentoso di urina. Gruppi di
agenti smontati dal turno entravano e uscivano disgustati. Reuben si stancò della
scenetta e tornò a casa dalla moglie e dai figli, lasciando Wacky esultante a sbraitare
sul “genio potenziale” del cane.
Così Wacky battezzò il cane Night Train e se lo portò a casa. Gli fece la serenata
per settimane, suonando sul fonografo della musica al sax, e lo nutrì a bistecche nella
vana speranza di farne un caddie. Finalmente si diede per vinto, decise che Night
Train era uno spirito libero e lo abbandonò. Eravamo convinti che non avremmo più
rivisto quella bestia, ma non fu così. Avrebbe finito per assumere un ruolo
leggendario nella storia del dipartimento di polizia di Los Angeles.
Due giorni dopo essere stato abbandonato, Night Train si presentò alla stazione di
Wilshire con un gatto morto fra i denti. Fu scacciato dal sergente di turno, che gettò il
gatto in un bidone della spazzatura. Night Train si ripresentò il giorno dopo con un
altro gatto morto. Stavolta fu cacciato fuori con il gatto ancora in bocca. Tornò quello
stesso giorno, a distanza di qualche ora, con lo stesso gatto, un po’ più malconcio.
Tornò all’ora giusta, perché Wacky e io stavamo appunto smontando dal servizio.
Quando Night Train vide Wacky si sdilinquì di gioia, lasciò cadere il malconcio dono
d’amore felino, corse fra le braccia tese di Wacky e gli inzuppò di urina tutta la
divisa. Wacky portò Night Train alla mia macchina e lo chiuse dentro a chiave. Ma
era seccato con Beckworth. Il tenente avrebbe dovuto procurargli due casse di Cutty
Sark scontate da un ricettatore che conosceva, e invece si era tirato indietro.
Wacky era assetato di vendetta, così recuperò il gatto morto mangiucchiato e gli
attaccò un biglietto sulla pelliccia con uno spillo. Il biglietto diceva: QUESTA E’ TUTTA
LA MICIA CHE RIUSCIRAI MAI A GODERTI, SUCCHIACAZZI MORTO DI FAME. Poi sistemò il
gatto sulla scrivania del tenente.
La mattina dopo Beckworth lo trovò e andò fuori di testa. Diramò un bollettino di
ricerca per il cane. Non dovette cercare lontano. Night Train fu scoperto là dove era
stato messo la sera prima, sul sedile posteriore della mia auto. Beckworth non poteva
fare casino con me perché sapeva che avrei smesso di dargli lezioni di golf, ma
poteva rifarsi su Night Train, e lo fece. Ordinò di arrestarlo e rinchiuderlo nella
gabbia degli ubriachi. Fu una mossa sbagliata. Night Train aggredì e per poco non
uccise tre barboni alcolizzati. Quando il secondino fu svegliato dalle loro urla e si
precipitò ad aprire la porta della camera di sicurezza, Night Train lo superò d’un
balzo, uscì dalla stazione di Wilshire, attraversò Pico Boulevard e corse per tutta la
strada sino all’appartamento di Wacky, dove i due vissero felici e contenti,
ascoltando musica al sassofono, fino alla fine dell’ultima stagione della mia
giovinezza.
Era passata una settimana dall’episodio del gatto morto e Beckworth era ancora
seccato.
Eravamo sul percorso di Rancho Park, dove stavo tentando, senza successo, di
correggere il suo cronico slice. Era un caso disperato. Il prezzo per lavorare nel turno
di giorno era alto.
— Cazzo. Merda. Oh, Dio — borbottava Beckworth. — Fammi vedere di nuovo,
Freddy.
Impugnai il suo ferro tre e feci partire un colpo liscio. Due e venti. Diritto. —
Spalle indietro, tenente. Piedi più vicini. Non si protenda verso la palla, le vada
incontro.
Eseguì alla perfezione fino al momento di vibrare il bastone. Da lì in poi fece tutto
quello che gli avevo raccomandato di non fare, e la palla saltellò moscia per una
decina di metri appena, da sinistra a destra.
— Calma, tenente. Riprovi.
— Dannazione, Freddy, oggi non riesco a riflettere. Il golf è per il novanta per
cento concentrazione. Io ho la coordinazione di un atleta superbo, ma non riesco a
tenere la mente concentrata sul gioco.
Io gli diedi corda. — Che cosa le passa per la testa, tenente?
— Piccole cose. Bazzecole. Quello stronzo del tuo collega... ho una sensazione sul
suo conto. Ha avuto la medaglia d’onore, okay. Ma non sembra un poliziotto e non si
comporta come tale. Declama poesie al riepilogo del mattino. Mi sa che è un
finocchio.
— Non Wacky, tenente. A lui piacciono le donne.
— Non ci credo.
Giocai sulla debolezza ufficiosa ma risaputa del tenente per le fighe negre. Tutti gli
agenti in divisa della Settantasettesima sapevano che faceva visita spesso alla Casbah
di Minnie Roberts, il bordello di colore più lussuoso del South Side.
— Be’, tenente — dissi, abbassando la voce in un bisbiglio — gli piacciono le
donne, ma dev’essere un certo tipo di donne, non so se mi spiego.
Beckworth cominciava a sentirsi stuzzicato. Sorrise, cosa che faceva di rado,
scoprendo i due mozziconi di denti agli angoli della bocca. — Fammi una soffiatina,
Freddy bello.
Guardai in tutte le direzioni, cercando ostentatamente di individuare orecchie
indiscrete. — Coreane, tenente. Non ne ha mai abbastanza. Solo che non gli piace
parlarne, perché siamo in guerra, laggiù. Wacky va in brodo di giuggiole per le
orientali. C’è un casino fra Slauson e Hoover che è specializzato in quel genere. È
proprio vicino a quello scannatoio con tutte quelle ragazze di colore... come si chiama
quel posto? Ah, sì, la Casbah di Minnie. Wacky va in quel bordello. Certe volte resta
seduto in macchina a farsi un goccetto prima di entrare. Mi ha detto di aver visto un
sacco di pezzi grossi del dipartimento entrare nella Casbah in cerca di figa, ma non
vuole dirmi chi. Wacky è un tipo tutto d’un pezzo. Non odia i pezzi grossi, come tanti
agenti di pattuglia.
Beckworth era impallidito, ma si riprese alla svelta. — Be’, non sarà un finocchio,
ma è pur sempre uno stronzo. Bastardo. Ho dovuto far disinfestare il mio ufficio.
Sono un uomo sensibile, Freddy, e ho avuto gli incubi per quel gatto morto. E non
dirmi che non è stato Walker, perché lo so.
— Non lo nego, tenente. È stato lui. Ma deve tener presenti i suoi motivi.
— Quali motivi? Mi odia, ecco il motivo.
— Si sbaglia, tenente. Wacky la rispetta. La invidia addirittura.
— Rispetto! Invidia! Di che cavolo parli?
— È la verità. Wacky invidia il suo potenziale al golf. Me lo ha detto lui.
— Sei pazzo? Io sono uno scalzacani. Lui ha un handicap basso.
— Vuol sapere che cosa mi ha detto, tenente? Mi ha detto: “Beckworth ha tutti i
movimenti giusti. È soltanto la concentrazione a fottergli il gioco e impedirgli di
collegare il tutto. Ha troppe cose per la testa. È un buon poliziotto. Io mi accontento
di essere un ottuso piedipiatti di ronda. Almeno posso arrivare a ottanta. Il tenente è
troppo coscienzioso, e questo gli manda in vacca il gioco. Se non fosse un così buon
poliziotto, sarebbe un giocatore di prim’ordine”. Ecco che cosa mi ha detto.
Gli lasciai un minuto per assimilare il concetto. Beckworth era raggiante. Mise giù
il ferro quattro che stava strapazzando e mi sorrise beato. — Di’ a Walker di venire a
trovarmi, Freddy. Digli che ho dell’ottimo scotch per lui. Figa coreana, Gesù! Non
pensi che sia un rosso, vero, Freddy?
— Wacky Walker? Un sergente maggiore dei marines degli Stati Uniti? Ritiri
quello che ha detto, tenente!