San Quentin e implicitamente hai esposto al ridicolo gli investigatori di due divisioni  e della squadra Omicidi...
— Signore, io...
— Non interrompere, Underhill! Io sono capitano e tu sei un agente di pattuglia,  non dimenticarlo. — Jurgensen aveva la faccia paonazza e una vena bluastra che gli  pulsava di collera sul collo.
— Chiedo scusa, signore.
— Molto bene. Potrei crocifiggerti per la tua arroganza, ma non lo farò.
— Grazie, signore.
— Non ringraziarmi ancora, agente. Sei un giovanotto molto dotato, ma la tua  arroganza supera di gran lunga le tue doti. L’arroganza non può essere tollerata negli  agenti di polizia; tollerarla significherebbe incoraggiare l’anarchia. Il dipartimento di  polizia di Los Angeles è una burocrazia dalla struttura superba, alla quale hai giurato  fedeltà. Le tue azioni hanno offeso il dipartimento. Sappilo, Underhill. Sappi che la  tua ambizione minaccia di distruggerti come poliziotto. Mi capisci?
Mi schiarii la gola. — Signore, sono convinto di aver agito in modo avventato e mi  scuso con lei... e con il dipartimento, per questo. Ma penso che i miei motivi fossero  validi. Volevo giustizia.
Jurgensen sbuffò e scosse la testa. — No, Underhill, no. Accetterei questa scusa da  molti giovani agenti, ma non da te. A parte l’autoincensazione, non sono certo che  neanche tu sappia quello che vuoi, ma non è davvero giustizia. Te la ridi del codice  penale dello Stato e poi mi dici di volere giustizia? Non offendere la mia intelligenza.
La collera di Jurgensen si stava sgonfiando. Tentai di sviare il suo attacco. — Con  tutto il rispetto, signore, che cosa pensa del mio caso?
— Il tuo caso? Penso che fino a questo momento tu non abbia altro che un forte  sospetto e un incredibile dono di intuizione. Questo Engels finora non è altro che un  giocatore e un donnaiolo e nessuna delle due cose è un reato. Probabilmente è anche  un omosessuale, ma questo non fa di lui un assassino. Non hai prove concrete. Non  penso granché del tuo “caso”.
— E del mio intuito, capitano?
— Nel tuo intuito ho fiducia, Underhill, altrimenti ti avrei sospeso dal servizio  mezz’ora fa.
— E, signore?
— E... cosa vuoi, Underhill?
— Voglio partecipare all’indagine e voglio passare all’ufficio investigativo non  appena avrò superato gli esami di sergente, entro la fine dell’anno.
Jurgensen rise amaro. Allungò la mano nella scrivania, estrasse un blocchetto per  appunti e ci scrisse sopra qualcosa, strappando il foglietto e porgendomelo. — Questo
è l’indirizzo di casa mia, a Glendale. Trovati lì stasera alle otto e mezzo. Voglio che  racconti la tua storia a Dudley Smith. Deciderà lui il corso di questa indagine. Ora  lasciami solo.
Mentre pronunciava quel nome, i freddi occhi azzurri di Jurgensen mi avevano  perforato come dardi avvelenati, aspettando che tradissi paura o apprensione. Non lo  feci.
— Sì, signore — risposi, poi mi alzai e uscii dalla porta senza salutare.


Dudley Smith era un tenente della Omicidi, un personaggio temibile e un poliziotto  leggendario che aveva ucciso cinque uomini, in servizio. Nato in Irlanda e cresciuto a
Los Angeles, restava ancora tenacemente aggrappato alla sua cadenza dialettale  acuta, musicale, accordata alla perfezione come uno Stradivari. Aveva tenuto spesso  conferenze all’Accademia sulle tecniche di interrogatorio e ricordavo come quella  cadenza poteva diventare di volta in volta carezzevole o brutale, inquisitoria o  perplessa, comprensiva o satura di virtuosa indignazione.
Era alto più di un metro e ottanta e massiccio come una trave portante. Era tutto un  immenso blocco marrone, capelli castani tagliati a spazzola, piccoli occhi castani,  vestito sempre con un completo marrone a tre pezzi tutto borse. Il suo viso aveva  un’espressione temibile, indipendentemente dalla tecnica di interrogatorio che stava  impiegando. Era un attore magistrale, dall’ego spropositato, capace di cambiare ruolo  in un batter d’occhio, ma riusciva sempre a infondere la purezza della personalità  nella parte che interpretava in quel momento.
Frequentavo l’Accademia quando si era svolta l’indagine sulla Dalia Nera. Smith  era stato incaricato di rastrellare tutti i maniaci sessuali noti di Los Angeles. Dopo la  fine della conferenza, da quell’attore amante degli applausi che era, ci aveva parlato  della specie di feccia umana con cui aveva a che fare. Aveva detto che nella ricerca  dell’assassino “di quella povera ragazza assetata di emozioni, Elizabeth Short”, aveva  sentito e visto e fatto cose che sperava che noi, “il fior fiore della virilità di Los
Angeles”, in procinto di imbarcarci nella “più grande missione sulla terra di Dio”,  non avremmo mai dovuto sentire o vedere o fare. Era stata un’ellisse brillante. Le  congetture sulla durezza delle misure di Smith erano state per settimane l’argomento  principe delle conversazioni all’Accademia. Avevo chiesto di lui a uno dei miei  istruttori, il sergente Clark.
“È un brutale figlio di puttana che sa fare il suo mestiere” mi aveva risposto.
L’assassino di Elizabeth Short non era mai stato preso, il che significava che
Dudley Smith era umano. E fallibile. Mentre guidavo da Los Feliz a Glendale, quella  sera, mi caricai di logica. Riesaminai la mia storia da tutte le angolazioni possibili,  sapendo che non potevo rivelare di aver conosciuto di persona Maggie Cadwallader.
Ero pronto anch’io a un’interpretazione magistrale, pronto a baciare il culo a quel  grosso irlandese, a scornarmi con lui, a mostrarmi sboccato, a mostrarmi servile, a  mostrarmi in qualunque modo tranne che stupido, pur di partecipare all’indagine che  avrebbe inchiodato Eddie Engels.

Il capitano Jurgensen viveva in una villetta rivestita di assicelle su una strada  secondaria senza alberi, una traversa di Brand Avenue verso il centro di Glendale.
Quando mi avvicinai, un cane cominciò ad abbaiare e sentii Jurgensen che lo zittiva:
— Amici, Colonnello, amici. Buono, adesso. — Il cane uggiolò e si avvicinò  trotterellando per salutarmi, puntando dritto all’inguine.
Jurgensen era seduto su una sdraio nel portico schermato.
— Salve, Underhill — mi disse. — Siediti. — Indicò la poltrona di vimini accanto  a sé. Mi sedetti.
— A proposito di questo pomeriggio, capitano... — cominciai a dire.

Jurgensen mi zittì come aveva fatto con il cane. — Lascia perdere, Fred. È stato  detto abbastanza. A partire da questo momento sei distaccato temporaneamente alla  squadra investigativa. Te ne parlerà il tenente Smith. Sarà qui a momenti. Vuoi un tè  freddo? O una birra?
— Vada per la birra, signore.
Il capitano me la portò in una tazza da caffè, proprio mentre vedevo una vecchia
Dodge anteguerra accostare al marciapiede. Rimasi a guardare mentre Dudley Smith  chiudeva accuratamente la macchina, si tirava su i calzoni e attraversava il prato  diretto verso di noi.
— Non lasciarti intimorire, Fred — disse Jurgensen. — È solo un essere umano.
Risi e bevvi un sorso di birra mentre Dudley Smith bussava forte sulla fragile  struttura di legno del portico. — Toc toc, chi c’è alla porta? — esclamò con la sua  cadenza musicale acuta.
— Dudley Smith, delinquenti all’erta. — Rise della sua stessa poesiola, poi entrò e  tese una mano enorme al capitano Jurgensen. — Salve, John. Come stai?
— Ehi, Dudley — disse il capitano.
Smith accennò con il capo nella mia direzione. — E questo è il nostro giovane e  brillante collega, l’agente Frederick Underhill?
Mi alzai per stringere la mano massiccia, notando con soddisfazione che ero alto  cinque centimetri più di lui. — Salve, tenente — dissi. — È un piacere conoscerla.
— Il piacere è tutto mio, ragazzo. Perché non ci sediamo tutti quanti? Abbiamo  delle faccende serie da discutere e dovremmo rilassare il corpo mentre ci spremiamo  le meningi.
Smith s’incastrò nell’unica poltrona imbottita del portico. Stese le lunghe gambe e  sorrise a Jurgensen con aria accattivante. — Birra, per favore, John, in bottiglia e  fammi il favore di prendertela comoda.
L’ufficiale si allontanò obbediente, mentre il grosso irlandese mi fissava con gli  occhi sporgenti, impiccioliti dal faccione rosso. Un attimo dopo parlò.
— Agente Frederick U. Underhill, anni ventisette, diplomato al college, non reduce  di guerra. Voti eccezionalmente alti all’Accademia, note caratteristiche eccellenti a
Wilshire e alla Settantasettesima. Due uomini uccisi in servizio. Sono debitamente  impressionato e me ne infischio di tutte le azioni da vigilante che hai compiuto negli  ultimi tempi. John è un poliziotto eccitabile, vecchio stampo. Io no. Plaudo alle tue  azioni e mi congratulo con te per la tua intelligenza nel sottoporre le indagini a un  ufficiale superiore. Basta con le stronzate. Parlami di donne morte e assassini. Fa’  pure con comodo, sono un buon ascoltatore.
I piccoli occhi castani non si erano mai staccati dai miei e restarono fissi sul  bersaglio mentre lui pescava nelle tasche dei calzoni in cerca di sigarette e  fiammiferi, accendeva e soffiava il fumo verso di me.
Mi schiarii la voce. — Grazie, signore. In febbraio lavoravo di pattuglia a Wilshire.
Il mio compagno e io siamo stati convocati da una donna sconvolta sulla scena di un  delitto. La vittima era una giovane donna di nome Leona Jensen. Era stata pugnalata e  strangolata nel suo appartamento; la casa era stata messa a soqquadro. Ho chiamato  gli investigatori. Loro sono venuti e hanno detto che a prima vista pareva che la

donna avesse sorpreso un ladro sul fatto. Io ho notato su un tavolo una bustina di  fiammiferi del bar Silver Star, ma non ne ho ricavato niente.
“La settimana scorsa un’altra donna è stata strangolata nel suo appartamento a
Hollywood; l’ho letto sui giornali. Si chiamava Margaret Cadwallader. Ho  cominciato a pensare alle affinità fra i due omicidi. Gli investigatori di Hollywood  hanno attribuito anche questo a un ladro, basando su questa tesi tutta la loro indagine.
Io però avevo un’intuizione in proposito. Non mi lasciava dormire. Io mi fido delle  intuizioni, signore, ed è per questo che il mio record di arresti per reati gravi è così  alto.
“Ho sentito, non so come, che le due morti erano collegate. Mi sono introdotto  nell’appartamento della Cadwallader...” Rallentai preparandomi a lasciar cadere nel  discorso la prima menzogna vera e propria. “Ho trovato una bustina di fiammiferi  dello stesso bar sotto l’angolo del tappeto del soggiorno.” Feci una pausa a effetto.
— Continua, agente — disse Dudley Smith.
— Certo. Ora sapevo che la Cadwallader era andata al Silver Star almeno una  volta. Mi sono fatto trasferire al turno di giorno in modo da poterci andare anch’io, di  sera. Avevo il presentimento che la Jensen e la Cadwallader fossero state abbordate lì  da un dongiovanni. Ho ottenuto l’aiuto del barista, che mi ha parlato di “Eddie”, uno  che rimorchiava un sacco di donne nel locale. Eddie è entrato la sera dopo. Il barista  me lo ha indicato. Lui ha tentato di agganciare alcune donne, che lo hanno respinto. È  uscito e io l’ho seguito fino a un bar di checche di West Hollywood, dove ha avuto  una discussione con un tale. Poi l’ho seguito fino al suo appartamento, poco lontano  dallo Strip. È rimasto lì tutta la notte. La mattina dopo l’ho seguito fino  all’ippodromo di Santa Anita. Dalla sua conversazione con l’addetto al botteghino da  cinquanta dollari, ho dedotto che era un forte giocatore che portava spesso donne alle  corse.
“Ho mostrato all’uomo del botteghino una foto di Margaret Cadwallader. Mi ha  detto che il cognome di Eddie era Engels e che aveva portato la donna alle corse in  giugno, per il President’s Stakes. L’ha identificata con sicurezza. Avevo mescolato la  foto con diverse altre, per questo so che era sicuro.
“Subito dopo ho chiamato la divisione informativa per procurarmi delle  informazioni sui precedenti di Engels e sulle auto di sua proprietà. Nessun  precedente; due auto. Sono andato da rivenditori di automobili e mi sono fatto dare  delle illustrazioni dei modelli che possiede, poi le ho colorate in modo appropriato.
Dopo di che ho fatto il giro dei locali notturni sul Sunset Strip. Quattro persone  ricordavano di aver visto Eddie Engels in compagnia di Margaret Cadwallader. Ho  preso i loro nomi e indirizzi. Poi sono andato a Hollywood. Un ragazzo del liceo  ricordava di aver notato la Ford del ‘49 di Engels parcheggiata dietro l’angolo  dell’appartamento della Cadwallader, la notte del delitto. L’ha descritta con una coda  di volpe sull’antenna della radio. Qualche ora dopo, la notte stessa, mi sono  introdotto nel bungalow di Engels. Non ho trovato nessuna prova che lo colleghi a  qualche atto criminale, ma ho visto la sua Ford. Aveva una coda di volpe  sull’antenna. È tutto, tenente.”

Mi aspettavo che Dudley Smith mi trafiggesse con un’occhiata severa e scrutatrice.
Non lo fece. Si limitò a sorridere con aria maliziosa e accendersi un’altra sigaretta.
Espirò il fumo e rise fragorosamente.
— Bene, ragazzo — disse. — Ci hai servito un assassino, questo è maledettamente  sicuro. La Cadwallader con certezza... L’altra, come si chiamava?
— Leona Jensen.
— Ah, sì. Be’, lì non sono tanto sicuro. Qual è stata la causa della morte, lo sai?
— Il medico legale ha parlato di asfissia.
— Ah, sì. Chi se n’è occupato per gli investigatori di Wilshire?
— Joe DiCenzo.
— Conosco DiCenzo. Freddy, ragazzo, quali sono i tuoi sentimenti verso questo  degenerato di Engels?
— Penso che abbia eliminato la Cadwallader, la Jensen e Dio sa quante altre.
— Dio sa? Sei religioso, ragazzo?
— No, signore.
— Be’, dovresti esserlo. Bene. La Divina Provvidenza è senza dubbio al lavoro su  questo caso.
Il capitano Jurgensen uscì sul portico con una birra in mano.
— Ah, John. Grazie — disse il tenente. — Vuoi concederci altri dieci minuti, per  favore, ragazzo?
Il capitano borbottò: — Certo, Dud — e si ritirò di nuovo.
— Stavo per dire — riprese Dudley Smith — che concordo di tutto cuore con te.
Quanti anni hai? Ventisette, non è vero?
— Sì, signore.
— Non chiamarmi signore, chiamami Dudley.
— Va bene, Dudley.
— Ah, magnifico. Bene, ragazzo, io ne ho quarantasei e sono stato poliziotto per  metà della mia vita. Durante la guerra ero nell’OSS. Sono stato maggiore in Europa e  sono tornato al mio posto di sergente nel dipartimento, aspettandomi di fare carriera  molto in fretta. Ho preso molti assassini e ne ho ucciso qualcuno io stesso. Sono  diventato tenente e prevedo che resterò tenente per sempre. Sono troppo tosto e  sveglio e prezioso per fare il capitano e starmene seduto sulle chiappe tutto il giorno a  leggere Shakespeare come il nostro amico John.
Dudley Smith si protese verso di me e mi strizzò il ginocchio nella destra enorme.
Abbassò la voce tenorile di tre ottave buone e disse: — In Irlanda, i frati mi hanno  insegnato un amore e un rispetto inestinguibili per le donne. Sono sposato da ventotto  anni con la stessa donna. Ho cinque figlie. C’è molto della bestia in me, ragazzo, lo  sa Iddio. Tutta la gentilezza che c’è in me la devo ai frati e alle donne che ho  conosciuto. Odio gli assassini e odio gli assassini di donne più di quanto odio Satana  stesso. Condividi il mio odio, ragazzo?
Era il primo test e volevo superarlo con onore. Irrigidii il viso e bisbigliai con voce  roca: — Con tutto il cuore.
Smith rafforzò la stretta sul ginocchio. Voleva che mostrassi dolore in segno di  obbedienza, così feci una smorfia. Mi lasciò andare il ginocchio e io me lo sfregai