INTRODUZIONE
Nella prima parte di questo volume ho analizzato le ricerche che mostrano il ruolo svolto da un’alimentazione a base di prodotti di origine vegetale, ricca di particolari cibi, nel prevenire, curare e persino invertire il decorso delle quindici patologie che causano la morte. A chi è già stata diagnosticata una o più di queste malattie, le informazioni contenute nella prima parte del libro possono salvare la vita. Ma per tutti gli altri (tra cui magari vi sono persone che temono di ereditare la familiarità verso una certa malattia o che semplicemente vogliono preservare salute e longevità attraverso la dieta), la questione fondamentale riguarda le scelte alimentari da compiere ogni giorno. Ho tenuto oltre mille presentazioni e una delle domande che mi sento rivolgere più spesso è: «E lei che cosa mangia, dottor Greger?»
La seconda parte di questo libro è la mia risposta alla domanda.
Non ho mai avuto una gran passione per i cibi dolci, ma per quelli grassi sì: pizza ai peperoni, ali di pollo fritte, patatine con panna acida e cipolle, un cheeseburger al bacon di Hardee quasi tutti i giorni quando andavo alle superiori. Mi piaceva qualsiasi cosa fosse unta e grassa, e la innaffiavo con Dr. Pepper ghiacciata. Be’, allora mi sa che avevo anche una certa passione per il dolce. Andavo matto per i donut ricoperti di glassa alla fragola.
Anche se il miracoloso recupero di mia nonna dalla malattia cardiaca mi ha indotto a intraprendere la carriera medica, non ho cambiato alimentazione finché, nel 1990, è stato pubblicato il fondamentale Lifestyle Heart Trial del dottor Ornish. Alle superiori ero così secchione da passare le vacanze estive nella biblioteca di scienze dell’università. E fu lì che, tra le pagine della rivista medica più prestigiosa del mondo, trovai la dimostrazione che la storia di mia nonna non era stato un colpo di fortuna: le patologie cardiache potevano regredire. Il dottor Ornish e la sua équipe avevano esaminato le radiografie delle arterie dei soggetti prima e dopo l’esperimento e avevano dimostrato che potevano essere ripulite senza angioplastica, senza alcun intervento o farmaco miracoloso. Bastavano una dieta a base di prodotti vegetali e altri salutari cambiamenti dello stile di vita. Fu questo a indurmi a cambiare dieta e a dare il via al mio amore ormai venticinquennale per la scienza dell’alimentazione. Da quel momento ho deciso di far sapere a tutti che il cibo ha la capacità di farvi stare in salute, di conservare la salute e, se necessario, di ripristinarla.
Ai fini di questo volume, ho utilizzato due semplici strumenti per aiutarvi a integrare tutto ciò che ho scoperto nella vostra vita quotidiana:
1. il semaforo, per identificare rapidamente le opzioni più salutari e
2. la lista dei Magnifici dodici alimenti quotidiani, che vi aiuterà a scegliere i cibi che ritengo essenziali per una dieta ideale.
Quindi, quali sono i cibi che fanno bene e quali quelli che fanno male?
Sembra una domanda piuttosto semplice. In realtà, non è così facile rispondere. Ogni volta che durante una presentazione mi viene chiesto se un alimento fa bene oppure no, mi trovo a replicare: «Rispetto a cosa?» Ad esempio, le uova sono un cibo sano? Rispetto ai fiocchi d’avena, certo che no, ma rispetto alle salsicce con cui si ritrovano fianco a fianco sul vassoio della colazione, sì.
E che dire delle patate? Sono verdure, quindi devono essere sane, giusto? Qualcuno me lo ha chiesto qualche anno fa, quando un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard ha fatto presente alcune questioni relative alle patate al forno e al purè di patate.1 Allora, sono sane o no? Rispetto a quelle fritte, sì. Rispetto alle patate dolci fatte al forno o in purè, no.
Mi rendo conto che se uno vuole semplicemente sapere se mangiare o meno le stramaledette patate queste non sono risposte soddisfacenti, ma l’unica risposta che abbia un senso consiste nel valutare le altre opzioni disponibili. Se ad esempio vi trovate in un fast food, le patate al forno potrebbero essere l’alternativa più sana.
La domanda «Rispetto a cosa?» non è soltanto un esercizio di apprendimento socratico che ho utilizzato con i miei pazienti e studenti. Mangiare è in sostanza un gioco a somma zero: nel momento in cui scegliete un alimento, in genere ne state scartando un altro. Certo, potreste tenervi la fame, ma il vostro organismo riequilibrerà le cose mangiando di più in seguito. Pertanto ogni cibo che decidiamo di mangiare ha un costo opportunità.
Ogni volta che mettete in bocca qualcosa, perdete l’opportunità di mangiare qualcosa di più sano. È come se aveste 2000 dollari sul vostro conto corrente calorico. Come volete spenderli? Per le stesse calorie, potete mangiare un Big Mac, cento fragole o l’equivalente in volume di 18 litri di insalata. Ovviamente queste tre opzioni non rientrano nella stessa nicchia culinaria: se volete un hamburger, volete un hamburger, e non credo che le fragole entreranno presto nel menu dei fast food, ma questo è solo un esempio dei diversi valori nutrizionali che si possono ottenere consumando le stesse calorie.
Il costo opportunità non è dato soltanto dalle sostanze nutritive che potreste assumere con una scelta diversa, ma anche dalle componenti dannose che potreste evitare. Dopotutto, quando è stata l’ultima volta che qualcuno dei vostri amici ha avuto il kwashiorkor, lo scorbuto o la pellagra? Si tratta di alcune delle tipiche malattie da carenza di sostanze nutritive sulle quali sono stati fondati gli studi sull’alimentazione. Ancora oggi, nutrizionisti e dietologi professionisti continuano a focalizzarsi sulle sostanze che potrebbero mancarci, ma gran parte delle malattie croniche ha a che fare più con le sostanze che assumiamo in eccesso. Conoscete nessuno che soffra di obesità, malattie cardiovascolari, diabete mellito di tipo 2 o ipertensione?
MA QUANTO COSTA MANGIARE SANO?
I ricercatori dell’Università di Harvard hanno confrontato il costo e la salubrità di vari alimenti in tutti gli Stati Uniti, a caccia dei prezzi migliori. Hanno scoperto che in termini di valore nutrizionale rispetto alla spesa, la gente dovrebbe comprare più semi, cibi a base di soia, legumi e cereali integrali, e meno carne e latticini. Hanno concluso che «l’acquisto di prodotti di origine vegetale può costituire il migliore investimento per una dieta sana».2
I cibi meno sani battono quelli più sani solo per quanto riguarda il costo a caloria, un modo di misurare il prezzo degli alimenti che si usava nel diciottesimo secolo. A quei tempi era importante avere calorie a basso costo, a prescindere da come le si ottenevano. Quindi, anche se i legumi e lo zucchero all’epoca avevano lo stesso prezzo (cinque centesimi alla libbra), il Dipartimento dell’agricoltura americano (USDA) sosteneva lo zucchero, in quanto economicamente più vantaggioso come «carburante».3
Possiamo scusare l’USDA per aver trascurato la differenza fra legumi e zucchero bianco in termini nutrizionali. Dopotutto, le vitamine non erano ancora state scoperte. Oggi ne sappiamo di più e possiamo confrontare il costo degli alimenti sulla base del loro contenuto nutritivo. Una porzione media di verdure può costare circa un quarto della porzione media di cibo spazzatura, ma si calcola che le verdure abbiano in media ventiquattro volte più sostanze nutritive. Quindi, confrontandole in base al «costo per sostanze nutritive», per ogni dollaro offrono sei volte più nutrimento rispetto agli alimenti lavorati. La carne costa il triplo delle verdure eppure contiene sedici volte meno sostanze nutritive calcolate su un insieme di nutrienti.4 Dal momento che nutre di meno e costa di più, le verdure vi forniscono quarantotto volte le sue sostanze nutritive per ogni dollaro speso.
Se il vostro obiettivo e cacciarvi nello stomaco quante più calorie possibili con la minima spesa, allora i cibi salutari perdono, ma se volete assumere più sostanze nutritive spendendo il meno possibile, non andate oltre il reparto ortofrutta. Spendere appena cinquanta centesimi in più al giorno per comprare frutta e verdura può far diminuire del 10% la mortalità.5 Questo sì che è un affare! Pensate se esistesse una pillola in grado di diminuire del 10% le vostre probabilità di morte nel prossimo decennio, e se avesse soltanto effetti positivi. Quanto credete che la farebbero pagare, le case farmaceutiche? Direi più di cinquanta centesimi.
Mangiare con il semaforo
Le Linee guida alimentari per gli americani del governo contengono (al momento in cui sto scrivendo questo volume) un capitolo intitolato «Elementi della dieta da limitare», che elenca specificamente gli zuccheri aggiunti, le calorie, il colesterolo, i grassi saturi, il sodio e i grassi trans.6 Per contro, vi sono invece nove sostanze nutritive cosiddette carenti che almeno un quarto degli americani non assume nella quantità necessaria: fibre, calcio, magnesio, potassio e le vitamine A, C, D, E e K.7 Peccato che non sia possibile mangiare «elementi della dieta»: noi esseri umani mangiamo cibo. Al supermercato non c’è il reparto del magnesio. Quali alimenti allora hanno maggiori quantità di sostanze buone e minori quantità di quelle cattive? Ho semplificato la questione servendomi di un semaforo (vedi figura 5).
Proprio come avviene sulla strada, il verde significa «vai», il giallo suggerisce prudenza e il rosso vuol dire «fermati». (In questo caso, fermati a riflettere prima di mettere in bocca quella data cosa.) L’ideale è mangiare soprattutto cibi con il semaforo verde, ridurre al minimo quelli con il giallo ed evitare gli alimenti con il rosso.
Evitare è forse un termine troppo forte? Dopotutto, le Linee guida alimentari per gli americani incoraggiano semplicemente a «moderare» l’assunzione dei cibi nocivi.8 Ad esempio: «Mangiate meno... caramelle».9 Dal punto di vista della salute, però, non si dovrebbero evitare le caramelle?
Le autorità sanitarie non si limitano a consigliare di fumare meno: dicono di smettere. Sanno che solo una percentuale minima di fumatori seguirà il consiglio, ma il loro compito consiste nel dire quale sia la cosa migliore da fare e nel lasciare che la gente prenda le decisioni da sé.
Ecco perché apprezzo le indicazioni dell’American Institute for Cancer Research (AICR). Essendo svincolato dall’USDA, l’AICR espone semplicemente i fatti scientifici, e quando si tratta del peggio non scherza affatto. Invece di invitare le persone a «Consumare meno... bibite»,10 come fanno le Linee guida alimentari per gli americani del governo, le linee guida per la prevenzione del cancro dell’AICR suggeriscono di «Evitare le bibite zuccherate». Allo stesso modo, l’AICR non si limita a dire di limitare pancetta, prosciutto, würstel, salsiccia e salumi, ma incoraggia a «evitare le carni lavorate», punto. Per quale motivo? Perché «stando ai dati, nessun livello di assunzione è privo di rischi».11
La dieta più sana è quella che massimizza l’assunzione di prodotti di origine vegetale e minimizza quella di cibi di origine animale e alimenti lavorati. Detta in termini semplici, mangiate più alimenti con il semaforo verde, meno di quelli con il giallo e, soprattutto, ancora meno di quelli con il rosso. Proprio come avviene quando si passa con il rosso per strada, magari qualche volta ve la cavate, ma non vi consiglierei di trasformare la cosa in un’abitudine.
Con queste premesse, ciò che abbiamo visto nei capitoli precedenti ha perfettamente senso. I prodotti di origine vegetale non lavorati hanno in genere maggiori quantità delle sostanze nutritive che mancano agli americani e meno fattori che scatenano le malattie. Non sorprende quindi che lo stile alimentare maggiormente in grado di bloccare l’epidemia di patologie legate alla dieta sia quello integrale e basato sui prodotti ortofrutticoli. Dopotutto, con il cibo si tratta di prendere o lasciare.
Questo è uno dei concetti cardine della nutrizione. Sì, nel formaggio c’è il calcio, nel maiale ci sono le proteine e nel manzo il ferro, ma che dire della zavorra che accompagna queste sostanze nutritive, ossia gli ormoni contenuti nei latticini, il lardo, i grassi saturi? Per quanto quelli di Burger King affermino che «Puoi averlo come piace a te», è impossibile andare alla cassa e chiedere un hamburger senza grassi saturi e colesterolo. Con il cibo bisogna davvero prendere o lasciare.
I latticini sono la fonte numero uno di calcio utilizzata negli Stati Uniti, ma anche di grassi saturi. Che tipo di «zavorra» ricevete con il calcio delle verdure a foglia verde? Fibre, folati, ferro e antiossidanti, ossia alcune delle sostanze nutritive assenti nel latte. Mangiando più prodotti integrali di origine vegetale, ottenete un premio invece di una zavorra.
Quando il National Pork Board afferma che il prosciutto è un’«eccellente fonte di proteine»12 non posso fare a meno di pensare alla famosa frase di un vicepresidente senior del settore marketing della McDonald’s che in tribunale, sotto giuramento, ha affermato che la Coca-Cola è nutriente perché «contiene acqua».13
Perché le Linee guida alimentari non dicono semplicemente di no?
La luce verde del semaforo risplende negli incoraggiamenti a «mangiare più frutta e verdura», ma quella gialla e rossa possono essere offuscate per colpa della politica. In altre parole, le linee guida sono chiare per quanto riguarda i messaggi in cui si dice di «mangiare più» («Mangia più prodotti freschi»), ma gli inviti a «mangiare meno» sono celati dietro le componenti biochimiche («Mangia meno grassi saturi e insaturi»). Le autorità sanitarie nazionali dicono raramente di «mangiare meno carne e latticini». Ecco perché il mio semaforo verde potrà suonarvi familiare («Be’, “mangia frutta e verdura”... questa l’ho già sentita»), mentre il giallo e il rosso potrebbero apparirvi controversi («Cosa? Ridurre il più possibile la carne? Davvero?»).
Tra gli obiettivi del Dipartimento dell’agricoltura americano vi è quello di «ampliare il mercato dei prodotti agricoli».14 Al tempo stesso, questa agenzia federale ha il compito di proteggere la salute pubblica contribuendo alla stesura delle Linee guida alimentari per gli americani. Ecco perché, quando queste due direttive sono in sintonia, i messaggi «mangia più» sono chiari: «Aumenta l’assunzione di frutta», «Aumenta l’assunzione di verdura».15 Ma quando i due aspetti del suo mandato entrano in conflitto, quando «migliorare l’alimentazione e la salute» contrasta con la promozione della «produzione agricola»,16 i messaggi del tipo «mangia meno» vengono rielaborati e finiscono per riferirsi alle componenti biochimiche: «Riduci l’assunzione di grassi solidi (che sono le principali fonti di grassi saturi e trans)».
Che cosa dovrebbe farsene il consumatore medio di queste misteriose perle di saggezza?
Quando le Linee guida vi dicono di assumere meno zuccheri aggiunti, calorie, colesterolo, grassi saturi, sodio e grassi trans, non usano altro che frasi in codice per dire di mangiare meno cibo spazzatura, carne, latticini, uova e alimenti lavorati, solo che non possono dirlo apertamente. Tutte le volte che l’hanno fatto in passato, si è scatenato l’inferno. Ad esempio, quando una newsletter dei dipendenti dell’USDA ha suggerito di fare una volta alla settimana un pasto senza carne, aderendo all’iniziativa «Lunedì senza carne» lanciata dalla School of Public Health della Johns Hopkins University,17 la tempesta politica scatenata dall’industria della carne ha portato l’USDA a ritirare il suo consiglio nel giro di poche ore.18 «In seguito a questi conflitti [d’interesse]», concludeva un articolo del «Food and Drug Law Journal», «quando si tratta di fornire consigli accurati e imparziali sull’alimentazione, le Linee guida talvolta promuovono gli interessi delle industrie alimentari e farmaceutiche invece di quelli della gente».19
Questo mi ricorda il fondamentale rapporto sui grassi trans dell’Institute of Medicine della National Academy of Sciences, una delle istituzioni americane più prestigiose.20 Il rapporto concludeva che non ne esiste una quantità sicura, «perché qualsiasi incremento degli acidi grassi trans fa aumentare il rischio di coronaropatie».21 Dal momento che in natura queste sostanze si trovano nella carne e nei latticini,22 la questione costituiva un dilemma: «Poiché è impossibile evitare i grassi trans nelle diete tradizionali non vegane, consumare lo zero per cento di energia [da tali grassi] richiederebbe significativi cambiamenti degli schemi alimentari».23
Quindi, se i grassi trans si trovano nella carne e nei latticini e l’unica quantità sicura da assumere è zero, l’Institute of Medicine avrà incoraggiato i lettori a iniziare una dieta basata su prodotti di origine vegetale, giusto? Certo che no. Com’è noto, il direttore del Cardiovascular Epidemiology Program di Harvard ne ha spiegato le ragioni: «Non possiamo dire alla gente di smettere di mangiare qualunque tipo di carne e latticini», ha detto. «Be’, potremmo dire loro di diventare vegetariani», ha aggiunto. «Se dovessimo basarci solo sui dati scientifici, lo faremmo, ma è una soluzione un po’ drastica.»24
E noi non vogliamo che gli scienziati si basino sui dati scientifici, no?
QUANTO È OBESA LA DIETA AMERICANA?
Per quanto sia diventato cinico rispetto all’alimentazione e alla nutrizione del mio Paese, sono comunque rimasto sorpreso dal rapporto pubblicato nel 2010 dal National Cancer Institute sulla dieta americana. Ad esempio, tre americani su quattro non mangiano nemmeno un frutto al giorno, e quasi nove su dieci non raggiungono il minimo consigliato di verdure. In una settimana, il 96% degli americani non raggiunge il minimo consigliato di verdure o legumi (tre porzioni alla settimana per gli adulti), il 98% non raggiunge il minimo degli agrumi (due porzioni alla settimana) e il 99% quello per i cereali integrali (da 85 a 115 grammi al giorno).25
E poi c’è il cibo spazzatura. Le linee guida federali sono talmente permissive che fino al 25% della dieta può essere costituito da «calorie a discrezione», ossia da prodotti fast food. Un quarto delle calorie possono quindi derivare dallo zucchero filato accompagnato da una bibita zuccherata, e voi stareste seguendo le linee guida. Eppure non riusciamo comunque a rispettarle. Incredibilmente, il 95% degli americani supera la quantità discrezionale di calorie concesse. Solo un bambino su mille tra i due e gli otto anni rispetta il limite, consumando meno dell’equivalente di dodici cucchiai di zucchero al giorno.26
E ci chiediamo perché vi sia un’epidemia di obesità?
«In conclusione», hanno scritto i ricercatori, «quasi tutta la popolazione americana segue un’alimentazione che non rispetta le raccomandazioni. Questa scoperta aggiunge un’altra tessera al quadro piuttosto preoccupante che sta emergendo, quello di una crisi alimentare nazionale.»27
I produttori di alimenti nocivi non vogliono farvi ammalare, vogliono solo realizzare dei guadagni. Il margine di profitto della Coca-Cola, ad esempio, è pari a un quarto del prezzo di vendita della bibita, il che rende la produzione di bibite, insieme a quella di tabacco, tra le più remunerative.28 Quello che è difficile da comprendere è il motivo per cui la comunità medica non stia facendo di più in proposito.
«Quando verrà scritta la storia del tentativo su scala mondiale di affrontare il problema dell’obesità», ha scritto il direttore del Rudd Center for Food Policy & Obesity della Yale University, «il principale fallimento risulterà forse la collaborazione con l’industria alimentare e le eccessive concessioni che le sono state fatte.»29 Ad esempio, la Susan G. Komen, una delle più importanti organizzazioni di beneficenza americane per il tumore al seno, ha stretto un accordo con il gigante del fast food Kentucky Fried Chicken per mettere in vendita cestini rosa di pollo fritto.30
Save the Children era una delle principali associazioni che sostenevano l’introduzione di tasse sulle bibite zuccherate per controbilanciare almeno in parte i costi dell’obesità infantile. Poi ha fatto un’inversione di rotta di 180° e ha ritirato il suo sostegno, affermando che tale campagna non «si inserisce più nelle modalità operative di Save the Children». Forse è stata solo una coincidenza che stesse chiedendo finanziamenti alla Coca-Cola e avesse già accettato cinque milioni di dollari dalla Pepsi.31
Anche se le abitudini alimentari stanno uccidendo più americani di quanto faccia il fumo,32 spesso negli ambienti medici sento il ritornello secondo il quale dobbiamo lavorare con queste aziende, invece che contro di loro, perché fumare non è necessario, ma mangiare sì.33 Be’, è vero, dobbiamo respirare, ma non per forza fumo. E sì, dobbiamo mangiare, ma non necessariamente cibo spazzatura.
La mia definizione di «lavorato»
Il modello dei semafori sottolinea due importanti concetti generali: i prodotti di origine vegetale, grazie alla maggiore presenza di fattori protettivi e alla minore presenza di quelli che promuovono le malattie, sono più sani dei cibi animali, e i prodotti non lavorati sono più sani di quelli lavorati. È sempre vero? No. Sto forse dicendo che tutti i prodotti ortofrutticoli sono migliori di tutti quelli animali? No. In realtà, uno dei peggiori prodotti che si trova sugli scaffali dei negozi è il grasso vegetale parzialmente idrogenato, un prodotto che ha la parola «vegetale» addirittura nel nome! Anche certi prodotti vegetali non lavorati, come le alghe azzurre, possono essere tossiche.34 Chiunque abbia avuto a che fare con l’edera velenosa sa che non sempre è bene avvicinarsi alle piante. In generale, però, dobbiamo scegliere prodotti di origine vegetale invece di quelli di origine animale, e non lavorati piuttosto che il contrario. Michael Pollan, autore del bestseller Il dilemma dell’onnivoro, ha detto: «Se viene da una pianta, mangialo. Se è stato prodotto in un impianto, no».35
Che cosa intendo per «lavorati»? Il classico esempio è il procedimento usato per produrre la farina bianca dal cereale integrale. Non è ironico che queste farine vengano dette «raffinate», ossia «perfezionate» o «più eleganti»? I milioni di persone che nel diciottesimo secolo morirono di beriberi, una malattia legata alla carenza di vitamina B indotta dalla raffinazione del riso, non ne apprezzarono certo l’eleganza!36 (Oggi il riso bianco viene integrato con vitamine che compensano la «raffinazione».) La scoperta della causa del beriberi e della sua cura – la crusca di riso, la parte scura che viene rimossa con la raffinazione – sono valse un premio Nobel. Questa malattia può danneggiare il cuore, provocando la morte per insufficienza cardiaca. Di certo una cosa del genere oggi non potrebbe succedere: un’epidemia di patologie del cuore che possono essere prevenute e curate cambiando dieta? Impossibile! (Rileggete il capitolo 1)
A volte, però, la lavorazione degli alimenti può renderli più sani. Ad esempio, il succo di pomodoro pare essere l’unico a risultare più sano del frutto da cui è estratto. La lavorazione dei pomodori aumenta la disponibilità del pigmento rosso antiossidante, il licopene, di ben cinque volte.37 Allo stesso modo, eliminare la parte lipidica dalle fave di cacao per estrarre la polvere migliora il profilo nutrizionale dell’alimento, perché il burro di cacao è uno dei rari grassi saturi vegetali (insieme all’olio di cocco e di palmisti) che possono far aumentare il colesterolo.38
Quindi, ai fini del modello del semaforo, «non lavorato» significa che all’alimento «non è stato aggiunto niente di nocivo, non è stato eliminato niente di salutare». Nell’esempio riportato sopra, il succo di pomodoro può essere considerato un prodotto relativamente non lavorato perché contiene ancora più fibre, a meno che non gli sia stato aggiunto del sale, che in base ai miei standard lo renderebbe un cibo lavorato e lo farebbe uscire di colpo dalla zona verde. Allo stesso modo considero «lavorato» il cioccolato perché contiene zuccheri aggiunti, ma non il cacao in polvere.
Utilizzando la mia definizione («non è stato aggiunto niente di nocivo, non è stato eliminato niente di salutare») i fiocchi d’avena non macinati, i fiocchi d’avena e persino la pappa d’avena istantanea (al naturale) possono essere considerati non lavorati. Le mandorle, ovviamente, sono un alimento di origine vegetale; io considero anche la pasta di mandorle senza sale un cibo da semaforo verde, ma il latte di mandorle, anche se non dolcificato, è un alimento lavorato, al quale sono state sottratte le sostanze nutritive. Sto forse dicendo che fa male? Il punto non è se un cibo fa bene o male, ma se fa meglio o peggio. Quello che sto dicendo, quindi, è che gli alimenti non lavorati sono in genere più salutari di quelli lavorati. Mettetela in questo modo: mangiare mandorle è più salutare che bere latte di mandorle.
L’unico ruolo che a mio parere dovrebbero svolgere i cibi con il semaforo giallo in una dieta sana consiste nel favorire il consumo di quelli con la luce verde. Ad esempio, se l’unico modo in cui posso riuscire a far mangiare ai miei pazienti il porridge al mattino è rendendolo cremoso con l’aggiunta di latte di mandorla, li invito a usarlo. Lo stesso si può dire degli alimenti con il semaforo rosso: senza salsa piccante, mangerei molte meno verdure a foglia verde scura. Sì, lo so che esistono tantissimi tipi di aceto privi di sodio e dai sapori esotici, e forse un giorno riuscirò a smettere di usare il Tabasco. Ma dati i miei gusti attuali, il fine verde giustifica i mezzi rossi. Se l’unico modo in cui riuscite a mangiare una bella porzione di insalata è guarnirla con il Bac-Os, allora conditela pure.
Gli alimenti come il Bac-Os (fiocchi di farina di soia aromatizzati al bacon) vengono definiti ultra lavorati, in quanto non hanno proprietà nutrizionali positive né la minima somiglianza con alcun prodotto del suolo, e spesso contengono schifezze aggiuntive. Il Bac-Os, ad esempio, contiene grassi trans, sale, zucchero e E129, il colorante Rosso Allura vietato in molti Paesi europei.39 Essendo un cibo da semaforo rosso, idealmente andrebbe evitato, ma se l’alternativa all’insalata di spinaci con il Bac-Os è il fast food, allora è meglio mangiarlo: potrebbe rappresentare quel poco di zucchero che aiuta la pillola ad andar giù. Lo stesso vale per i dadini di vera pancetta affumicata, se è per questo.
So bene che certe persone sono contrarie, per motivi religiosi oppure etici, anche a quantità trascurabili di prodotti animali. (Dal momento che sono di origine ebraica e sono cresciuto accanto al più grande allevamento di maiali a ovest del Mississippi, posso ben comprenderli entrambi.) Ma dal punto di vista della salute umana, quando si tratta di mettere a confronto i prodotti di origine animale con gli alimenti lavorati, ciò che conta è il regime alimentare globale.
Che cosa significa «prodotti integrali di origine vegetale»?
A volte la dieta assume una sorta di religiosità tutta sua. Ricordo che una volta un signore mi disse che non avrebbe mai potuto seguire un’alimentazione basata su prodotti di origine vegetale perché non voleva rinunciare al brodo di pollo di sua nonna. Benissimo! Gli dissi di salutarmi la nonnina e sottolineai che il fatto di godersi il suo brodo non gli impediva di fare scelte alimentari più sane nel resto del tempo. Il problema dell’idea del tutto-o-niente è che impedisce alle persone di fare il primo passo. L’idea di non poter mangiare mai più la pizza ai peperoni diventa in qualche modo una scusa per continuare a mangiarla tutte le settimane. Perché non scendere a una volta al mese o tenere da parte questa ghiottoneria per le occasioni speciali? Non dobbiamo lasciare che la «perfezione» sia nemica del bene.
Ciò che conta davvero è quello che facciamo tutti i giorni. Quello che mangiamo nelle occasioni speciali è trascurabile rispetto alle scelte quotidiane. Quindi non sentitevi in colpa se volete mettere candeline commestibili al gusto di pancetta sulla vostra torta di compleanno (no, non me le sono inventate!40). L’organismo ha una grande capacità di recupero dagli assalti occasionali, basta che l’attacco non diventi un’abitudine.
Questo libro non parla di vegetarianesimo o veganismo né di altri «ismi». Alcune persone eliminano completamente dalla propria dieta i prodotti animali per una scelta religiosa o etica, e può darsi che alla fine si sentano anche meglio.41 Ma dal semplice punto di vista della salute umana, sarebbe difficile sostenere, ad esempio, che la tipica dieta di Okinawa, basata al 96% su prodotti di origine vegetale,42 sia peggiore di una tipica dieta occidentale vegana al 100%. Nel manuale della Kaiser Permanente (un’organizzazione americana di servizi sanitari) intitolato The Plant-Based Diet: a Healthier Way to Eat, gli autori definiscono «dieta basata su prodotti di origine vegetale» quella che esclude completamente i prodotti animali, ma tengono a sottolineare che «Se vi accorgete di non riuscire a seguire una dieta basata su prodotti di origine vegetale il 100% delle volte, puntate all’80%. Qualsiasi passo che vi porti a consumare più prodotti vegetali e meno prodotti animali può migliorare la vostra salute!»43
Dal punto di vista nutrizionale, il motivo per cui non amo i termini vegetariano e vegano è che vengono definiti da ciò che non potete mangiare. Quando tenevo conferenze nei campus universitari, incontravo vegani che vivevano di patatine fritte e birra. Erano tecnicamente vegani, ma non proprio salutisti. Ecco perché preferisco parlare di alimentazione basata su prodotti integrali di origine vegetale. Per quanto mi è dato di sapere, le migliori ricerche suggeriscono che la dieta più sana è quella basata su prodotti vegetali non lavorati. Per l’alimentazione quotidiana, quanti più cibi vegetali integrali e quanti meno cibi animali e lavorati assumete, meglio è.44
Prepararsi a sviluppare abitudini più sane
Per prima cosa, dovete imparare a conoscere come funziona la vostra mente. Alcuni riescono meglio quando si buttano a capofitto. Se avete una personalità predisposta alle dipendenze o tendete a portare le cose all’estremo (ad esempio a non bere affatto oppure a bere troppo), è meglio che cerchiate di seguire il programma fino in fondo. Altre persone, invece, riescono a fumare in compagnia senza cedere al vizio: accendono poche sigarette all’anno e sfuggono alla dipendenza da nicotina.45 Il motivo per cui noi medici sosteniamo che i fumatori debbano abbandonare completamente il fumo non è la convinzione che una sigaretta ogni tanto possa causare un danno irreversibile, ma il timore che una sigaretta porti a fumarne due e che, in breve tempo, questa dannosa abitudine prenda piede. Allo stesso modo, un hamburger ben cotto non uccide nessuno: ciò che conta è quello che mangiate giorno dopo giorno. Dovete semplicemente capire fino a che punto siete in grado di affrontare il rischio di prendere una brutta china.
In psicologia si parla di «fatica da decisione», un fenomeno utilizzato dagli esperti di marketing per sfruttare i punti deboli dei consumatori. Pare che noi esseri umani abbiamo capacità limitate di prendere decisioni in un breve lasso di tempo, e che via via la qualità di tali decisioni peggiori al punto da spingerci a scegliere opzioni del tutto irrazionali. Vi siete mai chiesti perché i supermercati espongono il cibo spazzatura vicino alle casse? Dopo aver affrontato i quarantamila articoli presenti in un supermercato medio,46 abbiamo meno forza di volontà per resistere agli acquisti d’impulso.47 Perciò fissare delle regole e attenervisi a lungo termine può aiutarvi a fare scelte più sensate. Ad esempio, stabilire di non cucinare mai più con l’olio, evitare completamente la carne o mangiare solo cereali integrali paradossalmente può determinare cambiamenti più duraturi. Evitando di tenere in casa cibo spazzatura, cancellerete la tentazione eliminando la possibilità di scelta. Se ho fame, mangerò una mela.
Potrebbe esistere anche una ragione fisiologica per non deviare eccessivamente da una dieta ben congegnata. Dopo una crociera nella quale avete gustato cibi saporiti di ogni genere, il palato può abituarsi a quel gusto tanto che i cibi naturali che fino alla settimana prima vi piacevano non danno più la stessa soddisfazione. Ad alcuni può bastare un breve periodo per riabituarsi, ma per altri il fatto di essersi allontanati da una dieta sana può condurre a eccessi alimentari a base di sale, zucchero e grassi.
Per chi è cresciuto seguendo la dieta americana standard (DAS), iniziare a mangiare sano può essere un grande salto; di sicuro lo è stato per me. Anche se mia madre a casa cercava di preparare cibi che facevano bene, quando ero fuori con gli amici mangiavo scatole di dolcetti Little Debbie e cibi grassi del ristorante cinese, dove ordinavo costolette o altri piatti a base di carne fritta. Uno dei miei snack preferiti erano le salsicce Slim Jim al formaggio al gusto di nacho.
Per fortuna sono riuscito a sfuggire alle grinfie della DAS prima di avere problemi di salute, venticinque anni fa. Con il senno di poi, credo che quella sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso in vita mia.
Alcune persone abbandonano gli snack per passare di colpo a un’alimentazione sana, mentre altre hanno bisogno di fare un passaggio più graduale utilizzando approcci diversi. Uno di quelli che ho utilizzato nella mia professione è il metodo in tre passi della Kaiser Permanente. Dal momento che la dieta di gran parte delle famiglie americane ruota intorno agli stessi otto o nove piatti, il primo passo suggerisce di pensare a tre piatti a base di prodotti vegetali che già vi piacciono, ad esempio la pasta al pomodoro, che può essere facilmente trasformata in pasta integrale con l’aggiunta di altre verdure. Il passo numero due impone di pensare a tre piatti che mangiate già e che possono essere adattati in modo da diventare pasti da semaforo verde, come il chili di carne che può essere trasformato in chili con fagioli. Il passo numero tre è il mio preferito: scoprire nuove opzioni salutari.48
Paradossalmente, molte persone che seguono diete sane riferiscono di mangiare una varietà maggiore di cibi rispetto a quando seguivano un’alimentazione «senza vincoli». Prima che si diffondesse Internet, dicevo alla gente di andare in biblioteca e prendere dei libri di ricette. Oggi, se cercate su Google «ricette vegane» o «ricette vegetariane» troverete circa 350.000 siti. Se vi sembrano troppi, quelli che seguono costituiscono un buon punto di partenza:
• ForksOverKnives.com: è il sito legato a un famoso documentario e a un altrettanto celebre libro, che offre centinaia di ricette.
• StraightUpFood.com: la cuoca Cathy Fisher condivide sul sito oltre cento ricette.
• HappyHealthyLongLife.com: lo slogan del sito è «Le avventure di una bibliotecaria [della biblioteca medica della Cleveland Clinic] alle prese con i dati scientifici.» Parla di «dati scientifici»... io la adoro!
Quando avrete trovato tre nuovi piatti che vi piacciono e potete preparare con calma, la fase tre è conclusa. Adesso avete una rotazione di nove pasti per la cena e siete a posto! Dopodiché, occuparsi della colazione e del pranzo è semplice.
Se non vi piace cucinare e state cercando il modo più economico e semplice di preparare pasti salutari, vi consiglio la serie di DVD del dietologo Jeff Novick intitolata Fast Food. Utilizzando prodotti comuni, come legumi in scatola, verdure surgelate, cereali integrali precotti e mix di spezie, Jeff mostra come preparare da mangiare alla famiglia cibo sano a tempo zero, al costo di circa quattro dollari a testa al giorno. I DVD comprendono anche consigli per fare acquisti al supermercato e informazioni per decifrare le etichette nutrizionali. Li potete trovare su JeffNovick.com/RD/DVDs.
Se desiderate maggiore supporto e confronto, il Physicians Committee for Responsible Medicine (PCRM), un ente no profit di Washington che si occupa di ricerca alimentare e sostegno alle politiche del settore, offre un ottimo corso introduttivo di tre settimane sull’alimentazione vegetale; lo trovate su 21DayKickstart.org. Questo corso online gratuito inizia il primo del mese e propone menu, ricette, consigli, risorse utili, una guida ai ristoranti e un forum. Nel momento in cui scrivo è in quattro lingue e centinaia di migliaia di persone ne hanno già tratto benefici, quindi vale la pena provarlo.
Ho sempre cercato di indurre i miei pazienti a considerare il mangiar sano come un esperimento: concepire un cambiamento di tale portata come permanente potrebbe essere troppo. Ecco perché chiedo loro di concedermi tre settimane. Se lo considerano un semplice esperimento, è più probabile che vadano fino in fondo ricavando il massimo beneficio. Ma so di essere subdolo. Una volta trascorse le tre settimane, se i pazienti ce l’hanno messa tutta, so che si sentiranno molto meglio, le loro analisi saranno migliorate e il gusto avrà cominciato a cambiare. Il cibo sano ha un gusto sempre migliore via via che continuate a mangiarlo.
Mi ricordo di averne parlato con il dottor Neal Barnard, il presidente e fondatore della PCRM, che pubblica una quantità di ricerche che mettono a confronto una dieta sana con una varietà di disturbi comuni, dall’acne all’artrite, dai dolori mestruali alle emicranie. Spesso questi studi sono condotti con il metodo «A-B-A». La salute dei partecipanti viene valutata all’inizio sulla base del loro stile alimentare consueto, poi i soggetti passano a una dieta terapeutica. Per essere certi che i cambiamenti nello stato di salute sperimentati dai partecipanti non siano una semplice coincidenza, i soggetti vengono riportati alla dieta che hanno sempre seguito per vedere se i cambiamenti scompaiono.
Questa rigorosa metodologia di ricerca incrementa la validità dei risultati, ma il problema, come ha riferito il dottor Barnard, è che a volte le persone migliorano troppo: dopo qualche settimana di dieta a base di prodotti di origine vegetale, capita che si sentano talmente bene da rifiutarsi di tornare all’alimentazione di sempre,49 sebbene questo sia richiesto dal protocollo di studio. E dal momento che non hanno completato lo studio nel modo previsto, è necessario buttar via i loro dati, che così non verranno inseriti nel resoconto finale. Paradossalmente, uno stile alimentare sano può essere così efficace da minare le ricerche sulla sua stessa efficacia!
Che cosa mangerebbe il dottor Greger?
Spesso mi chiedono che cosa mangio. Ho sempre avuto qualche esitazione nel rispondere, per una serie di motivi. Innanzitutto, non importa quello che mangio, dico o faccio io, e nemmeno quello che fa chiunque altro, se è per questo. La scienza è scienza. Il campo della nutrizione è diviso in campi avversi, ciascuno dei quali segue il rispettivo guru. In quale altro campo della ricerca scientifica accade una cosa simile? Dopotutto, 2 + 2 = 4 a prescindere da quello che pensa il vostro matematico preferito, e ciò accade perché in campo matematico non c’è un’industria da mille miliardi di dollari che trae vantaggio dal confondere la gente. Se riceveste da ogni parte messaggi contraddittori sulla matematica, in preda alla disperazione dovreste scegliere un’autorità alla quale affidarvi, sperando che illustri in maniera accurata le ricerche disponibili. Chi ha il tempo di leggere e decifrare tutti i materiali originali?
All’inizio della mia carriera presi la decisione di non affidarmi a nessuno in merito a quelle che per i miei pazienti potevano essere decisioni di vita o morte. Avevo l’accesso alle fonti, le risorse e la preparazione per interpretare i risultati scientifici da solo. Quando iniziai a fare la mia revisione annuale della letteratura medica volevo solo diventare un professionista migliore, ma quando scoprii una simile miniera di informazioni, mi resi conto che non potevo tenerla per me. Il mio desiderio è diffonderla togliendomi il più possibile dall’equazione. Non voglio presentare la Dieta del Dottor Greger, marchio registrato, ma lo stile alimentare più accreditato dalle migliori ricerche. Ecco perché nei video di NutritionFacts.org mostro documenti originali, diagrammi, grafici e citazioni con i link a tutte le fonti primarie. Cerco di limitare il più possibile le mie interpretazioni personali, anche se, lo ammetto, a volte non riesco a trattenermi!
Ciò che ciascuno decide di fare con le informazioni deriva da una scelta personale, che spesso dipende da fattori come la sua situazione del momento e la propensione al rischio. A parità di informazioni, due persone possono compiere scelte completamente opposte ma comunque legittime. Per questo ho sempre qualche esitazione nel condividere le mie scelte personali, perché temo che inducano le persone a compiere scelte non adatte a loro. Preferisco limitarmi a presentare i dati scientifici e a lasciare che gli altri decidano da soli.
Inoltre, ognuno ha le proprie papille gustative. Sicuramente qualcuno penserà: Ma come, condisce quel piatto con la salsa piccante? Quando la gente mi sente parlare delle meraviglie dell’hummus (crema di ceci), ma non del baba ganoush (crema di melanzane arrosto, preparata in Medioriente come la prima), può pensare che io ritenga la prima più sana della seconda. Può darsi (anzi, è così), ma la vera ragione per me è semplice: non mi piacciono le melanzane.
Allo stesso modo, se mangio qualcosa non significa necessariamente che sia sana. Ad esempio, alcuni restano sorpresi quando scoprono che mangio cioccolato alcalinizzato. Nel processo di alcalinizzazione, viene eliminata oltre la metà degli antiossidanti e dei flavonoidi.50 E allora perché mangiare questo tipo di cacao? Perché per me ha un sapore infinitamente migliore rispetto al cacao al naturale. Se da un lato incoraggio le persone a utilizzare quest’ultimo, per quanto mi riguarda non seguo il mio stesso consiglio. In certi casi è meglio che le persone facciano quello che dico, non quello che faccio.
E se proponessi una ricetta che qualcuno trova disgustosa? Mi dispiacerebbe che quella persona pensasse Se il cibo sano è questo, io non ci sto! Via via che seguite una dieta migliore, i vostri gusti cambiano. È un fenomeno sorprendente: le papille gustative si adattano costantemente, di minuto in minuto. Se beveste un po’ di succo di arancia, avrebbe un sapore dolce, ma se prima mangiaste delle caramelle, il succo risulterebbe spiacevolmente amaro. A lungo andare, più mangiate sano, più il sapore dei cibi salutari vi sembrerà migliore.
Ricordo la prima volta che ho sorseggiato un centrifugato di verdure. Tenevo una conferenza nel Michigan, organizzata da una simpatica coppia di medici. Mi dissero che a colazione bevevano «insalata frullata». Da un punto di vista puramente intellettuale, l’idea mi piacque: si trattava di verdure, il cibo più sano del mondo, proposte in forma liquida, comoda da assumere. Mi immaginai nell’atto di bere un’insalata ogni mattino, prima di andare al lavoro. Ma poi assaggiai il centrifugato: mi sembrò di bere erba. Ebbi un conato e quasi vomitai sul tavolo di cucina dei miei ospiti.
Ai centrifugati di verdure bisogna abituarsi. A chi non piacciono i frullati di frutta? Banana ghiacciata, fragole... una delizia! La cosa incredibile è che se aggiungete una manciata di spinaci quasi non ve ne accorgete: provare per credere! Resterete sorpresi. E, se una manciata va bene, perché non provare con due? Un po’ per volta le vostre papille gustative si adattano a quantità crescenti di verdure. Succede con tutti i sensi: se entrate in una stanza buia, i vostri occhi si abitueranno un po’ per volta all’oscurità. Se infilate un piede nell’acqua del bagno, che all’inizio può sembrarvi troppo calda, l’organismo pian piano si adegua a una nuova normalità. Allo stesso modo, in un paio di settimane appena, potete ritrovarvi a bere e gustare mix che adesso vi sembrerebbero rivoltanti.
Detto questo, adesso vi racconterò che cosa mangio, cosa bevo e come lo faccio. In ciascuno dei prossimi capitoli, analizzerò in dettaglio le voci della mia Lista quotidiana dei Magnifici dodici, spiegando quali di questi alimenti con il semaforo verde sono i miei preferiti e condividendo con voi i trucchi e le tecniche che uso per prepararli. Non starò a elencare tutti i tipi di legumi, frutti, verdure, frutta a guscio e spezie che mangio. Il mio obiettivo è piuttosto quello di esplorare alcune ricerche interessanti relative ai miei alimenti preferiti di ogni categoria.
La mia strategia è uno dei modi di migliorare l’alimentazione, non l’unico. Se per caso funziona anche per voi, benissimo, ma in caso contrario mi auguro che esplorerete l’infinità di altri modi in cui potete usare le stesse ricerche per migliorare e allungare la vostra vita.