CAPITOLO 10
COME NON MORIRE DI MALATTIE RENALI
Le lettere e le e-mail che ricevo dai miei pazienti non cessano mai di ispirarmi. Mentre scrivevo questo libro mi è tornata in mente quella di Dan, un giocatore della National Football League adesso in pensione. La prima volta che lo incontrai aveva quarantadue anni. Sebbene fosse relativamente giovane, l’ex atleta prendeva già tre farmaci diversi per la pressione, e nonostante ciò continuava a essere iperteso. Aveva anche 11 chili di troppo. Un giorno, insieme alla sua metà si fermò ad aspettarmi dopo una delle mie conferenze.
Il medico gli aveva appena detto che i suoi reni presentavano danni dovuti alla pressione sanguigna. La prima cosa che gli chiesi fu se stava prendendo i farmaci che gli erano stati prescritti, dato che molti li evitano a causa dei fastidiosi effetti collaterali. Sì, mi assicurò, li stava prendendo. Mi mostrò una lista che portava sempre con sé per essere sicuro di non sbagliare. Mi chiese quali integratori avrebbe potuto aggiungere alla lista, in modo da rafforzare i reni.
Gli dissi che, indipendentemente da quello che poteva aver letto su Internet, non esiste una pillola magica di questo genere, ma se ogni giorno avesse mangiato grandi quantità di cibi sani e integrali, il danno avrebbe potuto arrestarsi o scomparire. Ebbene, Dan prese a cuore (e «ai reni»!) questo consiglio e mi ha permesso di pubblicare la sua mail:
Quella sera, quando siamo tornati a casa, abbiamo fatto un bel repulisti. Ci siamo sbarazzati di tutto ciò che non cresceva dalla terra, di tutti i cibi lavorati. E la sa una cosa? Nel corso dell’anno successivo mi è scomparsa la pancia da bevitore e non ho più avuto la pressione alta. La vita è molto più bella senza tutti quei farmaci che mi facevano sentire sempre stanco. E la mia funzione renale è tornata alla normalità. Mi fa rabbia che nessuno me l’abbia mai detto prima e che per sentirmi meglio sia dovuto stare tanto male.
È facile dare per scontati i propri reni, ma bisogna sapere che lavorano ventiquattr’ore su ventiquattro filtrando senza sosta il sangue in modo estremamente sofisticato. Sono in grado di depurare circa 140 litri di sangue al giorno per produrre 0,9-1,8 litri di urina.
Se la funzione renale non è perfetta, i prodotti metabolici di scarto si accumulano nel sangue e possono provocare debolezza, fiato corto, stato confusionale e aritmie cardiache. Molti di coloro che hanno una funzione renale compromessa, però, non presentano sintomi. Se i reni smettono di funzionare completamente, occorre un trapianto oppure la dialisi, processo durante il quale il sangue viene filtrato artificialmente da una macchina. I donatori, però, sono pochi e l’aspettativa media di vita di una persona in dialisi è inferiore ai tre anni.1 Meglio mantenerli sani, i nostri reni.
Sebbene possano perdere di colpo la loro funzionalità a causa di alcune tossine, infezioni o ostruzioni delle vie urinarie, la maggior parte delle malattie renali è caratterizzata da un decadimento graduale. Un sondaggio condotto negli Stati Uniti ha scoperto che solo il 41% dei soggetti esaminati aveva una funzione renale nella norma, percentuale in calo rispetto al 52% di circa un decennio prima.2 Grossomodo un americano su tre sopra i sessantaquattro anni potrebbe soffrire di malattia renale cronica (MRC),3 anche se, in tre quarti dei casi, i milioni di soggetti colpiti da questa patologia non sanno neanche di averla.4 Si prevede che nel corso della propria vita oltre la metà degli americani adulti fra i trenta e i sessantaquattro anni possa sviluppare l’MRC.5
Come mai allora non ci sono milioni di persone in dialisi? Perché l’insufficienza renale può essere così devastante per l’organismo che molti non vivono abbastanza a lungo da raggiungere quello stadio. In uno studio in cui oltre mille americani sopra i sessantaquattro anni, colpiti da MRC, sono stati seguiti per dieci anni, solo uno su venti è arrivato ad avere un’insufficienza renale all’ultimo stadio. Gran parte degli altri era già morta, soprattutto a causa delle malattie cardiovascolari, che uccidono più di tutte le altre patologie killer messe insieme.6 Ciò è dovuto al fatto che i reni sono talmente importanti per il corretto funzionamento del cuore che i pazienti sotto i quarantacinque anni con insufficienza renale hanno cento volte le probabilità di morire di infarto di chi ha i reni funzionanti.7
La buona notizia? Una dieta che fa bene al cuore, basata cioè su alimenti naturali di origine vegetale, può essere il modo migliore di prevenire e curare anche le malattie renali.
L’alimentazione può danneggiare i reni
I reni sono organi estremamente vascolarizzati, cioè pieni di vasi sanguigni, ed è per questo che sono così rossi. Abbiamo già visto che la dieta americana standard può danneggiare i vasi sanguigni del cuore e del cervello: e allora, che cosa farà ai reni?
Nel tentativo di rispondere alla domanda, i ricercatori dell’Università di Harvard hanno seguito migliaia di donne sane, le loro diete e la loro funzione renale per oltre un decennio,8 allo scopo di individuare l’eventuale presenza di proteine nella loro urina. Quando sono sani, i reni ce la mettono tutta per trattenere le proteine e altre sostanze nutritive fondamentali, eliminando le sostanze tossiche o di scarto attraverso l’urina. Se riversano proteine nella pipì, vuol dire che la loro funzionalità sta peggiorando.
I ricercatori hanno scoperto tre composti nutritivi specifici associati al decadimento della funzione renale: le proteine animali, il grasso animale e il colesterolo. Ognuno di questi si trova esclusivamente in un tipo di alimento: i prodotti animali. I ricercatori non hanno riscontrato legami tra il declino della funzione renale e l’assunzione di proteine o grassi di origine vegetale.9
Centocinquant’anni fa, Rudolf Virchow, padre della patologia moderna, ha descritto per primo la degenerazione del rene causata dai grassi.10 Il concetto della nefrotossicità dei lipidi, cioè l’idea che il grasso e il colesterolo contenuti nel sangue possano essere tossici per i reni, è stata poi formalizzata11 in parte grazie a studi autoptici che hanno riscontrato nei reni l’accumulo di placche di grasso che ne impedivano la funzione.12
Il legame tra colesterolo e malattie renali è diventato così importante all’interno della comunità medica che, per arrestare la progressione della malattia, vengono prescritte le statine che abbassano il colesterolo.13 Ma non sarebbe un’idea migliore (per non dire anche più sicura e più economica) curare la vera causa della malattia mangiando in modo più sano?
Quale proteina fa meglio ai reni?
Nel ventennio tra il 1990 e il 2010, le principali cause di morte e disabilità sono rimaste più o meno le stesse. Come abbiamo visto nel capitolo 1, le malattie cardiache sono ancora le responsabili numero uno della perdita della salute e della vita. Alcune patologie, come l’HIV/AIDS, sono scese nella classifica, ma tra quelle la cui incidenza è aumentata maggiormente nell’ultima generazione troviamo la malattia renale cronica. Il numero dei decessi, infatti, è raddoppiato.14
La colpa è stata attribuita alla nostra dieta a base di carne e dolci.15 Il consumo esagerato di zucchero da tavola e sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio è associato all’aumento della pressione e degli acidi urici, i quali possono danneggiare i reni. Anche i grassi saturi, gli acidi grassi trans e il colesterolo che si trovano nei prodotti di origine animale e nel cibo spazzatura sono associati a un decadimento della funzione renale, e le proteine della carne fanno aumentare il carico acido dei reni, facendo schizzare alle stelle la produzione di ammoniaca e danneggiando le sensibilissime cellule dei reni.16 Ecco perché, spesso, chi soffre di malattia renale cronica viene invitato a ridurre l’assunzione di proteine per evitare un ulteriore peggioramento della funzione renale.17
Ma non tutte le proteine sono uguali: non tutte esercitano lo stesso effetto sui nostri reni.
Un elevato consumo di proteine animali può influenzare profondamente la normale funzione renale inducendo quella che si chiama «iperfiltrazione», cioè un drastico aumento del carico renale. L’iperfiltrazione non è dannosa se si verifica solo una volta ogni tanto: di norma la funzione renale ha un ampio margine di riserva, tanto che possiamo vivere anche con un rene solo. Si pensa che il corpo umano abbia sviluppato la capacità di gestire dosi massicce di proteine animali, assunte solo di tanto in tanto, fin dai tempi in cui eravamo cacciatori. Oggi, però, molti di noi ne ingurgitano quantità enormi giorno dopo giorno, costringendo i reni ad attingere continuamente alle sue riserve. Tale stress ininterrotto può essere la ragione del declino della funzione renale con l’età, che predispone anche chi per il resto è in salute al progressivo deterioramento di questi organi.18
Inizialmente si pensava che chi segue una dieta basata su prodotti vegetali avesse una funzione renale migliore perché assumeva meno proteine in totale.19 Oggi però sappiamo che, molto più probabilmente, ciò dipende dal fatto che i reni processano le proteine vegetali in modo molto diverso da quelle animali.20
Nel giro di poche ore dal consumo di carne, i reni entrano in modalità di iperfiltrazione, e questo vale per un’ampia gamma di proteine animali: manzo, pollo e pesce producono effetti simili.21 Una quantità equivalente di proteine vegetali, invece, in pratica non determina alcuno stress per i reni.22 Se mangiate un po’ di tonno, nel giro di tre ore il filtraggio dei reni sale del 36%, ma se assumete la stessa quantità di proteine sotto forma di tofu, i reni non saranno costretti ad alcuno sforzo aggiuntivo.23
Sostituire le proteine animali con quelle vegetali può forse rallentare il deterioramento della funzione renale? Sì, una mezza dozzina di studi clinici ha dimostrato che tale cambiamento è in grado di ridurre l’iperfiltrazione e/o l’aumento delle proteine nelle urine,24, 25, 26, 27, 28, 29 ma tutti questi studi sono stati condotti sul breve periodo, in meno di otto settimane. Si è dovuto attendere fino al 2014 per avere uno studio clinico in doppio cieco randomizzato e controllato da placebo della durata di sei mesi che ha esaminato il modo in cui i reni processano le proteine della soia e quelle dei latticini. In linea con gli altri studi, anche questo ha confermato che le proteine vegetali contribuivano a preservare la funzione dei reni malati.30
Come mai le proteine animali causano una reazione di sovraccarico mentre quelle vegetali no? Per via dell’infiammazione causata dai prodotti animali. I ricercatori hanno scoperto che, dopo aver somministrato ai soggetti un potente farmaco antinfiammatorio insieme alle proteine animali, la risposta di iperfiltrazione e l’aumento delle proteine nelle urine non si verificavano.31
Ridurre il carico acido della dieta
Un’altra ragione per cui le proteine animali sono così dannose per la funzione renale è che in genere sono più acidificanti. Questo perché in genere hanno livelli più alti di aminoacidi contenenti zolfo, come ad esempio la metionina, che quando viene metabolizzata dall’organismo produce acido solforico. Al contrario, frutta a verdura in genere sono alcalinizzanti, il che aiuta a neutralizzare gli acidi nei reni.32
Il carico acido della dieta è dato dal rapporto tra alimenti acidificanti (carne, pesce, uova e formaggio) e alcalinizzanti (frutta e verdura). Un’analisi condotta nel 2014 sulla dieta e la funzione renale di oltre dodicimila americani in tutto il Paese ha scoperto che un maggiore carico acido nella dieta era associato a un rischio molto più alto di proteine nell’urina, indicatore di danno renale.33
In passato la nostra dieta consisteva soprattutto di vegetali, che a livello renale producono più basi che acidi. Gli esseri umani si sono evoluti seguendo diete alcalinizzanti per milioni di anni. Gran parte di quelle di oggi, invece, sono troppo acidificanti. Questo passaggio da un’alimentazione alcalinizzante a una acidificante può in parte spiegare l’attuale epidemia di malattie renali.34 Pare che le diete del secondo tipo influiscano sui reni per «tossicità tubulare», cioè un danno ai minuscoli e delicati tubuli renali che formano l’urina. Per tamponare gli acidi in eccesso prodotti dall’alimentazione, i reni producono ammoniaca, che è basica e può neutralizzarne una parte. Controbilanciare gli acidi è positivo, ma solo nel breve periodo, perché a lungo termine tutta l’ammoniaca in eccesso nei reni può risultare tossica.35 Il peggioramento della funzione renale con l’età può essere la conseguenza di una superproduzione permanente di ammoniaca.36 I reni possono iniziare a deteriorarsi già a vent’anni37 e, arrivati agli ottanta, possono funzionare solo a metà regime.38
L’acidosi metabolica cronica lieve collegata all’abbondante consumo di carne39 potrebbe in parte spiegare come mai chi segue un’alimentazione a base di prodotti di origine vegetale abbia una funzione renale migliore40 e come mai questo regime dietetico, in varie forme, sia riuscito a curare l’insufficienza renale cronica.41, 42 In circostanze normali, la dieta vegetariana alcalinizza i reni, mentre quella tradizionale determina un carico acido. Questo fenomeno è stato verificato anche tra i vegetariani che mangiavano surrogati della carne, come ad esempio i veggie burgers.43
Se le persone non intendono ridurre il consumo di carne, dovrebbero quantomeno essere incoraggiate a mangiare più frutta e verdura, in modo da controbilanciare il carico acido.44 «Tuttavia», ha scritto un nefrologo, «molti pazienti hanno difficoltà a seguire una dieta ricca di frutta e verdura e possono quindi essere più propensi ad assumere integratori».45
Cos’hanno fatto, dunque, i ricercatori? Hanno somministrato ai soggetti delle pillole di bicarbonato di sodio. Invece di curare la causa primaria della formazione di acidi in eccesso (troppi prodotti animali e troppi pochi prodotti vegetali), hanno preferito curare i sintomi. Acidi in eccesso? Ecco un composto basico per neutralizzarli. Il bicarbonato di sodio è in grado di controbilanciare efficacemente il carico acido,46 ma ovviamente, come dice il suo nome, contiene sodio, che a lungo andare può danneggiare i reni.47
Purtroppo, questo approccio in stile «mettiamoci una pezza» è fin troppo radicato nella medicina odierna. Avete il colesterolo troppo alto per colpa di una dieta ricca di grassi saturi e colesterolo? Prendete le statine per limitare l’azione dell’enzima che lo produce. Seguite un’alimentazione eccessivamente ricca di alimenti acidificanti? Buttate giù delle pillole di bicarbonato di sodio per ristabilire l’equilibrio.
Gli stessi ricercatori hanno poi somministrato ai soggetti frutta e verdura, invece del bicarbonato, e hanno scoperto che questi alimenti offrivano una protezione molto simile, ma con il vantaggio aggiuntivo di abbassare anche la pressione sanguigna. Il titolo dell’editoriale di accompagnamento alla ricerca pubblicato sulla rivista medica era esplicito: The Key to Halting Progression of CKD Might Be in the Produce Market, Not in the Pharmacy (La chiave per arrestare la progressione della MRC potrebbe trovarsi al mercato ortofrutticolo, non in farmacia).48
I calcoli renali
Seguire una dieta a base vegetale per alcalinizzare l’urina potrebbe anche prevenire e curare i calcoli renali, quei depositi minerali che a volte si formano nei reni quando la concentrazione di certe sostanze che formano i precipitati nelle urine diventa così alta che iniziano a cristallizzarsi. A lungo andare, questi cristalli possono formare dei sassolini grandi quanto un ciottolo e bloccare il flusso di urina, provocando dolori lancinanti che, da un lato della schiena in basso, si irradiano sul davanti, verso l’inguine. I calcoli renali possono risolversi spontaneamente (e spesso a fronte di forti dolori), ma a volte diventano così grandi che devono essere rimossi chirurgicamente.
L’incidenza di questo disturbo è notevolmente aumentata a partire dalla seconda guerra mondiale49 e persino negli ultimi quindici anni. Oggi ne soffre circa un americano su undici, mentre meno di vent’anni fa ne soffriva uno su venti.50 Che cosa ha determinato tale aumento? Il primo tassello per rispondere alla domanda risale al 1979, quando gli scienziati accennarono a una relazione evidente tra l’incidenza di calcoli renali a partire dagli anni Cinquanta e il crescente consumo di proteine animali.51 Come in tutti gli studi osservazionali, però, i ricercatori non poterono provare il rapporto di causa-effetto, perciò decisero di condurre una sperimentazione interventistica: chiesero ad alcuni soggetti di aggiungere alla loro dieta altre proteine animali, l’equivalente di circa una scatoletta di tonno in più. Nel giro di un paio di giorni, i composti che formano precipitati (calcio, ossalato e acido urico) schizzarono così in alto che il rischio di calcoli renali dei soggetti salì del 250%.52
Notate che la dieta sperimentale ad «alto» contenuto di proteine animali era stata ideata per rispecchiare quella dell’americano medio,53 il che significa che potremmo abbassare di molto il rischio di calcoli renali semplicemente diminuendo il consumo di carne.
Alla fine degli anni Settanta si erano accumulate così tante prove che i ricercatori iniziarono a chiedersi se le persone che soffrivano spesso di calcoli renali non dovessero smettere di mangiare la carne.54 Prima che fosse condotto uno studio sul rischio di calcoli nei vegetariani, però, si è dovuto attendere fino al 2014. I ricercatori dell’Università di Oxford hanno scoperto che questi soggetti presentavano un rischio significativamente inferiore di venire ricoverati per i calcoli renali, mentre i carnivori, più assumevano carne, più rischi correvano.55
Ci sono tipi di carne peggiori di altri? A chi soffre di calcoli, in genere viene consigliato di diminuire il consumo di carne rossa, ma che dire del pollo o del pesce? Non conoscevamo la risposta finché uno studio del 2014 ha messo a confronto salmone e merluzzo con petti di pollo e hamburger, scoprendo che, a parità di peso, in termini di rischio di certi tipi di calcoli, il pesce potrebbe essere leggermente peggiore della carne. La conclusione, però, è stata che tutto sommato «chi soffre di calcoli dovrebbe limitare l’assunzione delle proteine animali in genere».56
Di solito i calcoli renali sono composti da ossalato di calcio, che forma dei cristalli quando l’urina è troppo satura di calcio e di ossalati. Per molti anni, i medici hanno ipotizzato che, siccome i calcoli sono fatti di calcio, era sufficiente consigliare ai pazienti di ridurne l’assunzione.57 Come spesso accade in medicina, la pratica clinica rischia di andare alla cieca, in assenza di una solida base sperimentale. La situazione è cambiata grazie a uno studio cruciale, pubblicato sul «New England Journal of Medicine», che ha messo a confronto una dieta povera di calcio e un’alimentazione povera di proteine animali e sodio. Dopo cinque anni, lo studio ha scoperto che mangiare meno carne e sale era circa due volte più efficace della dieta povera di calcio tradizionalmente prescritta, in quanto riduceva della metà il rischio di calcoli renali.58
E se diminuissimo l’assunzione di ossalati, che sono concentrati in certi tipi di verdure? Uno studio recente ha scoperto che una maggiore assunzione di verdure non determinava un aumento del rischio di calcoli. Anzi, il fatto di mangiare più frutta e verdura era associato a una riduzione del rischio indipendentemente da altri fattori di rischio noti, vale a dire che aumentare il consumo di prodotti vegetali potrebbe offrire ulteriori vantaggi al di là di una riduzione del consumo di alimenti di origine animale.59
Un’altra ragione per cui è utile ridurre le proteine animali sta nel calo della formazione di acido urico, il quale può formare cristalli che producono sassolini di calcio o formano direttamente dei calcoli. Di fatto, quelli di acido urico sono al secondo posto tra i tipi di calcoli più diffusi. Perciò, per ridurre il rischio, ha senso limitare la produzione di acido urico in eccesso. E questo si può fare in due modi: aggiungendo farmaci o sottraendo carne.60 I medicinali che contrastano la formazione di acido urico, come l’allopurinolo, possono essere efficaci, ma presentano gravi effetti collaterali.61 Eliminare la carne dalla dieta, invece, riduce il rischio di cristallizzazione dell’acido urico di oltre il 90% nel giro di soli cinque giorni.62
Morale della favola: quando l’urina è più alcalina, la probabilità che si formino i calcoli è minore. Ciò può in parte spiegare perché sia così salutare mangiare meno carne e più frutta e verdura. La dieta americana standard dà luogo a urine acide. Chi segue invece una dieta a base di prodotti di origine vegetale, in meno di una settimana presenta urine alcalinizzate, fino a raggiungere un pH quasi neutro.63
Non tutti gli alimenti vegetali, però, sono alcalinizzanti, così come non tutti quelli animali acidificano allo stesso modo. Il punteggio LAKE (Load of Acid to Kidney Evaluation, cioè Valutazione del carico acido renale) prende in considerazione sia il carico acido degli alimenti, sia la quantità contenuta in una porzione tipica, al fine di aiutare le persone a cambiare la propria dieta per evitare la formazione di calcoli renali e altre malattie legate all’acidificazione, come la gotta. Come potete vedere nella Figura 4, il cibo più acidificante è il pesce, tonno compreso, seguito da maiale, pollame, formaggio e manzo.
Le uova sono più acidificanti del manzo, ma le persone in genere ne mangiano di meno in un singolo pasto. Alcuni cereali come il pane e il riso possono essere leggermente acidificanti, ma la pasta no, il che è interessante. I legumi sono molto efficaci nel ridurre l’acidificazione, ma non quanto la frutta, mentre la verdura è l’alimento più alcalinizzante.64
I cambiamenti alimentari possono non solo impedire la formazione dei calcoli renali, ma anche, in certi casi, farli passare senza bisogno di farmaci o interventi chirurgici. I calcoli di acido urico si possono anche dissolvere completamente mangiando più frutta e verdura e meno proteine animali e sale, e bevendo almeno dieci bicchieri di fluidi al giorno.65
COME CONTROLLARE IL PH CON IL CAVOLO ROSSO
Sappiamo che la dieta occidentale standard produce acidificazione, mentre quella a base vegetale la riduce.66 Seguire una dieta acidificante non solo può far aumentare il rischio di calcoli renali, ma potrebbe addirittura produrre un’acidosi metabolica sistemica cronica lieve,67 cioè un eccesso di acido nel sangue, che si ritiene favorisca la rabdomiolisi (la rottura delle cellule dei muscoli scheletrici con l’età).68 Qual è dunque il modo migliore per capire quanto sia acidificante la nostra dieta? Forse il metodo più facile (e noioso) è acquistare le cartine per la misurazione del pH e bagnarle con l’urina. In alternativa, perché non usare invece un prodotto che dovreste già avere in frigo, e cioè il cavolo rosso? Questa verdura, infatti, rappresenta un vero affare in termini di rapporto efficacia-prezzo e si può anche usare per fare qualche esperimento di chimica in cucina o, in questo caso, in bagno.
Bollite del cavolo rosso finché l’acqua non diventa viola scuro, oppure frullate del cavolo rosso crudo in un po’ d’acqua ed eliminate la parte solida. Fate pipì in bagno, prendete il vostro cocktail e versatelo nella tazza del gabinetto. (Le toilette con un flusso modesto funzionano meglio, perché in fondo alla tazza ristagna meno acqua.) Se il liquido rimane viola o, peggio ancora, diventa rosa, avete un’urina troppo acida. Il colore giusto è il blu. Se la pipì e l’acqua del cavolo diventano blu, la vostra urina non è acida, ma neutra o addirittura basica.
Come evitare un’eccessiva assunzione di fosforo
Avere troppo fosforo nel sangue potrebbe far aumentare il rischio di insufficienza renale, insufficienza cardiaca, infarto e morte prematura. Troppo fosforo danneggia anche i vasi sanguigni, accelera l’invecchiamento e determina l’osteoporosi.69 Di conseguenza, elevati livelli di fosforo rappresentano un fattore indipendente di rischio di morte prematura.70
Il fosforo si trova in una serie di alimenti vegetali e animali. Gran parte degli americani ne assume circa il doppio del necessario,71 tuttavia il punto non è solo quanto se ne assume, ma quanto se ne assorbe. Adottando una dieta a base di prodotti di origine vegetale possiamo ridurre di molto i livelli di fosforo nel sangue, pur continuando ad assumerne la stessa quantità attraverso il cibo.72 Ciò accade perché il fosforo contenuto nei cibi di origine animale si trova sotto forma di un composto chiamato fosfato, che entra in circolo più velocemente dell’acido fitico, la forma più diffusa di fosforo presente nei cibi di origine vegetale.73 Come abbiamo visto nel capitolo 4, un discorso simile valeva per il ferro, un altro minerale essenziale che a volte assumiamo in eccesso. Il nostro organismo è in grado di proteggersi da un’assunzione esagerata di ferro di provenienza vegetale, ma non riesce altrettanto bene a impedire al ferro in eccesso presente nella carne o nel sangue (eme) di attraversare le pareti intestinali.
Il peggior tipo di fosforo, però, è quello che si trova negli additivi alimentari a base di fosfati. Questi composti vengono aggiunti alle bevande alla cola e alla carne per modificarne il colore.74 (Senza fosfato, la Coca-Cola sarebbe nera come la pece.75) Nel nostro sangue entrano in circolo meno della metà del fosforo delle piante76 e circa i tre quarti di quello presente nei prodotti animali,77 ma il fosfato aggiunto può essere assorbito più o meno al 100%.78
Gli additivi che lo contengono svolgono un ruolo particolarmente importante nella filiera della carne. Spesso in quella di pollo vengono inoculati dei fosfati per migliorarne il colore, aumentarne la ritenzione idrica (e di conseguenza per aumentare i profitti, in quanto il pollo si vende a peso) e ridurre le perdite, cioè il liquido che filtra dalla carne con il passare del tempo.79 Il problema di questo additivo è che può quasi raddoppiare la quantità di fosforo presente nella carne.80 Gli additivi a base di fosfato sono stati definiti «un pericolo reale e insidioso» per chi soffre di reni, dato che questi malati hanno una minore capacità di espellerli81 ma, in base a ciò che sappiamo sull’eccesso di fosforo, è un problema che ci riguarda tutti.
Negli Stati Uniti la legge permette di aggiungere alla carne cruda e al pollame undici tipi diversi di sali fosfati,82 pratica che in Europa è vietata da tempo.83 Questo perché i fosfati che si trovano nella carne e nei cibi lavorati sono considerati «tossine vascolari»,84 in grado di danneggiare la funzione arteriosa a poche ore dal consumo di un pasto che ne è particolarmente ricco.85 Quanto alla carne, poi, vi è un’ulteriore fonte di preoccupazione per la sicurezza, in quanto aggiungervi i fosfati può far aumentare di un milione di volte, nei liquidi persi dal prodotto, lo sviluppo dei principali batteri che provocano intossicazione alimentari, quelli del genere Campylobacter.86
È facile evitare il fosforo aggiunto nei cibi lavorati: basta non comprare niente che contenga ingredienti con la parola «fosfato» nel nome, compresi il pirofosfato e il trifosfato pentasodico, noto anche come trifosfato o polifosfato di sodio.87 Con la carne è più difficile determinare il contenuto di fosfati, in quanto i produttori non sono obbligati per legge a dichiarare quali additivi hanno usato. Il fosfato aggiunto potrebbe comparire sull’etichetta con la dicitura «aromi» o «brodo» oppure non comparire affatto.88 La carne contiene già fosfati altamente assimilabili; aggiungerne altri potrebbe arrecare ulteriori danni ai reni. Di questi danni il maggior responsabile pare essere la carne di pollo: un’indagine condotta nei supermercati ha rilevato che il 90% di prodotti derivati dal pollo conteneva fosfati.89
CHI STABILISCE SE GLI ADDITIVI ALIMENTARE FANNO MALE?
Nel 2015, la Food and Drug Admnistration americana ha finalmente annunciato la sua intenzione di eliminare gli acidi grassi trans dai cibi lavorati,90 citando una stima del CDC secondo la quale, eliminando i grassi parzialmente idrogenati, si potrebbero evitare ventimila casi di infarto all’anno.91 Fino al 16 giugno 2015, gli acidi grassi trans godevano dello status di «GRAS», cioè «generally recognized as safe» (generalmente riconosciuti sicuri).
Perché mai questi acidi grassi killer sono stati giudicati tali?
Indovinate chi decide se assegnare il titolo di GRAS? Non il governo, né un organismo scientifico: il produttore. Sì, avete letto bene. Chi produce un alimento può stabilire se fa bene o male ai consumatori, procedura, questa, che la FDA definisce «autodeterminazione del GRAS». E non è tutto: per legge i produttori possono aggiungere di tutto agli alimenti, senza neanche doverne informare la FDA.92 Si pensa che siano almeno mille le decisioni sulla presunta sicurezza degli additivi alimentari che non sono mai state riferite alla FDA o al grande pubblico.93
A volte, però, i produttori comunicano a questo ente di avere introdotto un nuovo additivo. Dimostrano così il loro senso di responsabilità? Individuano forse un comitato indipendente esterno che valuti la sicurezza dei loro prodotti, per evitare un conflitto di interessi?
Be’, non proprio.
Di tutte le diciture GRAS sulla sicurezza alimentare volontariamente presentate alla FDA tra il 1997 e il 2012, il 22,4% veniva da dipendenti del produttore, il 13,3% da dipendenti di una società scelta ad hoc dal produttore e il 64,3% da gruppi di esperti scelti dal produttore o da società da questi ingaggiate.94 Avete fatto i conti? Esatto, le decisioni sulla sicurezza alimentare prese da organismi o persone super partes erano pari a zero.
Come mai i legislatori hanno permesso alle aziende di decidere da sole se gli additivi alimentari che mettono nei loro prodotti sono sicuri? La risposta è: follow the money. Tre delle società di lobbying più importanti di Washington lavorano per l’industria alimentare.95 La PepsiCo, ad esempio, spende oltre 9 milioni di dollari all’anno per fare pressione sul Congresso.96 Più a fondo si scava, meno ci si stupisce di scoprire che additivi alimentari come gli acidi grassi trans abbiano avuto potuto uccidere indisturbati migliaia di persone anno dopo anno.
Ma i produttori dicono che non sono pericolosi...
La dieta è in grado di proteggere dal tumore ai reni?
Ogni anno, a 64.000 americani viene diagnosticato il cancro ai reni e circa quattordicimila ne muoiono.97 Il 4% circa di questi casi è ereditario,98 ma che dire dell’altro 96%?
Storicamente, l’unico fattore di rischio riconosciuto per il cancro ai reni è il fumo.99 Quello di sigaretta contiene sostanze cancerogene chiamate nitrosamine considerate così dannose per la salute da destare preoccupazione anche in relazione al cosiddetto fumo di terza mano. I rischi non terminano quando la sigaretta viene spenta, perché il fumo residuo può rimanere sulle pareti e su altre superfici.100 Circa l’80% delle nitrosamine del fumo di sigaretta può restare nella stanza, anche se ventilata regolarmente,101 perciò quando andate in albergo chiedetene sempre una per non fumatori. Le nitrosamine sono uno dei motivi per cui è impossibile fumare in un ambiente chiuso senza danneggiare gli altri, anche se lo fate quando siete soli. Come ha scritto di recente uno dei più importanti studiosi del movimento per la limitazione del tabacco: «Se in altri prodotti destinati al consumo ci fossero sostanze cancerogene altrettanto potenti, verrebbero vietate immediatamente».102
Tranne uno: la carne.
Lo sapevate che un hot dog contiene le stesse nitrosamine (e nitrosamidi, un’altra sostanza cancerogena del tabacco simile alla precedente103) che si trovano in quattro sigarette, e che tali sostanze sono presenti anche nella carne fresca, compresi manzo, pollo e maiale?104 Ciò potrebbe in parte spiegare la crescita dei tassi di tumore ai reni negli ultimi decenni nonostante il numero di fumatori sia calato.
FACCIAMO UN PO' DI CHIAREZZA: NITRATI, NITRITI E NITROSAMINE
Sebbene anche la carne fresca contenga nitrosamine, quella lavorata o insaccata, come gli affettati, potrebbe essere molto dannosa. Il secondo studio prospettico più ampio del mondo sul rapporto tra dieta e cancro, condotto in Europa, ha calcolato che la riduzione del consumo di insaccati a meno di venti grammi al giorno, cioè meno di una porzione grande quanto una scatola di fiammiferi, eviterebbe oltre il 3% dei decessi.105 Nello studio più ampio di questo genere, il NIH-AARP, che ha preso in esame oltre cinquecentomila americani (vedi pagina 122), si è scoperto che la percentuale di decessi evitabili potrebbe essere addirittura maggiore. Ad esempio, i ricercatori ritenevano che, se le donne americane che mangiano più carne lavorata riducessero il consumo a meno di mezza fetta di pancetta al giorno, si potrebbe evitare il 20% dei decessi per malattie cardiache.106 Non stupisce che l’American Institute for Cancer Research raccomandi di «evitare gli insaccati come prosciutto, pancetta, salame, würstel e salsicce».107
I nitriti vengono aggiunti agli insaccati per «fissare il colore» e impedire la crescita dei batteri del botulino (che causano una rara ma grave sindrome neuroparalitica).108 E che dire della pancetta «non stagionata»? L’etichetta parla chiaro: «Senza nitriti o nitrati aggiunti», ma poi nelle note scritte in caratteri minuscoli si legge: «a eccezione di quelli naturalmente presenti nel succo di sedano». Le verdure contengono nitrati che possono fermentare trasformandosi in nitriti, perciò aggiungere del succo di sedano fermentato alla pancetta è semplicemente un escamotage per inserire nitriti nel cibo. Persino gli editorialisti della rivista «Meat Science» si sono resi conto che i consumatori potrebbero considerarla una strategia «scorretta nella migliore delle ipotesi, ingannevole nella peggiore».109
Ma lo stesso processo di fermentazione che trasforma i nitrati in nitriti può verificarsi quando mangiamo le verdure, grazie ai batteri che si trovano sulla lingua. Perciò, come mai i nitrati e i nitriti dei vegetali vanno bene, mentre gli stessi composti presenti nella carne fanno venire il cancro?110 Perché non sono i nitriti in sé a essere cancerogeni: lo diventano. Sono pericolosi solo quando vengono trasformati in nitrosamine e nitrosamidi, e perché ciò avvenga devono essere presenti ammine e ammidi, composti che si trovano in abbondanza nei prodotti di origine animale. Questa trasformazione può avvenire nella carne stessa oppure nel nostro stomaco dopo che l’abbiamo ingerita. Nel caso degli alimenti di origine vegetale, la vitamina C e altri antiossidanti in essi contenuti impediscono la formazione nell’organismo di questi composti cancerogeni.111 Tale processo spiegherebbe come mai l’assunzione di nitrati e nitriti attraverso la carne lavorata sia associata al cancro ai reni, mentre quella derivata dagli alimenti vegetali non provochi alcun aumento del rischio.112
Se da un lato i nitriti contenuti nei prodotti animali, e non solo nella carne lavorata, sono stati associati a un aumento del rischio di tumore ai reni, alcune verdure con il maggior contenuto di nitrati, come la rucola, il cavolo riccio e i cavoli a foglia, risultano invece associati a un rischio significativamente minore.113
I reni hanno l’enorme responsabilità di filtrare il sangue ventiquattr’ore su ventiquattro, un giorno dopo l’altro. È un grosso sforzo, per due organi della grandezza di un pugno. Sono estremamente resistenti, ma non sono indistruttibili. Quando iniziano a perdere colpi, rischia di farlo anche l’organismo. Le sostanze tossiche che normalmente verrebbero filtrate entrano in circolo e si accumulano nel sangue.
Per mantenere reni sani e sangue pulito, dovete stare molto attenti a ciò che mangiate. La dieta americana a base di carne e dolciumi rischia di danneggiare lentamente i reni un pasto dopo l’altro, costringendoli a un’iperfiltrazione costante. Pensate a quanto potrebbe durare la vostra macchina se la teneste sempre su di giri... Per fortuna la scienza medica ha dimostrato che è possibile ridurre il carico renale (e il carico acido) adottando una dieta più orientata al consumo di frutta e verdura.