CAPITOLO 11
COME NON MORIRE DI TUMORE AL SENO
«Lei ha un tumore al seno.»
Queste sono forse le parole più temute dalle donne, e per una buona ragione. Cancro della pelle a parte, quello al seno è il carcinoma più diffuso tra le americane. Ogni anno ne vengono diagnosticati 230.000 casi e muoiono 40.000 donne.1
Il cancro al seno non arriva dall’oggi al domani. Quel nodulo che sentite sotto la doccia potrebbe essersi formato decenni fa. Quando i medici individuano il tumore, è possibile che fosse già nell’organismo da quarant’anni o più.2 Il cancro è cresciuto, si è ingrandito e ha subito centinaia di mutazioni legate alla selezione naturale, in modo da diffondersi ancor più rapidamente tentando di sconfiggere il sistema immunitario.
La dura realtà è che la cosiddetta «diagnosi precoce» in verità è tardiva. La diagnostica per immagini di cui disponiamo oggi non è in grado di individuare un tumore in fase iniziale, perciò, prima di essere rilevato, questo può diffondersi in lungo e in largo. Una donna viene considerata «sana» finché non mostra segni o sintomi di carcinoma al seno, ma se per vent’anni ha avuto una neoplasia, possiamo davvero definirla tale?
Chi fa la cosa giusta e migliora la propria dieta nella speranza di prevenire il cancro potrebbe di fatto curarlo al tempo stesso. Alcuni studi autoptici hanno dimostrato che circa il 20% delle donne dai venti ai cinquantaquattro anni decedute per cause indipendenti, come gli incidenti d’auto, avevano un cosiddetto carcinoma mammario «occulto» o nascosto.3 A volte non c’è niente da fare per prevenire il primo stadio del cancro, quello in cui le cellule mammarie, prima normali, si trasformano in tumorali. Alcuni carcinomi del seno potrebbero persino avere avuto origine nel grembo materno in seguito alla dieta della gestante.4 Per questo motivo dobbiamo seguire una dieta e uno stile di vita che non solo prevengano questo stadio iniziale del tumore, ma ostacolino anche la progressione del tumore, impedendogli di raggiungere dimensioni sufficienti a trasformarlo in una minaccia.
La buona notizia è che, indipendentemente da quello che vostra madre mangiava durante la gravidanza e da come avete vissuto da bambine, il fatto di nutrirsi e vivere in modo sano può rallentare il tasso di crescita di qualunque tumore occulto. In poche parole, potete morire con il tumore invece che a causa sua. Così la prevenzione del cancro attraverso la dieta e la sua cura finiscono per essere la stessa cosa.
Una o due cellule tumorali non hanno mai fatto male a nessuno. Ma che dire di un miliardo? Sono quelle che possono esserci in un carcinoma5 quando viene individuato dalla mammografia.6 Come la maggior parte dei tumori, quello al seno inizia con una sola cellula, che si divide dando origine a due cellule, poi a quattro e poi a otto. Ogni volta che queste si dividono, la grandezza del tumore può di fatto raddoppiare.7
Vediamo quante volte un minuscolo carcinoma deve duplicarsi prima di raggiungere un miliardo di cellule. Prendete una calcolatrice e moltiplicate uno per due, poi ancora per due e continuate così finché non arrivate a un miliardo. Non preoccupatevi, non ci vorrà molto: solamente trenta operazioni. In sole trenta mosse, una cellula tumorale può generarne un miliardo.
Perciò, la chiave per comprendere quanto tempo occorre perché il cancro al seno venga diagnosticato sta nel tempo che impiega per raddoppiare. Quanto ci mette a duplicarsi per la prima volta? Da venticinque giorni8 a mille o più.9 In altre parole, prima che inizi a dare problemi potrebbero volerci due anni oppure più di cento.
Il modo in cui vi posizionerete su questa scala temporale – due anni o un secolo – può dipendere in parte da ciò che mangiate.
Da adolescente mi nutrivo di cibo spazzatura. Uno dei miei cibi preferiti, e non scherzo, era la cotoletta di pollo impanata e fritta, perciò da giovane potrei aver causato la mutazione di una cellula sana del colon o della prostata. Ma negli ultimi venticinque anni ho seguito una dieta molto più sana. La mia speranza è che, pur avendo dato avvio alla crescita di cellule tumorali, smettendo di alimentarla possa riuscire a rallentarla. Non mi importa se mi diagnosticheranno un cancro tra cent’anni: non mi aspetto di essere ancora qui per potermene preoccupare.
L’odierna controversia sul rapporto tra costi ed efficacia della mammografia10 trascura un punto importante: per definizione, lo screening per il cancro al seno non serve a prevenire il carcinoma mammario, ma solo a individuare quello già presente. Gli studi autoptici hanno dimostrato che il 39% delle donne sulla quarantina aveva già un cancro al seno che era semplicemente troppo piccolo per essere individuato con la mammografia.11 Per questo non bisogna attendere una diagnosi di tumore per iniziare a mangiare e a vivere in modo più sano: dovete iniziare subito.
I FATTORI DI RISCHIO DEL CARCINOMA MAMMARIO
L’American Institute for Cancer Research (AICR) è considerato uno degli enti più autorevoli del mondo sul rapporto tra dieta e cancro. Basandosi sulle ricerche più avanzate, ha elaborato dieci raccomandazioni per prevenire i tumori.12 Al di là del fatto di non masticare tabacco, per quanto riguarda l’alimentazione afferma in sintesi che «Le diete incentrate su cibi di origine vegetale – verdure, cereali integrali, frutta e legumi – riducono il rischio di insorgenza di molti tipi di tumore oltre che di altre malattie».13
Per dimostrare fino a che punto lo stile di vita possa influire sul rischio di carcinoma mammario, per circa sette anni i ricercatori hanno osservato un gruppo di trentamila donne in postmenopausa che non avevano casi di tumore al seno in famiglia. Attenersi anche solo a tre delle dieci raccomandazioni dell’AICR (limitare il consumo di alcolici, mangiare soprattutto frutta e verdura e mantenere il peso nella norma) determinava una riduzione del rischio di questo cancro pari al 62%.14 Esatto, tre comportamenti sani riducevano il rischio di oltre la metà.
È interessante notare che affiancare alla dieta a base vegetale l’abitudine di camminare un po’ ogni giorno può migliorare le nostre difese anticancro nell’arco di due sole settimane. I ricercatori hanno messo alcune cellule di un carcinoma mammario su una piastra di Petri e vi hanno versato sopra delle gocce di sangue di alcune donne prima del test e dopo quattordici giorni di vita salutare. Il sangue prelevato dopo l’inizio della dieta sana ha arrestato la crescita del tumore in modo molto più efficace, annientando il 20-30% in più di cellule malate rispetto quello prelevato alle stesse donne solo due settimane prima.15 Secondo i ricercatori, questo effetto era da attribuire alla diminuzione di un fattore di crescita insulino-simile chiamato IGF-1 che stimola la diffusione del tumore,16 dovuta probabilmente a un calo dell’assunzione di proteine animali.17
Come volete che siano il vostro sangue e il vostro sistema immunitario? Volete che le vostre cellule sanguigne facciano finta di niente quando nascono nuove cellule tumorali oppure che raggiungano anche l’anfratto più remoto dell’organismo e abbiano il potere di rallentarne e arrestarne la crescita?
Alcol
Nel 2010 l’ente ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che valuta il rischio di tumori ha formalmente inserito l’alcol tra le sostanze sicuramente cancerogene per il seno.18 Nel 2014 ha chiarito la propria posizione dichiarando che, relativamente a questo tipo di cancro, non esistono quantità di alcol che possano essere considerate sicure.19
Ma che dire del «bere responsabile»? Nel 2013, gli scienziati hanno pubblicato una lista di oltre cento studi sul rapporto tra cancro al seno e moderata assunzione di alcol (fino a una bevanda al giorno). I ricercatori hanno rilevato un aumento modesto, ma statisticamente significativo, del rischio di tumore persino nelle donne che bevevano al massimo un drink al giorno (tranne, forse, il vino rosso: vedi box alla pagina seguente). Lo studio ha stimato che ogni anno, in tutto il mondo, quasi cinquemila decessi dovuti al tumore al seno possano essere riconducibili a una moderata assunzione di alcol.20
L’alcol non è cancerogeno di per sé. Il colpevole è in realtà il prodotto di degradazione dell’alcol chiamato «acetaldeide», che si forma in bocca appena ne beviamo un sorso. Gli esperimenti dimostrano che, anche se ci limitiamo a tenere in bocca l’equivalente di un cucchiaino di superalcolico per cinque secondi prima di sputarlo, si producono comunque livelli potenzialmente cancerogeni di acetaldeide che rimangono in loco per oltre dieci minuti.21
Se un misero sorso di alcol è in grado di produrre quantità pericolose di acetaldeide in bocca, che succede se usiamo collutori a base alcolica? I ricercatori che hanno testato gli effetti di una vasta gamma di questi prodotti oggi in commercio hanno concluso che, sebbene il rischio sia basso, se contengono alcol probabilmente è meglio evitarli.22
VINO ROSSO O VINO BIANCO?
L’Harvard Nurses’ Health Study ha scoperto che meno di una bevanda alcolica al giorno potrebbe determinare un piccolo aumento del rischio di cancro al seno.23 Il risultato interessante è che, se si beve soltanto vino rosso, il discorso non vale. Come mai? Questa bevanda contiene un composto che a quanto sembra è in grado di sopprimere l’attività di un enzima chiamato aromatasi, che il cancro al seno sfrutta per creare estrogeni e alimentare così la propria crescita.24 Questo composto si trova nella buccia dell’uva nera usata per fare il vino, il che spiega come mai quello bianco non presenti questo vantaggio,25 dal momento che viene prodotto con uve sbucciate.
I ricercatori hanno concluso che il vino rosso può «mitigare il forte rischio di insorgenza del cancro al seno legato al consumo di alcol».26 In altre parole, l’uva del vino rosso può eliminare alcuni degli effetti cancerogeni dell’alcol. Tuttavia, è possibile godere dei benefici senza correre i rischi associati all’assunzione di bevande alcoliche bevendo semplicemente succo d’uva o, meglio ancora, mangiando direttamente i chicchi, preferibilmente con i semi, perché pare che siano più efficaci nell’abbattere l’aromatasi.27
È buono (anzi, gustoso) a sapersi che anche le fragole,28 la melagrana,29 e i funghi champignon30 sono in grado di sopprimere questo enzima potenzialmente cancerogeno.
La melatonina e il rischio di cancro al seno
Per miliardi di anni, la vita sul pianeta Terra si è evoluta in presenza di circa dodici ore di luce e altrettante di buio. Più o meno un milione di anni fa domammo il fuoco per cucinare, ma usiamo le candele solo da cinquemila anni e la luce elettrica da appena un secolo. In altre parole, i nostri antenati hanno trascorso metà della loro vita al buio.
Al giorno d’oggi, però, per via dell’inquinamento luminoso notturno, l’unica Via Lattea che i vostri figli riescono a vedere è la Milky Way del famoso snack al cioccolato. La luce elettrica ci permette di essere produttivi fino alle prime ore del mattino, ma questa innaturale esposizione alla luce durante la notte non avrà per caso effetti nocivi sulla salute?
In filosofia esiste un ragionamento fallace chiamato «appello alla natura», il quale consiste nel sostenere che una cosa fa bene solo perché è naturale. In biologia, però, questa nozione potrebbe contenere un po’ di verità. Le condizioni alle quali il nostro organismo si è evoluto nel corso di milioni di anni talvolta possono darci un’idea su quale sia il suo funzionamento ottimale. Ad esempio, ci siamo evoluti correndo nudi per l’Africa equatoriale, quindi non è affatto strano che chi vive nei climi nordici o in Paesi la cui cultura richiede alle donne di coprirsi soffra di carenza di vitamina D (la cosiddetta «vitamina del sole»).31
Un oggetto onnipresente quanto la lampadina può forse essere al contempo un ostacolo e una benedizione? Al centro del cervello si annida la ghiandola pineale, il cosiddetto terzo occhio. È collegata agli occhi e ha una sola funzione: produrre un ormone chiamato melatonina. Durante il giorno, la ghiandola pineale è a riposo, ma non appena imbrunisce, si attiva e inizia a pompare melatonina nel flusso sanguigno. Di conseguenza ci sentiamo stanchi, meno vigili, e proviamo il desiderio di andare a dormire. La secrezione di melatonina raggiunge il picco tra le due e le cinque del mattino, poi si interrompe all’alba, e questo è il nostro segnale di sveglia. Il livello di melatonina nel sangue è uno dei modi che permettono agli organi interni di sapere che ore sono, è la lancetta del nostro orologio circadiano.32
Oltre a regolare il sonno, pare che la melatonina svolga anche un altro ruolo: sopprimere la crescita dei tumori. Possiamo immaginarla come una sostanza che addormenta le cellule tumorali.33 Per verificare se questa funzione si applichi alla prevenzione del cancro al seno, i ricercatori del Brigham and Women’s Hospital di Boston e di altre località hanno avuto la brillante idea di studiare alcune donne cieche: dato che non possono vedere la luce del sole, le loro ghiandole pineali non smettono mai di secernere melatonina nel sangue. Com’era prevedibile, i ricercatori hanno scoperto che queste donne hanno la metà delle probabilità di ammalarsi di carcinoma alla mammella rispetto alle donne vedenti.34
Al contrario, quelle che interrompono la propria produzione di melatonina facendo i turni di notte presentano un rischio maggiore di cancro al seno.35 Persino vivere in una strada fortemente illuminata potrebbe influire in tal senso. Alcuni studi che hanno messo a confronto le foto satellitari in notturna e il rischio di cancro al seno hanno scoperto che chi vive in quartieri molto illuminati tende ad avere un rischio maggiore di tumore al seno.36, 37, 38 Pertanto, forse è meglio dormire a luci spente e tapparelle abbassate, anche se le prove a sostegno di queste strategie sono limitate.39
La produzione di melatonina può essere valutata misurando quella che viene espulsa con la prima pipì del mattino. E, di fatto, le donne con una maggiore secrezione di melatonina sono risultate quelle con il rischio minore di cancro al seno.40 Oltre a minimizzare l’esposizione notturna alla luce, c’è qualcos’altro che possiamo fare per mantenere alta la produzione di melatonina? Pare proprio di sì. Nel 2005, i ricercatori giapponesi hanno scoperto un legame tra una maggiore assunzione di frutta e verdura e alti livelli di melatonina nelle urine.41 Negli alimenti c’è anche qualcosa in grado di ridurre la produzione di melatonina, e dunque di aumentare potenzialmente il rischio di tumore al seno? Non conoscevamo la risposta fino a quando, nel 2009, è stato pubblicato uno studio completo sul rapporto tra dieta e melatonina. I ricercatori dell’Università di Harvard hanno chiesto a quasi mille donne notizie sul consumo di trentotto alimenti o gruppi di alimenti diversi, e hanno poi misurato i loro livelli di melatonina al mattino. La carne è stato l’unico cibo che risultava legato in maniera significativa a una minore produzione di melatonina, per ragioni ancora tutte da scoprire.42
Evitare di avere una scarsa produzione di melatonina può quindi significare mettere le tende alle finestre, mangiare più verdura e calare il sipario su un consumo eccessivo di carne.
ESERCIZIO FISICO E CANCRO AL SENO
L’attività fisica è considerata una promettente misura preventiva contro il cancro al seno,43 non solo perché aiuta a tenere sotto controllo il peso corporeo, ma anche perché l’esercizio tende a ridurre i livelli di estrogeni in circolo nel sangue.44 Cinque ore alla settimana di attività aerobica intensa possono ridurre l’esposizione a estrogeni e progesterone del 20% circa.45 Ma è proprio necessario faticare così tanto per essere protette?
Sebbene l’esercizio moderato sia associato a una riduzione del rischio di insorgenza di altri tipi di cancro, per quanto riguarda quello al seno pare che una passeggiatina non sia sufficiente.46 E nemmeno un’ora al giorno di attività quali il ballo lento o i lavori domestici leggeri.47 Secondo il più ampio studio mai pubblicato sull’argomento, solo le donne che faticano almeno cinque o più volte a settimana sono protette in maniera significativa da tale rischio.48 Un’attività moderatamente intensa, però, potrebbe offrire gli stessi vantaggi di quella intensa.49 Camminare a passo moderato per un’ora al giorno è considerato un livello di esercizio fisico abbastanza intenso, ma questo tipo di attività non è stato sottoposto a esame scientifico fino al 2013, quando uno studio ha dimostrato che, in effetti, camminare per un’ora o più al giorno è associato a un rischio significativamente minore di tumore al seno.50
Darwin aveva ragione: sopravvive solo il più adatto, perciò teniamoci in forma!
Le ammine eterocicliche
Nel 1939, un articolo intitolato Presence of Cancer-Producing Substances in Roasted Food (Presenza di sostanze cancerogene nei cibi arrosto) descrisse una curiosa scoperta. Un ricercatore affermò di riuscire a provocare il cancro alla mammella nei topi spennellando loro la testa con estratti di carne equina arrosto.51 Da allora, queste «sostanze cancerogene» sono state chiamate ammine eterocicliche (HCA), e il National Cancer Institute le definisce «sostanze chimiche che si formano quando la carne (di manzo, maiale, pesce e pollo) viene cotta con metodi ad alte temperature».52 Tali metodi comprendono la frittura e la cottura arrosto, alla griglia e al forno. Probabilmente quello più salutare è la bollitura. Chi mangia carne non cotta al di sopra dei 100 °C produce urina e feci che inducono molti meno danni al DNA rispetto a quelle di chi la mangia cotta ad alte temperature, senza liquidi né condimenti.53 Ciò significa che nell’organismo di queste persone vi sono meno sostanze mutagene che circolano nel sangue ed entrano in contatto con il colon. Al contrario, cuocere il pollo al forno anche solo per un quarto d’ora a circa 175 gradi determina la produzione di HCA.54
Queste sostanze cancerogene si formano grazie una reazione chimica che si verifica ad alte temperature tra determinate componenti del tessuto muscolare. (La mancanza di alcune di queste nelle piante potrebbe spiegare perché gli hamburger vegetariani, anche se vengono fritti, non contengono quantità misurabili di HCA.)55 Più la carne viene cotta, più HCA si formano. Tale processo può chiarire come mai mangiare carne ben cotta sia associato a un aumento del rischio di tumori a seno, colon, esofago, polmoni, pancreas, prostata e stomaco.56 Si crea pertanto quello che la «Harvard Health Letter» ha definito il «paradosso»57 della preparazione della carne: cuocerla bene riduce il rischio di intossicazioni alimentari (vedi capitolo 5), ma cuocerla benissimo può aumentare quello della formazione di sostanze cancerogene.
Il fatto che le ammine eterocicliche causino il cancro nei roditori non significa che facciano lo stesso anche negli esseri umani. In questo caso, però, a quanto pare noi siamo addirittura più sensibili dei topi. Il fegato dei roditori ha dimostrato la sorprendente capacità di disintossicare il 99% delle HCA che gli scienziati avevano fatto loro ingerire (con una tecnica chiamata «alimentazione con sonda gastrica»).58 Poi, nel 2008, i ricercatori hanno scoperto che il fegato degli esseri umani ai quali era stato fatto mangiare pollo cotto erano in grado di depurare solo la metà di quelle sostanze cancerogene: ciò indica che il rischio di cancro è molto più alto di quanto si pensasse sulla base degli esperimenti condotti sui ratti.59
Le sostanze cancerogene individuate nella carne cotta potrebbero spiegare come mai, secondo quanto affermato nel 2007 dal Long Island Breast Cancer Study Project, le donne che per tutta la vita mangiano tanta carne alla griglia, al barbecue o affumicata potrebbero avere fino al 47% in più di rischio di cancro al seno.60 Inoltre, lo Iowa Women’s Health Study ha scoperto che le donne che mangiavano pancetta, bistecca di manzo e hamburger «ben cotti» avevano cinque volte la probabilità di cancro al seno di quelle che li assumevano al sangue o a cottura normale.61
Per vedere ciò che accade al seno, i ricercatori hanno chiesto alle donne che stavano per sottoporsi a una mastoplastica riduttiva quali fossero le loro abitudini riguardo alla cottura della carne. Gli scienziati sono stati in grado di collegare il consumo di carne fritta ai danni al DNA riscontrati nel tessuto mammario,62 ossia proprio quelli che potrebbero trasformare una cellula normale in tumorale.63
Le HCA, dunque, paiono in grado di scatenare e favorire la crescita tumorale. Fra le ammine, una delle più diffuse nella carne cotta, la PhIP, ha dimostrato di avere un potente effetto estrogeno-simile, favorendo la crescita delle cellule tumorali del seno quasi quanto l’estrogeno stesso,64 grazie al quale prospera la maggior parte dei carcinomi mammari. Questo risultato, però, si basava su una ricerca condotta in vitro: come potevamo sapere se le sostanze cancerogene della carne cotta entrassero effettivamente nei dotti galattofori del seno, dove nascono moltissimi tumori? Non lo sapevamo finché i ricercatori hanno misurato i livelli di PhIP nel latte di alcune non fumatrici. (Le HCA si trovano anche nel fumo di sigaretta.)65 In quello delle donne che mangiavano carne, lo studio ha riscontrato la stessa concentrazione di PhIP necessaria a scatenare la crescita delle cellule tumorali del seno.66 In quello dell’unica partecipante vegetariana non sono state trovate tracce di PhIP.67
Un risultato simile è stato ottenuto anche da uno studio che ha messo a confronto i livelli di PhIP presenti nei capelli. La sostanza è stata rinvenuta nei campioni tricologici di tutti e sei i mangiatori di carne sotto osservazione, ma solo in uno dei sei vegetariani partecipanti.68 (Le HCA si trovano anche nelle uova fritte.)69
Una volta che l’esposizione a tali tossine cessa, il corpo è in grado di eliminarle molto in fretta. La PhIP presente nelle urine può infatti crollare a zero ventiquattr’ore dopo che si è smesso di mangiare carne.70 Perciò, ipotizzando di non mangiare carne il lunedì, già il martedì mattina i livelli di PhIP in circolo potrebbero essere impercettibili. Peccato, però, che la dieta non sia l’unica fonte di queste sostanze: i livelli di HCA nei vegetariani che fumano possono avvicinarsi a quelli dei carnivori non fumatori.71
L’ammina eterociclica chiamata PhIP non è soltanto un cosiddetto «agente cancerogeno completo», in grado sia di provocare il cancro sia di indurne la crescita: può anche favorirne la diffusione. Come sappiamo, un tumore si sviluppa in tre fasi principali: 1) iniziale, quando si ha la presenza di un danno irreversibile al DNA che dà il via al processo; 2) sviluppo, consistente nella crescita e divisione della cellula originaria che va a formare il tumore; e 3) progressione, quando il cancro aggredisce il tessuto circostante e forma metastasi (cioè si diffonde) in altre parti del corpo.
Gli scienziati possono misurare l’invasività o l’aggressività di un certo tumore inserendone alcune cellule in uno strumento chiamato «camera di invasione». Posizionano le cellule su un lato di una membrana porosa e poi misurano la loro capacità di penetrare e diffondersi attraverso di essa. In un caso, quando i ricercatori hanno sistemato alcune cellule tumorali metastatiche del cancro al seno di una donna di 54 anni in una camera di invasione, solo poche sono riuscite a oltrepassare la barriera. Ma dopo aver aggiunto la PhIP, nel giro di 72 ore le cellule sono diventate più invasive e hanno penetrato la membrana a ritmo accelerato.72
La PhIP della carne, quindi, può essere un agente cancerogeno molto pericoloso, potenzialmente implicato in tutte le fasi dello sviluppo del cancro al seno. Stare alla larga da questa sostanza, però, non è facile se si segue la dieta americana standard. Come hanno scritto i ricercatori: «L’esposizione alla PhIP è difficile da evitare, in quanto è presente in molte carni cotte che si mangiano abitualmente, e in particolare nel pollo, nel manzo e nel pesce.»73
Colesterolo
Ricordate l’American Institute for Cancer Research, a cui abbiamo accennato prima? Uno studio ha scoperto che seguire le sue linee guida per la prevenzione del cancro riduceva non solo il rischio di insorgenza del tumore al seno, ma anche quello di malattie cardiache.74 Inoltre, non solo mangiare in modo più sano per prevenire il cancro può prevenire anche le cardiopatie, ma vale anche il contrario. Per quali ragioni? Ad esempio perché il colesterolo può influire sullo sviluppo e sulla progressione del carcinoma mammario.75
Pare che il cancro si nutra di colesterolo. Sulla piastra di Petri, le lipoproteine a bassa densità (LDL) stimolano la crescita delle cellule del cancro al seno, che in pratica trangugiano il cosiddetto colesterolo cattivo. I tumori possono divorarne così tanto che, quando si sviluppano, i suoi livelli tendono a precipitare.76 Questo non è un buon segno, perché maggiore è l’assorbimento di LDL, meno il paziente tende a sopravvivere.77 Si pensa che il cancro usi questa sostanza per produrre estrogeni o per consolidare le membrane delle cellule tumorali, in modo da poter migrare e invadere altri tessuti.78 In altre parole, i tumori al seno potrebbero sfruttare gli alti livelli di LDL in circolo per alimentare e accelerare la propria crescita.79 Il fabbisogno di colesterolo, tipico del cancro, è tale che le case farmaceutiche hanno pensato di usare quello cattivo (LDL) come cavallo di Troia per rilasciare farmaci antitumorali nelle cellule malate.80
Anche se i dati sono contraddittori, a tutt’oggi il più ampio studio sul rapporto tra cancro e colesterolo, che ha preso in esame oltre un milione di partecipanti, ha scoperto un rischio maggiore del 17% nelle donne con livelli totali di colesterolo superiori a 240 rispetto a quelle che li avevano sotto il 160.81 Se abbassare questi valori può contribuire a far diminuire il rischio di insorgenza del cancro, che dire dei farmaci alle statine?
Questi medicinali sembravano promettenti nelle sperimentazioni condotte su piastre di Petri, ma gli studi sulla popolazione che mettevano a confronto i tassi di tumore al seno in soggetti che prendevano statine e altri che non le assumevano hanno fornito risultati discordanti. Alcuni suggerivano che le statine facessero calare il rischio di cancro, mentre altri avevano rilevato un aumento. Quasi tutti gli studi, però, erano stati condotti in tempi relativamente brevi. Rispetto al consumo di statine, la maggior parte riteneva che cinque anni fosse un lungo termine; il tumore alla mammella, però, può impiegare decenni a svilupparsi.82
Il primo grande studio sull’uso delle statine e il tumore al seno condotto per dieci anni o più è stato pubblicato nel 2013. Ha rilevato che le donne che avevano preso questo farmaco per un decennio presentavano un rischio doppio dei due tipi più comuni di cancro al seno infiltrante: carcinoma duttale invasivo e lobulare invasivo.83 I farmaci contro il colesterolo avevano raddoppiato il rischio. Se i risultati verranno confermati, le implicazioni di tale scoperta per la salute pubblica saranno di proporzioni gigantesche: si stima che negli Stati Uniti circa una donna ultraquarantacinquenne su quattro prenda farmaci del genere.84
La causa di morte numero uno per le donne è data dalle malattie cardiache, non dal carcinoma alla mammella, perciò è necessario abbassare il livello di colesterolo nel sangue. È possibile farlo senza ricorrere ai farmaci, seguendo una dieta sana a base di alimenti di origine vegetale; alcuni di questi possono offrire una particolare protezione.
COME PREVENIRE (E CURARE) IL CANCRO AL SENO
CON I CIBI VEGETALI
Non molto tempo fa, ho ricevuto una lettera molto commovente da Bettina, una donna che seguiva il mio lavoro su NutritionFacts.org. Bettina aveva un cancro al seno al secondo stadio del tipo «triplo negativo», il più difficile da curare. Si era sottoposta a otto mesi di cure, tra cui chirurgia, chemioterapia e radiazioni. Una diagnosi del genere è già di per sé fonte di stress, ma questo tipo di terapia antitumorale può aggravare l’ansia e la depressione.
Bettina, però, ha colto l’occasione per apportare cambiamenti positivi alla propria vita. Dopo aver guardato alcuni miei video, ha iniziato a mangiare meglio. Ha seguito molte delle raccomandazioni che si trovano in questo capitolo per prevenire la recidiva del cancro, come ad esempio assumere più broccoli e semi di lino. La buona notizia è che ormai da tre anni Bettina non ha più il tumore.
Data la quantità di studi che vado analizzando, per me è facile dimenticare che le statistiche si riferiscono alla vita delle persone. Storie come quella di Bettina mi aiutano a dare un volto a tutti i dati e alle tabelle. Quando le persone vere fanno cambiamenti reali, ottengono risultati reali.
Purtroppo, però, anche dopo una diagnosi di cancro al seno, la maggior parte delle donne non apporta alla dieta quei cambiamenti che potrebbero aiutarle a combatterlo, come mangiare meno carne e più frutta e verdura.85 Forse non si rendono conto (o i loro medici non glielo dicono) che uno stile di vita più sano può far aumentare le loro possibilità di sopravvivenza. Ad esempio, uno studio condotto su quasi 1500 donne ha scoperto che cambiamenti incredibilmente semplici, come mangiare cinque o più porzioni di frutta e verdura al giorno e camminare mezz’ora per sei giorni alla settimana, erano associati a un beneficio significativo in termini di sopravvivenza. Chi seguiva queste raccomandazioni, presentava quasi la metà del rischio di decesso per cancro nei due anni successivi alla diagnosi.86
Se da un lato storie come quella di Bettina possono migliorare le statistiche, è la scienza che deve farla da padrone. Nel tempo, quello che mangiamo e prepariamo per i nostri familiari diventa una decisione di vita o di morte. E come potremmo scegliere, se non basandoci sulle migliori prove scientifiche a disposizione?
Fibre
Anche un consumo inadeguato di fibre potrebbe rappresentare un fattore di rischio per il carcinoma alla mammella. I ricercatori della Yale University e di altre organizzazioni hanno scoperto che le donne in premenopausa che mangiavano più di sei grammi circa di fibre solubili al giorno (l’equivalente di una tazza di fagioli neri) avevano il 62% in meno di probabilità di cancro al seno rispetto a quelle che ne ingerivano meno di quattro grammi circa. I benefici delle fibre erano ancora più evidenti in relazione ai tumori al seno estrogeno-negativi, più difficili da trattare: le donne in premenopausa che assumevano più fibre avevano l’85% di probabilità in meno di ammalarsi di questo tipo di cancro.87
Come hanno fatto i ricercatori a calcolare queste percentuali? Lo studio di Yale era del tipo detto «caso-controllo». Gli scienziati hanno confrontato la dieta seguita in passato dalle donne con cancro al seno (i casi) con quelle di donne dalle caratteristiche simili che non si erano ammalate (i controlli), in modo da capire se ci fosse qualche differenza nelle abitudini alimentari delle pazienti. I ricercatori hanno rilevato che alcune donne con il tumore al seno riferivano di ingerire, in media, molte meno fibre solubili rispetto alle altre. Ne consegue che queste sostanze potrebbero svolgere un’azione protettiva.
Le donne oggetto di studio, però, non le assumevano sotto forma di integratori alimentari, ma direttamente dal cibo. Tuttavia, mangiare più fibre potrebbe essere semplicemente la prova del fatto che le donne sane preferivano gli alimenti di origine vegetale, cioè gli unici in cui le fibre si trovano naturalmente. Pertanto, le fibre potrebbero non essere l’ingrediente attivo in tal senso; forse i cibi vegetali contengono altre sostanze protettive. «D’altra parte», facevano notare gli scienziati, «un maggiore consumo di fibre da cibi di originale vegetale [...] potrebbe rispecchiare un minore consumo di cibi di origine animale».88 In altre parole, forse il punto non è che mangiassero più di una certa cosa, ma meno di un’altra. Il motivo per cui una massiccia assunzione di fibre è associata a una minore incidenza del tumore al seno potrebbe essere legato a un maggiore consumo di legumi oppure a un minore consumo di mortadella.
Comunque la mettiamo, l’analisi di una dozzina di altri studi caso-controllo sul cancro al seno è giunta a conclusioni simili: il minore rischio di carcinoma alla mammella era associato a indicatori dell’assunzione di frutta e verdura, come ad esempio la vitamina C, mentre un rischio maggiore era associato alla maggiore assunzione di grassi saturi (presenti nella carne, nei latticini e negli insaccati). Secondo questi studi, inoltre, più alimenti vegetali integrali mangiamo, meglio è per la nostra salute: ogni venti grammi di fibre al giorno, il rischio di cancro al seno diminuisce del 15%.89
Un problema degli studi caso-controllo, però, è che per conoscere la dieta dei soggetti si affidano ai loro ricordi, rischiando di introdurre quello che viene definito «bias di memoria». Ad esempio, se i pazienti oncologici tendono a ricordare di più i cibi nocivi che hanno mangiato, questo ricordo distorto potrebbe far aumentare in modo inesatto la correlazione tra certi alimenti e il cancro. Gli studi di coorte prospettici aggirano il problema seguendo un gruppo (la coorte) di donne sane e la loro dieta nel tempo (in prospettiva), per vedere chi, tra loro, sviluppa il tumore e chi no. Dieci studi di coorte longitudinali sul rapporto tra tumore alla mammella e assunzione di fibre sono giunti a risultati simili a quelli dei dodici studi caso-controllo citati sopra, cioè un rischio del 14% inferiore ogni venti grammi di fibre al giorno.90 Il rapporto tra la maggior quantità di fibre e il minor numero di tumori al seno potrebbe però non essere così lineare: il rischio di sviluppare questo tipo di cancro potrebbe non diminuire significativamente se non si arriva ad assumere almeno venticinque grammi di fibre al giorno.91
Purtroppo, la donna americana media ne ingerisce meno di quindici grammi al giorno, cioè circa la metà della dose giornaliera minima raccomandata.92 Persino il vegetariano medio, negli Stati Uniti, mangia solo venti grammi circa di fibre al giorno.93 Tuttavia, i vegetariani più in salute arrivano anche a trentasette grammi e i vegani a quarantasei.94 Giusto per farci un’idea, le diete integrali a base di prodotti di origine vegetale che vengono somministrate a fini terapeutici per la remissione delle malattie croniche contengono fino a sessanta grammi di fibre.95
UNA BUCCIA PER ELIMINARE IL TUMOREAL SENO
Una mela al giorno toglie l’oncologo di torno? Così era intitolato uno studio, pubblicato sugli «Annals of Oncology», che si prefiggeva di stabilire se mangiare una mela (o più) al giorno fosse associato a un minore rischio di insorgenza del tumore. Risultato: rispetto a chi in media mangiava meno di una mela al giorno, chi se ne cibava regolarmente aveva un rischio del 24% inferiore di cancro al seno, oltre a un rischio molto minore di sviluppare tumori alle ovaie e alla laringe e carcinomi del colon-retto. Questa azione protettiva era evidente anche se si teneva conto dell’assunzione di ortaggi e altri tipi di frutta da parte dei soggetti, indicando che il consumo giornaliero di mele era ben più di un mero indicatore di una dieta sana.96
Si pensa che la protezione anticancro offerta dalle mele derivi dalle loro proprietà antiossidanti. Gli antiossidanti delle mele sono concentrati nella buccia, il che ha senso: questa è la prima linea di difesa della frutta contro il mondo esterno. Se esponete all’aria la polpa, vedrete che inizia a scurire (cioè a ossidarsi) nel giro di pochi minuti. Le proprietà antiossidanti della buccia potrebbero essere da due (nella qualità Golden delicious) a sei volte (nella qualità Idared) maggiori di quelle della polpa.97
Oltre a proteggere dall’assalto iniziale dei radicali liberi al nostro DNA, l’estratto di mela si è dimostrato in grado di sopprimere la crescita delle cellule tumorali estrogeno-positive ed estrogeno-negative del seno su una piastra di Petri.98 Quando i ricercatori dell’università dove mi sono laureato, la Cornell, hanno irrorato separatamente le cellule tumorali con estratti di buccia e di polpa provenienti dalla stessa mela, il primo ha arrestato la crescita tumorale dieci volte più efficacemente.99
I ricercatori hanno scoperto che la buccia delle mele biologiche (e verosimilmente anche di quelle coltivate con i metodi tradizionali) contiene una sostanza che pare in grado di riattivare un gene oncosoppressore chiamato maspin (acronimo di mammary serine protease inhibitor, cioè inibitore della proteasi serina mammaria). Il maspin è uno degli strumenti di cui si serve l’organismo per tenere alla larga il cancro al seno. Le cellule tumorali del seno trovano il modo di disattivarlo ma, a quanto sembra, la buccia della mela è in grado di riattivarlo. I ricercatori hanno concluso che «la buccia di mela non dovrebbe essere eliminata dalla dieta».100
Come prevenire il carcinoma al seno con ogni verdura necessaria
Prima ho parlato dello studio del 2007 condotto sulle donne di Long Island che ha messo in relazione il rischio di tumore al seno con le ammine eterocicliche che si formano nella carne. Le donne più anziane che per tutta la vita avevano mangiato più carne alla griglia, al barbecue o affumicata presentavano il 47% di probabilità in più di sviluppare un cancro al seno. Chi ne aveva ingerita di più e assumeva anche poca frutta e verdura presentava un rischio del 74% maggiore.101
Mangiare poca frutta e verdura può essere segno di abitudini malsane nel complesso, ma un numero sempre maggiore di dati dimostra che nei prodotti freschi può esserci qualcosa che protegge attivamente dal tumore al seno. Ad esempio, le crucifere come i broccoli stimolano l’attività degli enzimi disintossicanti del fegato. La ricerca ha dimostrato che, se si mangiano broccoli e cavolini di Bruxelles, si smaltisce prima la caffeina: se ne assumiamo tanti, occorrerà bere più caffè perché la caffeina faccia effetto, in quanto il fegato (il nostro organo depuratore) è in grande forma.102 Questo processo può forse funzionare anche per le sostanze cancerogene contenute nella carne cotta?
Per scoprirlo, i ricercatori hanno somministrato carne fritta a un gruppo di non fumatori, poi hanno misurato i livelli di ammine eterocicliche presenti nei loro campioni di urina. Per due settimane, i soggetti dello studio hanno aggiunto alla dieta quotidiana circa tre tazze di broccoli e cavolini di Bruxelles, e successivamente hanno ripetuto lo stesso pasto a base di carne. Nonostante avessero consumato la stessa quantità di sostanze cancerogene, nelle loro urine ce n’erano molte meno, il che era coerente con una maggiore capacità disintossicante del fegato dovuta all’assunzione dei broccoli.103
Ma quello che è accaduto in seguito è stato davvero inaspettato. I soggetti hanno smesso di mangiare quelle verdure e, due settimane dopo, hanno ripetuto il pasto a base di carne. Si pensava che per allora la capacità del fegato di eliminare le tossine fosse tornata quella di sempre, e invece la funzione epatica dei soggetti è rimasta superiore al loro standard per settimane.104 Questi risultati indicano che non solo un bel contorno di broccoli mangiato con la bistecca potrebbe diminuire l’esposizione alle sostanze cancerogene, ma anche che mangiare queste verdure giorni o addirittura settimane prima di una bella grigliata può aiutarvi a rafforzare le vostre difese. Scegliere un hamburger vegetariano potrebbe essere tuttavia la scelta più sana, dato che in questo caso non ci sono ammine eterocicliche da eliminare.105
Le donne che mangiano tante verdure a foglia verde hanno quindi minori probabilità di sviluppare un cancro al seno? Uno studio condotto su 50.000 afroamericane (segmento della popolazione tristemente trascurato nella ricerca medica, che però tende a mangiare regolarmente più ortaggi) ha scoperto che chi assumeva due o più porzioni di verdure al giorno aveva un rischio molto minore di sviluppare un tipo di cancro al seno tra i più difficili da curare, estrogeno- e progesterone-negativo.106 I broccoli risultavano particolarmente efficaci nel proteggere le donne in premenopausa, ma il consumo di cavoli a foglia era associato a un minore rischio di tumore al seno a tutte le età.107
Le cellule staminali tumorali del seno
E se state già combattendo contro il cancro al seno o siete in remissione? Le verdure a foglia verde possono comunque proteggervi. Negli ultimi dieci anni, nell’ambito della biologia dei tumori, gli scienziati hanno sviluppato una nuova teoria basata sul ruolo delle cellule staminali. Queste ultime sono essenzialmente la materia prima dell’organismo, le cellule «genitori» da cui originano tutte le altre cellule con funzioni specifiche. Le staminali sono una componente fondamentale del sistema di autoguarigione dell’organismo, che è in grado di far ricrescere pelle, ossa e muscoli. Il tessuto del seno ha molte staminali di riserva che vengono usate durante la gravidanza per creare nuove ghiandole mammarie.108 Tuttavia, per quanto queste cellule possano apparire miracolose, con la loro immortalità possono anche giocare a nostro sfavore. Se diventano cancerose, invece di ricostruire gli organi danneggiati possono dare luogo a tumori.109
Le staminali tumorali possono essere il motivo per cui il cancro al seno può recidivare, anche venticinque anni dopo che è stato sconfitto per la prima volta.110 Quando i pazienti si sentono dire che non hanno più il cancro, spesso è così, ma se hanno staminali tumorali, possono vederlo ricomparire molti anni dopo. Una donna che è stata libera dal cancro per dieci anni può anche ritenersi guarita, ma in realtà potrebbe semplicemente essere in remissione. Le staminali tumorali silenti potrebbero essere in attesa di riattivarsi.
L’insieme di sofisticati farmaci antitumorali e radioterapia che oggi abbiamo a disposizione si basa su modelli animali. L’efficacia di una data cura viene spesso misurata in relazione alla sua capacità di ridurre il tumore nei roditori, ma i ratti di laboratorio vivono comunque solo due o tre anni. I medici riusciranno anche a ridurre il tumore, ma le staminali mutate potrebbero essere in agguato e riformare lentamente un nuovo cancro negli anni a seguire.111
Ciò che dobbiamo fare è stroncare questa malattia sul nascere, individuare cure che non mirino esclusivamente a ridurre la grandezza del carcinoma, ma anche al suo cosiddetto «cuore pulsante»:112 le staminali tumorali.
Ed è qui che entrano in gioco i broccoli.
Il sulforafano, un composto delle crucifere (di cui fanno parte i broccoli), si è dimostrato in grado di sopprimere la capacità delle staminali tumorali di formare un cancro.113 Ciò significa che, se siete in remissione, mangiare tanti broccoli dovrebbe contribuire a far sì che il tumore non si ripresenti. (Dico «dovrebbe», perché i risultati che lo confermano sono stati ottenuti solo su piastre di Petri.)
Per essere efficace contro il cancro, il sulforafano dovrebbe prima essere assorbito dal sangue quando mangiamo i broccoli, poi accumularsi nel tessuto mammario alle stesse concentrazioni che si sono dimostrate efficaci nel contrastare le staminali tumorali in laboratorio. Ma tutto questo è possibile? Un innovativo team di ricerca della Johns Hopkins University ha cercato di scoprirlo. I ricercatori hanno chiesto alle donne in procinto di sottoporsi a una mastoplastica riduttiva di bere succo di germogli di broccoli un’ora prima dell’operazione. Com’era prevedibile, dopo aver esaminato il tessuto mammario nella fase postoperatoria, i ricercatori hanno trovato un accumulo significativo di sulforafano.114 In altre parole, adesso sappiamo che le sostanze nutritive antitumorali dei broccoli sono in grado di accumularsi nel posto giusto, una volta che le abbiamo ingerite.
Per raggiungere nel seno la concentrazione di sulforafano sufficiente a sopprimere le staminali tumorali, però, dovreste mangiare come minimo un quarto di tazza di germogli di broccoli al giorno.115 Queste verdure si trovano in genere nei reparti ortofrutta dei supermercati, ma si possono coltivare facilmente a casa propria con poca spesa. Dato che il loro sapore ricorda quello dei ravanelli, di solito io le metto nell’insalata, in modo da diluirne l’intensità.
Tuttavia, mancano a tutt’oggi degli studi clinici randomizzati per verificare se le donne che sopravvivono a un cancro al seno e mangiano broccoli vivono più a lungo di quelle che non li assumono; ma, dal momento che queste verdure non hanno controindicazioni, bensì solo effetti collaterali positivi, raccomando a tutti di mangiare sia broccoli sia altre crucifere.
Semi di lino
I semi di lino sono stati tra i primi alimenti della storia a essere considerati benefici per via delle loro presunte proprietà curative, note fin dai tempi degli antichi greci, quando il celebre Ippocrate scriveva del loro utilizzo per la cura dei pazienti.116
Meglio noti come una delle fonti vegetali più ricche dei fondamentali acidi grassi Omega-3, i semi di lino si distinguono per il loro contenuto di lignani. Sebbene queste sostanze si trovino in tutto il regno vegetale, i semi di lino ne hanno circa cento volte più degli altri alimenti.117 Ma che cosa sono i lignani?
Si tratta di fitoestrogeni che possono smorzare gli effetti degli estrogeni prodotti dal corpo. Ecco perché i semi di lino sono considerati una terapia medica di prima linea contro i dolori al seno dovuti al ciclo mestruale.118 In termini di rischio di tumore mammario, mangiare un cucchiaio circa di semi di lino macinati al giorno potrebbe prolungare il ciclo di circa un giorno.119 Ciò significa che la donna avrà meno cicli mestruali nell’arco della vita e che presumibilmente sarà meno esposta agli estrogeni, correndo un minore rischio di sviluppare un cancro al seno.120 Così come i broccoli non contengono tecnicamente sulforafano (ma solo il suo precursore, che si trasforma in sulforafano una volta masticato, vedi capitolo 9), i semi di lino non contengono lignani, ma solo i loro precursori, che devono essere attivati. Questo compito è svolto dai batteri buoni del tratto intestinale.
Il ruolo di questi batteri può spiegare perché le donne che contraggono spesso infezioni del tratto urinario possono correre un maggiore rischio di sviluppare un carcinoma alla mammella: ogni ciclo di antibiotici rischia di eliminare i batteri indiscriminatamente, ostacolando così la capacità di quelli buoni del tratto intestinale di sfruttare fino in fondo i lignani assunti tramite la dieta.121 (Motivo in più per prendere antibiotici solo quando è necessario.)
L’assunzione di lignani è correlata a una significativa diminuzione del rischio di cancro al seno nelle donne in premenopausa.122 Pare che questa sia dovuta al loro potere di smorzare l’effetto degli estrogeni. Ma dato che i lignani si trovano in cibi salutari come frutti di bosco, cereali integrali e verdure a foglia verde, non potrebbero essere solamente indicatori di una dieta sana?
Su una piastra di Petri, i lignani sopprimono direttamente la proliferazione delle cellule tumorali mammarie.123 A tutt’oggi, però, la prova più evidente che questa classe di fitonutrienti abbia proprietà davvero speciali proviene dagli studi interventistici, a partire da quello del 2010 finanziato dal National Cancer Institute. I ricercatori hanno selezionato circa 45 donne ad alto rischio di tumore al seno (che cioè avevano una biopsia al seno con diagnosi sospetta oppure avevano già avuto un carcinoma alla mammella) e hanno somministrato loro l’equivalente di circa due cucchiaini di semi di lino macinati al giorno. Prima e dopo lo studio, durato un anno, sono state effettuate biopsie con agoaspirato al tessuto mammario. Risultato: in media, le donne presentavano meno mutazioni pretumorali al seno dopo aver ingerito per un anno i lignani contenuti nei semi di lino di quante ne avessero prima dell’inizio dello studio. L’80% (trentasei donne su quarantacinque) ha registrato un calo dei livelli di Ki-67, un biomarcatore (indicatore) dell’aumento della proliferazione cellulare. Questa scoperta indica che spolverizzare ogni giorno qualche cucchiaio di semi di lino macinati sui fiocchi d’avena, sull’insalata o su qualunque altro piatto potrebbe ridurre il rischio di tumore al seno.124
E se ce lo avete già? Chi ha superato un cancro al seno e ha un alto livello di lignani nel sangue125, 126 e nella dieta127 ha tassi di sopravvivenza significativamente maggiori. Ciò è forse dovuto al fatto che le donne che assumono semi di lino hanno anche livelli più alti di endostatina nel seno.128 (L’endostatina è una proteina che viene prodotta dall’organismo per ridurre l’apporto di sangue al tumore.)
Le prove fornite da studi di questo genere sono apparse così convincenti che gli scienziati hanno eseguito uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco e controllato da placebo sui semi di lino in pazienti con carcinoma mammario: è stata una delle poche volte in cui un alimento è stato testato in modo così rigoroso. I ricercatori hanno individuato donne che stavano per sottoporsi a un intervento chirurgico per il tumore al seno e le hanno suddivise a caso in due gruppi: ogni giorno, il gruppo uno mangiava un muffin che conteneva semi di lino, mentre il gruppo due ne mangiava uno di aspetto e gusto identici, ma privo dei semi. All’inizio dello studio sono state effettuate biopsie dei tumori di entrambi i gruppi e poi confrontate con il tessuto tumorale rimosso chirurgicamente circa cinque settimane dopo.
Si sono riscontrate differenze? Rispetto alle donne che avevano mangiato il muffin placebo, quelle che avevano ingerito i muffin con i semi di lino, in media, hanno visto decrescere la proliferazione delle cellule tumorali, aumentare il tasso di morte di queste ultime e diminuire il valore del c-erbB2. Quest’ultimo è un marcatore dell’aggressività tumorale: più è alto, più il cancro al seno tende a sviluppare metastasi e a diffondersi in tutto il corpo. In altre parole, pare che i semi di lino abbiano reso il cancro meno aggressivo. I ricercatori hanno concluso: «I semi di lino assunti con la dieta hanno il potenziale di ridurre la crescita tumorale in pazienti con carcinoma alla mammella [...] Poco costosi e facilmente acquistabili, potrebbero rappresentare un’alternativa alimentare o un’aggiunta rispetto ai farmaci antitumorali attualmente impiegati».129
Soia e cancro al seno
In natura i semi di soia contengono un’altra classe di fitoestrogeni chiamati isoflavoni. Sentendo la parola «estrogeno» in «fitoestrogeni» tendiamo a dare per scontato che la soia abbia effetti simili a quelli degli estrogeni. Non è necessariamente così. I fitoestrogeni si depositano negli stessi recettori degli estrogeni, ma hanno effetti più blandi di questi, perciò possono bloccare gli effetti dei ben più potenti estrogeni di origine animale, quelli che produciamo noi.
Nel nostro organismo esistono due tipi di recettori degli estrogeni, gli alfa e i beta. L’estrogeno prodotto da noi preferisce quelli alfa, mentre quello vegetale (i fitoestrogeni) ha un’affinità naturale con i beta.130 Gli effetti dei fitoestrogeni della soia sui diversi tessuti dipendono perciò dal rapporto recettori alfa/beta.131
Gli estrogeni hanno effetti positivi su alcuni tessuti e potenzialmente negativi su altri. Ad esempio, alti livelli di estrogeni possono far bene alle ossa ma far aumentare il rischio di tumore al seno. Idealmente, sarebbe bello avere quello che viene definito «modulatore selettivo del recettore degli estrogeni» in grado di favorire la produzione di estrogeni in alcuni tessuti e di contrastarla in altri.
Be’, questo è esattamente il profilo dei fitoestrogeni della soia.132 La soia pare diminuire il rischio di cancro al seno,133 effetto antiestrogenico, ma aiuta anche a ridurre le caldane della menopausa,134 effetto proestrogenico. Perciò, mangiandola, potreste riuscire a ottenere il meglio in entrambi i casi.
E che dire della soia per le donne che hanno già un cancro al seno? A tutt’oggi sono stati condotti cinque studi sul rapporto tra consumo di soia e donne sopravvissute al carcinoma mammario. Nel complesso, i ricercatori hanno scoperto che le pazienti con un tumore al seno che mangiavano più soia vivevano significativamente più a lungo e avevano un rischio significativamente minore di recidiva rispetto a quelle che ne mangiavano di meno.135 La quantità di fitoestrogeni presente in una sola tazza di latte di soia136 potrebbe ridurre tale rischio del 25%.137 Sia nelle donne i cui tumori reagivano agli estrogeni (carcinoma alla mammella con recettori estrogeno-positivi), sia in quelle i cui tumori non lo facevano (carcinoma alla mammella con recettori estrogeno-negativi) è stata riscontrata una maggiore longevità nel caso di un maggiore consumo di alimenti a base di soia. Questo vale sia per le donne giovani sia per quelle più anziane.138 In uno studio, ad esempio, è risultato che il 90% delle pazienti con tumore al seno che dopo la diagnosi assumevano più fitoestrogeni della soia erano ancora vive cinque anni più tardi, mentre metà di quelle che ne prendevano pochi o nessuno erano decedute.139
Uno dei modi in cui la soia può diminuire il rischio di cancro e allungare la vita è contribuendo alla riattivazione dei geni BRCA.140 Il BRCA1 e il BRCA2 sono chiamati «geni guardiani», cioè oncosoppressori in grado di riparare il DNA. Le mutazioni di questi geni possono causare una rara forma di cancro al seno ereditario. Come abbiamo letto su tutti i giornali, Angelina Jolie ha deciso di sottoporsi a una doppia mastectomia preventiva. Un sondaggio della National Breast Cancer Coalition ha scoperto che la maggior parte delle donne è convinta che molti tipi di tumore al seno si sviluppino laddove vi sia familiarità (altri casi nella storia familiare) o predisposizione genetica.141 In realtà i casi di carcinoma alla mammella dovuti alla familiarità sono solo il 2,5% del totale.142
Se gran parte delle pazienti con tumore al seno ha geni BRCA perfettamente funzionanti, vale a dire se il suo meccanismo di riparazione del DNA è intatto, come ha fatto a formarsi, crescere e diffondersi il cancro al seno? I carcinomi alla mammella sembrano in grado di sopprimere l’espressione di questi geni attraverso un processo chiamato metilazione. Anche se il gene di per sé funziona, il cancro riesce a disattivarlo o quantomeno a mitigarne l’espressione, contribuendo alla formazione di metastasi del tumore primario.143 Ma qui la soia può dare una mano.
Gli isoflavoni della soia contribuiscono a riattivare la protezione dei geni BRCA, eliminando così la camicia di forza di metile con cui il tumore cerca di avvolgerli.144 Per ottenere questo risultato in vitro gli oncologi che studiano il tumore al seno hanno usato però una dose abbondante: l’equivalente di una tazza di fagioli di soia.
La soia può aiutare anche le donne che presentano variazioni di altri geni, chiamati MDM2 e CYP1B1, che indicano una suscettibilità genetica al carcinoma mammario. Le donne con un alto rischio genetico possono pertanto trarre vantaggio da un’abbondante assunzione di soia.145 Il punto è che, indipendentemente dai geni ereditati, apportare cambiamenti alla dieta può influenzare l’espressione del DNA a livello genetico, aumentando potenzialmente la capacità dell’organismo di combattere la malattia.
PERCHÉ LE DONNE ASIATICHE SI AMMALANO MENO
DI CANCRO AL SENO?
Sebbene il carcinoma alla mammella sia il tumore più diffuso tra le donne su scala globale, le asiatiche corrono un rischio fino a cinque volte inferiore rispetto alle nordamericane.146 Perché?
Una possibile risposta è data dal tè verde, una bevanda comune in molte diete asiatiche, che è stata associata a una riduzione del 30% del rischio di tumore al seno.147 Un’altra possibilità molto concreta è l’assunzione relativamente massiccia di soia che, se consumata regolarmente durante l’infanzia, potrebbe dimezzare il rischio di contrarre questo tipo di cancro nell’età adulta. Se invece le donne iniziano a consumare la soia da grandi, la riduzione del rischio può essere solo del 25% circa.148
Se da un lato l’assunzione di tè verde e soia potrebbe rendere conto della drastica riduzione del rischio di tumore al seno nelle donne asiatiche, dall’altro, però, non spiega la disparità nei tassi di carcinoma mammario tra i Paesi orientali e quelli occidentali.
Le popolazioni asiatiche mangiano anche più funghi.149 Come ho sottolineato nel box sul vino rosso di pagina 292, si è scoperto che i funghi bianchi possono anche bloccare l’aromatasi, quantomeno su una piastra di Petri. Per questo motivo i ricercatori hanno deciso di studiare l’eventuale presenza di un legame tra assunzione di funghi e tumore al seno. Hanno confrontato il consumo di funghi di mille pazienti affette da questo tipo di carcinoma e di mille donne sane di età, peso, abitudini al fumo e regime di attività fisica simili: chi mangiava di media solo mezzo fungo o più al giorno aveva un rischio di insorgenza del cancro del 64% inferiore rispetto a chi non se ne cibava. Mangiare funghi e sorseggiare la bevanda ottenuta con l’equivalente di mezza bustina di tè verde al giorno determinava quasi il 90% di riduzione del rischio di carcinoma al seno.150
Gli oncologi, cioè gli specialisti che curano il cancro, possono ben dirsi orgogliosi dei passi da gigante compiuti dalla ricerca. Grazie ai progressi delle terapie antitumorali, i pazienti vivono più a lungo e meglio, come affermano gli editoriali pubblicati sulle riviste mediche specializzate, che hanno titoli come Cancer Survivors, 10 Million Strong and Growing! (I sopravvissuti al cancro: ben 10 milioni, e in aumento!). Esatto, oltre 10 milioni di pazienti affetti dal cancro sono ancora vivi e negli Stati Uniti si contano «forse un milione di nuovi casi che ogni anno si aggiungono alla lista».151 Gran bel risultato, ma non sarebbe meglio prevenire questo milione di casi?
In medicina, una diagnosi di tumore è considerata «un’occasione per insegnare qualcosa», quella in cui possiamo motivare i nostri pazienti a migliorare il loro stile di vita.152 Ma a quel punto, però, potrebbe essere già tardi.