CAPITOLO 12
COME NON MORIRE DI DEPRESSIONE GRAVE
Un’alimentazione sana può influire moltissimo sull’umore, e non sono soltanto io a dirlo: lo afferma anche Margaret. Tempo dopo aver assistito a una mia conferenza nella sua chiesa, mi spedì questa email:
Caro dottor Greger,
quando avevo dieci anni mi è stata diagnosticata una depressione clinica. Ho trascorso l’adolescenza e i miei vent’anni a prendere un cocktail di medicine per combatterla, tuttavia ero perseguitata da pensieri suicidi praticamente tutti i giorni. Peggio ancora, le medicine mi davano mal di testa e nausea, e mi facevano fare sogni molto vividi e spesso terrificanti. Avevo sempre sonno e, nonostante i sogni paurosi, ogni giorno dovevo fare un pisolino. Dormivo tantissimo: un paio d’ore a metà giornata e poi quasi dieci ore per notte. Eppure, nonostante tutti quegli effetti collaterali, l’idea di smettere di prendere le medicine mi faceva paura, perché volevo vivere e temevo che, se non le avessi prese, sarei piombata in una depressione così grave da togliermi la vita.
Alla fine mi sono sposata... e ho divorziato. Durante il matrimonio sono stata ricoverata diverse volte per la depressione. A essere sincera, non avevo mai voglia di fare sesso e mio marito la prendeva sul personale. Credo che non saprò mai se l’assenza di libido fosse solo un effetto collaterale dei farmaci che prendevo o se dipendesse dalla depressione.
Circa nove anni fa l’ho sentita parlare nella mia chiesa e mi sono resa conto di aver trascorso gli ultimi vent’anni in uno stato di stordimento indotto dalle medicine, e per di più senza sentirmi bene neanche un giorno. Ho detto alla mia psichiatra che volevo rivedere completamente la mia dieta e cercare di ridurre i farmaci sotto la sua supervisione, e con mia grande sorpresa lei si è detta d’accordo. Ormai sono nove anni che mangio prodotti integrali di origine vegetale e non ho più avuto ricadute. Non che ogni tanto non mi sia sentita un po’ giù, ma non ho mai più pensato al suicidio né sono stata ricoverata. E adesso dormo come una persona normale! Tutti mi dicono che da quando ho cambiato dieta sono un’altra persona. Volevo solo ringraziarla, anche da parte del mio fidanzato! Le devo la vita!
Com’è possibile prevenire il suicidio? Per chi non conosce le devastazioni della malattia mentale, la tipica risposta superficiale è: basta non suicidarsi. In effetti, anche le altre cause di morte, quali le malattie cardiache, il diabete di tipo 2 e l’ipertensione possono essere una scelta tanto quanto il suicidio; d’altra parte i disturbi psichici possono offuscare la nostra capacità di giudizio. Ogni anno negli Stati Uniti si tolgono la vita quasi quarantamila persone,1 e pare che la depressione sia una delle cause principali di suicidio.2 Per fortuna, intervenire sullo stile di vita può contribuire a guarire non solo il corpo, ma anche la mente.
Nel 1946, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la salute uno «stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia».3 In altre parole, si può essere in perfetta forma (avere un colesterolo basso, un peso forma normale e uno stato fisico buono in generale), ma ciò non significa necessariamente essere sani. La salute mentale è importante quanto quella fisica.
La depressione grave è uno dei disturbi mentali più diagnosticati: si stima che ne soffra circa il 7% degli americani adulti, vale a dire circa sedici milioni di persone che hanno almeno una crisi depressiva all’anno.4 Ora, tutti ci sentiamo tristi di tanto in tanto; il fatto di sperimentare un’ampia gamma di emozioni è ciò che ci rende umani. La depressione, però, non è pura e semplice tristezza, ma settimane intere di umore a terra o morale sotto i tacchi, scarso interesse per le attività che un tempo ci piacevano, perdita o aumento di peso, affaticamento, senso di colpa inappropriato, difficoltà di concentrazione e ricorrenti pensieri di morte.
Di fatto, la depressione grave può essere una malattia che mette in pericolo di vita.
Una buona salute mentale non è la «semplice assenza di malattia», però. Non essere depressi non vuol necessariamente dire essere felici. Ci sono venti volte più studi sul rapporto tra salute e depressione di quanti ce ne siano su salute e felicità.5 Di recente, però, è emerso il settore della «psicologia positiva», che studia il rapporto ottimale tra salute mentale e fisica.
Un numero sempre maggiore di dati indica che il benessere psicologico è associato a un rischio ridotto di malattie mentali, ma che cosa viene prima? Le persone sono più sane perché sono felici oppure sono felici perché stanno meglio?
Gli studi prospettici che hanno osservato i partecipanti nel tempo hanno scoperto che chi all’inizio era più felice alla fine è risultato anche più sano. L’analisi di settanta studi del genere sulla mortalità ha concluso che «il benessere psicologico favorisce la sopravvivenza sia delle popolazioni sane sia di quelle malate».6 Pare che le persone più felici vivano più a lungo.
Fermiamoci un attimo: una condizione mentale positiva è associata a una riduzione dello stress e a una maggiore resistenza alle infezioni, d’accordo, ma potrebbe essere anche legata a uno stile di vita sano. In genere, chi si sente soddisfatto fuma di meno, fa più attività fisica e mangia meglio.7 Perciò, essere più felici è solo un indicatore di buona salute o ne è anche la causa? Per scoprirlo, i ricercatori hanno cercato di far ammalare la gente.
Gli scienziati della Carnegie Mellon University hanno chiamato a raccolta centinaia di persone, alcune felici, altre no, e hanno dato 800 dollari a ciascuna di loro per potergli inoculare nel naso il virus del raffreddore. Anche se una persona raffreddata vi starnutisce dritto in faccia e il virus raggiunge la vostra mucosa nasale, non è detto che vi ammaliate, perché il vostro sistema immunitario può essere abbastanza forte da combattere l’infezione. Perciò lo studio in questione si chiedeva: quale sistema immunitario sconfigge meglio un virus comune, quello del gruppo felice, vivace e rilassato o quello del gruppo ansioso, ostile e depresso?
Circa un individuo su tre di coloro che manifestavano emozioni negative non è riuscito a sconfiggere il virus e si è preso il raffreddore, ma solo uno su cinque dell’altro gruppo si è ammalato, e questo escludendo fattori quali le abitudini di sonno ed esercizio fisico, e i livelli di stress dei soggetti.8 In uno studio successivo, i ricercatori hanno esposto i soggetti (pagati anche in questo caso) al virus dell’influenza, un’infezione più grave del raffreddore. E ancora una volta, le emozioni positive sono risultate associate a un minore tasso di malattia.9 Pare che le persone più felici tendano ad ammalarsi di meno.
La salute mentale, dunque, ha un ruolo importante nel benessere fisico. Ecco perché è fondamentale che il cibo che mangiamo sostenga sia il corpo sia la mente. Come vedremo, gli alimenti più comuni, dalle verdure a foglia verde ai pomodori che crescono nell’orto possono influenzare positivamente la chimica del cervello e contribuire a combattere la depressione. In realtà, per migliorare lo stato emotivo, annusare una spezia può essere sufficiente.
Ma per evitare le emozioni tristi non basta mangiare le verdure. Alcuni cibi, infatti, hanno componenti che possono aumentare il rischio di depressione, come l’acido arachidonico, che favorisce l’infiammazione e si trova soprattutto nel pollo e nelle uova, all’interno di una dieta ritenuta responsabile dei disturbi dell’umore in quanto provoca uno stato infiammatorio nel cervello.
L’acido arachidonico
Gli studi compiuti sulla salute emotiva e l’umore di chi segue regimi alimentari a base vegetale indicano che mangiare meno carne non fa bene soltanto dal punto di vista fisico, ma anche da quello emotivo. I ricercatori hanno utilizzato due test psicologici, il POMS (Profile of Mood States, cioè Profilo dell’umore) e il DASS (Depression and Anxiety Stress Scales, Scala dello stress legato a depressione e ansia). Il primo misura i livelli di depressione, rabbia, ostilità, affaticamento e confusione; il secondo valuta anche altri stati negativi, tra cui disperazione, perdita di interesse, anedonia (incapacità di provare piacere), agitazione, irritabilità e impazienza con gli altri. I soggetti che seguivano la dieta a base vegetale provavano una quantità significativamente minore di emozioni negative rispetto agli onnivori. Chi mangiava meglio affermava anche di sentirsi più «energico».10
I ricercatori hanno offerto due possibili spiegazioni di questo fatto. Primo, chi segue diete migliori può essere più felice perché è più sano.11 Chi mangia prodotti di origine vegetale non solo presenta un rischio inferiore di soffrire delle principali patologie killer, ma presenta anche tassi minori di disturbi fastidiosi come emorroidi, vene varicose e ulcere, un minor numero di interventi chirurgici e di ricoveri, e solo la metà delle probabilità di intraprendere una terapia farmacologica a base di sedativi, aspirina, insulina, pillole contro l’ipertensione, antidolorifici, antiacidi, lassativi o sonniferi.12 (Evitare le visite dal medico e le seccature legate alle assicurazioni sanitarie renderebbe chiunque meno irritabile, stressato e depresso!)
I ricercatori hanno anche suggerito una spiegazione più diretta dei risultati: forse l’acido arachidonico, che provoca infiammazioni ed è presente nei prodotti animali, può «avere un effetto negativo sulla salute mentale dando luogo a una serie di neuroinfiammazioni.»13 L’organismo metabolizza l’acido arachidonico trasformandolo in una vasta gamma di sostanze chimiche infiammatorie. Di fatto, è proprio così che i farmaci antinfiammatori come l’aspirina e l’ibuprofene riescono ad alleviare dolori e gonfiori: bloccando cioè la conversione dell’acido arachidonico in questi prodotti finali che causano infiammazione. Forse la salute mentale dei soggetti onnivori veniva relativamente compromessa dallo stato infiammatorio del cervello.
L’infiammazione non è sempre negativa, ovviamente. Quando la pelle intorno a una scheggia diventa tutta rossa, calda e gonfia, vuol dire che il corpo sta utilizzando l’acido arachidonico per sviluppare una risposta infiammatoria e contribuire così a combattere l’infezione. Ma il corpo fabbrica già da solo tutto l’acido arachidonico di cui abbiamo bisogno, perciò non serve assumerne altro attraverso la dieta.14 Da questo punto di vista, la sostanza in questione assomiglia al colesterolo, altro componente essenziale che il corpo produce da sé: quando ne ingeriamo troppo con la dieta, il surplus può scombinare l’equilibrio dell’organismo.15 In questo caso, i ricercatori sospettavano che l’assunzione di acido arachidonico potesse peggiorare lo stato emotivo. Alcuni dati suggeriscono che chi ha alti livelli di questa sostanza nel sangue possa correre un rischio di suicidio o di depressione grave significativamente più alto.16
Nella dieta americana le cinque fonti principali di acido arachidonico sono il pollo, le uova, il manzo, il maiale e il pesce, anche se i primi due da soli contribuiscono più di tutti gli altri messi insieme.17 La quantità contenuta in un solo uovo al giorno può alzarne i livelli nel sangue in maniera significativa.18 Nel complesso, pare che chi è onnivoro consumi nove volte più acido arachidonico di chi segue una dieta a base di alimenti vegetali.19
Lo studio che ha rilevato uno stato emotivo più positivo in coloro che seguivano diete a base di prodotti di origine vegetale era del tipo a cross-section, simile cioè a un’istantanea scattata in un dato momento. E se le persone che sono già mentalmente sane seguissero una dieta ancora più sana e non viceversa? Per dimostrare il rapporto di causa-effetto, i ricercatori avrebbero dovuto effettuare uno studio interventistico, cioè il meglio del meglio per le scienze della nutrizione: scegliere i soggetti, modificarne la dieta e stare a vedere che cosa sarebbe successo. Lo stesso team di ricercatori a cui abbiamo accennato in precedenza ha fatto proprio così. Ha riunito donne e uomini che mangiavano carne almeno una volta al giorno e li ha privati di uova e pollo (e di altri tipi di carne), per vedere che cosa sarebbe accaduto al loro umore. Nell’arco di due sole settimane, i soggetti hanno sperimentato significativi miglioramenti.20 I ricercatori hanno concluso: «Forse ridurre la carne può evitare sbalzi d’umore nei soggetti onnivori, cosa particolarmente importante per chi tende a soffrire di disturbi affettivi [come la depressione]».21
Visti questi risultati, un altro gruppo di ricercatori ha deciso di mettere alla prova una dieta salutare in ambiente lavorativo, dove avere corpo e mente sani può tradursi in un aumento della produttività, migliorando al tempo stesso l’umore dei soggetti. Un gruppo di impiegati sovrappeso e diabetici di una grossa compagnia d’assicurazioni è stato invitato a seguire una dieta integrale a base di prodotti di origine vegetale, eliminando carne, uova, latticini, olio e cibo spazzatura. Le porzioni non sono state ridotte, né sono state contate le calorie o i carboidrati, e ai partecipanti è stato chiesto espressamente di non modificare le loro abitudini in merito all’esercizio fisico. Non sono stati serviti i pasti, ma il bar aziendale ha iniziato a offrire ogni giorno cibi come burritos ai fagioli, zuppe di lenticchie e minestrone. Il gruppo di controllo, invece, non ha ricevuto alcuna indicazione dietetica.22
Nonostante le restrizioni, nel corso di circa cinque mesi, il gruppo che mangiava prodotti vegetali ha riferito di essere molto più soddisfatto della sua alimentazione rispetto a quello di controllo. Alla fine com’è andata? Il primo gruppo ha migliorato la digestione, aveva più energia e dormiva meglio, oltre a riscontrare un generale miglioramento nelle funzioni fisiche, nella vitalità e nella salute mentale. Non sorprende, dunque, che abbia anche dimostrato un aumento misurabile nella produttività.23
Sulla base di questo successo, è stato condotto uno studio molto più ampio sull’alimentazione a base vegetale in dieci aziende del Paese, da San Diego (California) a Macon, in Georgia. La sperimentazione ha registrato lo stesso successo eclatante della prima, con miglioramenti non solo a livello di peso, glicemia e colesterolo dei soggetti,24 ma anche dei loro stati emotivi, tra cui depressione, ansia, affaticamento, senso di benessere ed efficienza nella vita quotidiana.25
Combattere il malumore con le verdure a foglia verde
Ecco una statistica della quale probabilmente non avete mai sentito parlare: un maggiore consumo di verdure può diminuire il rischio di depressione addirittura del 62%.26 Un articolo pubblicato su «Nutritional Neuroscience» affermava che, in generale, mangiare grandi quantità di frutta e verdura può rappresentare «uno strumento terapeutico non invasivo, naturale ed economico a sostegno di un cervello sano».27
Ma com’è possibile?
Stando alla spiegazione classica dei meccanismi della depressione, chiamata «teoria monoaminergica», questa malattia deriva da uno squilibrio chimico del cervello. I miliardi di nervi presenti in questo organo comunicano tra loro per mezzo di sostanze chimiche chiamate «neurotrasmettitori». Le cellule nervose non si toccano fisicamente l’una con l’altra, ma producono e rilasciano neurotrasmettitori per colmare il vuoto che le separa. I livelli di un’importante categoria di neurotrasmettitori chiamata «monoammine», che comprende la serotonina e la dopamina, sono controllati da un enzima, la monoammino-ossidasi (MAO), che distrugge le monoammine in eccesso. Le persone depresse hanno alti livelli di questo enzima nel cervello.28 Pertanto, secondo la teoria, la depressione è causata da livelli esageratamente bassi di monoammine dovuti alla sovrabbondanza dell’enzima che elimina questi neurotrasmettitori.
I farmaci antidepressivi sono stati sintetizzati allo scopo di aumentare i livelli delle monoammine e compensare la loro eliminazione accelerata. Ma se un eccesso di MAO determina la depressione, perché non limitarsi a creare un medicinale che blocchi questo enzima? Farmaci del genere esistono, ma presentano gravi rischi, non ultimo il temuto «effetto formaggio»: mangiare certi alimenti (come alcuni tipi di formaggi, insaccati e cibi fermentati) mentre si assume il farmaco può causare un’emorragia cerebrale mortale.29
Se solo ci fosse il modo di ridurre l’enzima della monoammino-ossidasi senza rischi per la salute... Be’, a quanto pare molti alimenti vegetali, tra cui mele, bacche, uva, cipolle e tè verde, contengono fitonutrienti che inibiscono la MAO in maniera naturale, al pari di spezie come chiodi di garofano, origano, cannella e noce moscata.30 Ciò potrebbe spiegare come mai chi segue diete ricche di frutta e verdura mostri un rischio di depressione più basso.31
Gli studi hanno dimostrato che più frutta e verdura mangiamo, più felici, sereni e vitali ci sentiamo, anche solo su base giornaliera, e questa positività può perdurare anche il giorno successivo. Affinché la dieta che seguiamo abbia un impatto psicologico di qualche rilievo, però, dovremmo mangiare circa sette porzioni di frutta o otto di verdura al giorno.32
Semi e serotonina
Sebbene alcuni alimenti di origine vegetale contengano quantità significative di serotonina,33 il cosiddetto ormone della felicità, questa sostanza non è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica. Ciò significa che le fonti alimentari di serotonina non riescono a raggiungere l’encefalo, tuttavia il mattoncino che sintetizza l’ormone, un aminoacido chiamato triptofano, è in grado di passare dalla bocca al sangue e successivamente al cervello. Gli esperimenti sulla riduzione del triptofano compiuti negli anni Settanta hanno dimostrato che le persone a cui veniva somministrata una dieta specifica priva di questa sostanza soffrivano di irritabilità, rabbia e depressione.34 Perciò, se viene somministrato del triptofano in più, è forse possibile che le persone si sentano meglio?
In teoria, sì. Tuttavia, negli anni Ottanta, alcuni integratori al triptofano hanno fatto fiasco, causando una serie di decessi.35 Ma se questa sostanza è un aminoacido e se le proteine sono costituite da aminoacidi, perché non far assumere alle persone pasti ricchi di proteine per aumentarne i livelli di serotonina facendo arrivare più triptofano al cervello? I ricercatori ci hanno provato, ma non ci sono riusciti,36 probabilmente perché nei cibi ricchi di proteine ci sono altri aminoacidi che impediscono al triptofano di raggiungere l’encefalo. Ingerire carboidrati produce invece l’effetto opposto: contribuisce a eliminare dal sangue molti altri aminoacidi riversandoli nei muscoli, consentendo così al triptofano un maggiore accesso al cervello. Ad esempio, fare una colazione ricca di carboidrati, composta magari da waffle e succo d’arancia, determinava nei soggetti studiati livelli più alti di triptofano rispetto a cibi molto proteici come tacchino, uova e formaggio.37
Questo principio potrebbe spiegare perché le donne che soffrono di sindrome premestruale (PMS) a volte sentano il bisogno di cibi ricchi di carboidrati. È stato dimostrato che il consumo di un solo pasto ricco di carboidrati e povero di proteine migliora depressione, tensione, rabbia, confusione, tristezza, affaticamento, ipervigilanza e senso di calma nelle donne con PMS.38 In uno studio durato un anno, circa cento uomini e donne sono stati suddivisi a caso in due gruppi, uno che seguiva una dieta povera di carboidrati e uno che ne seguiva una ricca di questi composti. Alla fine dell’anno, i soggetti del secondo gruppo hanno riscontrato livelli significativamente minori di depressione, ostilità e disturbi dell’umore rispetto a quelli del primo gruppo. Il risultato è in linea con altri studi che hanno riscontrato miglioramenti dell’umore e un minore livello di ansia nelle popolazioni che seguivano una dieta ricca di carboidrati e povera di grassi e proteine.39
I carboidrati possono facilitare il trasporto del triptofano al cervello, ma abbiamo comunque bisogno di assumere questo aminoacido con la dieta. Idealmente, la fonte dovrebbe avere un alto rapporto triptofano-proteine, in modo da facilitare l’accesso della sostanza all’encefalo,40 proprio come avviene nei semi di sesamo, girasole o zucca. Di fatto, uno studio in doppio cieco e controllato da placebo sui semi della zucca Cucurbita moschata contro la fobia sociale ha riscontrato un significativo miglioramento nella misurazione oggettiva dell’ansia entro un’ora dall’assunzione.41 Tutti questi fattori possono contribuire a quel miglioramento complessivo dell’umore che si può raggiungere dopo poche settimane di dieta vegetale.42
Zafferano
A quanto ne sappiamo, l’uso più antico di questa spezia in medicina risale a oltre 3600 anni fa, quando lo zafferano era impiegato soprattutto come farmaco.43 Qualche migliaio di anni dopo, gli scienziati l’hanno finalmente testato in un trial comparativo insieme all’antidepressivo Prozac per la cura della depressione clinica. Sia lo zafferano sia il Prozac sono risultati ugualmente efficaci nel ridurre i sintomi della depressione.44 Come si vede nel box di pagina 336, i risultati possono essere limitati, ma quantomeno, in termini di effetti collaterali, lo zafferano è più sicuro. Ad esempio, il 20% dei soggetti appartenenti al gruppo sotto Prozac soffriva di disfunzioni sessuali, piuttosto comuni quando si prendono farmaci antidepressivi, mentre il gruppo che assumeva zafferano non ne soffriva.
Tuttavia, questa spezia potrebbe essere uno di quei rari casi in cui il rimedio naturale è più costoso del farmaco: è infatti la spezia più cara al mondo. Viene prodotta con i fiori di un croco da cui si prelevano gli stigmi essiccati (i filamenti sottili posti dentro la corolla), che vengono poi macinati per preparare la spezia. Per ottenere 450 grammi di zafferano ci vogliono oltre cinquantamila crochi, ossia quanti ne servono per coprire un campo da football.45
L’equivalente in zafferano di una dose di Prozac può costare il doppio del farmaco, ma uno studio successivo ha scoperto che anche solo odorare la spezia aveva effetti psicologici positivi. Sebbene i ricercatori l’avessero diluita così tanto che i soggetti non riuscivano a sentirne l’odore, hanno riscontrato un significativo calo degli ormoni dello stress nelle donne che avevano annusato lo zafferano per venti minuti rispetto a quelle che avevano passato venti minuti a odorare un placebo, per non parlare del deciso miglioramento nei sintomi dell’ansia.46
Perciò, se vi sentite ansiosi, potreste annusare lo zafferano appena alzati, invece del caffè.
Caffè e aspartame
A proposito del fatto di alzarsi circondati da aromi piacevoli, una tazza di caffè può fare ben di più che dare una svegliata al cervello. I ricercatori dell’Università di Harvard hanno studiato i dati di tre studi di coorte su larga scala che hanno coinvolto oltre duecentomila donne e uomini americani. Hanno scoperto che chi beveva due o più tazze di caffè al giorno aveva circa la metà del rischio di suicidio rispetto a chi non le beveva.47 E se si assumessero più di quattro tazze al giorno? Uno studio della Kaiser Permanente condotto su oltre centomila persone ha scoperto che il rischio di suicidio continuava a calare man mano che aumentava la dose di caffè ingerita. Chi beveva più di sei tazze al giorno aveva l’80% in meno di probabilità di suicidarsi,48 anche se bere otto o più tazze al giorno è risultato associato a un aumento del rischio.49
Anche ciò che mettiamo nel caffè può fare la differenza. Lo studio NIH-AARP, che ha seguito centinaia di migliaia di americani per dieci anni, ha scoperto che il consumo abituale di bevande dolcificate può far aumentare il rischio di depressione tra gli anziani. Di fatto, aggiungere zucchero al caffè può annullare molti dei suoi effetti positivi sull’umore, e aggiungere dolcificanti artificiali come l’aspartame (che si trova in prodotti come il Misura) o la saccarina (contenuta nell’Hermesetas) è associato a un aumento del rischio di depressione.50
La controversia sugli effetti neurologici dell’aspartame è iniziata negli anni Ottanta.51 All’inizio, ci si preoccupava solamente di chi aveva già un disturbo mentale conclamato. Uno studio pioniere effettuato alla Case Western Reserve University è stato interrotto prima del previsto per ragioni di sicurezza, in quanto i soggetti con un passato di depressione sembravano reagire molto male al dolcificante. I ricercatori hanno concluso che «chi presenta disturbi dell’umore è particolarmente sensibile a questo edulcorante artificiale; il suo uso su larga scala andrebbe scoraggiato».52
Solo di recente sono stati studiati gli effetti neurocomportamentali dell’aspartame su una popolazione priva di disturbi mentali. Alcuni individui sani sono stati suddivisi in due gruppi: il primo ha ricevuto una dose più alta di aspartame (l’equivalente di quello contenuto in circa tre litri di Diet Coke) e l’altro una dose inferiore (l’equivalente di quello contenuto in un litro della stessa bibita). Poi i due gruppi si sono scambiati le parti.53 Tenete presente che la dieta ad alto contenuto di aspartame conteneva soltanto metà della dose giornaliera accettabile del prodotto, stabilita dalla Food and Drug Administration americana.54 Dopo soli otto giorni di dose massiccia, i partecipanti mostravano più segni di depressione e irritabilità e riuscivano peggio in certi test di funzionalità cerebrale.55 Perciò, non solo l’aspartame potrebbe causare effetti negativi sulla psiche di popolazioni sensibili, ma, in dosi sufficienti, può risultare pericoloso anche per il grande pubblico.
Tenersi alla larga dalle bibite dietetiche e dalle confezioni color pastello dei prodotti dimagranti è facile, ma i dolcificanti artificiali si trovano in oltre seimila prodotti,56 tra cui mentine, cereali per la colazione, gomme da masticare, marmellate e gelatine, succhi di frutta, budini e persino barrette energetiche e yogurt.57 Sono così diffusi che i ricercatori sono arrivati ad affermare che sia «impossibile evitare del tutto l’incontro quotidiano» con l’aspartame.58 Ma ovviamente questo vale solo per le persone che mangiano cibi lavorati ed è un’ulteriore ragione per passare un bel po’ di tempo nel settore ortofrutta del supermercato. Per i consumatori consapevoli, leggere l’elenco degli ingredienti è una priorità, ma i cibi più sani del supermercato non ce l’hanno.
ESERCIZIO FISICO CONTRO ANTIDEPRESSIVI
Da decenni sappiamo che persino una sola seduta di allenamento può migliorare l’umore59 e che l’attività fisica è associata a una diminuzione dei sintomi della depressione. Uno studio condotto su circa cinquemila americani, ad esempio, ha scoperto che coloro che facevano regolarmente esercizio avevano il 25% di probabilità in meno di vedersi diagnosticare una depressione grave.60
Ovviamente, studi del genere non indicano necessariamente che l’esercizio fisico sia in grado di diminuire la depressione, ma forse che quest’ultima è associata a un minore esercizio fisico. In altre parole, se siete depressi, potreste sentirvi troppo a pezzi per alzarvi dal letto e andare a fare una passeggiata. Ciò che occorreva per verificare questa teoria era uno studio interventistico in cui i soggetti depressi venissero suddivisi in maniera casuale (randomizzata) in due gruppi, uno sottoposto a esercizio fisico e l’altro no.
Ecco che cosa ha fatto un gruppo di ricercatori della Duke University: ha assegnato a uomini e donne depressi dai cinquant’anni in su il compito di iniziare una routine di esercizi aerobici oppure di assumere un antidepressivo a base di sertralina (Zoloft). Nel giro di quattro mesi, l’umore dei membri del gruppo che assumeva il farmaco era migliorato al punto che, in media, non erano più depressi. Ma lo stesso effetto drastico è stato riscontrato nel gruppo che faceva esercizio fisico, ossia nel gruppo che non assumeva farmaci. L’esercizio, a quanto pare, funziona tanto quanto le medicine.61
Proviamo per un momento a fare gli avvocati del diavolo: il gruppo di studio della Duke che non prendeva farmaci si incontrava tre volte alla settimana per fare ginnastica. Era stato forse lo stimolo sociale, invece dell’esercizio fisico, a migliorare il loro umore?
Tenendo a mente questa domanda, gli stessi ricercatori hanno successivamente condotto il più ampio studio basato sull’esercizio fisico mai condotto su pazienti depressi. Stavolta hanno aggiunto un terzo gruppo e, mentre il primo assumeva antidepressivi e il secondo praticava esercizio fisico collettivamente, il nuovo gruppo faceva ginnastica da solo a casa. I risultati? A prescindere dall’ambiente (che i soggetti si trovassero da soli o in gruppo), l’esercizio fisico agiva sulla remissione del disturbo quasi quanto le medicine.62
Quindi, invece di farvi prescrivere gli antidepressivi, chiedete al vostro medico una routine di esercizi quotidiani.
Antiossidanti e folati
Esistono prove sempre più numerose che i radicali liberi – quelle molecole estremamente instabili che provocano danni tessutali e favoriscono l’invecchiamento – possano svolgere un ruolo importante nello sviluppo di numerosi disturbi psichiatrici, tra cui la depressione.63 Le moderne tecniche di diagnostica per immagini confermano i risultati degli studi autoptici che mostrano una contrazione di alcuni centri emotivi nel cervello di pazienti depressi, verosimilmente dovuta alla morte di cellule nervose causata dai radicali liberi.64
Questo fenomeno può contribuire a spiegare perché coloro che mangiano più frutta e verdura, ricche di antiossidanti che annientano i radicali liberi, sembrino essere immuni dalla depressione. Uno studio svolto su quasi trecentomila canadesi ha rivelato che un maggior consumo di frutta e verdura era associato a un minor rischio di depressone, stress psicologico, ansia e disturbi dell’umore, e a un minore malessere soggettivo. I ricercatori sono giunti alla conclusione che mangiare frutta e verdura ricche di antiossidanti «può attenuare gli effetti nocivi dello stress ossidativo sulla salute mentale».65
Lo studio canadese era basato su questionari nei quali si chiedeva ai partecipanti di riferire quanta frutta e verdura assumessero, metodo che non sempre si dimostra accurato. Uno studio americano su vasta scala ha fatto un passo in più e ha misurato il livello di carotenoidi nel sangue. Tra questi fitonutrienti naturali vi sono alcuni dei pigmenti antiossidanti gialli, arancioni e rossi che si trovano in alcuni dei cibi più sani, tra cui le patate dolci e le verdure a foglia verde. Non solo le persone con maggiori livelli di questi principi nutritivi nel sangue correvano un rischio minore di manifestare sintomi di depressione, ma esisteva anche un’evidente «relazione dose-risposta», il che significa che a un maggiore livello di fitonutrienti corrispondeva una migliore condizione fisica.66
Tra i carotenoidi, il licopene (il pigmento rosso dei pomodori) è un attivissimo antiossidante. Uno studio condotto su circa mille uomini e donne anziani ha scoperto che coloro che mangiavano pomodori o prodotti a base di pomodoro tutti i giorni avevano la metà delle probabilità di soffrire di depressione rispetto a coloro che li mangiavano una volta alla settimana o più raramente.67
Se gli antiossidanti sono tanto utili, perché non possiamo limitarci ad assumerli in compresse? In realtà, solo le fonti alimentari di antiossidanti risultano svolgere una funzione protettiva contro la depressione. Il discorso non vale per gli integratori alimentari.68 Questo potrebbe indicare che la forma in cui assumiamo gli antiossidanti è cruciale perché questi manifestino i loro effetti positivi. Altrimenti, fungono da meri indicatori di altre componenti delle diete ricche di verdura, come l’acido folico.
L’acido folico è una vitamina del gruppo B che si trova ad alte concentrazioni nei legumi e nelle verdure. (Il suo nome deriva dal latino folium, che significa «foglia», perché all’inizio fu isolato negli spinaci.) I primi studi che hanno collegato la depressione a bassi livelli di acido folico nel sangue erano a cross-section, ossia costituivano semplici istantanee scattate in momenti diversi. Per questo motivo non si sapeva se una scarsa assunzione di acido folico conducesse alla depressione o se fosse la depressione a portare ad assumere poca vitamina.69 Tuttavia, studi più recenti nei quali i soggetti sono stati seguiti nel tempo suggeriscono che una limitata assunzione di acido folico con la dieta può addirittura triplicare il rischio di ammalarsi di depressione grave.70 Però, anche in questo caso, gli integratori di acido folico non sembrano essere d’aiuto.71
Gli ortaggi, compresi i pomodori ricchi di antiossidanti e le verdure a foglia verde ad alto contenuto di folati, fanno bene al corpo e alla mente.
GLI ANTIDEPRESSIVI FUNZIONANO DAVVERO?
Abbiamo visto che lo zafferano e l’esercizio fisico escono bene dal confronto con i farmaci nella cura della depressione, ma che cosa vuol dire esattamente? Migliaia di studi pubblicati hanno dimostrato che gli antidepressivi sono efficaci.72 La parola chiave, tuttavia, potrebbe essere «pubblicati». E se le case farmaceutiche avessero deciso di rendere pubbliche solo le ricerche che dimostravano un effetto positivo ma avessero tenuto nascosto qualunque studio mostrasse che le medicine non funzionavano? Per scoprire se le cose stavano in questo modo, i ricercatori americani si sono rivolti alla Food and Drug Administration ai sensi del Freedom of Information Act (FOIA) per avere accesso sia agli studi editi, sia a quelli inediti consegnati dalle case farmaceutiche. Hanno fatto scoperte agghiaccianti.
Stando alle ricerche pubblicate, i risultati di quasi tutti i trial sugli antidepressivi erano positivi. Al contrario, l’analisi condotta dall’FDA sui dati degli studi, compresi quelli inediti, ha dimostrato che circa la metà dei trial dimostravano che i farmaci dopotutto non funzionavano. Combinando tutti i dati degli studi pubblicati e inediti, emergeva che gli antidepressivi non dimostravano di avere un effetto clinicamente migliore delle pillole di zucchero del placebo.73 Ciò indica che è l’effetto placebo a spiegare la presunta efficacia clinica degli antidepressivi. In altre parole, il miglioramento dell’umore può essere il risultato della fiducia del paziente nel potere del farmaco, non del farmaco in sé.74
Peggio ancora, i documenti del FOIA hanno rivelato che l’FDA sapeva che quei medicinali, come la paroxetina e la fluoxetina, non erano più efficaci del placebo, eppure aveva deciso di proteggere le case farmaceutiche tenendo nascosta questa informazione al pubblico e ai medici.75 Come hanno fatto a cavarsela? L’industria farmaceutica è considerata una delle più proficue e politicamente influenti degli Stati Uniti, e la malattia mentale è una gallina dalle uova d’oro: è cronica, diffusa e spesso curata con una combinazione di farmaci diversi.76 A tutt’oggi, gli antidepressivi vengono prescritti a oltre l’8% della popolazione americana.77
Il fatto che questi farmaci possano non funzionare meglio del placebo non significa che non funzionino affatto. Gli antidepressivi spesso risultano assai benefici per milioni di persone che soffrono di questa patologia. E anche se l’effetto placebo esiste ed è potente, a quanto pare gli antidepressivi sono più efficaci delle pillole di zucchero nel diminuire i sintomi dei pazienti gravemente depressi, che potrebbero essere circa il 10% del totale (questo, però, significa anche che circa il 90% dei pazienti depressi può vedersi prescrivere farmaci traendone vantaggi trascurabili).78
Se da un lato i medici sono disposti a curare i pazienti con il placebo, dall’altro c’è chi sostiene che farebbero meglio a mentire e a somministrare ai malati pillole di zucchero:79 a differenza dei farmaci, non hanno effetti collaterali. Tanto per fare un esempio, gli antidepressivi provocano disfunzioni sessuali in circa tre quarti dei pazienti, ma sul lungo periodo possono anche verificarsi aumento di peso e insonnia. E circa una persona su cinque ha sintomi di astinenza quando cerca di smettere.80
L’aspetto forse più drammatico è che gli antidepressivi possono rendere chi li assume più incline a soffrire di depressione in futuro. Alcuni studi dimostrano che i pazienti hanno maggiori probabilità di ricadere nella depressione dopo una cura con antidepressivi che dopo altri tipi di terapie, placebo compreso.81 Quindi, sebbene anche l’influenza positiva dell’esercizio fisico sull’umore sia un effetto placebo, quantomeno offre vantaggi ma è priva di rischi.
Se ci limitiamo a leggere le aride statistiche contenute in qualunque studio è difficile cogliere la sofferenza delle persone. Osservare un grafico nel quale il livello di depressione diminuisce per qualche centinaio di persone non mi colpisce nello stesso modo viscerale quanto trovare nella posta in arrivo l’email di una sola persona che racconta la propria storia di rinascita fisica ed emotiva.
Non molto tempo fa, una donna sulla quarantina mi ha scritto della sua battaglia contro la depressione. Shay si era sempre attenuta alla classica dieta americana. Negli ultimi anni aveva sofferto di forti emicranie, grave costipazione, mestruazioni dolorose e irregolari. Nel frattempo, la sua depressione era talmente peggiorata che non aveva più potuto andare al lavoro. Poi ha scoperto il mio sito e ha iniziato a studiare l’alimentazione. Ben presto si è resa conto che molto probabilmente nei suoi problemi di salute, e nella sua infelicità, entrava in gioco anche la dieta classica occidentale e ha iniziato a guardare assiduamente i video di NutritionFacts.org.
Shay ha deciso di passare a una dieta basata su alimenti integrali e vegetali. Ha smesso di mangiare prodotti di origine animale e cibo spazzatura e ha aumentato di molto il consumo di frutta e verdura. Dopo quattro settimane aveva già più energia e la defecazione era diventata meno dolorosa. Nel giro di sette mesi liberava l’intestino senza difficoltà, le emicranie che una volta la paralizzavano erano scomparse, i cicli mestruali erano più regolari, meno dolorosi e più brevi e la depressione se n’era andata. Solo pochi mesi prima, Shay stava così male che non riusciva ad alzarsi dal letto al mattino, ma avendo migliorato la sua alimentazione, adesso è molto più in forma, sia dal punto di vista fisico sia da quello mentale.
Il caso di Shay è un ottimo esempio di ciò che è in grado di fare una dieta sana.