CAPITOLO 13
COME NON MORIRE DI TUMORE ALLA PROSTATA

Quando Tony, lettore assiduo di NutritionFacts.org, ha saputo che stavo scrivendo questo libro, mi ha chiesto di raccontare la sua storia nella speranza di aiutare altri uomini a evitare quello che è capitato a lui. Era un felice padre di famiglia, faceva l’ingegnere e si autodefiniva un fanatico del benessere; cercava di basare sempre le proprie scelte sul rispetto del corpo e aveva la fortuna di discendere da antenati longevi e sani. Inoltre, andava regolarmente a correre, aveva sempre avuto un ottimo peso forma e si asteneva da fumo, alcol e droghe. Negli anni Ottanta, seguendo le raccomandazioni dell’USDA, il Dipartimento dell’agricoltura americano, aveva convinto la propria famiglia a passare dal latte intero a quello scremato e a sostituire la carne di manzo con pesce e pollo, tanto pollo.

Tony era uno di quei pazienti di cui i medici adorano prendersi cura, uno di quelli che dicono: «Che altro posso fare per stare ancora meglio?» Perciò nessuno rimase più sorpreso di lui quando, a poco più di cinquant’anni, gli fu diagnosticato un aggressivo cancro alla prostata. Si fece curare in un centro medico rinomato a livello mondiale e si sottopose a una prostatectomia radicale, che riuscì a eliminare il tumore, ma condannò Tony ad affrontare giorno dopo giorno le conseguenze dell’intervento chirurgico, ossia perdite urinarie e una disfunzione erettile.

Secondo Tony, sarebbe stato bello sapere che, all’interno dell’USDA, esistevano conflitti d’interesse (esposti nel capitolo 5) che hanno influito sulla capacità di questo dipartimento di dare consigli per il bene della popolazione a prescindere da ciò che affermava l’industria alimentare.

Alla fine, Tony ha scoperto la serie di ricerche che vi presenterò in questo capitolo e, essendo un uomo di scienza, ha subito capito che una dieta sana può migliorare la salute maschile. Negli ultimi anni ha seguito una dieta a base di cibi di origine vegetale, mangia semi di lino tutti i giorni e non ha avuto recidive del tumore. Come spiegherò più avanti, è stato dimostrato che lo stesso regime alimentare in grado di prevenire il cancro alla prostata può rallentarne e persino invertirne il decorso nei pazienti cui è stato diagnosticato. Perciò io e Tony ci auguriamo che questo capitolo vi aiuti a comprendere l’importanza di un’alimentazione sana per avere una prostata sana.

La prostata è una ghiandola delle dimensioni di una noce, situata fra la vescica e la base del pene, proprio davanti al retto. Circonda l’uretra, ossia il condotto di uscita dalla vescica, e secerne la parte fluida dello sperma. Proprio come il tessuto ghiandolare del seno, anche quello della prostata può diventare canceroso.

Gli studi autoptici dimostrano che circa la metà degli uomini sopra gli ottant’anni ha il cancro alla prostata.1 La maggior parte muore senza nemmeno sapere di averlo. Questo è il problema quando si dà troppa enfasi allo screening: anche se non fossero stati scoperti, molti dei tumori alla prostata che vengono rilevati non avrebbero causato alcun danno.2 Purtroppo non tutti gli uomini sono così fortunati: negli Stati Uniti, ogni anno sono quasi 28.000 i morti di cancro alla prostata.3

 

Latte e tumore alla prostata

Da quando, nel 1983, il Dairy and Tobacco Adjustment Act americano diede vita al National Dairy Promotion & Research Board (Consiglio nazionale per la promozione e la ricerca sui latticini), questo ente ha speso più di un miliardo di dollari in pubblicità. Oggi gli statunitensi conoscono i suoi slogan a memoria, come «Il latte è tutta natura». Ma è proprio vero? Pensateci: gli esseri umani sono l’unica specie che beve latte dopo lo svezzamento. Senza contare che è un po’ innaturale bere il latte di un’altra specie.

E che ne dite di «Il latte fa un sacco di bene»? Tutti gli alimenti di origine animale contengono ormoni sessuali steroidei, come gli estrogeni, ma le vacche da latte geneticamente «migliorate» di oggi vengono munte anche durante le gravidanze, quando la quantità di ormoni riproduttivi è particolarmente alta.4 Tali ormoni, che in natura si trovano anche nel latte biologico, possono svolgere un ruolo importante nelle varie relazioni individuate tra il latte (e altri prodotti caseari) e certi problemi di origine ormonale, tra cui l’acne,5 la diminuzione della capacità riproduttiva maschile6 e la pubertà precoce.7 La presenza di ormoni nel latte può spiegare come mai le donne che lo bevono hanno un tasso di parti gemellari pari a cinque volte quello delle donne che non lo assumono.8 Nel caso del cancro, però, il problema più grave potrebbe essere legato agli ormoni della crescita.9

Madre natura ha fatto sì che il latte di mucca permetta a un vitellino di prendere qualche centinaio di chili nel giro di pochi mesi. L’esposizione umana a questi fattori di crescita del latte per tutta la vita può spiegare la relazione individuata tra il consumo di latticini e certi tipi di cancro.10 Gli esperti di nutrizione dell’Università di Harvard hanno espresso il timore che gli ormoni contenuti nei latticini e altri fattori di crescita possano stimolare lo sviluppo di tumori ormono-sensibili.11 I dati sperimentali suggeriscono che i latticini possono anche favorire la trasformazione delle lesioni pretumorali o delle cellule mutate in tumori invasivi.12

Inizialmente, le preoccupazioni relative a latte e latticini sono sorte a causa di certi dati raccolti a livello di popolazione, i quali indicavano un aumento di venticinque volte del cancro alla prostata negli uomini giapponesi dopo la seconda guerra mondiale, che ha coinciso con un aumento di sette volte nel consumo di uova, di nove volte in quello di carne e di venti nei latticini.13 Anche se per il resto la dieta nipponica era rimasta relativamente stabile e tendenze simili sono state rilevate in altri Paesi,14 la società giapponese aveva subito enormi cambiamenti, a parte l’aumento nel consumo di prodotti di origine animale, che potevano aver contribuito all’incremento del tasso di insorgenza dei tumori. Perciò gli scienziati hanno esaminato meglio la questione.

Per controllare quante più variabili possibile, i ricercatori hanno progettato un esperimento in cui versavano gocce di latte su cellule umane prostatiche cancerose in una piastra di Petri. Hanno usato latte biologico per escludere qualunque effetto dovuto agli ormoni aggiuntivi, come quello bovino della crescita, che in genere viene iniettato alle mucche allevate in modo tradizionale per aumentare la produzione di latte.15 I ricercatori hanno scoperto che il latte di mucca stimolava la crescita delle cellule prostatiche cancerose in tutti i quattordici esperimenti condotti separatamente, producendo un aumento medio del tasso di crescita tumorale di oltre il 30%. Il latte di mandorla, invece, abbatteva la crescita delle cellule tumorali di oltre il 30%.16

Quello che accade in una piastra di Petri, però, non succede necessariamente anche alle persone. Ciononostante, una serie di studi caso-controllo è giunta alla conclusione che il consumo di latte vaccino è un fattore di rischio per il tumore alla prostata,17 e lo stesso risultato è emerso dagli studi di coorte.18 Una meta-analisi del 2015 ha rivelato che la massiccia assunzione di latticini (latte, latte scremato e formaggi; sono escluse le fonti di calcio diverse dai latticini) pareva determinare un aumento del rischio totale di tumore alla prostata.19

Ma, vi chiederete, se non bevete latte, che ne sarà delle vostre ossa? Non è forse vero che il latte aiuta a prevenire l’osteoporosi? È emerso che in realtà i vantaggi decantati potrebbero essere solo l’ennesimo espediente di marketing. Una meta-analisi degli studi sul rapporto tra assunzione di latte vaccino e fratture dell’anca non evidenzia alcuna azione protettiva.20 Anche se cominciaste a bere latte da adolescenti allo scopo di aumentare il picco di densità ossea, probabilmente il rischio di eventuali fratture negli anni a venire non diminuirebbe.21 Una serie di studi recenti, che hanno coinvolto centomila uomini e donne seguiti per un tempo massimo di vent’anni, ha addirittura suggerito che il latte potrebbe far aumentare il tasso di fratture ossee e dell’anca.22

Alcuni bambini nascono con un raro difetto congenito che si chiama galattosemia, che comporta l’assenza degli enzimi necessari per depurare il galattosio, un tipo di zucchero che si trova nel latte. Ciò significa che questi malati finiscono per avere elevati livelli di galattosio nel sangue, i quali possono causare perdita ossea.23 Un gruppo di ricercatori svedesi ha dimostrato che anche nelle persone normali, in grado di detossificare questa sostanza, il fatto di assumere galattosio con il latte ogni giorno può non essere positivo per le ossa.24 E il galattosio potrebbe far male anche in altro modo. Gli scienziati infatti lo usano per indurre l’invecchiamento precoce sulle cavie da laboratorio. Quando gliene allungano un po’, «gli animali con una ridotta aspettativa di vita mostrano segni di neurodegenerazione, ritardo mentale e disfunzioni cognitive [...] calo della risposta immunitaria e riduzione della capacità riproduttiva».25 E non ne occorre molto, basta l’equivalente umano di uno o due bicchieri di latte al giorno.26

Tuttavia, dal momento che le persone non sono roditori, i ricercatori hanno studiato il rapporto tra assunzione di latte e mortalità, e tra assunzione di latte e rischio di fratture in una vasta popolazione di bevitori di latte.27 Oltre ad aver rilevato più fratture alle ossa e all’anca, i ricercatori hanno registrato tassi più elevati di morti premature, un maggior numero di malattie cardiache e un aumento significativo dei tumori per ciascun bicchiere giornaliero di latte somministrato alle donne. Tre bicchieri al giorno era la dose associata a un rischio quasi doppio di morte prematura.28 Anche gli uomini che assumevano più latte avevano un tasso di mortalità più alto, ma non presentavano una maggiore incidenza di fratture.29

Nel complesso, lo studio mostrava un più alto tasso di mortalità dose-dipendente (sia negli uomini che nelle donne) e di fratture (nelle donne), ma nel caso di altri latticini come il latte acido e lo yogurt accadeva il contrario, il che è coerente con la teoria del galattosio, perché i batteri di questi alimenti possono eliminare parte del lattosio attraverso la fermentazione.30

L’editoriale che accompagnava lo studio pubblicato sulla rivista medica sottolineava che, dato l’aumento del consumo di latte nel mondo, «è più che mai necessario stabilire in via definitiva quale sia il ruolo del latte rispetto alla mortalità».31

 

Uova, colina e tumori

Più di due milioni di americani convivono oggi con il cancro alla prostata, ma vivere con un tumore è meglio che morirne. Se viene individuato quando è ancora localizzato all’interno della prostata, le possibilità che vi uccida nei prossimi cinque anni sono praticamente nulle. Tuttavia, se si diffonde a sufficienza, le vostre probabilità di sopravvivere per cinque anni possono scendere drasticamente a una su tre.32 Per questo motivo, gli scienziati cercano senza sosta di identificare i fattori coinvolti nella diffusione del tumore alla prostata dopo la sua comparsa.

Nella speranza di scoprire i possibili colpevoli, i ricercatori dell’Università di Harvard hanno reclutato oltre mille uomini con un cancro alla prostata in fase iniziale e li hanno seguiti per diversi anni. In confronto agli uomini che mangiavano uova solo di rado, coloro che ne mangiavano anche meno di uno al giorno mostravano un rischio doppio di progressione del tumore, ad esempio le metastasi alle ossa. L’unico alimento potenzialmente peggiore delle uova per questo tipo di cancro era il pollame: gli uomini con tumori più aggressivi che mangiavano regolarmente pollo e tacchino correvano fino a quattro volte il rischio che la malattia progredisse.33

I ricercatori hanno suggerito che il legame tra il consumo di pollame e l’avanzamento del tumore possa essere dovuto alle sostanze cancerogene contenute nella carne cotta (come le ammine eterocicliche di cui abbiamo parlato nel capitolo 11). Per ragioni ignote, queste sostanze si depositano nei muscoli di polli e tacchini più che in quelli di altri animali.34

Ma qual è la sostanza cancerogena presente nelle uova? In che modo il fatto di mangiare meno di un uovo al giorno può raddoppiare il rischio di diffusione del tumore? La risposta potrebbe essere la colina, un componente che si trova ad alta concentrazione nelle uova.35

Alti livelli di colina nel sangue sono innanzitutto associati a un maggior rischio di cancro alla prostata.36 Ciò potrebbe spiegare il legame tra le uova e la progressione del tumore.37 E per quanto riguarda la mortalità? In uno studio intitolato Choline Intake and Risk of Lethal Prostate Cancer (Assunzione di colina e rischio di tumore alla prostata mortale) lo stesso gruppo di Harvard ha riportato che gli uomini che assumevano più colina dagli alimenti correvano anche un rischio maggiore di morire di cancro.38 Gli uomini che mangiano due uova e mezzo o più alla settimana, in pratica un uovo ogni tre giorni, possono veder aumentare il rischio di morire di tumore alla prostata dell’81%.39 La colina delle uova, come la carnitina delle carni rosse, viene convertita in una tossina che si chiama trimetilammina40 dai batteri che si trovano negli intestini di chi mangia carne.41 E pare che la trimetilammina, una volta ossidata dal fegato, determini un aumento del rischio di insorgenza di infarto, ictus e morte prematura.42

Paradossalmente, la presenza di colina nelle uova è un fattore di cui le aziende produttrici statunitensi si fanno vanto, anche se la maggior parte degli americani ne assume già più che a sufficienza.43 Sappiate che i dirigenti di quelle aziende sanno benissimo che è legata al cancro. Grazie al Freedom of Information Act, ho potuto mettere le mani su un’email del direttore esecutivo dell’Egg Nutrition Board indirizzata a un collega del settore, nella quale veniva discusso lo studio di Harvard secondo cui la colina stimola la progressione dei tumori. «Vale senz’altro la pena di tenerlo a mente», scriveva, «mentre continuiamo a reclamizzare la colina come un’altra buona ragione per consumare uova».44

 

Dieta vs. esercizio fisico

Nathan Pritkin, che ha contribuito a scatenare una rivoluzione nella scienza dello stile di vita, e che ha salvato mia nonna, non era un nutrizionista o un dietologo. Non era nemmeno un medico: era un ingegnere. Quando intorno ai quarant’anni gli fu diagnosticata una cardiopatia, Pritkin esaminò tutti gli studi disponibili e decise di seguire la dieta dei popoli che abitavano luoghi come l’Africa rurale, dove quel tipo di malattie era raro. Era convinto che smettendo di seguire un’alimentazione che causava problemi cardiaci avrebbe potuto fermare l’avanzamento della malattia. Ma le sue scoperte furono ancora più rilevanti: non solo la malattia smise di peggiorare, ma Pritkin cominciò a recuperare.45 Dopodiché, aiutò altre migliaia di persone a fare la stessa cosa.

Dopo aver battuto il killer numero uno negli Stati Uniti, la cardiopatia, il dottor Dean Ornish e i ricercatori della Pritkin Research Foundation passarono al numero due, il cancro. Realizzarono una puntuale serie di esperimenti, facendo seguire ai soggetti diete diverse e poi versando gocce del loro sangue su cellule umane tumorali in una piastra di Petri. Quale sangue avrebbe fermato meglio degli altri la crescita del cancro?

La ricerca ha dimostrato che il sangue di persone scelte a caso tra coloro che seguivano una dieta vegetariana favoriva molto meno la crescita delle cellule cancerose rispetto a quello dei membri del gruppo di controllo, che aveva continuato a seguire l’alimentazione di sempre. Il sangue di chi segue la classica dieta americana riesce comunque a combattere i tumori (se così non fosse, molti statunitensi sarebbero già morti), ma è stato dimostrato che quello di chi segue una dieta vegetariana li combatte otto volte meglio.46

Il sangue degli uomini che seguivano la tipica alimentazione americana rallentava del 9% il tasso di crescita delle cellule del carcinoma prostatico. Però, somministrando agli stessi uomini una dieta vegetariana per un anno, il loro sangue sarà in grado di rallentarla del 70%, quasi otto volte il tasso di chi segue un menu a base di carne.47 Studi simili hanno dimostrato che le donne vegetariane riescono a rafforzare le difese contro il tumore al seno in soli quattordici giorni (per i dettagli, vedi il capitolo 11).48 È come se, dopo aver mangiato e vissuto in modo sano per due sole settimane, dentro di noi diventassimo persone completamente diverse.

Bisogna tenere presente che in tutti questi studi il rafforzamento delle difese antitumorali prevedeva dieta vegetariana ed esercizio fisico. Ad esempio, nello studio sul cancro al seno fu chiesto alle partecipanti di camminare dai trenta ai sessanta minuti al giorno. Come facciamo quindi a sapere che è stata la dieta a migliorare la capacità del loro sangue di arrestare la crescita del tumore? Per accertare quali fossero gli effetti della dieta e dell’esercizio fisico, un team di ricercatori dell’UCLA ha confrontato tre gruppi di uomini: il primo era vegetariano e faceva esercizio fisico, il secondo si dedicava solo alla ginnastica e quello di controllo era costituito da persone sedentarie che seguivano un’alimentazione standard.49

Il gruppo che si teneva a dieta e faceva esercizio aveva seguito una dieta a base di prodotti di origine vegetale per quattordici anni e faceva un’attività fisica moderata, ad esempio passeggiate quotidiane. Il gruppo che si dedicava all’attività fisica e seguiva la dieta americana standard aveva invece passato quindici anni ad allenarsi energicamente per un’ora al giorno in palestra almeno cinque volte alla settimana. I ricercatori volevano sapere se chi si esercitava in misura adeguata per un tempo sufficiente avrebbe sviluppato una capacità di combattere i tumori che tenesse testa a quella dei vegetariani che andavano a passeggio.50

Per scoprirlo, hanno versato su alcune cellule di carcinoma prostatico in una piastra di Petri qualche goccia del sangue dei membri di ciascuno dei tre gruppi, in modo da vedere quale fosse più in grado di tenere testa al tumore. Il sangue del gruppo di controllo non risultò completamente indifeso: anche se mangiate spesso patatine fritte e state sdraiati sul divano tutto il giorno, il vostro sangue potrebbe riuscire comunque a uccidere l’1-2% delle cellule cancerose. Ma quello di chi si era allenato duramente tutti i giorni per quindici anni è risultato in grado di uccidere il 2000% di cellule tumorali in più rispetto al gruppo di controllo. Un risultato eccezionale, ma il sangue dei vegetariani che facevano esercizio fisico spazzò via il 4000% di cellule cancerose in più rispetto al primo gruppo. Senz’altro l’esercizio aveva un effetto sorprendente, ma in realtà migliaia di ore in palestra non reggevano il confronto con la dieta vegetariana.51

 

È possibile guarire dal cancro alla prostata con la dieta?

Se una dieta sana può trasformare il vostro sangue in una macchina da guerra contro il cancro, che ne direste di usarla non solo per la prevenzione ma anche per la cura? Se altre importanti cause di morte come cardiopatie, diabete mellito di tipo 2 e ipertensione possono essere prevenute, bloccate e persino guarite, perché non il tumore?

Per rispondere a questa domanda, il dottor Ornish e i suoi colleghi hanno reclutato novantatré malati di tumore alla prostata che avevano scelto di non sottoporsi alle cure tradizionali. Questo tipo di tumore può avere una crescita così lenta e gli effetti collaterali delle cure possono essere così pesanti che gli uomini a cui viene diagnosticato spesso scelgono di essere inseriti in una categoria medica definita di «attesa vigile» o di «gestione dell’attesa». Dal momento che il passo successivo prevede spesso chemioterapia, radioterapia e/o un intervento chirurgico radicale che può lasciare incontinenti e impotenti, i dottori cercano di rimandare le cure il più possibile. E poiché questi pazienti non fanno niente di propositivo per curare la malattia, costituiscono il substrato ideale per studiare l’efficacia di eventuali cambiamenti nell’alimentazione e nello stile di vita.

I pazienti di tumore alla prostata sono stati così suddivisi casualmente in due gruppi: uno di controllo, che non ricevette consigli relativi alla dieta o allo stile di vita al di là di ciò che i loro medici curanti avevano consigliato, e un gruppo con uno stile di vita sano, al quale venne prescritta una dieta strettamente vegetariana a base di frutta, verdura, cereali integrali e legumi, oltre ad altri cambiamenti salutari, come camminare per trenta minuti sei giorni alla settimana.52

La progressione del tumore fu tracciata usando i livelli di PSA (antigene prostatico specifico), un marcatore della crescita del cancro alla prostata. Dopo un anno, i livelli di PSA del gruppo di controllo erano aumentati del 6%. Questo è ciò che il tumore tende a fare: cresce nel tempo. Ma all’interno del gruppo che faceva una vita sana, i livelli di PSA erano diminuiti del 4%, il che suggeriva una riduzione media dei tumori.53 Niente chirurgia, né chemioterapia, né radioterapia: solo un’alimentazione e uno stile di vita sani.

Le biopsie condotte prima e dopo il cambiamento di dieta e stile di vita hanno evidenziato un’influenza sull’espressione di oltre cinquecento geni. È stata una delle prime dimostrazioni del fatto che mangiare e vivere diversamente può influenzare l’organismo a livello genetico, determinando o meno l’attivazione di certi geni.54 Un anno dopo la fine dello studio, i tumori dei pazienti del gruppo di controllo erano cresciuti al punto che ben il 10% dovette sottoporsi a una prostatectomia radicale,55 un intervento che comprende la rimozione dell’intera ghiandola prostatica e dei tessuti circostanti. Questo trattamento può portare non solo all’incontinenza urinaria e all’impotenza, ma anche ad alterazioni della funzione orgasmica nell’80% circa degli uomini che vi si sottopongono.56 Al contrario, nessuno dei membri del gruppo che seguiva una dieta vegetariana e faceva esercizio è finito sul tavolo operatorio.

Come hanno fatto i ricercatori a convincere degli anziani a seguire una dieta sostanzialmente vegana per un anno? Chiaramente fornivano loro pasti pronti con consegna a domicilio.57 Credo che ritenessero gli uomini talmente pigri da mangiare qualunque cosa gli venisse messa di fronte, e avevano ragione!

Ma che cosa succede nel mondo reale? Rendendosi conto che a quanto pare i medici non riescono a convincere la maggior parte degli uomini malati di cancro nemmeno a mangiare cinque misere porzioni di frutta e verdura al giorno,58 un gruppo di ricercatori dell’università del Massachusetts ha deciso di limitarsi a intervenire sul rapporto A/V, ossia tra proteine animali e vegetali, nella loro dieta.59 Era possibile che per la remissione del tumore bastasse semplicemente ridurre l’apporto di carne e latticini e aumentare il consumo di prodotti verdi?

Per verificare l’ipotesi, i ricercatori hanno suddiviso in maniera casuale i pazienti di tumore alla prostata in due gruppi: il primo seguiva lezioni su come introdurre più frutta e verdura nell’alimentazione, il secondo veniva curato in modo convenzionale senza ricevere istruzioni sulla dieta. Il gruppo che riceveva consigli sul mangiar sano è riuscito a far diminuire il rapporto A/V fino a 1:1, ricavando metà delle proteine da fonti vegetali. Al contrario, il gruppo di controllo si è mantenuto su un rapporto fra proteine di origine animale/vegetale di 3:1.60

La crescita dei tumori in coloro che seguivano una dieta semivegana è stata rallentata. Il loro tempo medio di raddoppiamento del PSA, una stima della rapidità con cui il tumore può appunto raddoppiare, passò da ventuno a cinquantotto mesi.61 In altre parole, il cancro continuava a crescere, ma persino un’alimentazione parzialmente vegetariana sembrava in grado di rallentarne in modo significativo l’espansione. Vale la pena notare, però, che il dottor Ornish e i suoi colleghi sono riusciti a dimostrare che nutrirsi sempre con alimenti di origine vegetale consentiva un’inversione della crescita del tumore. I livelli di PSA dei soggetti non solo aumentavano più lentamente, ma tendevano a calare. Pertanto, il rapporto ideale fra proteine animali e vegetali è forse più vicino a 0:1.

 


E PEGGIORI A E LE MIGLIORI V

Che fare se il nonno non volesse saperne di diventare vegano e accettasse solo una via di mezzo? Quali cibi comparirebbero nella sua lista delle cose da evitare e da inserire nella dieta?

Secondo i dati dell’Università di Harvard riportati sopra, relativi alla progressione del cancro alla prostata e alla sua mortalità, le uova e il pollame sarebbero i nemici numero uno: mangiando meno di un uovo al giorno, i pazienti possono correre un rischio doppio di progressione del tumore, mentre il rischio può anche quadruplicare mangiando meno di una porzione di pollo o tacchino al giorno.62

Se c’è invece un alimento che dovreste aggiungere alla dieta, sono le crucifere. Meno di una porzione al giorno di broccoli, cavolini di Bruxelles, verza, cavolfiore o cavolo riccio può ridurre di oltre la metà il rischio di progressione del tumore.63

Tenere d’occhio il rapporto tra le proteine di origine animale e di origine vegetale che assumete può essere utile in generale per prevenire il cancro. Ad esempio, il più grande studio mai condotto sul rapporto tra alimentazione e tumore alla vescica, che ha coinvolto quasi 500.000 persone, ha scoperto che un aumento del consumo di proteine animali di appena il 3% era associato a un aumento del 15% del rischio di insorgenza di questo tipo di tumore. D’altra parte, un aumento nel consumo di proteine vegetali di appena il 2% determinava una diminuzione del 23% del rischio di cancro.64


 

I semi di lino

Le percentuali di diffusione del tumore alla prostata a livello mondiale variano in maniera considerevole. Gli afroamericani, ad esempio, possono avere un’incidenza di casi di cancro alla prostata rispettivamente 30 volte e 120 volte maggiore di quella dei giapponesi e dei cinesi. Questo divario è stato in parte attribuito alla maggiore quantità di proteine e grassi animali tipica della dieta occidentale.65 Un altro fattore da considerare, però, potrebbe essere la soia tanto utilizzata nell’alimentazione di molti Paesi asiatici, la quale contiene fitoestrogeni chiamati isoflavoni che svolgono una funzione protettiva.66

Come ho illustrato nel capitolo 11, l’altra grande classe di fitoestrogeni è quella dei lignani, che si trovano in tutto il mondo vegetale, ma in particolar modo nei semi di lino. Nei fluidi prostatici delle popolazioni maschili con tassi relativamente bassi di tumore alla prostata si trovano quantità maggiori di lignani,67 ed è stato dimostrato in laboratorio che queste sostanze rallentano la crescita delle cellule del carcinoma prostatico poste su una piastra di Petri.68

I ricercatori hanno deciso di mettere alla prova i lignani chiedendo a malati di tumore alla prostata che dovevano sottoporsi a un intervento di prostatectomia il mese successivo di consumare tre cucchiai al giorno di semi di lino. Dopo l’intervento, i loro carcinomi sono stati analizzati. In quelle poche settimane, l’assunzione di semi di lino aveva diminuito il tasso di proliferazione delle cellule tumorali, accelerandone invece il tempo di eliminazione.69

Notizia ancora migliore, i semi di lino potrebbero anche essere in grado di impedire al tumore alla prostata di raggiungere quello stadio. La neoplasia intraepiteliale prostatica (PIN) è una lesione precancerosa che si scopre attraverso la biopsia; è analoga al carcinoma duttale al seno. Chi ha una PIN corre un rischio maggiore, pari al 25-79%, che nelle biopsie successive venga rilevato un cancro.70 Dal momento che gli uomini vengono sottoposti regolarmente a biopsia per monitorare le loro condizioni, questa procedura rappresenta un’opportunità ideale per verificare se un cambiamento alimentare può impedire a tali lesioni di trasformarsi in cancro.

Dopo che le loro biopsie alla prostata si erano dimostrate per la prima volta positive alla PIN, a quindici uomini sono stati somministrati tre cucchiai di semi di lino al giorno nei sei mesi che li separavano dalla biopsia successiva. Dopo quel periodo, i soggetti mostrarono un calo significativo dei livelli di PSA e dei tassi di proliferazione cellulare, il che suggerisce che i semi di lino siano veramente in grado di ostacolare la progressione del tumore alla prostata. In due casi i livelli di PSA tornarono alla normalità, perciò non fu nemmeno necessario effettuare una seconda biopsia.71

Morale della favola: i dati suggeriscono che i semi di lino sono un alimento sicuro e a basso costo, e che possono ridurre il tasso di proliferazione tumorale.72 Perché non provarli? Se non li acquistate già premacinati, ricordatevi di macinarli, altrimenti attraversano il vostro organismo senza venire digeriti.

 

Ingrossamento della prostata

Se una dieta sana è in grado di rallentare la crescita abnorme delle cellule tumorali della prostata, può farlo anche con quelle sane? L’iperplasia prostatica benigna (BPH) è una patologia caratterizzata dall’ingrossamento della ghiandola prostatica. Negli Stati Uniti, la BPH colpisce milioni di uomini,73 addirittura la metà dei cinquantenni e l’80% degli ottantenni.74 Poiché la ghiandola prostatica circonda il condotto che fuoriesce dalla vescica, se diventa troppo grande può ostruire il normale flusso di urina. Questa ostruzione può rendere il flusso di urina debole o intermittente, impedendo alla vescica di svuotarsi come dovrebbe e imponendo frequenti visite al bagno. Senza contare che l’urina stagnante trattenuta nella vescica può diventare terreno di coltura per le infezioni.

Purtroppo, il problema non fa altro che peggiorare via via che la ghiandola ingrossa. Si spendono miliardi di dollari in farmaci e integratori, e milioni di americani si sono sottoposti a interventi chirurgici contro la BPH,75 tra cui diverse tecniche «idrauliche» dagli acronimi apparentemente innocui, come TUMT, TUNA e TURP. La T sta per transuretrale, il che significa entrare nel pene con uno strumento chiamato resettoscopio. La TUMT è la termoterapia transuretrale a microonde: i medici in sostanza risalgono all’interno del pene usando un strumento a forma di antenna e bruciano il tessuto prostatico in eccesso con le microonde.76 TUNA significa ablazione transuretrale con ago; in questo caso, si brucia una parte di tessuto con un paio di aghi riscaldati. E dire che sono definite tecniche poco invasive!77 La procedura standard più diffusa è la TURP, nella quale i chirurgi utilizzano un anello di filo metallico per asportare parti della prostata. Tra gli effetti collaterali vi può essere il «fastidio postoperatorio».78 Ma davvero?

Ci dev’essere una soluzione migliore.

La BPH è così diffusa che quasi tutti i medici ritengono sia una conseguenza inevitabile dell’età. Ma non è sempre stato così. Negli anni Venti e Trenta del Novecento, ad esempio, in Cina la facoltà di medicina di Pechino insegnava che la BPH colpiva non l’80% dei pazienti maschi, ma circa ottanta persone in totale nell’arco di oltre quindici anni. La rarità della BPH e del tumore alla prostata in Giappone e in Cina è stata attribuita alla dieta tradizionale di questi Paesi, basata su prodotti vegetali.79

La questione è stata studiata dagli stessi ricercatori della Pritikin Foundation che avevano messo alla prova l’efficacia del sangue dei soggetti prima e dopo una dieta a base di frutta e verdure contro la diffusione delle cellule del carcinoma prostatico. Stavolta condussero lo stesso esperimento su cellule prostatiche normali che si riproducono fino a ostruire il flusso di urina. Nel giro di due sole settimane, il sangue di quelli che seguivano un’alimentazione a base vegetale aveva acquisito anche la capacità di bloccare la crescita abnorme delle cellule prostatiche non tumorali, e l’effetto non svaniva nel tempo: il loro sangue, se la dieta veniva seguita sul lungo periodo, conservava gli stessi effetti benefici fino a ventotto anni di fila. Quindi pare che, fintanto che continuiamo a mangiare sano, il tasso di crescita delle cellule prostatiche continuerà a calare e a rimanere basso.80

Alcune piante possono essere particolarmente utili per la prostata. Le ricerche hanno rivelato che per curare la BPH è possibile utilizzare i semi di lino. Gli uomini che avevano assunto l’equivalente di tre cucchiai di semi di lino al giorno hanno sperimentato un sollievo paragonabile a quello offerto dai principi attivi comunemente prescritti per la patologia, come il tamsulosin o il finasteride,81 senza però gli effetti collaterali tipici di questi ultimi, come lo stordimento e la disfunzione erettile.

Ma è possibile prevenire la BPH? È stato dimostrato che l’assunzione di aglio e cipolle è associata a un rischio significativamente inferiore di questa patologia.82 In generale, le verdure cotte sono più efficaci di quelle crude, ma anche i legumi (fagioli, ceci, piselli spezzati e lenticchie) sono stati associati a un rischio inferiore.83 La TVP, una proteina vegetale ristrutturata, è un prodotto a base di soia che viene spesso utilizzato nei condimenti per la pasta e il chili vegetariano: mi sento di raccomandare questo TVP rispetto all’acronimo che si usa in urologia, che sta per «vaporizzazione transuretrale della prostata».84

L’IGF-1

Perché gli ultracentenari riescono a sfuggire al cancro? Via via che invecchiamo, il rischio di ammalarsi di tumore e morirne aumenta ogni anno fino agli ottantacinque o novanta, quando, e la cosa è molto interessante, il rischio di cancro inizia a diminuire.85 In pratica, se non vi ammalate di tumore entro una certa età, potreste non esserne mai colpiti. Qual è il fattore che spiega questa relativa resistenza alla malattia nei centenari? Potrebbe trattarsi di un ormone della crescita che tende a favorire il cancro, ossia il fattore di crescita insulino simile 1 (IGF-1).86

Ogni anno siete come nuovi: create e distruggete quasi l’equivalente del vostro peso in cellule. Ogni giorno muoiono circa cinquanta miliardi di cellule e altrettante ne nascono per mantenere l’equilibrio.87 Ovviamente ci sono momenti in cui si deve crescere, come da neonati o durante la pubertà. Con l’età, le cellule non diventano più grandi, ma semplicemente più numerose: un adulto può avere circa quaranta trilioni di cellule, quattro volte quelle di un bambino.

Una volta superata la pubertà, non avete più bisogno di produrre molte più cellule di quelle che mandate in pensione. Anche se, ovviamente, è ancora necessario che le vostre cellule crescano e si dividano: via le vecchie, avanti le nuove. È solo che non dovete produrre più cellule di quelle che mettete a riposo. Negli adulti, infatti, un’eccessiva crescita cellulare può determinare lo sviluppo di tumori.

Come fa il vostro corpo a mantenere l’equilibrio? Invia a tutte le cellule segnali chimici chiamati ormoni. Tra i più importanti vi è l’ormone della crescita IGF-1. Sembra un droide di Star Wars, ma in realtà l’IGF-1 è un fattore cruciale per regolare la crescita cellulare. I suoi livelli aumentano quando siete piccoli, per stimolare lo sviluppo, ma diminuiscono quando raggiungete l’età adulta. È il segnale che il corpo manda affinché l’organismo smetta di produrre più cellule di quelle che elimina.

Se però i livelli di IGF-1 rimangono troppo alti una volta che siete diventati adulti, le cellule riceveranno costantemente il messaggio di crescere, dividersi e continuare a riprodursi. Non sorprende quindi che, più IGF-1 avete nel sangue, maggiore è il rischio che insorgano tumori, come nel caso del cancro alla prostata.88

Esiste una rara forma di nanismo, chiamata sindrome di Laron, causata dall’incapacità dell’organismo di produrre IGF-1. I soggetti colpiti raggiungono un’altezza di poco superiore al metro, ma al tempo stesso non si ammalano quasi mai di cancro.89 Questa sindrome è una specie di mutazione genetica a prova di tumore, che ha portato gli scienziati a domandarsi: e se si potesse avere tutto l’IGF-1 che occorre da bambini per crescere fino a una statura normale, e poi abbassare la regolazione dell’ormone una volta adulti, spegnendo così i segnali che stimolano la crescita eccessiva? Be’, si è scoperto che è possibile farlo, non con interventi chirurgici o farmaci, ma grazie a semplici scelte alimentari.

Il rilascio dell’IGF-1 sembra essere scatenato dall’assunzione di proteine animali.90 Ciò potrebbe spiegare come mai è possibile aumentare tanto la capacità del sangue di combattere i tumori con una dieta a base vegetale nel giro di poche settimane. Ricordate gli esperimenti in cui gocce di sangue di persone che seguivano una dieta sana veniva versato su cellule cancerogene, spazzandone via un numero maggiore? Be’, se aggiungete nuovamente alle cellule malate la quantità di IGF-1 assente dall’organismo dei soggetti, indovinate che cosa succede? L’effetto benefico dato dalla dieta e dall’esercizio fisico scompare, e la crescita delle cellule tumorali riparte. È così che stando alla nostra ipotesi, un’alimentazione basata su frutta e verdura rafforza le difese del sangue: riducendo l’assunzione di proteine animali, abbassiamo i nostri livelli di IGF-1.91

Dopo aver ridotto le proteine animali per appena undici giorni, i livelli di IGF-1 calano del 20% e quelli della proteina legante dell’IGF-1 possono aumentare del 50%.92 Uno dei modi in cui il vostro corpo cerca di proteggersi dal cancro, ossia dalla crescita eccessiva, è rilasciare una proteina legante nel sangue per limitare l’IGF-1 in eccesso. È un po’ come il freno a mano del corpo. Anche se siete riusciti a diminuire la produzione del nuovo IGF-1 con l’alimentazione, che ne sarà di tutto quello in più che avete in circolo e che è stato prodotto dalle uova con pancetta di due settimane fa? Nessun problema: per aiutarvi a toglierlo dalla circolazione, il fegato rilascia una squadra di proteine leganti.

Fino a che punto la dieta deve essere incentrata su prodotti di origine vegetale per abbassare i livelli di IGF-1? Le proteine animali stimolano la produzione di questo ormone, sia che si tratti delle proteine della carne, di quelle dell’albume delle uova o di quelle del latte dei latticini. I vegetariani che mangiano anche uova e latticini non ottengono una riduzione significativa dell’IGF-1. Solo gli uomini93 e le donne94 che limitano l’assunzione di tutte le proteine animali sembrano riuscire a far calare in maniera rilevante i livelli dell’ormone che favorisce il tumore e ad aumentare quelli delle proteine leganti che svolgono una funzione protettiva.

 

Il cancro alla prostata non è inevitabile. Una volta ho tenuto una conferenza a Bellport, vicino a New York, sulla prevenzione delle malattie croniche tramite l’alimentazione, che ha spinto uno degli spettatori, John, a inviarmi un’email per raccontarmi della sua battaglia contro il tumore alla prostata. Gli è stato diagnosticato quando aveva cinquantadue anni e da allora John ha subito sei biopsie con agoaspirato, ognuna delle quali ha mostrato che il cancro era molto aggressivo. I medici gli hanno consigliato di operarsi subito per rimuovere la prostata.

Invece di andare sotto i ferri, John ha deciso di passare a una dieta basata su prodotti vegetali. Otto mesi dopo, si è sottoposto a un’altra biopsia: i medici sono rimasti sorpresi nello scoprire che era rimasto solo il 10% del tumore. Per di più, da allora i suoi valori di PSA sono perfettamente nella norma.

La diagnosi di John risale al 1996. Dopo aver cambiato alimentazione, il tumore se n’è andato e non è più tornato.

Ma John potrebbe aver avuto fortuna. Io non dico di ignorare i consigli dei medici. Ma comunque decidiate di intervenire insieme all’équipe medica che vi segue, un cambiamento di alimentazione e di stile di vita può soltanto farvi del bene. Questo è il bello di tale genere di interventi: possono essere portati avanti insieme a qualunque tipo di cura venga scelto. Nell’ambito di una ricerca, un abbinamento simile può solo complicare le cose, perché non si riesce a capire quale azione sia responsabile del miglioramento. Ma di fronte a una diagnosi di tumore, dovete cercare tutto l’aiuto possibile. Che i pazienti scelgano la chemioterapia, la chirurgia o la radioterapia, possono sempre migliorare la dieta. Un’alimentazione sana per la prostata è sana per il seno, è sana per il cuore, è sana per tutto l’organismo.