CAPITOLO 14
COME NON MORIRE DI MORBO DI PARKINSON

Negli anni Sessanta, in pieno movimento americano per i diritti civili, mio padre schivava le pallottole durante la rivolta di Brooklyn e scattava foto dall’angolatura giusta per catturare le migliori immagini di mia madre che veniva arrestata durante le proteste e trascinata via. La sua opera più famosa, una delle Foto dell’Anno del 1963 dell’«Esquire», ritraeva l’amico di famiglia Mineral Bramletter appeso in una posa simile a quella di Cristo fra due poliziotti bianchi, mentre un altro agente lo afferrava alla gola.

Fu un crudele scherzo del destino che un fotogiornalista celebre si ammalasse di una patologia che gli faceva tremare le mani. Per anni, mio padre soffrì di Parkinson. Poi, lentamente e molto dolorosamente, perse la capacità di prendersi cura di sé, di vivere la propria vita in modo anche solo vagamente simile a quello di prima. Fu costretto a letto e limitato in ogni aspetto.

Dopo sedici anni di lotta, entrò in ospedale per l’ultima volta. Come spesso accade con le malattie croniche, a una complicazione ne seguì un’altra. Prese la polmonite e trascorse le ultime settimane attaccato a un respiratore, in una dolorosa e prolungata agonia. Il periodo passato in quel letto di ospedale prima di morire fu il peggiore della sua vita, e anche della mia.

Gli ospedali sono posti terribili in cui stare e posti terribili per morire. Ecco perché dobbiamo prenderci cura di noi stessi.

Come dimostra la storia di mio padre, il Parkinson può finire male. È la seconda malattia neurodegenerativa più diffusa dopo l’Alzheimer. È una patologia invalidante che colpisce la rapidità, la qualità e la facilità di movimento. Tra i suoi sintomi caratteristici, che peggiorano con il progredire della malattia, vi sono il tremito alle mani, la rigidità delle membra, la compromissione dell’equilibrio e le difficoltà di deambulazione. Può colpire anche l’umore, il pensiero e il sonno, e al momento non è curabile.

La patologia è provocata dalla morte delle cellule nervose specializzate situate in una parte del cervello che controlla il movimento. Generalmente si presenta dopo i cinquant’anni. Il fatto di aver subito traumi cranici può aumentare il rischio di contrarla,1 e questo può spiegare il motivo per cui certi pugili pesi massimi, tra cui Muhammad Ali, e giocatori della National Football League americana, come Forrest Gregg, membro della Hall of Fame, ne siano stati colpiti. Tuttavia, vi sono maggiori probabilità di contrarre il morbo di Parkinson a causa delle sostanze inquinanti tossiche presenti nell’ambiente, che possono accumularsi negli alimenti e alla fine colpire il cervello.

La relazione del 2008-2009 del President’s Cancer Panel del National Cancer Institute americano ha analizzato il livello di diffusione delle sostanze chimiche industriali. Queste le sue conclusioni:

 

«Ancora prima di nascere, gli americani sono continuamente bombardati da una grande quantità di combinazioni di queste sostanze pericolose. Il Panel la invita caldamente, [signor Presidente,] a usare il potere conferitole dal suo ruolo per eliminare le sostanze cancerogene e tossiche dal nostro cibo, dall’acqua e dall’aria, dal momento che fanno aumentare inutilmente le spese per la salute, danneggiano la produttività della nazione e devastano la vita degli americani».2

 

Oltre a far aumentare il rischio di tumore, gli inquinanti di origine industriale potrebbero svolgere un ruolo importante nello sviluppo di malattie neurodegenerative come il Parkinson.3 E si tratta di tossine presenti nell’organismo di gran parte delle persone.

A intervalli di qualche anno i CDC misurano i livelli di inquinanti di origine chimica in migliaia di americani di tutto il Paese. In base ai risultati di questa agenzia, nell’organismo di gran parte delle donne statunitensi si trovano metalli pesanti e una serie di solventi tossici, sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino, particelle di materiali ignifughi, agenti chimici della plastica, policlorobifenili (PCB) e pesticidi vietati, come il DDT4 (la cui diffusione fu resa nota dalla biologa americana Rachel Carson nel bestseller del 1962 intitolato Primavera silenziosa).

In molti casi, il 99-100% delle donne esaminate aveva quantità rilevabili di queste sostanze inquinanti nel sangue. Nelle donne incinte vennero rilevati, in media, fino a cinquanta agenti chimici diversi.5 La presenza nel loro organismo di queste sostanze potenzialmente tossiche implicava la trasmissione ai figli? I ricercatori hanno deciso di verificarlo misurando il livello di inquinanti contenuti nel cordone ombelicale al momento del parto. (Non appena viene tagliato, è possibile estrarne un po’ di sangue e metterlo in una provetta.) Dopo aver analizzato più di trecento puerpere, i ricercatori hanno scoperto che il 95% dei cordoni ombelicali mostrava livelli rilevabili di DDT residuo,6 decenni dopo che quel pesticida era stato messo al bando.

E che dire degli uomini? Rispetto alle donne, gli uomini hanno in genere quantità maggiori di certi inquinanti. Un indizio per spiegare questo mistero è emerso quando è stata presa in esame la questione dell’allattamento. Le donne che non avevano mai allattato al seno presentavano lo stesso livello di certe sostanze tossiche degli uomini, ma quanto più a lungo avevano allattato i loro figli, tanto minori erano tali livelli, il che suggerisce che si siano disintossicate trasferendo gli inquinanti ai bambini.7

Pare che la quantità di certe sostanze tossiche nel sangue delle donne si dimezzi durante la gravidanza,8 in parte perché l’organismo le trasmette attraverso la placenta.9 Questo potrebbe spiegare perché la concentrazione di inquinanti nel latte materno risulti maggiore alla prima gravidanza che in quelle successive.10 E chiarire anche come mai l’ordine di nascita si sia rivelato un ottimo fattore predittivo dei livelli di inquinanti nei giovani. In sostanza, i primogeniti hanno probabilmente la precedenza sulla riserva di sostanze tossiche della madre, lasciandone di meno ai fratellini e alle sorelline.11

Inoltre, le mamme che a loro volta da piccole sono state allattate tendono ad avere maggiori livelli di inquinanti nel latte una volta cresciute, il che indica il passaggio plurigenerazionale di questi agenti chimici.12 In altre parole, ciò che mangiate oggi può influenzare la quantità di sostanze tossiche che i vostri nipoti erediteranno. Per quanto riguarda l’allattamento, il latte materno rimane il migliore, senza dubbio13, ma piuttosto che disintossicarci tramite i figli, dovremmo in primo luogo cercare di non intossicarci.

Nel 2012 i ricercatori della University of California Davis hanno pubblicato un’analisi del regime alimentare dei bambini californiani di età compresa fra i due e i sette anni. (Si ritiene che i bambini siano particolarmente vulnerabili alle sostanze chimiche presenti negli alimenti perché sono ancora in fase di crescita, e di conseguenza assumono più cibo e fluidi in rapporto al peso.) Le sostanze chimiche e i metalli pesanti derivati dal cibo e presenti nel loro organismo superavano effettivamente i limiti di sicurezza con un margine più ampio rispetto agli adulti. Gli indicatori del rischio di cancro erano maggiori di cento o più volte. In tutti i bambini presi in esame, l’arsenico, la dieldrina (un pesticida vietato) e certi sottoprodotti industriali altamente tossici chiamati diossine superavano i limiti consentiti. Anche il DDE, un sottoprodotto del DDT, raggiungeva livelli troppo elevati.14

Quali cibi fornivano la maggior quantità di metalli pesanti? La fonte numero uno di arsenico per i bambini dell’asilo era il pollame e, per i loro genitori, il tonno.15 E quella di piombo? I latticini. E di mercurio? Il pesce e i molluschi.16

I genitori preoccupati per il fatto che i vaccini contengono mercurio devono sapere che mangiare anche una sola porzione di pesce alla settimana durante la gravidanza può far sì che nell’organismo del bambino si accumuli più mercurio che sottoponendolo a una dozzina di vaccini contenenti tale sostanza.17 Dovete cercare di limitare il più possibile l’esposizione al mercurio, ma i benefici derivanti dalla vaccinazione superano di gran lunga i rischi. Il discorso, però, non vale per il tonno.18

In quali alimenti si trovano questi inquinanti? Oggi, la maggior parte del DDT viene dalla carne e soprattutto dal pesce.19 Gli oceani in pratica sono la fogna dell’umanità: tutto finisce in mare. Lo stesso vale per l’esposizione ai PCB, un’altra serie di sostanze chimiche vietate, una volta ampiamente utilizzate come fluido isolante nelle apparecchiature elettriche. Uno studio condotto su oltre 12.000 cibi e campioni di alimenti in diciotto Paesi ha dimostrato che quelli più contaminati da PCB erano il pesce e l’olio di pesce, seguiti dalle uova, dai latticini e poi dalla carne. I livelli più bassi di contaminazione si trovavano in fondo alla catena alimentare, nelle piante.20

L’esaclorobenzene, un altro pesticida messo al bando quasi mezzo secolo fa, oggi si trova nei latticini, nella carne e nel pesce.21 I perfluorinati o PFC? Si trovano soprattutto in pesce e carne.22 Quanto alle diossine, negli Stati Uniti la fonte più concentrata potrebbe essere il burro, seguito dalle uova e poi dalla carne lavorata.23 La quantità presente nelle uova potrebbe spiegare come mai uno studio abbia rilevato che coloro che mangiavano più di mezzo uovo al giorno avevano probabilità da doppie a triple di ammalarsi di cancro alla bocca, al colon, alla vescica, alla prostata e al seno rispetto a chi non mangiava uova.24

Se le donne volessero seguire una dieta disintossicante prima del concepimento, quanto tempo impiegherebbero a liberarsi dagli inquinanti? Per scoprirlo, i ricercatori hanno chiesto ai soggetti di mangiare una porzione abbondante alla settimana di tonno o di altro pesce ad alto contenuto di mercurio per quattordici settimane, in modo da aumentare il livello di metalli pesanti, e poi di smettere. Misurando la velocità alla quale la quantità di mercurio nel sangue calava, gli scienziati sono riusciti a calcolare l’emivita del mercurio nell’organismo.25 I soggetti riuscirono a eliminare metà del mercurio nel giro di due mesi. Questo risultato suggerisce che, trascorso un anno senza assumere pesce, il corpo può liberarsi del 99% di tale metallo pesante. Purtroppo altri inquinanti di origine industriale presenti nel pesce possono richiedere più tempo per essere eliminati; l’emivita di certe diossine, PCB e sottoprodotti del DDT presenti nel pesce è di ben dieci anni.26 Quindi per eliminarne il 99% potrebbe volerci più di un secolo, un tempo di attesa troppo lungo per un figlio, no?

A questo punto probabilmente vi starete chiedendo come fanno questi agenti chimici a penetrare negli alimenti. Una delle ragioni è che abbiamo inquinato il nostro pianeta in modo così profondo che queste sostanze possono addirittura scendere con la pioggia. Ad esempio, sulle cime innevate del Rocky Mountain National Park in Colorado gli scienziati hanno individuato otto pesticidi diversi.27 Una volta che gli inquinanti entrano nel suolo, possono risalire la catena alimentare in concentrazioni sempre più elevate. Tenete presente che, prima di essere macellata, una mucca da latte può mangiare fino a 34.000 chili di vegetali. Le eventuali sostanze chimiche presenti nelle piante vengono così immagazzinate nel suo tessuto adiposo e si accumulano nell’organismo. Perciò, quanto a pesticidi e inquinanti liposolubili, ogni volta che mangiate un hamburger state di fatto ingerendo tutto ciò che è stato mangiato dalla mucca. Il modo migliore di limitare al massimo l’esposizione alle sostanze tossiche di origine industriale potrebbe essere scegliere di nutrirvi con alimenti che si trovano al livello più basso della catena alimentare, ossia seguire una dieta basata su prodotti vegetali.

 


RIDURRE L’ASSUNZIONE DI DIOSSINA

Le diossine sono sostanze altamente tossiche che si accumulano nel tessuto adiposo degli animali, al punto che il 95% della quantità rilevata negli esseri umani deriva dal consumo di prodotti che hanno questa origine.28 Talvolta ciò accade perché i mangimi sono contaminati. Negli anni Novanta, ad esempio, un’indagine condotta nei supermercati ha rilevato che la maggiore concentrazione di diossine si trovava nel pesce gatto di allevamento.29 A quanto pare, i pesci venivano nutriti con un mangime mischiato a un agente antiagglomerante corretto con diossine e proveniente da fanghi di depurazione.30

Lo stesso mangime era stato dato ai polli, inquinando all’incirca il 5% della produzione statunitense dell’epoca.31 Ciò significa che la gente ha mangiato centinaia di milioni di polli contaminati.32 Ovviamente, se le diossine erano nel pollame, erano anche nelle uova, e in effetti in queste ultime sono state riscontrate alte concentrazioni di diossine.33 Il Dipartimento dell’agricoltura statunitense ha stimato che a essere contaminato fosse stato meno dell’1% del mangime, ma l’1% della produzione di uova significa oltre un milione di uova inquinate al giorno. E la contaminazione del pesce gatto era ancora più diffusa: oltre un terzo dei pesci gatto americani di allevamento analizzati conteneva diossine.34

Nel 1997 la Food and Drug Administration ha esortato i produttori di mangime a smettere di utilizzare ingredienti inquinati da diossine, affermando che «l’esposizione continuata a elevati livelli di diossine nel mangime animale fa aumentare il rischio di effetti nocivi per la salute degli animali e degli esseri umani che consumano prodotti di origine animale.»35 L’industria dei mangimi ha forse ripulito la propria attività? Gli allevamenti hanno continuato a produrre fino a 250 milioni di chilogrammi di pesce gatto all’anno,36 ma il governo ha pensato di verificare il rispetto della normativa solamente più di dieci anni dopo. I ricercatori del Dipartimento dell’agricoltura hanno analizzato campioni di pesce gatto provenienti da tutto il Paese e nel 2013 hanno riferito che il 96% di questi conteneva diossine o composti simili. E che cosa è successo quando hanno esaminato il mangime usato per allevare i pesci? È emerso che oltre la metà dei campioni era contaminata.37

In altre parole, l’industria dei mangimi sapeva da oltre vent’anni che il cibo con cui nutriva gli animali (e, in definitiva, gran parte di noi38) poteva contenere diossine, ma a quanto pare ha continuato a somministrarglielo indisturbata.

La National Academy of Medicine americana suggerisce vari modi per ridurre l’esposizione alla diossina, come ad esempio eliminare il grasso di carne, pollame e pesce ed evitare di utilizzarlo in sughi e salse.39 Non sarebbe più prudente limitarsi invece a eliminare i cibi di origine animale dalla nostra dieta? I ricercatori hanno stimato che una dieta basata su prodotti vegetali potrebbe eliminare il 98% circa dell’apporto di diossina.40


 

Fumo e morbo di Parkinson

Nel 2014 il CDC ha festeggiato il cinquantesimo anniversario dell’importante rapporto del direttore generale della Sanità sul fumo, considerato uno dei maggiori risultati del nostro tempo nel campo della salute pubblica.41 Fare un passo indietro e analizzare le reazioni dell’industria del tabacco di fronte a tale rapporto è un’esperienza interessante. Uno dei suoi esponenti, ad esempio, affermò che, contrariamente alla tesi del direttore della Sanità secondo la quale il fumo costava miliardi agli Stati Uniti, «fumare fa risparmiare denaro al Paese in quanto fa aumentare il numero di persone che muoiono subito dopo il pensionamento».42 Insomma, pensate a quanto si risparmia in termini di assicurazioni mediche e servizio sanitario grazie alle sigarette!

L’industria del tabacco criticò anche la «mancanza di obiettività riguardo ai benefici del fumo»43 dimostrata dal direttore della Sanità. Come i suoi esponenti dichiararono al Congresso, tra i «vantaggi per la salute» vi sono «la sensazione di benessere, soddisfazione, gioia e tutto il resto». Secondo il Tobacco Institute, al di là del fatto che il CDC faceva il guastafeste, tra gli «altri» vantaggi offerti dal fumo vi era la protezione dal Parkinson.44

Si dà il caso che, in modo del tutto inaspettato, nell’ultimo mezzo secolo oltre sessanta studi abbiano dimostrato che il fumo è in effetti associato a un’incidenza significativamente minore del morbo di Parkinson.45 I coraggiosi tentativi di minimizzare questa scoperta sono falliti miseramente. Forse, hanno ribattuto gli scienziati della Sanità pubblica, dipende dal fatto che i fumatori muoiono prima di essere colpiti dal Parkinson. Ma non è così: il fumo è un fattore di protezione a tutte le età.46 Forse perché i fumatori bevono più caffè, che sappiamo svolgere un’azione protettiva?47 In realtà no, tale azione permaneva anche dopo che i ricercatori avevano escluso l’effetto dell’assunzione di caffè.48 Le ricerche condotte su gemelli identici hanno contribuito a eliminare da questa relazione i fattori genetici.49 Sembra che persino il semplice fatto di essere cresciuti con genitori che fumavano sia un fattore di protezione dal Parkinson.50 Allora l’industria del tabacco aveva ragione? E anche se fosse?

Da quando nel 1964 è stato pubblicato il rivoluzionario rapporto del direttore della Sanità, oltre venti milioni di americani sono morti a causa del fumo.51 Anche se non aveste paura di morire di cancro ai polmoni o di enfisema, anche se vi preoccupaste solo di proteggere il vostro cervello, non dovreste comunque fumare, perché il tabacco è un fattore di rischio significativo per l’ictus.52 E se fosse possibile ottenere i benefici del fumo senza subirne i rischi?

Be’, forse lo è davvero. Pare che l’agente neuroprotettivo presente nel tabacco sia la nicotina.53 Il tabacco fa parte della stessa famiglia a cui appartiene la belladonna, quella delle solanacee, a cui fanno capo anche pomodori, patate, melanzane e peperoni. È emerso che tutte quante contengono nicotina, ma in tracce talmente piccole (in frazioni centesimali rispetto a quella di una sigaretta) che il loro potenziale protettivo è stato considerato irrilevante.54 Ma poi si è scoperto che bastano uno o due tiri di sigaretta per saturare metà dei recettori della nicotina del cervello.55 Dopodiché abbiamo appreso che persino l’esposizione al fumo passivo può far diminuire il rischio di Parkinson56 e che la quantità di nicotina a cui si è esposti stando in un locale in cui si fuma è pari a quella che si assorbe mangiando del cibo sano in un ristorante in cui è vietato fumare.57 Allora mangiare tante verdure come la belladonna può proteggere dal Parkinson?

I ricercatori dell’Università di Washington hanno deciso di scoprirlo. Hanno verificato la presenza di nicotina in alcune verdure: le melanzane non ne avevano, le patate appena un po’, i pomodori una certa quantità, i peperoni dosi più significative. Questi risultati erano coerenti con quello che i ricercatori hanno scoperto studiando cinquecento persone cui era stato appena diagnosticato il Parkinson, in confronto a soggetti del gruppo di controllo. Il fatto di mangiare verdure ricche di nicotina, soprattutto peperoni, determinava un rischio significativamente minore di ammalarsi di Parkinson.58 (Questo effetto fu rilevato solo nei non fumatori, il che ha senso perché la quantità di nicotina derivata dalle sigarette con ogni probabilità supera quella ricavata con l’alimentazione.) Questa ricerca contribuisce a spiegare le precedenti associazioni in termini di protezione dal Parkinson, che si erano dimostrate blande nel caso di assunzione di pomodori e patate, così come per la dieta mediterranea, ricca di solanacee.59

I ricercatori dell’Università di Washington sono giunti alla conclusione che, prima di consigliare alle persone di cambiare regime alimentare per prevenire il Parkinson, sono necessarie ulteriori ricerche, ma poiché tale cambiamento consiste solo nel godersi piatti più sani, come peperoni ripieni di salsa di pomodoro, non vedo perché dobbiate aspettare.

 

Latticini

Si è scoperto che i malati di Parkinson hanno nel sangue alti livelli di un pesticida a base di organoclorina, appartenente alla stessa categoria del DDT vietata in molti Paesi.60 Gli studi autoptici hanno rinvenuto nel tessuto cerebrale dei malati di Parkinson quantità elevate di pesticidi61 e di altri inquinanti come i PCB. Maggiore era la concentrazione di determinati PCB, peggiore il danno alla regione specifica del cervello che è considerata responsabile della malattia, detta substantia nigra.62 Come ho accennato prima, sebbene molti di questi pesticidi siano stati messi al bando decenni fa, rimangono comunque nell’ambiente e rischiate di assorbirli consumando prodotti animali contaminati, tra cui i latticini.63 Si è invece scoperto che chi segue diete prive di latticini e basate su prodotti vegetali ha nel sangue livelli significativamente minori dei PCB coinvolti nell’insorgenza del morbo di Parkinson.64

Una meta-analisi degli studi che hanno coinvolto più di trecentomila soggetti ha rivelato che il consumo generale di latticini era legato a un notevole aumento del rischio di Parkinson. I ricercatori hanno stimato che tale rischio può aumentare del 17% per ogni tazza di latte bevuta al giorno.65 «La contaminazione del latte provocata dalle neurotossine potrebbe essere di fondamentale importanza», hanno spiegato.66 Ad esempio, pare che sostanze neurotossiche come la tetraidroisochinolina, un composto utilizzato per indurre il parkinsonismo nelle scimmie di laboratorio,67 si annidino soprattutto nel formaggio.68 Le concentrazioni rilevate erano basse, ma si teme che la sostanza possa accumularsi nel corso della vita,69 fino a determinare i livelli elevati che si riscontrano nel cervello dei malati di Parkinson.70 L’industria casearia è stata esortata ad analizzare il latte in cerca di queste tossine,71 ma finora non ha mosso un dito.

Di recente, l’editoriale di una rivista sulla nutrizione tagliava la testa al toro: «L’unica spiegazione possibile di tale effetto è che il latte sia contaminato da neurotossine».72 Tuttavia, esistono spiegazioni alternative del legame «evidente» fra latticini e Parkinson.73 Ad esempio, i livelli di inquinanti non spiegano perché il Parkinson appaia maggiormente legato al consumo del lattosio contenuto nel latte che ai grassi del latte,74 e quindi più al latte in sé che al burro.75 Pertanto il colpevole è forse il galattosio, lo zucchero del latte di cui abbiamo parlato nel capitolo 13, accusato di far aumentare il rischio di fratture, cancro e morte.76 Le persone che non riescono a depurare il galattosio del latte, non solo riportano danni alle ossa, ma anche al cervello.77 Questo potrebbe chiarire il legame tra assunzione di latte e Parkinson, così come quello tra latte e un’altra malattia neurodegenerativa chiamata corea di Huntington.78

Un’altra spiegazione è che il consumo di latte fa diminuire i livelli di acido urico, un fondamentale antiossidante per il cervello79 che, come è stato dimostrato, protegge le cellule nervose dallo stress ossidativo provocato dai pesticidi.80 L’acido urico può rallentare la progressione della corea di Huntington81 e del morbo di Parkinson82 e, cosa ancora più importante, diminuire il rischio di essere colpiti da quest’ultimo.83 Se al contrario è troppo, l’acido urico può cristallizzarsi nelle giunture e provocare una dolorosa patologia chiamata gotta; deve perciò essere considerato un’arma a doppio taglio.84 Un eccesso di questa sostanza è inoltre legato a patologie cardiache e renali; la sua scarsità, con Alzheimer, Huntington, Parkinson, sclerosi multipla e ictus.85 Chi segue una dieta basata su prodotti di origine vegetale ottiene la quantità ottimale86 di acido urico per vivere a lungo.87

Il latte non «fa un sacco di bene», se non altro alle ossa e al cervello.

 


INQUINANTI E DIETE A BASE DI PRODOTTI VEGETALI

Come ho accennato sopra, le organoclorine sono un gruppo di sostanze chimiche che comprende diossine, PCB e insetticidi come il DDT. Sebbene siano state messe al bando decenni fa, rimangono nell’ambiente e risalgono la catena alimentare accumulandosi nei tessuti adiposi degli animali che mangiamo.

E se non mangiaste affatto prodotti animali? Quando hanno misurato i livelli di organoclorine nel sangue dei soggetti, compresa una varietà di PCB e una dei composti Aroclor prodotti dalla Monsanto, vietati da tempo, i ricercatori hanno «scoperto che i vegani presentavano livelli significativamente inferiori di inquinanti rispetto agli onnivori».88 Questa scoperta è coerente con gli studi che mostrano maggiori livelli di organoclorine nel tessuto adiposo89 e nel latte materno90 dei mangiatori di carne.

Si è anche scoperto che i vegani hanno nell’organismo livelli notevolmente inferiori di diossine,91 oltre a una minore contaminazione da eteri di difenile polibromurati (PBDE),92 gli inquinanti chimici dei ritardanti di fiamma, anche questi legati a problemi neurologici.93 Il che non stupisce: i livelli più alti di ritardanti di fiamma negli alimenti prodotti negli Stati Uniti sono stati riscontrati nel pesce, anche se la principale fonte di assunzione per gran parte degli americani è il pollame, seguito dalla carne lavorata.94 Questa scoperta contribuisce a spiegare la presenza di livelli significativamente inferiori di PBDE nell’organismo di chi segue diete prive di carne e pesce.95 Pare che più la dieta è a base di prodotti vegetali, e più a lungo si evita di mangiare prodotti di origine animale, più tali livelli sono bassi.96 Non sono stati fissati limiti di legge per la presenza di PBDE negli alimenti, ma come hanno segnalato i ricercatori del Dipartimento dell’agricoltura americano in un’indagine sui ritardanti di fiamma presenti nella carne del bestiame e degli animali da cortile, «è sicuramente auspicabile ridurre la quantità di componenti tossici superflui e persistenti che si assumono con il cibo e la dieta».97

Mangiare più sano può anche far diminuire la concentrazione di metalli pesanti nell’organismo. I livelli di mercurio nei capelli di chi seguiva un’alimentazione basata su prodotti ortofrutticoli sono risultati fino a dieci volte inferiori a quelli di chi mangiava pesce.98 Dopo tre mesi dal passaggio a una dieta vegetale, i livelli di mercurio, piombo e cadmio rilevati nei capelli precipitano in modo significativo (ma ricominciano ad aumentare se reintroducete carne e uova).99 A differenza dei metalli pesanti, tuttavia, alcune organoclorine possono resistere nell’organismo per decenni.100 Il DDT presente nel vostro pollo fritto può accompagnarvi per il resto della vita.


 

Frutti di bosco

Alcuni secoli fa il dottor James Parkinson, nel descrivere la malattia che porta il suo nome, ne tratteggiò un aspetto caratteristico: intestino «pigro» o costipazione che può precedere la diagnosi di molti anni.101 Da allora abbiamo capito che la frequenza dei movimenti intestinali può addirittura essere un fattore predittivo del Parkinson. Si è scoperto che gli uomini che evacuano meno di una volta al giorno, ad esempio, hanno il quadruplo delle probabilità di veder insorgere la malattia anni dopo.102 Si è ipotizzato che si trattasse di causalità inversa: forse non era la costipazione a portare al Parkinson, ma era quest’ultimo, addirittura decenni prima di essere diagnosticato, a provocare la costipazione. Tale teoria era sostenuta da prove empiriche le quali suggerivano che, nel corso della loro vita, molte persone che si sarebbero poi ammalate di Parkinson non avevano mai avuto molta sete e forse era stata proprio questa ridotta assunzione di liquidi ad aver contribuito alla costipazione.103

Oppure, dato il legame tra gli inquinanti presenti nel cibo e il morbo di Parkinson, la costipazione potrebbe contribuire direttamente allo sviluppo della malattia: più a lungo le feci permangono nell’intestino, maggiore è la quantità di sostanze neurotossiche che possono essere assorbite.104 Oggi vi sono oltre cento studi che collegano i pesticidi a un incremento del rischio di Parkinson,105 ma molti di questi si basano sull’esposizione professionale o ambientale a tali inquinanti. Ogni anno negli Stati Uniti vengono impiegati oltre 450 milioni di chilogrammi di pesticidi,106 e il semplice fatto di vivere o lavorare in zone in cui ne vengono spruzzate grandi quantità può far aumentare il rischio di ammalarsi.107 Anche l’uso di pesticidi che si trovano comunemente nelle case, come quelli contro le formiche, è associato a un significativo aumento del rischio.108

In che modo queste sostanze fanno aumentare le probabilità di contrarre il Parkinson? Gli scienziati ritengono che possano provocare mutazioni del DNA che accrescono la nostra vulnerabilità109 oppure influenzano il modo in cui avviene il ripiegamento molecolare di certe proteine nel cervello. Per funzionare in maniera efficace, le proteine devono avere la forma giusta. Quando all’interno delle cellule se ne producono di nuove, può capitare che alcune si ripieghino in modo errato. In tal caso vengono semplicemente riciclate e l’organismo ne produce altre. Alcune proteine mal ripiegate dal punto di vista molecolare, però, possono essere difficili da distruggere. Se questo problema si verifica in maniera continuativa, le proteine mal ripiegate possono accumularsi determinando la morte delle cellule nervose del cervello. Le proteine beta-amiloidi mal ripiegate, ad esempio, sono coinvolte nell’insorgenza del morbo di Alzheimer (vedi capitolo 3); le proteine prioniche mal ripiegate causano il morbo della mucca pazza, un’altra proteina mal ripiegata, causa invece la corea di Huntington, e le proteine alfa-sinucleine mal ripiegate possono portare al Parkinson.110 Nello studio più ampio mai condotto in questo campo, otto pesticidi comuni su dodici sono risultati in grado di scatenare l’accumulo di proteine alfa-sinucleine in alcune cellule nervose umane poste su una piastra di Petri.111

Come ho già accennato, il morbo di Parkinson è provocato dalla morte di cellule specializzate della regione del cervello che controlla il movimento. Nel momento in cui compaiono i primi sintomi, il 70% di queste cellule fondamentali probabilmente è già morto.112 I pesticidi sono talmente abili nell’uccidere questi neuroni che gli scienziati spesso li usano in laboratorio per indurre il Parkinson negli animali, in modo da testare nuovi farmaci.113

Se i pesticidi uccidono i neuroni, che cosa potete fare per bloccare il processo, a parte diminuire l’esposizione a tali sostanze? Non si conoscono farmaci in grado di impedire l’accumulo di proteine mal ripiegate, ma alcuni fitonutrienti chiamati flavonoidi, che si trovano nella frutta e nella verdura, possono svolgere un’azione protettiva. I ricercatori hanno analizzato quarantotto diversi composti delle piante in grado di attraversare la barriera emato-encefalica per scoprire se erano in grado di impedire alle proteine alfa-sinucleine di aggregarsi. Con grande sorpresa hanno scoperto che esisteva una varietà di flavonoidi che non solo impediva a tali proteine di accumularsi, ma riusciva anche a distruggere le riserve.114

Questo studio suggerisce che mangiando in modo sano è possibile ridurre l’esposizione agli inquinanti e al tempo stesso contrastarne gli effetti. E a questo proposito, i frutti di bosco possono essere particolarmente utili. In un trial comparativo tra pesticidi e frutti di bosco, i ricercatori hanno scoperto che preincubare le cellule nervose con un estratto di mirtillo consentiva loro di sostenere meglio gli effetti debilitanti di un pesticida comune.115 Ma gran parte di questi studi sono stati condotti su cellule ospitate su una piastra di Petri. Esistono ricerche condotte sulle persone in grado di provare che mangiare frutti bosco può fare la differenza?

Una piccola ricerca pubblicata decenni fa indicava che il consumo di mirtilli e fragole può proteggere dal Parkinson,116 ma la domanda è rimasta a lungo senza risposta, finché uno studio condotto dall’Università di Harvard su 130.000 persone ha rivelato che chi mangia più frutti di bosco presenta un rischio significativamente inferiore di sviluppare la malattia.117

L’editoriale che accompagnava lo studio sulla rivista specialistica «Neurology» concludeva che erano necessarie altre ricerche ma che «nel frattempo mangiare una mela al giorno poteva essere una buona idea».118 Le mele erano in grado di proteggere dal Parkinson, ma soltanto gli uomini, mentre l’assunzione di mirtilli e fragole, gli unici frutti di bosco analizzati nello studio, risultò positiva anche per le donne.119

Se decidete di seguire il mio consiglio di mangiare frutti di bosco tutti i giorni, vi suggerirei di non servirli con la panna. È stato dimostrato che i latticini non solo bloccano alcuni effetti benefici dei frutti di bosco,120 ma come abbiamo visto sopra, possono contenere composti chimici che causano proprio il danno che i frutti di bosco cercano di riparare.

 

Biomagnificazione cannibale nei mangimi

Se le persone si limitano a mangiare alimenti che si trovano ai due livelli inferiori della catena alimentare, ossia piante e animali che si nutrono di piante (mucche, maiali e polli nutriti a cereali e soia), perché la popolazione americana è tanto contaminata? Chi di voi ricorda la storia della mucca pazza saprà rispondere. Nel moderno agribusiness, di fatto non esistono più erbivori.

Ogni anno, negli Stati Uniti, milioni di tonnellate di prodotti di scarto della macellazione continuano a essere dati in pasto agli animali da allevamento.121 Non solo li abbiamo trasformati in mangiatori di animali, ma anche in potenziali cannibali. Nutrendoli con milioni di tonnellate di carne e farina di ossa, li costringiamo ad assumere anche le sostanze inquinanti eventualmente contenute in questo tipo di mangime. Poi, una volta che gli animali sono stati macellati, i loro scarti serviranno a nutrire la generazione successiva di animali di allevamento e di conseguenza la dose di inquinanti si concentra sempre di più.122 E noi rischiamo di fare la fine degli orsi polari o delle aquile che stanno in cima alla catena alimentare e subire le conseguenze della contaminazione bioamplificata. Quando mangiamo questi animali di allevamento, è quasi come se ci stessimo nutrendo anche di tutte le bestie che a loro volta hanno mangiato.

L’uso dei prodotti di scarto della macellazione per i mangimi animali può rimettere in circolo sia i metalli pesanti tossici, sia le sostanze chimiche di origine industriale. Il piombo si accumula nelle ossa degli animali e il mercurio nelle proteine123 (ed è per questo che l’albume contiene fino a venti volte più mercurio del tuorlo).124 Gli inquinanti organici liposolubili persistenti (chiamati PLOP – non ridete!) si accumulano nei tessuti adiposi degli animali. Ridurre il consumo di carne può contribuire a diminuire l’esposizione, ma queste sostanze contaminanti possono riproporsi sotto forma di tanti prodotti diversi di origine animale. «Anche se uno stile di vita vegetariano può diminuire il carico di PLOP, mmHg [mercurio] e piombo», ha affermato un tossicologo, «tali benefici possono essere minimizzati dal consumo di prodotti a base di latte e uova contaminati. Gli animali da allevamento nutriti con mangimi animali contaminati forniscono latte e uova contaminati».126

Se volete diminuire i vostri livelli di PLOP, mangiate i prodotti che si trovano ai livelli più bassi della catena alimentare.

 


BERE CAFFÈ PER PREVENIRE E CURARE IL MORBO DI PARKINSON

Può una tazzina di caffè al mattino prevenire e magari addirittura contribuire a curare una delle malattie neurodegenerative più invalidanti? A quanto pare sì.

Sono stati almeno diciannove gli studi condotti sull’effetto del caffè sul Parkinson e in generale il consumo di questa bevanda è risultato associato a un rischio minore di un terzo.127 L’ingrediente fondamentale pare essere la caffeina, dal momento che anche il tè svolge una funzione protettiva,128 mentre il caffè decaffeinato no.129 Come per i fitonutrienti dei frutti di bosco, è stato dimostrato che su una piastra di Petri la caffeina impedisce ai pesticidi e ad altre neurotossine di distruggere le cellule nervose umane.130

E se il caffè potesse curare il Parkinson? In uno studio clinico randomizzato controllato, i malati di Parkinson che assumevano l’equivalente in caffeina di due tazze di caffè al giorno (o di circa quattro tazze di tè nero oppure otto di tè verde) presentavano miglioramenti significativi della capacità motoria nel giro di tre settimane.131

Ovviamente c’è un limite al prezzo che si può far pagare per un caffè, quindi le case farmaceutiche hanno cercato di inserire di straforo la caffeina in nuovi farmaci sperimentali, come il Preladenant e l’Istradefylline, ma si è scoperto che i loro effetti non sono superiori a quelli del semplice caffè, che costa molto meno ed è più sicuro.132

 


Ci sono diverse cose che potete fare per ridurre il rischio di ammalarvi di Parkinson. Ad esempio, allacciare le cinture di sicurezza e indossare il casco per evitare colpi alla testa, praticare regolarmente esercizio fisico,133 evitare di essere sovrappeso,134 mangiare peperoni e frutti di bosco, bere tè verde e limitare il più possibile l’esposizione a pesticidi, metalli pesanti, latticini e altri prodotti di origine animale. Ne vale la pena. Credetemi: nessuna famiglia dovrebbe trovarsi a vivere la tragedia del Parkinson.