INTRODUZIONE
PREVENIRE, FERMARE E INVERTIRE IL DECORSO
DELLE PRINCIPALI MALATTIE MORTALI
La morte per vecchiaia potrebbe non esistere. Uno studio condotto su oltre quarantaduemila autopsie ha dimostrato che i centenari erano deceduti per malattia nel 100% dei casi esaminati. Sebbene persino i loro medici il ritenessero in buona salute fino a poco prima del decesso, nessuno di loro è morto di «vecchiaia».1 Fino a poco tempo fa, la vecchiaia era considerata una patologia a sé stante,2 ma le persone non muoiono perché invecchiano, muoiono per una malattia, in genere un attacco di cuore.3
Gran parte dei decessi che avvengono negli Stati Uniti possono essere prevenuti e sono collegati a ciò che mangiamo.4 La nostra dieta è la causa numero uno di morte prematura e disabilità.5 di conseguenza la nutrizione sarà l’argomento principale tra quelli insegnati nelle scuole di medicina, giusto?
Purtroppo non è così. Stando al più recente sondaggio a livello nazionale, solo un quarto delle facoltà di medicina offre un corso sulla nutrizione, rispetto al 37% di trent’anni fa.6 Se da un lato gran parte delle persone ritiene che i medici siano fonti «molto attendibili» di informazioni sulla nutrizione,7 sei laureandi in medicina su sette ritengono che i dottori non ricevano una formazione adeguata per consigliare i pazienti sulla dieta da seguire.8 Uno studio ha dimostrato che a volte la gente comune in fatto di nutrizione ne sa più del proprio medico, e ha concluso che «in questo campo i dottori dovrebbero essere più esperti dei loro pazienti, ma i risultati dimostrano che non sempre è così».9
Per porre rimedio a tale situazione, in California è stato presentato un progetto di legge per obbligare i medici a seguire almeno dodici ore di formazione sulla nutrizione in un periodo a scelta nell’arco dei prossimi quattro anni. Forse vi sorprenderà, ma l’associazione medica californiana si è strenuamente opposta al disegno, proprio come hanno fatto altre importanti organizzazioni mediche, tra cui la California Academy of Family Physicians.10 Il progetto di legge è stato emendato passando da un minimo obbligatorio di dodici ore in quattro anni a sette ore e poi a zero.
Tuttavia il consiglio medico della California ha richiesto l’introduzione di una nuova materia: un insegnamento di dodici ore sulla gestione del dolore e sulle cure palliative per i pazienti terminali.11 Tale disparità tra prevenzione e mera riduzione della sofferenza potrebbe essere la metafora della medicina moderna: un medico al giorno toglie la mela di torno.
Nel 1903, Thomas Edison affermò che «i medici del futuro non somministreranno farmaci, ma insegneranno ai pazienti come curare il proprio organismo con la dieta e la prevenzione delle malattie».12 Purtroppo basta guardare per pochi minuti le pubblicità dei farmaci in tv, che incitano il pubblico a «chiedere al medico» consigli su questo o quel medicinale, per capire che la previsione di Edison non si è avverata. Uno studio condotto su migliaia di visite ha dimostrato che in media i medici di base parlano di nutrizione ai loro assistiti per circa dieci secondi.13
Ehi, siamo nel ventunesimo secolo! Non possiamo forse mangiare quello che vogliamo e poi limitarci a prendere le medicine quando insorgono problemi di salute? Questa è la convinzione dominante di troppi pazienti e di molti miei colleghi. La spesa mondiale per i farmaci con obbligo di ricetta supera i mille miliardi di dollari annui e gli Stati Uniti rappresentano da soli circa un terzo del mercato.14 Perché spendiamo così tanti soldi in pillole? Molti danno per scontato che il modo in cui moriremo è già scritto nei nostri geni. Pressione alta prima dei cinquantacinque, infarto a sessanta, forse cancro a settanta e così via... Ma in relazione alle principali cause di morte, la scienza dimostra che spesso i nostri geni sono responsabili al massimo del 10-20% del rischio.15 Ad esempio, come vedrete in questo libro, il tasso di patologie letali come le malattie cardiache e i principali tipi di cancro varia anche di cento volte da una popolazione all’altra. Ma se una persona si sposta da un Paese a basso rischio a uno ad alto rischio, il suo tasso di malattia si adegua quasi sempre a quello del paese di arrivo.16 Nuova dieta, nuove patologie. Perciò, se un sessantenne americano che vive a San Francisco ha circa il 5% di probabilità di avere un infarto entro cinque anni, se dovesse trasferirsi in Giappone e cominciasse a vivere e a mangiare come i giapponesi, il suo rischio a cinque anni calerebbe all’1%. Un nippoamericano quarantenne corre lo stesso rischio di infarto di un giapponese sulla sessantina. Adottare uno stile di vita americano di fatto fa invecchiare il cuore di vent’anni buoni.17
La Mayo Clinic stima che quasi il 70% degli americani assuma almeno un farmaco con obbligo di ricetta.18 Eppure, nonostante negli Stati Uniti le persone che prendono medicine siano molte più di quelle che non le prendono, per non parlare della continua immissione sul mercato di farmaci sempre più innovativi e costosi, gli americani non vivono molto più a lungo degli altri. In termini di aspettativa di vita, gli Stati Uniti occupano un misero ventisettesimo o ventottesimo posto nella classifica delle trentaquattro principali democrazie di libero mercato. Gli sloveni vivono più a lungo.19 E gli anni in più vissuti dagli americani non sono necessariamente vivaci e pieni di salute. Nel 2011 il «Journal of Gerontology» ha pubblicato una scomoda analisi della mortalità e morbilità: gli americani vivono di più rispetto a una generazione fa? Tecnicamente, sì, ma quegli anni in più sono vissuti in salute? No, anzi: viviamo in salute molti meno anni di quanti ne vivessimo un tempo.20
In sostanza, un ventenne del 1998 poteva aspettarsi altri cinquantotto anni di vita, più o meno, mentre un ventenne del 2006 ne ha davanti cinquantanove. Però, mentre il ventenne degli anni Novanta poteva trascorrere dieci di quegli anni con una malattia cronica, adesso è più verosimile parlare di tredici anni con malattie cardiache, cancro, diabete o ictus. Perciò direi che abbiamo fatto un passo avanti e tre indietro. I ricercatori, inoltre, hanno scoperto che il nostro organismo conserva la sua funzionalità per due anni in meno, durante i quali non siamo più in grado di eseguire attività vitali di base, come camminare per quattrocento metri o stare in piedi senza bisogno di supporti speciali.21 In altre parole, viviamo più a lungo, ma più malati.
Visto che i tassi di malattia aumentano, i nostri figli potrebbero addirittura morire prima. Un rapporto speciale pubblicato sul «New England Journal of Medicine» intitolato A Potential Decline in Life Expectancy in the United States in the 21st Century (Il potenziale declino dell’aspettativa di vita negli Stati Uniti del ventunesimo secolo) concludeva affermando che «il costante aumento dell’aspettativa di vita riscontrato nell’era moderna potrebbe presto arrestarsi e i giovani d’oggi, in media, potrebbero avere davanti a sé più malattie e forse anche una vita più breve rispetto ai loro genitori».22
Nelle scuole di salute pubblica, gli studenti imparano che esistono tre livelli di medicina preventiva. La prevenzione primaria entra in gioco quando si cerca di impedire che le persone a rischio cardiaco abbiano il loro primo attacco di cuore; il medico, ad esempio, può prescrivere al paziente le statine contro il colesterolo alto. La prevenzione secondaria si ha quando il paziente è già malato e si cerca di evitare che la patologia peggiori, cioè che sia colpito dal secondo attacco di cuore. Per far questo, il medico può aggiungere ai farmaci già assunti dal paziente anche un’aspirina o altro. Al terzo livello della medicina preventiva si cerca di aiutare la gente a gestire problemi di salute cronici, perciò, per fare un esempio, il medico può prescrivere un programma di riabilitazione cardiaca finalizzato a prevenire ulteriori dolori o danni fisici.23 Nel 2000 è stato proposto un quarto livello. E in che cosa poteva consistere la prevenzione «quaternaria»? Nel ridurre le complicanze dovute a farmaci e interventi chirurgici dei primi tre livelli.24 Le persone, però, paiono dimenticare un quinto concetto, denominato «prevenzione primordiale», che è stato introdotto per la prima volta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel lontano 1978. Dopo molti decenni, l’American Heart Association lo sta finalmente adottando.25
La prevenzione primordiale è stata ideata come strategia finalizzata a impedire che intere popolazioni vengano colpite da un’epidemia di malattie croniche. Ciò significa prevenire non solo le patologie croniche ma anche i fattori di rischio che le hanno provocate.26 Ad esempio, invece di cercare di evitare che una persona con il colesterolo alto abbia un infarto, perché non impedirle, prima di tutto, di avere il colesterolo alto (che fa venire l’infarto)?
Tenendo presente questo concetto, l’American Heart Association ha elaborato alcune raccomandazioni, definite «le Semplici 7», che possono condurre a una vita più sana: non fumare, non essere in sovrappeso, fare una vita «molto attiva» (vale a dire camminare almeno ventidue minuti al giorno), mangiare in modo più sano (ad esempio, tantissima frutta e verdura), avere il colesterolo sotto la media e una pressione sanguigna e livelli di glicemia normali.27 L’obiettivo dell’American Heart Association è ridurre del 20% i decessi dovuti alle malattie cardiache entro il 2020.28 Se oltre il 90% degli attacchi di cuore può essere evitato cambiando stile di vita,29 perché prefissarsi un obiettivo così modesto? Persino un misero 25% è stato «giudicato poco realistico».30 Il pessimismo dell’AHA potrebbe avere a che fare con la spaventosa realtà della dieta americana.
La rivista dell’American Heart Association ha pubblicato un’analisi delle abitudini di trentacinquemila adulti statunitensi in relazione alla salute. Gran parte dei partecipanti non fumava, circa la metà faceva esercizio fisico settimanale e circa un terzo ha superato l’esame in ciascuna delle altre categorie, tranne la dieta. Il loro regime alimentare è stato valutato su una scala da zero a cinque in base al rispetto di alcune sane abitudini alimentari imprescindibili, come consumare determinate quantità di frutta, verdura e cereali integrali e bere meno di tre lattine di bibite gassate alla settimana. Quanti di loro hanno totalizzato quattro o cinque nella Classifica del Mangiare Sano? Circa l’1%.31 Forse, se l’American Heart Association riuscirà a raggiungere l’obiettivo di un cosiddetto miglioramento «aggressivo»32 del 20% entro il 2020, saliremo all’1,2%.
Gli antropologi medici hanno identificato diverse ere importanti nelle patologie umane, prima fra tutte l’Età della pestilenza e della carestia, terminata grossomodo con l’avvento della Rivoluzione industriale, e quella che stiamo vivendo adesso, l’Età delle malattie degenerative e indotte dall’uomo.33 Questo cambiamento si riflette nel modo in cui nell’ultimo secolo sono variate le cause di morte. Nel 1900, negli Stati Uniti, le tre patologie più letali erano di tipo infettivo: polmonite, tubercolosi e dissenteria.34 Oggi, sono perlopiù provocate dallo stile di vita: patologie cardiache, cancro e malattie polmonari croniche.35 Dipende forse dal semplice fatto che gli antibiotici ci permettono di vivere abbastanza a lungo da soffrire di malattie degenerative? No: l’insorgere di tali epidemie di malattie croniche è stato accompagnato da un cambiamento drastico delle abitudini alimentari. Questo concetto è ben esemplificato da ciò che è accaduto negli ultimi decenni ai tassi di malattia degli abitanti dei Paesi in via di sviluppo che hanno rapidamente occidentalizzato la propria dieta.
Nel 1990, in tutto il mondo, la maggior parte degli anni di vita sana veniva «perso» a causa della denutrizione, per patologie come la diarrea nei bambini sottoalimentati, ma adesso questo record spetta all’ipertensione, un disturbo legato alla sovralimentazione.36 La pandemia di malattie croniche viene in parte ascritta al passaggio pressoché universale a una dieta dominata da alimenti di origine animale e chimicamente trasformati – in altre parole, si mangiano più carne, latticini, uova, oli vari, zucchero e cereali raffinati.37 La Cina è forse l’esempio più studiato: l’abbandono della dieta tradizionale a base vegetale ha portato con sé anche un repentino aumento delle malattie croniche legate alla nutrizione, quali ad esempio l’obesità, il diabete, le malattie cardiovascolari e il cancro.38
Perché sospettiamo che esista una correlazione tra cambiamenti alimentari e malattie? Dopotutto, le società a rapido sviluppo industriale subiscono moltissime trasformazioni. Come fanno gli scienziati a isolare gli effetti di determinati alimenti? Per evidenziare tali effetti, i ricercatori possono studiare i regimi nutrizionali e l’insorgenza di malattie in gruppi numerosi in un dato arco di tempo. Prendete ad esempio la carne. Per verificare l’effetto di un aumento del consumo di carne sui tassi di malattia, i ricercatori hanno studiato gli ex vegetariani. Si è visto che le persone un tempo vegetariane che hanno poi iniziato a mangiare carne almeno una volta alla settimana avevano il 146% di probabilità in più di contrarre patologie cardiache, il 152% in più di avere un ictus, il 166% in più di ammalarsi di diabete e il 231% in più di ingrassare. Nei dodici anni successivi al passaggio dalla dieta vegetariana a quella onnivora, il consumo di carne è stato associato a una diminuzione dell’aspettativa di vita di 3,6 anni.39
Tuttavia, anche tra i vegetariani si registrano alti tassi di malattie croniche, se mangiano molti alimenti lavorati. Prendiamo ad esempio l’India. I tassi di diabete, malattie cardiache, obesità e ictus sono aumentati molto più in fretta di quanto ci si sarebbe aspettati, dato l’aumento relativamente scarso del consumo pro capite di carne. Le cause di questa situazione sono state individuate nella diminuzione del «contenuto di alimenti integrali della dieta», tra cui il passaggio dal riso integrale a quello bianco e al consumo di altri carboidrati raffinati, merendine confezionate e prodotti da fast-food al posto degli alimenti di base tipici dell’India, cioè lenticchie, frutta, verdura, cereali integrali, frutta a guscio e semi.40 In generale, la linea di demarcazione tra gli alimenti che favoriscono la salute e quelli che provocano malattie potrebbe consistere non tanto nel consumare cibi vegetali al posto di quelli animali quanto nell’assunzione di cibi integrali al posto di quelli raffinati.
A questo scopo, è stato elaborato un indice di qualità della dieta che riflette semplicemente la percentuale di calorie che le persone ricavano dai cibi di origine vegetale non lavorati e ricchi di nutrienti41 su una scala da zero a cento. Più il punteggio è alto, più grasso corporeo si può perdere nel tempo,42 e meno si rischiano obesità addominale,43 ipertensione44, colesterolo e trigliceridi alti.45 Mettendo a confronto la dieta di 100 donne malate di cancro al seno e di 175 donne sane, i ricercatori hanno concluso che un punteggio più elevato nel consumo di prodotti integrali di origine vegetale (superiore a trenta, contro punteggi inferiori a diciotto) può ridurre il rischio di tumore al seno di oltre il 90%.46
Purtroppo, però, la maggior parte degli americani totalizza a malapena dieci. La dieta standard raggiunge un punteggio di undici su cento. Secondo le stime del Dipartimento dell’agricoltura, il 32% delle calorie consumate dagli statunitensi proviene da cibi di origine animale, il 57% da alimenti vegetali lavorati e solo l’11% da cibi integrali, legumi, prodotti ortofrutticoli e frutta a guscio.47 Ciò significa che, su una scala da uno a dieci, la dieta americana totalizzerebbe all’incirca uno.
Mangiamo come se non ci fosse futuro e fior di dati scientifici lo dimostrano. Uno studio intitolato Death Row Nutrition: Curious Conclusions of Last Meals (Alimentazione nel braccio della morte: conclusioni curiose sull’ultimo pasto) ha analizzato la composizione degli ultimi pasti richiesti da centinaia di condannati alla pena di morte negli Stati Uniti nell’arco di cinque anni. È emerso che il contenuto nutrizionale non era poi tanto diverso da ciò che mangiano normalmente gli americani.48 Se continuiamo a nutrirci come se ogni pasto fosse l’ultimo, alla fine lo sarà davvero.
Quanti americani seguono tutte le raccomandazioni dell’American Heart Association chiamate «le Semplici 7»? Su 1933 uomini e donne del campione, la maggior parte ne seguiva due o tre, ma praticamente nessuno osservava tutti e sette i semplici suggerimenti per vivere in salute. Anzi, a dire la verità, c’era una sola persona che poteva dire di averlo fatto,49 una su quasi duemila individui. Come ha commentato di recente un ex presidente dell’AHA: «Questo risultato dovrebbe farci riflettere».50
La verità è che osservare anche solo quattro dei requisiti per uno stile di vita più sano può avere un impatto formidabile sulla prevenzione delle malattie croniche: non fumare, non diventare obesi, fare mezz’ora di esercizio tutti i giorni e seguire una dieta più sana – che si traducono in mangiare più frutta, verdura e cibi integrali e meno carne. È stato riscontrato che questi quattro fattori da soli sono responsabili del 78% del rischio di malattie croniche. Se partite da zero e riuscite a spuntare tutte e quattro le caselline, potreste riuscire anche a eliminare oltre il 90% del rischio di diabete, l’80% di quello di un attacco di cuore, a dimezzare il rischio di ictus e ridurre di oltre un terzo quello di tumore.51 Relativamente ad alcuni tipi di cancro, come il nostro killer numero due, cioè quello al colon, pare che fino al 71% dei casi sia scongiurabile seguendo un piano simile, cioè con semplici cambiamenti di dieta e stile di vita.52
Forse è ora di smetterla di dare la colpa alla genetica e di concentrarsi su questo 71% che possiamo controllare direttamente.53 Possiamo farlo.
Questo stile di vita più sano si traduce anche in una vita più lunga? I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno monitorato circa ottomila americani dai trent’anni in su per circa sei anni. Hanno scoperto che tre elementi fondamentali dello stile di vita avevano un impatto enorme sulla mortalità: è possibile ridurre il rischio di morte precoce evitando di fumare, seguendo una dieta più sana e facendo attività fisica a sufficienza. E dire che le definizioni del CDC sono tutt’altro che rigorose: con «non fumare» si intende semplicemente non fumare adesso, «dieta sana» significa osservare al 40% le timide linee guida federali in fatto di dieta e «fisicamente attivi» vuol dire fare almeno ventun minuti al giorno di esercizio fisico moderato. Le persone che riuscivano a seguire almeno uno di questi tre consigli avevano il 40% di probabilità in meno di morire entro i sei anni successivi. Quelle che ne seguivano due su tre dimezzavano abbondantemente il rischio di morte nello stesso arco di tempo, e coloro che li rispettavano tutti e tre avevano l’82% di probabilità in meno di morire.54
Naturalmente, le persone a volte si vantano di mangiare molto meglio di quel che in realtà fanno. Quanto possono essere accurati tali risultati se si basano solo su ciò che la gente riferisce? Uno studio analogo su abitudini salutari e sopravvivenza non si è limitato a raccogliere le testimonianze delle persone sulla loro alimentazione: i ricercatori hanno misurato la presenza di vitamina C nel loro flusso sanguigno. Tale dato era considerato un «buon biomarcatore dell’assunzione di alimenti di origine vegetale» ed è stato dunque utilizzato come indicatore di una dieta sana. Le conclusioni sono apparse convincenti. Il rischio di mortalità tra chi aveva abitudini salutari era pari a quello delle persone con quattordici anni in meno.55 È un po’ come tornare indietro di quattordici anni – non con un farmaco o una macchina del tempo, ma semplicemente mangiando meglio e seguendo uno stile di vita più sano.
E dato che ci siamo, parliamo un po’ dell’invecchiamento. In ciascuna delle nostre cellule vi sono quarantasei filamenti di DNA avvolti a elica nei cromosomi. In testa a ciascun cromosoma si trova un cappuccetto chiamato telomero, che impedisce al DNA di scomporsi e sfilacciarsi. È un po’ come la punta di plastica che chiude i lacci delle scarpe. Ogni volta che le cellule si dividono, però, un pezzettino di quel cappuccio va perduto. E quando il telomero è scomparso del tutto, la cellula può morire.56 Anche se questa è una versione molto semplificata della questione,57 si pensa che i telomeri siano i «fusibili» della vita: iniziano ad accorciarsi quando nasciamo e, quando spariscono, ce ne andiamo anche noi. Di fatto, prelevando il DNA da un campione di sangue, gli scienziati forensi possono fare una stima approssimativa dell’età della persona sulla base della lunghezza dei telomeri.58
Sembrerebbe materiale buono per una scena di CSI, ma che cosa possiamo fare per rallentare il ritmo con cui i nostri fusibili si bruciano? L’idea è che, se riusciamo a rallentare questo orologio cellulare, potremmo anche essere in grado di rallentare il processo di invecchiamento e di vivere più a lungo.59 Perciò, che cosa dobbiamo fare per evitare che il cappuccio, cioè il telomero, si bruci e scompaia? Per dirne una, il fumo di sigaretta è associato a una perdita di telomeri tripla rispetto alla norma,60 quindi il primo passo è semplice: smettere di fumare. Ma anche il cibo che mangiamo ogni giorno può influire sulla velocità con cui perdiamo i telomeri. È stato dimostrato che il consumo di frutta,61 verdura62 e altri alimenti ricchi di antiossidanti63 porta ad avere telomeri più lunghi. Viceversa, il consumo di cereali raffinati,64 bibite gassate,65 carne e pesce66 e prodotti caseari67 è associato alla presenza di telomeri più corti. E se seguissimo una dieta composta da cibi integrali ed evitassimo gli alimenti trasformati e di origine animale? Riusciremmo a rallentare l’invecchiamento delle cellule?
La risposta sta in un enzima scoperto nel Matusalemme. Si tratta di una varietà di pino dai coni setolosi che cresce nelle White Mountains californiane e che, a quanto pare, è l’essere vivente più antico a oggi conosciuto, che tra poco compirà 4800 anni. Prima che iniziasse la costruzione delle piramidi d’Egitto, questa pianta aveva già centinaia di anni. Le sue radici contengono un enzima che raggiunge il picco della concentrazione dopo qualche migliaio di anni dalla nascita della pianta e che di fatto è in grado di ricostruire i telomeri.68 Gli scienziati l’hanno chiamato telomerasi. Una volta capito che cosa cercare, hanno scoperto che tale sostanza è presente anche nelle cellule umane. La sfida a questo punto è trovare il modo di aumentare l’attività di questo enzima che rallenta l’invecchiamento.
Per cercare una risposta, il dottor Dean Ornish ha iniziato a collaborare con la dottoressa Elizabeth Blackburn, che nel 2009 aveva vinto il Nobel per la medicina grazie alla scoperta della telomerasi. In uno studio parzialmente finanziato dal Dipartimento della difesa americano, i due ricercatori hanno scoperto che tre mesi di dieta a base di cibi integrali e di frutta e verdura sommati ad altri cambiamenti salutari potevano aumentare in modo significativo l’attività della telomerasi; si tratta dell’unica strategia che si è rivelata efficace in tal senso.69 Lo studio è stato pubblicato su una delle riviste mediche più prestigiose del mondo. L’editoriale che lo presentava concludeva affermando che questo studio fondamentale avrebbe «dovuto spingere le persone ad adottare uno stile di vita più sano allo scopo di evitare o di combattere il cancro e le patologie legate all’invecchiamento».70
Il dottor Ornish e la dottoressa Blackburn sono poi riusciti a rallentare l’invecchiamento con una dieta sana e uno stile di vita salutare? Di recente sono stati pubblicati i risultati di uno studio di follow-up durato cinque anni, in cui è stata misurata la lunghezza dei telomeri dei soggetti. Nel gruppo di controllo (quello dei partecipanti che non hanno cambiato stile di vita) questi si erano accorciati per l’invecchiamento, com’era prevedibile. Ma nel gruppo con uno stile di vita sano, non solo si erano ridotti di meno, ma erano addirittura cresciuti. Cinque anni dopo, in media i loro telomeri erano addirittura più lunghi di quando era iniziata la ricerca, il che suggerisce che uno stile di vita sano può effettivamente aumentare l’attività dell’enzima della telomerasi e invertire l’invecchiamento cellulare.71
Ricerche successive hanno dimostrato che l’allungamento dei telomeri non era dovuto soltanto al fatto che il gruppo con lo stile di vita sano faceva più esercizio o perdeva peso. Il dimagrimento dovuto alla riduzione delle calorie assunte e a un programma di esercizi più intenso non erano bastati, da soli, ad aumentare la lunghezza dei telomeri, perciò a quanto sembra la componente fondamentale è stata la qualità, e non la quantità di cibo assunto. Finché le persone seguivano la stessa dieta di sempre, non contavano la riduzione delle porzioni, il peso perso o l’esercizio fisico svolto; a distanza di un anno non si era registrato alcun beneficio.72 Viceversa, le persone che seguivano la dieta a base vegetale e facevano la metà dell’esercizio fisico rispetto alle altre erano dimagrite nella stessa misura dopo soli tre mesi73 e avevano ottenuto un livello significativo di protezione dei telomeri.74 In altre parole, non è stata la perdita di peso e nemmeno la quantità di esercizio fisico a far regredire l’invecchiamento cellulare, ma semplicemente il cibo.
Alcuni studiosi si sono detti preoccupati del fatto che stimolare l’attività della telomerasi possa far aumentare anche il rischio di cancro, dato che i tumori si agganciano a tale enzima e lo sfruttano per garantirsi l’immortalità.75 Tuttavia, come vedremo nel capitolo 13, il dottor Ornish e colleghi hanno utilizzato la stessa dieta e gli stessi cambiamenti di stile di vita per fermare e far regredire lo sviluppo del cancro in determinate circostanze. Vedremo anche in che modo la stessa dieta è in grado di invertire il decorso delle malattie cardiache.
E che dire delle altre malattie killer? È emerso che una dieta più orientata al consumo di prodotti di origine vegetale aiuta a prevenire, curare o far regredire ciascuna delle quindici cause principali di morte. In questo libro tratterò la lista completa, dedicando un capitolo a ognuna.
Esistono farmaci con obbligo di ricetta che possono tenere sotto controllo alcune di queste patologie. Ad esempio, si possono prendere le statine per tenere a bada il colesterolo e ridurre il rischio di infarti, ingerire pillole e iniettarsi insulina contro il diabete e assumere una montagna di diuretici e altri farmaci per la pressione per combattere l’ipertensione. Ma c’è una dieta, la stessa per tutti, che può aiutare a prevenire, fermare e persino far regredire ciascuna di queste malattie killer. Al contrario di ciò che accade con le medicine, non esiste una dieta specifica per ottimizzare la funzione del fegato e un’altra che aiuti a migliorare la funzione renale. Un’alimentazione che fa bene al cuore fa bene anche al cervello e ai polmoni. La stessa dieta che aiuta a prevenire il cancro può per l’appunto prevenire il diabete di tipo 2 e ogni altra causa di morte della lista. Al contrario dei farmaci, che sono mirati a funzioni specifiche, possono avere effetti collaterali nocivi e trattare soltanto i sintomi della malattia, una dieta sana può giovare a tutti gli apparati, ha effetti collaterali positivi e può curare la vera causa della malattia.
La dieta unificata che, come si è scoperto, è in grado di prevenire e curare molte di queste patologie croniche è quella integrale basata sul consumo di prodotti di origine vegetale: incoraggia cioè l’assunzione di cibi vegetali non raffinati e scoraggia quella di carne, prodotti caseari, uova e alimenti lavorati.92 In questo libro non raccomando una dieta vegetariana o vegana, ma semplicemente un’alimentazione basata sui dati scientifici, i quali ci suggeriscono che più cibi integrali mangiamo, meglio è, sia perché ne assorbiamo le sostanze nutritive benefiche, sia per sostituire altre opzioni meno salutari.
Quando si va dal dottore, spesso è per malattie legate allo stile di vita, il che significa che è possibile prevenirle.93 In qualità di medici, io e i miei colleghi siamo stati formati a non trattare la vera causa della malattia, ma piuttosto le sue conseguenze, prescrivendo al paziente un’incredibile quantità di farmaci per curare i fattori di rischio come ipertensione e glicemia e colesterolo alti. Sarebbe come tentare di asciugare un pavimento pieno d’acqua sotto a un lavello traboccante, invece di chiudere il rubinetto.94 Le case farmaceutiche sono più che felici di vendervi giorno dopo giorno per tutta la vita altri rotoli di carta, mentre l’acqua continua a uscire. Come ha detto una volta il dottor Walter Willett, direttore del dipartimento di nutrizione alla School of Public Health dell’Università di Harvard: «Il problema di fondo è che gran parte delle strategie farmacologiche non affronta le cause delle malattie del mondo occidentale, che non dipendono certo dalla carenza di medicine».95
Curare la causa non solo è più sano ed economico, ma funziona anche meglio. E allora, per quale motivo i medici che lo fanno sono così pochi? Perché non solo non gliel’hanno insegnato, ma nessuno li paga per farlo. In America, nessuno trae profitto dalla medicina dello stile di vita (paziente a parte!), perciò questa non rientra tra i principali insegnamenti o tirocini del corso di studi.96 Il sistema è strutturato in modo da remunerare chi prescrive pillole ed esami, non frutta e verdura. Dopo aver dimostrato che le patologie cardiache possono regredire senza farmaci o interventi chirurgici, il dottor Ornish riteneva che i suoi studi avrebbero avuto un effetto significativo sulla pratica della medicina convenzionale. Dopotutto, aveva scoperto la cura per la malattia mortale numero uno! Ma si sbagliava, non sull’importanza cruciale delle sue scoperte sulla dieta e la regressione delle malattie, ma sull’influenza dell’industria farmaceutica sull’esercizio della professione. Per citare le sue parole, il dottor Ornish si è «reso conto che nella pratica medica i rimborsi assicurativi sono un fattore molto più potente della ricerca».97
Sebbene siano in gioco interessi di parte, come quelli delle aziende farmaceutiche e della trasformazione alimentare, le quali lottano strenuamente per mantenere lo status quo, esiste in realtà un settore che trae vantaggio dal benessere della gente: quello assicurativo. La Kaiser Permanente, la più grande organizzazione privata americana per l’assistenza sanitaria, ha pubblicato sulla sua rivista specialistica un articolo di aggiornamento sull’alimentazione rivolto ai medici, in cui informava la sua rete di circa quindicimila professionisti che per un’alimentazione sana «i risultati migliori si ottengono con una dieta a base di prodotti di origine vegetale, definita come un regime alimentare che incoraggia il consumo di cibi integrali e vegetali e scoraggia quello di carne, latticini e uova, così come l’assunzione di alimenti lavorati e raffinati».98
«Troppo spesso i medici ignorano i potenziali benefici di un’alimentazione sana e prescrivono subito dei farmaci, invece di offrire ai pazienti l’opportunità di curare la malattia con una dieta salutare e una vita attiva [...] I dottori dovrebbero considerare la possibilità di consigliare una dieta a base di prodotti di origine vegetale a tutti i pazienti, soprattutto a quelli che soffrono di pressione alta, diabete, malattie cardiovascolari oppure obesità».99 I medici dovrebbero dare ai pazienti la possibilità di curarsi innanzitutto da soli con una dieta a base di frutta, verdura e cereali.
La principale controindicazione evidenziata dall’articolo della Kaiser Permanente è che questa dieta potrebbe funzionare fin troppo bene. Se le persone cominciano a seguire diete basate su prodotti di origine vegetale mentre stanno ancora prendendo le medicine, la pressione arteriosa o la glicemia potrebbero effettivamente crollare al punto da costringere i loro medici a ridurre le prescrizioni di farmaci o addirittura a eliminarle. Paradossalmente, l’«effetto collaterale» della dieta potrebbe essere quello di non dover più prendere medicine. L’articolo termina con un ritornello ben noto: sono necessarie ulteriori ricerche. In questo caso, però, si afferma che «Sono necessarie ulteriori ricerche per capire come rendere una dieta basata su prodotti di origine vegetale la norma».100
Siamo ben lontani dalla previsione di Thomas Edison del 1903, ma spero vivamente che questo libro possa aiutarvi a capire che gran parte delle cause principali di morte e disabilità sono molto più prevenibili che inevitabili. La ragione più importante per cui le malattie tendono a tramandarsi in famiglia potrebbe essere che nel nucleo familiare si tramanda anche la stessa dieta.
Per quanto riguarda gran parte delle nostre patologie killer, i fattori non genetici come la dieta possono essere alla base dell’80 o 90% dei casi. Come ho già detto, questa conclusione si basa sul fatto che i tassi di patologie cardiovascolari e dei principali tumori possono variare da cinque a cento volte da un Paese all’altro. Gli studi sulla migrazione dei popoli dimostrano che non si tratta solamente di genetica: quando ci si sposta da zone a basso rischio a zone ad alto rischio, in genere la probabilità di contrarre malattie aumenta drasticamente per conformarsi a quello della zona d’arrivo.101 Analogamente, cambiamenti importanti dei tassi di malattia nel corso della stessa generazione sottolineano la preminenza dei fattori esterni. La mortalità per cancro al colon nel Giappone degli anni Cinquanta del secolo scorso era inferiore a un quinto di quella degli Stati Uniti (compresi gli americani di origine giapponese).102 Oggi, però, nel Paese del Sol levante l’incidenza di questa malattia è pari a quella degli Stati Uniti, e l’aumento è stato in parte attribuito al quintuplicarsi del consumo di carne.103
La ricerca ha dimostrato che due gemelli identici separati alla nascita sviluppano malattie diverse a seconda del modo in cui vivono. Uno studio recente finanziato dall’American Heart Association ha messo a confronto gli stili di vita e lo stato delle arterie di quasi cinquecento gemelli. È emerso che i fattori legati alla dieta e allo stile di vita hanno chiaramente battuto il fattore genetico.104 Ciascuno di noi ha il 50% dei geni di ciascun genitore, perciò se uno di loro muore per un attacco di cuore, possiamo essere certi di aver ereditato in una certa misura quel tipo di vulnerabilità. Eppure, persino tra gemelli identici che hanno gli stessi geni uno può morire giovane per un infarto e l’altro vivere a lungo e in salute, con le arterie pulite, a seconda di ciò che ha mangiato e del modo in cui ha vissuto. Anche se entrambi i vostri genitori sono morti di malattie cardiache, possiamo mantenere un cuore sano grazie alla dieta. La storia di famiglia non deve necessariamente diventare il vostro destino.
Solo perché siete nati con dei geni difettosi non vuol dire che non possiate renderli inoffensivi. Come vedrete quando parleremo di cancro al seno e di Alzheimer, anche se i vostri geni sono ad alto rischio, avrete sempre un grande controllo sul vostro destino in fatto di salute. L’epigenetica è il nuovissimo campo di studi che indaga questo controllo dell’attività genetica. Le cellule della pelle sono molto diverse nell’aspetto (e funzionano molto diversamente) da quelle delle ossa, del cervello o del cuore, ma ciascuna di esse ha lo stesso complemento di DNA. Ciò che le fa agire in modo differente è il fatto che ciascuna cellula ha geni attivi o dormienti diversi. Questa è la forza dell’epigenetica: stesso DNA, ma risultati distinti.
Permettetemi di farvi un esempio che vi sorprenderà: prendiamo l’umile ape. Le api regine e quelle operaie sono geneticamente identiche, eppure le regine depositano fino a duemila uova al giorno, mentre le operaie sono sterili. Le regine vivono fino a tre anni; le operaie solo tre settimane.105 La differenza tra le due è la dieta. Quando la regina dell’alveare sta per morire, le api infermiere prelevano una larva e le danno una secrezione chiamata pappa reale. Quando la larva se ne nutre, l’enzima che aveva inibito l’espressione dei geni reali viene disattivato e nasce così una nuova ape regina.106 Questa ha esattamente gli stessi geni di una qualunque ape operaia ma, a causa di ciò che ha mangiato, troveranno espressione geni diversi e la sua vita, nonché la sua aspettativa di vita, verranno di conseguenza ampiamente modificate.
Le cellule tumorali possono utilizzare l’epigenetica contro di noi mettendo a tacere i geni soppressori del tumore, che altrimenti fermerebbero immediatamente il cancro. Perciò, anche se siete nati con dei geni buoni, il tumore a volte riesce a trovare il modo di disattivarli. Sono stati creati diversi farmaci chemioterapici per ripristinare le difese naturali dell’organismo, ma il loro uso è limitato a causa dell’alto livello di tossicità.107 Esiste però una serie di composti ampiamente diffusa nel regno vegetale (ad esempio in legumi, verdure a foglia verde e frutti di bosco) che sembrano produrre lo stesso effetto della chemio, ma in modo naturale.108 Ad esempio, è stato dimostrato che versando gocce di tè verde su cellule di cancro al colon, all’esofago o alla prostata si riattivano i geni messi a tacere dal tumore.109 E questo effetto non è stato dimostrato solo in una piastra di Petri: tre ore dopo aver mangiato una ciotola di germogli di broccolo, nel circolo sanguigno viene soppresso l’enzima utilizzato dai tumori per annientare le nostre difese110 in misura pari o superiore al farmaco chemioterapico specificamente prodotto a tale scopo,111 senza effetti collaterali tossici.112
E se seguissimo una dieta ricca di prodotti di origine vegetale? Nello studio chiamato GEMINAL (Gene Expression Modulation by Intervention with Nutrition and Lifestyle, cioè Modulazione dell’espressione genetica attraverso interventi nutrizionali e sullo stile di vita) il dottor Ornish e colleghi hanno effettuato biopsie a uomini con il cancro alla prostata prima e dopo tre mesi di cambiamenti importanti nello stile di vita, tra cui una dieta a base di cibi integrali e di origine vegetale. Senza ricorrere alla chemioterapia né alle radiazioni, sono stati registrati notevoli miglioramenti nell’espressione genetica di cinquecento geni diversi. Nel giro di pochi mesi, l’espressione dei geni in grado di prevenire le malattie era drasticamente aumentata e gli oncogeni che favoriscono il cancro al seno e alla prostata erano stati soppressi.113 Quali che siano i geni che abbiamo ereditato dai genitori, ciò che mangiamo può influire sul modo in cui questi agiscono sulla nostra salute. Il potere sta principalmente nelle nostre mani e nei nostri piatti.
Questo libro è diviso in due parti: il «perché» e il «come». Nella prima parte, in cui spiego «perché» occorre mangiare in modo sano, analizzerò il ruolo della dieta nella prevenzione, nel trattamento e nella regressione di quindici tra le principali patologie killer degli Stati Uniti. Poi, nella sezione del «come», illustrata nella seconda parte, osserverò più da vicino gli aspetti pratici di un’alimentazione sana. Ad esempio, nella prima parte scopriremo perché legumi e verdure a foglia verde sono tra i cibi più sani della Terra e poi, nella seconda, vedremo come è meglio assumerli: quanti ortaggi è bene mangiare al giorno e se sia meglio consumarli cotti, in scatola, freschi o congelati. Nella prima parte vedremo perché è importante mangiare almeno nove porzioni di frutta e verdura al giorno, nella seconda cercheremo di capire se conviene comprare prodotti biologici o convenzionali. Cercherò di rispondere a tutte le domande che mi vengono rivolte più spesso e offrirò consigli pratici sull’acquisto di frutta e verdura e sulla pianificazione dei pasti, in modo che mangiare sano in famiglia diventi la cosa più facile del mondo.
Oltre a scrivere altri libri, ho intenzione di continuare a tenere conferenze nelle facoltà di medicina e negli ospedali finché potrò. Continuerò a cercare di accendere la scintilla che ha portato inizialmente i miei colleghi a dedicarsi alla cura delle persone: aiutare gli altri a stare meglio. Nella borsa di tanti medici mancano strumenti efficaci che possono far migliorare i pazienti invece di limitarsi a rallentarne il declino. Continuerò a impegnarmi per cambiare il sistema, ma voi, lettori, non avete un minuto da perdere. Potete iniziare subito a seguire i consigli che troverete nei prossimi capitoli. Mangiare in modo più sano è più facile di quanto crediate, non costa niente e potrebbe salvarvi la vita.