CAPITOLO 1
COME NON MORIRE DI MALATTIE CARDIACHE
Immaginate se i terroristi creassero un agente biologico che si diffonde implacabilmente reclamando le vite di quasi quattrocentomila americani all’anno: una persona ogni ottantatré secondi, ogni ora, ogni giorno, un anno dopo l’altro. Tutte le mattine l’epidemia sarebbe sulle prime pagine dei giornali. Schiereremmo l’esercito e raduneremmo i migliori scienziati per trovare la cura di questa piaga bioterroristica. In poche parole, faremmo qualunque cosa pur di fermare i terroristi.
Per fortuna non stanno davvero morendo centinaia di migliaia di persone all’anno per una minaccia che siamo in grado di prevenire... o forse sì?
In effetti, sì. Questa arma biologica non è impiegata dai terroristi, ma uccide più americani all’anno di tutte le guerre passate messe insieme. Può essere fermata non in un laboratorio, ma nei negozi di frutta e verdura, in cucina e in sala da pranzo. Le armi necessarie per combatterla non sono vaccini e antibiotici: basta una semplice forchetta.
Ma allora, che cosa sta succedendo? Se questa epidemia è tanto diffusa, ma è facile da prevenire, perché non facciamo di più per combatterla?
Il killer di cui sto parlando è la coronaropatia, che colpisce quasi tutti coloro che sono cresciuti seguendo la dieta americana standard.
Il nostro killer numero uno
Il killer che miete più vittime negli Stati Uniti è un terrorista diverso da quelli che conosciamo: le sue armi sono i depositi adiposi sulle pareti delle arterie, chiamati placche aterosclerotiche. Nel caso di molti americani cresciuti seguendo la dieta tradizionale, le placche si accumulano nelle arterie coronariche, i vasi sanguigni che circondano il cuore (da cui deriva il termine «coronariche») e lo riforniscono di sangue ben ossigenato. La formazione della placca, chiamata aterosclerosi (dal greco athere, ossia «pappa», e sklerosis, indurimento), è appunto l’indurimento delle arterie dovuto a sacche di grasso ricco di colesterolo che si accumula sul rivestimento interno dei vasi sanguigni. Questo processo si verifica negli anni, e i depositi si gonfiano lentamente nello spazio libero dentro le arterie, restringendo così il lume attraverso cui scorre il sangue. La riduzione dell’afflusso di sangue al muscolo cardiaco può provocare dolore e senso di oppressione al petto, un fenomeno chiamato «angina», nel momento in cui si fanno sforzi. Se la placca si rompe, nell’arteria può formarsi un coagulo di sangue. Il conseguente blocco improvviso del flusso sanguigno può causare a sua volta un infarto, che danneggia o provoca la necrosi di parte del cuore.
Quando pensiamo alle malattie cardiache, in genere ci vengono in mente amici o parenti che, prima di morire, hanno sofferto per anni di dolori al petto e di fiato corto. Tuttavia, per molti americani che muoiono improvvisamente per un attacco di cuore, i primi sintomi possono anche essere gli ultimi.1 Questo fenomeno viene definito «morte cardiaca improvvisa» e si verifica quando il decesso sopraggiunge nel giro di un’ora dalla comparsa del sintomo. In altre parole, potremmo non renderci nemmeno conto di essere a rischio finché non è troppo tardi. Un momento prima ci si può sentire benissimo e un’ora dopo si è già all’altro mondo. Ecco perché è fondamentale innanzitutto prevenire le malattie cardiache, prima di scoprire di averne una.
I pazienti spesso mi chiedono: «Ma le malattie del cuore non sono semplicemente una conseguenza dell’invecchiamento?» Capisco bene perché questa concezione sbagliata sia tanto diffusa: dopotutto, il cuore, nell’arco della vita media, pompa miliardi di volte. Non potrebbe darsi che il nostro contatore interno dopo un po’ si rompa? No.
Una vasta serie di studi dimostra che un tempo in gran parte del pianeta le malattie cardiache non esistevano affatto. Ad esempio, nel celebre progetto China-Cornell-Oxford (noto come China Study), i ricercatori hanno analizzato le abitudini alimentari di migliaia di contadini cinesi. Per dirne una, nella provincia del Guizhou, una regione che comprende mezzo milione di persone, nell’arco di tre anni tra gli uomini sotto i sessantacinque non si è registrato neanche un decesso dovuto a malattie coronariche.2
Negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, i medici di formazione occidentale che lavoravano nella fitta rete di ospedali missionari nell’Africa subsahariana notarono che molte patologie croniche che mietevano tante vittime nel cosiddetto mondo civile erano praticamente assenti in gran parte del continente. In Uganda, un Paese dell’Africa orientale che conta milioni di abitanti, le malattie coronariche erano «quasi inesistenti».3
Dipendeva forse dal fatto che gli abitanti di quei Paesi morivano giovani di altre malattie e non vivevano abbastanza a lungo per ammalarsi di cuore? No. I medici confrontarono i risultati delle autopsie degli ugandesi con quelli di americani deceduti alla stessa età e scoprirono che su 632 persone esaminate a Saint Louis, Missouri, 136 erano morte per problemi di cuore. E che ne era stato dei 632 ugandesi della stessa età? Si era verificato un solo infarto. Gli ugandesi erano stati colpiti da patologie cardiache oltre cento volte meno degli americani. I medici ne furono così colpiti che esaminarono altri 800 ugandesi deceduti e scoprirono che, su oltre 1400 persone, solo una riportava una lesione minima (e comunque risolta) al cuore, il che significava che quell’infarto non era stato letale. Allora come oggi, nel mondo industrializzato le malattie cardiache uccidono più di ogni altra patologia. Nell’Africa centrale, erano così rare da uccidere meno di un individuo su mille.4
Studi condotti sugli immigrati dimostrano che tale resistenza alle malattie cardiache non è una prerogativa dei geni africani. Quando le persone si trasferiscono da zone a basso rischio a zone ad alto rischio, vedono salire alle stelle i loro tassi di malattia, perché adottano la dieta e lo stile di vita del Paese ricevente.5 I livelli incredibilmente bassi di rischio di malattie cardiache nella Cina rurale e in Africa sono stati attribuiti ai bassissimi livelli di colesterolo riscontrati in queste popolazioni. Nonostante la dieta cinese sia molto diversa da quella africana, esistono alcuni elementi in comune. Ad esempio, sono entrambe centrate su prodotti di origine vegetale, come cereali e verdure. Assumendo così tante fibre e così poco grasso animale, i loro livelli di colesterolo sono in media inferiori a 150 mg/dL,6,7 cioè simili a quelli di chi segue una dieta a base di frutta, verdura e cereali.8
Ma che cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che le malattie di cuore dipendono da una scelta.
Se potessimo vedere i denti di persone vissute oltre diecimila anni prima che inventassero lo spazzolino, noteremmo che quasi non avevano carie.9 Non si erano mai passate il filo interdentale, eppure avevano denti sani. Questo si spiega con il fatto che all’epoca non erano ancora state inventate le merendine. Oggi i denti si cariano perché il piacere che ricaviamo dai dolciumi supera la spesa e il fastidio delle sedute dal dentista. Anch’io mi concedo qualche strappo di tanto in tanto – ho un’ottima assicurazione dentistica! E se il problema non fosse la placca sui denti, ma le placche che si formano nelle arterie? Non si tratterebbe più di togliere il tartaro: sarebbe una questione di vita o di morte.
Le malattie cardiache sono la principale causa di morte sia per noi stessi che per gran parte delle persone che amiamo. Naturalmente, spetta a ciascuno decidere che cosa mangiare e quanto vivere, ma non dovremmo forse cercare di prendere decisioni consapevoli comprendendo quali sono le conseguenze prevedibili delle nostre azioni? Così come possiamo evitare i cibi zuccherati che ci rovinano i denti, possiamo evitare gli acidi grassi trans, i grassi saturi e gli alimenti pieni di colesterolo che ci ostruiscono le arterie.
Diamo adesso un’occhiata alla progressione delle malattie coronariche nell’arco della vita e vediamo come alcune semplici scelte alimentari, compiute in qualunque fase, possano prevenire, fermare e persino far regredire le patologie cardiache prima che sia troppo tardi.
L’OLIO DI PESCE È SOLTANTO UN INTRUGLIO DA CIARLATANI?
Grazie in parte alle raccomandazioni dell’American Heart Association, secondo cui chi è ad alto rischio di infarto dovrebbe chiedere al proprio medico informazioni sugli integratori alimentari a base di olio di pesce, un alimento ricco di Omega-3,10 queste pillole si sono trasformate in un’industria multimiliardaria. Oggi negli Stati Uniti si consumano oltre centomila tonnellate di olio di pesce all’anno.11
Ma che cosa dice la scienza? I presunti benefici degli integratori all’olio di pesce nella prevenzione e nel trattamento delle malattie cardiache sono soltanto un pesce d’aprile? La revisione sistematica e la meta-analisi pubblicate sul «Journal of the American Medical Association» hanno preso in esame i migliori studi clinici randomizzati che analizzavano gli effetti dei grassi Omega-3 su fattori come: durata della vita, decessi per malattie cardiache, morti cardiache improvvise, infarto e ictus. Le ricerche comprendevano non solo gli studi sugli integratori a base di olio di pesce, ma anche sugli effetti delle raccomandazioni di consumare maggiori quantità di quest’olio. Che cosa si è scoperto? Nel complesso, i ricercatori non hanno riscontrato alcun beneficio legato al consumo di olio di pesce riguardo alla mortalità in generale, né a quella dovuta a malattie cardiache, morti cardiache improvvise, infarto e ictus.12
E nel caso di coloro che avevano già avuto un infarto e cercavano di non farsene venire un altro? Lo stesso, non vi era alcun beneficio.13
Ma allora, da dove è venuta questa idea che i grassi Omega-3 presenti nel pesce e negli integratori a base di olio di pesce facciano bene alla salute? Un tempo si credeva che gli eschimesi fossero protetti dalle malattie cardiache, ma oggi sappiamo che si tratta solo di un mito.14 Alcuni studi pilota, però, erano parsi promettenti. Ad esempio, il famoso studio DART degli anni Ottanta del secolo scorso, condotto su duemila uomini, aveva scoperto che coloro ai quali era stato consigliato di mangiare pesce grasso avevano una riduzione del 29% della mortalità.15 Un bel risultato, non c’è che dire, perciò è logico che abbia attirato l’attenzione. Ma tutti paiono essersi scordati del seguito, lo studio DART-2, che giunse a conclusioni diametralmente opposte. Gestito dallo stesso gruppo di ricercatori, il DART-2 era una ricerca ancora più ampia, condotta su tremila uomini, ma stavolta i partecipanti che erano stati consigliati di consumare pesce grasso, e in particolare quelli cui erano state fornite capsule contenenti tale integratore, presentavano un rischio di infarto più elevato.16, 17
Dopo aver messo insieme tutti questi studi, i ricercatori hanno concluso che l’uso degli Omega-3 nella pratica clinica quotidiana non era più giustificato.18 Che cosa devono fare, allora, i medici ogni volta che i loro pazienti seguono le raccomandazioni dell’American Heart Association e chiedono lumi sugli integratori a base di olio di pesce? Come ha detto il direttore del reparto per lo studio dei grassi e del metabolismo dell’unità cardiovascolare del Mount Sinai di New York: «Considerate queste e altre meta-analisi negative, il nostro compito [in qualità di medici] è smettere di prescrivere ai pazienti i diffusissimi integratori di olio di pesce».19
Si soffre di cuore sin dall’infanzia
Nel 1953, uno studio pubblicato sul «Journal of the American Medical Association» ha cambiato radicalmente la nostra visione dell’insorgenza delle patologie cardiache. I ricercatori hanno condotto una serie di trecento autopsie sulle vittime americane della guerra di Corea, con un’età media di circa ventidue anni. Il risultato scioccante fu che il 77% dei soldati presentava già segni evidenti di aterosclerosi coronarica. Alcuni avevano addirittura le arterie ostruite per il 90% o più.20 Lo studio «ha dimostrato in modo inequivocabile che i cambiamenti a livello aterosclerotico compaiono nelle arterie coronariche anni e decenni prima dell’età in cui la coronaropatia diventa un problema clinicamente riconosciuto».21
Studi più recenti sui decessi accidentali di vittime tra i tre e i ventisei anni hanno dimostrato che quasi tutti i bambini dai dieci anni in su presentavano strie lipidiche, ossia il primo stadio dell’aterosclerosi.22 A venti o trent’anni di età queste strie possono trasformarsi in placche vere e proprie, come quelle riscontrate nei giovani soldati americani della guerra di Corea. E a quaranta-cinquant’anni possono cominciare a ucciderci.
Se tra voi ci sono lettori sopra i dieci anni, la domanda non è se volete mangiare più sano per prevenire una patologia cardiaca, ma se volete far regredire quella che molto probabilmente avete già.
E quando cominciano a comparire queste strie lipidiche? L’aterosclerosi può iniziare persino prima della nascita. Alcuni ricercatori italiani hanno esaminato le arterie di feti abortiti e bambini nati prematuri e deceduti subito dopo. Hanno scoperto che quelle dei feti le cui madri presentavano alti livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL o colesterolo «cattivo») avevano maggiori probabilità di presentare lesioni.23 Queste scoperte suggeriscono che l’aterosclerosi può iniziare non solo da bambini, come malattia della nutrizione, ma addirittura nella pancia della madre.
Ormai, per le donne incinte è una prassi evitare fumo e alcolici. Non è mai troppo presto per iniziare anche a nutrirsi in modo sano per il bene della generazione successiva.
Secondo William C. Roberts, caporedattore dell’«American Journal of Cardiology», l’unico fattore di rischio importante nella formazione delle placche aterosclerotiche è il colesterolo, in particolare gli alti livelli di colesterolo LDL.24 Infatti, le lipoproteine a bassa densità vengono definite «colesterolo cattivo» perché sono il mezzo attraverso cui il colesterolo si deposita nelle arterie. Le autopsie condotte su migliaia di vittime di incidenti hanno dimostrato che il livello di questa sostanza nel sangue è strettamente legato alla quantità di placche aterosclerotiche nelle arterie.25 Per ridurre drasticamente i livelli di colesterolo LDL, occorre ridurre altrettanto drasticamente l’assunzione di tre cose: acidi grassi trans, presenti nei cibi lavorati e, in modo naturale, nella carne e nei latticini; grassi saturi, che si trovano soprattutto nei prodotti di origine animale e nei cibi spazzatura; e, in misura minore, colesterolo alimentare, che si trova solo nei cibi di origine animale, soprattutto nelle uova.26
Vedete lo schema? I tre elementi che fanno schizzare alle stelle il colesterolo cattivo, ossia il principale fattore di rischio di morte negli Stati Uniti, derivano tutti da prodotti di origine animale e da cibi spazzatura lavorati. Questo spiega perché le popolazioni che seguono una dieta tradizionale basata su cibi di origine vegetale quasi non conoscono la piaga delle malattie cardiache.
È il colesterolo, sciocco!
Il dottor Roberts non è soltanto il caporedattore dell’«American Journal of Cardiology» da trent’anni, ma è anche il direttore esecutivo del Baylor Heart and Vascular Institute e ha scritto oltre mille pubblicazioni scientifiche e più di dodici manuali di cardiologia. Sa di cosa parla.
Nel suo editoriale intitolato È il colesterolo, sciocco! sostiene (come ho già evidenziato), che esiste un solo vero fattore di rischio di coronaropatia: il colesterolo.27 Si può essere obesi, diabetici, fumatori e pantofolai e nonostante questo non soffrire di aterosclerosi, sostiene il dottor Roberts, purché il livello di colesterolo nel sangue sia basso.
Probabilmente il livello ottimale di lipoproteine a bassa densità è di circa 50-70 mg/dL e, a quanto pare, più basso è, meglio è. Questo è il livello che presentiamo alla nascita, riscontrato anche nelle popolazioni che non soffrono di malattie cardiache, ed è quello a cui, negli studi clinici sulla riduzione del colesterolo, pare arrestarsi l’avanzamento dell’aterosclerosi.28 Un livello di LDL di circa 70 mg/dL corrisponde a una lettura del colesterolo totale di circa 150, al di sotto della quale il celebre Framingham Heart Study, un programma portato avanti per generazioni al fine di identificare i fattori di rischio delle malattie cardiache, non ha riscontrato decessi per coronaropatia.29 L’obiettivo per la popolazione è dunque avere livelli di colesterolo totale inferiori a 150 mg/dL. «Se riuscissimo a porci questo obiettivo», ha scritto il dottor Roberts, «la grande piaga del mondo occidentale verrebbe di fatto sconfitta.»30
Il colesterolo medio degli americani è molto più alto di 150 mg/dL: si aggira intorno ai 200 mg/dL. Se le vostre analisi del sangue riportano un valore pari a 200 mg/dL, il medico potrebbe anche sostenere che è normale. Ma in una società in cui morire di cuore è la norma, un livello di colesterolo «normale» non è affatto una bella cosa.
Per avere un cuore a prova di infarto, dovete mantenere il colesterolo LDL almeno al di sotto dei 70 mg/dL. Il dottor Roberts ha sottolineato che esistono solo due modi per farlo: costringere oltre cento milioni di americani a prendere farmaci per il resto della loro vita, oppure invitarli a seguire una dieta a base di cibi integrali di origine vegetale.31
Perciò: medicine o dieta. Tutte le assicurazioni mediche coprono le statine che abbassano il colesterolo, quindi perché cambiare dieta, se possiamo limitarci a buttar giù una pillola al giorno per tutta la vita? Purtroppo, come vedremo nel capitolo 15, questi farmaci non sono efficaci quanto ci aspettiamo e in più possono avere effetti collaterali indesiderati.
Patatine fritte con contorno di Totalip?
Il farmaco a base di statine contro il colesterolo chiamato Totalip (Lipitor negli Stati Uniti) è il più venduto di tutti i tempi e genera profitti per oltre 140 miliardi di dollari su scala globale.32 Questa classe di medicinali ha suscitato un tale entusiasmo nella comunità medica che alcune autorità sanitarie americane hanno chiesto che venisse aggiunta all’acqua degli acquedotti pubblici, come si fa con il fluoruro.33 Una rivista specializzata di cardiologia ha persino consigliato ironicamente ai fast food di offrire, insieme al ketchup, un condimento alla «McStatina» per neutralizzare gli effetti delle scelte alimentari nocive.34
Coloro che corrono un grave rischio di malattie cardiache e non vogliono o non riescono ad abbassare il livello di colesterolo in modo naturale cambiando regime alimentare, ritengono che i benefici delle statine superino in genere i rischi. Questi farmaci hanno però degli effetti collaterali, come la possibilità di danneggiare fegato e muscoli: per monitorare la loro tossicità epatica, alcuni medici prescrivono esami del sangue periodici ai pazienti che li assumono. Si possono fare esami del sangue anche per verificare la presenza di prodotti di degradazione delle cellule muscolari, ma le biopsie in genere dimostrano che chi prende le statine presenta danni muscolari anche se i suoi valori del sangue sono nella norma e non lamenta dolori o debolezza muscolari.35 Il calo della forza e della funzione muscolare talvolta associato a questi farmaci può non costituire un grosso problema per un paziente giovane, ma può esporre gli anziani a un maggiore rischio di cadute e traumi.36
Negli ultimi anni sono state sollevate altre questioni. Nel 2012, la Food and Drug Administration americana ha pubblicato le nuove disposizioni di sicurezza per le etichette dei farmaci alle statine per mettere in guardia medici e pazienti sulla possibilità di effetti collaterali al cervello, ad esempio perdita di memoria e stato confusionale. È stato inoltre dimostrato che le statine aumentano il rischio di insorgenza del diabete.37 Nel 2013, uno studio condotto su diverse migliaia di pazienti con tumori al seno ha dimostrato che l’uso prolungato di questi farmaci potrebbe addirittura raddoppiare il rischio di cancro al seno invasivo.38 La causa di morte numero uno tra le donne è l’infarto, non il cancro, perciò i benefici delle statine potrebbero essere maggiori dei rischi, ma perché accettare di correrli, se è possibile abbassare il livello di colesterolo in modo naturale?
I regimi alimentari basati su prodotti di origine vegetale si sono dimostrati efficaci nell’abbassare il colesterolo tanto quanto i più diffusi farmaci alle statine, ma senza rischi.39 Anzi, come vedremo nel resto del libro, gli «effetti collaterali» di una dieta sana tendono a essere positivi: meno rischi di cancro e diabete da un lato e protezione di fegato e cervello dall’altro.
Le patologie cardiache possono regredire
Non è mai troppo presto per iniziare a mangiare sano, ma potrebbe essere troppo tardi? Alcuni pionieri della medicina dello stile di vita, come Nathan Pritikin, Dean Ornish e Caldwell Esselstyn Jr. hanno preso pazienti con malattie cardiache gravi e li hanno sottoposti alla stessa dieta a base vegetale seguita dalle popolazioni africane e asiatiche che non soffrono di simili patologie. La loro speranza era che un’alimentazione sufficientemente sana avrebbe fermato l’avanzare della malattia, impedendone il peggioramento.
Invece, è successo un miracolo.
Le malattie cardiache hanno iniziato a regredire e i pazienti si sono sentiti meglio. Non appena hanno smesso di seguire una dieta che ostruiva le arterie, il loro organismo è riuscito a sciogliere autonomamente alcune delle placche aterosclerotiche che si erano formate. Le arterie si sono riaperte senza farmaci o interventi chirurgici persino nei pazienti con coronaropatia a tre vasi. Ciò dimostra che l’organismo voleva guarire, ma non ne aveva mai avuto la possibilità.40
Permettetemi di illustrarvi quello che qualcuno ha definito «il segreto meglio custodito della medicina»:41 nelle giuste condizioni, il corpo guarisce da solo. Se battiamo la gamba contro un tavolino, può diventare rossa, gonfia e fare male. Ma se non facciamo niente e lasciamo che il corpo operi la sua magia, la gamba guarirà spontaneamente. E se la sbattiamo tre volte al giorno, a colazione, pranzo e cena? In quel caso, non guarirà mai.
Possiamo andare dal medico e lamentarci del male alla gamba: «Nessun problema», dirà, tirando fuori il blocchetto e scrivendo una ricetta per gli antidolorifici. Poi torniamo a casa e continuiamo a sbattere contro il tavolo tre volte al giorno, ma le pillole ci fanno sentire molto meglio. Meno male che c’è la medicina moderna! È la stessa cosa che accade quando le persone prendono la nitroglicerina per i dolori al petto. La farmacologia può dare un sollievo incredibile, ma non fa assolutamente nulla per curare le vere cause.
L’organismo vuole recuperare la salute: basta lasciarglielo fare. Se invece continuiamo a farci del male tre volte al giorno, interrompiamo il processo di guarigione. Pensiamo al fumo e al rischio di cancro al polmone: una delle cose più incredibili che ho imparato studiando medicina è che entro quindici anni circa da quando si smette di fumare, il rischio di cancro al polmone è simile a quello di chi non ha mai fumato in vita sua.42 I polmoni sono in grado di ripulirsi da tutto quel catrame e, alla fine, è quasi come se non avessimo mai fumato.
Il corpo vuole essere sano. E ogni notte, nella nostra vita da fumatori, quando ci addormentiamo, il processo di guarigione ricomincia daccapo finché... bam! – il mattino dopo accendiamo la prima sigaretta. Così come roviniamo nuovamente i polmoni a ogni boccata di fumo, danneggiamo nuovamente le arterie a ogni boccone. Possiamo scegliere la via della moderazione e colpirci con un martello più piccolo, ma perché colpirci, dopotutto? Possiamo smettere di farci del male, piantarla con le vecchie abitudini e lasciare che il naturale processo di guarigione del corpo ci riporti sulla strada della salute.
Le endotossine che danneggiano le arterie
I regimi alimentari nocivi non agiscono soltanto sulla struttura delle arterie, ma anche sul loro funzionamento. Le arterie non sono semplicemente dei condotti inerti attraverso cui scorre il sangue: sono organi vivi, dinamici. Sappiamo ormai da quasi vent’anni che un solo pasto al fast food – nello studio originale sono stati utilizzati i McMuffin Sausage & Egg (muffin salati con salsiccia, uova e formaggio) – può far irrigidire le arterie nel giro di poche ore, dimezzando la loro capacità di distendersi normalmente.43 E non appena questo stato infiammatorio inizia a regredire, cinque o sei ore dopo... è ora di mangiare! A quel punto possiamo scegliere di intasare nuovamente le arterie con un altro carico di alimenti nocivi, un’opzione che per molti americani significa rimanere bloccati in un pericoloso stato di infiammazione lieve ma cronica. Mangiare cibi malsani non provoca danni soltanto a decenni di distanza, ma anche qui e ora, a poche ore dal pasto.
All’inizio i ricercatori hanno dato la colpa ai grassi animali o alle proteine di origine animale, ma di recente l’attenzione si è focalizzata sulle tossine batteriche note come «endotossine». A quanto risulta, certi cibi, tra cui la carne, ospitano batteri che possono innescare un’infiammazione, sia da vivi che da morti, persino quando l’alimento è ben cotto. Le endotossine non vengono eliminate dalla cottura, dagli acidi dello stomaco o dagli enzimi digestivi, perciò, quando mangiamo cibi di origine animale, possono finire nell’intestino. Si pensa poi che vengano trasportate dai grassi saturi attraverso la parete intestinale e che entrino nel flusso sanguigno e inneschino una reazione infiammatoria arteriosa.44
Ciò potrebbe spiegare la rapidità con cui i pazienti cardiaci provano sollievo quando seguono una dieta composta soprattutto da alimenti vegetali, tra cui frutta, verdura, cereali integrali e legumi. Nei pazienti che seguivano una dieta vegetariana con45 o senza46 esercizio fisico, dopo poche settimane il dottor Ornish ha riscontrato una riduzione degli attacchi di angina pari al 91%. La rapida scomparsa del dolore al petto è avvenuta ben prima che l’organismo avesse la possibilità di liberare le arterie ostruite dalle placche aterosclerotiche, il che indica che la dieta vegetariana non solo aiuta a ripulire le arterie, ma ne migliora anche la funzionalità quotidiana. Al contrario, i pazienti del gruppo di controllo a cui era stato detto di seguire i consigli del proprio medico, presentavano un aumento degli attacchi di angina pari al 186%.47 Il fatto che le loro condizioni siano peggiorate non è certo sorprendente: i pazienti hanno continuato a seguire la stessa dieta che aveva bloccato loro le arterie.
Sappiamo da decenni che i cambiamenti alimentari sono estremamente efficaci. Ad esempio, nel 1977 l’«American Heart Journal» ha pubblicato un articolo intitolato Angina and Vegan Diet (Angina e alimentazione vegana). Le diete vegane si basano esclusivamente su alimenti di origine vegetale ed escludono carne, latticini e uova. Nell’articolo, i medici descrivevano casi come quello del signor F. W. (spesso si ricorre alle iniziali per proteggere la privacy del paziente), un uomo di sessantacinque anni con un’angina così grave che doveva fermarsi ogni nove o dieci passi e non riusciva nemmeno ad arrivare alla cassetta della posta. Si sottopose a una dieta vegana e i dolori diminuirono nel giro di qualche giorno. Dopo pochi mesi, era in grado di scalare le montagne e non sentiva più alcun dolore.48
Non siete pronti a mangiare più sano? Be’, esiste una nuova classe di farmaci contro l’angina, come la ranolazina (commercializzata con il nome di Ranexa). Uno dei dirigenti di una casa farmaceutica ne ha suggerito l’uso a coloro che «non sono in grado di sopportare i drastici cambiamenti alimentari richiesti da una dieta vegana».49 Il farmaco costa più di 2000 dollari all’anno, ma gli effetti collaterali sono relativamente blandi, e comunque funziona... tecnicamente parlando. Assunto nella dose massima, il Ranexa è in grado di prolungare la durata dell’esercizio fisico di 33,5 secondi.50 Più di mezzo minuto! A quanto pare, chi sceglie la via farmacologica non potrà certo scalare le montagne.
NOCI BRASILIANE CONTRO IL COLESTEROLO?
Può una sola porzione di noci brasiliane abbassare i livelli di colesterolo più rapidamente delle statine e mantenerli bassi anche un mese dopo l’assunzione?
Si tratta di una delle scoperte più pazzesche che abbia mai sentito. Alcuni ricercatori del Brasile – e di dove, sennò? – hanno somministrato a dieci uomini e donne un pasto contenente da una a otto noci brasiliane. Sorprendentemente, in confronto al gruppo di controllo che non ne aveva mangiata neanche una, chi aveva consumato noci brasiliane ha registrato un’immediata diminuzione del colesterolo. Nove ore dopo l’assunzione, i livelli di LDL («colesterolo cattivo») sono risultati di venti punti più bassi:51 nemmeno i farmaci agiscono così in fretta.52
Ma adesso arriva la parte davvero folle: i ricercatori hanno misurato nuovamente i livelli di colesterolo dei partecipanti trenta giorni dopo. Un mese dopo aver mangiato una sola manciata di noci brasiliane, questi valori erano rimasti bassi.
Di norma, quando nella letteratura medica esce uno studio che presenta risultati troppo belli per essere veri, come in questo caso, prima di cambiare la pratica medica e iniziare a raccomandare qualcosa di nuovo ai pazienti, i medici aspettano che i risultati vengano confermati, soprattutto se lo studio è stato effettuato soltanto su dieci soggetti e i risultati paiono davvero incredibili. Tuttavia, se l’entità dell’intervento è minima, poco costosa, innocua e sana (e qui stiamo parlando di quattro noci brasiliane al mese), secondo me l’onere della prova viene in qualche modo ribaltato. Credo che la posizione più ragionevole consista nel seguire i risultati, finché non verrà dimostrato che sono sbagliati.
Ma di più non significa meglio. Le noci brasiliane contengono così tanto selenio che mangiarne quattro al giorno potrebbe farvi raggiungere il limite giornaliero. Tuttavia, mangiare solo quattro noci brasiliane al mese non deve destare alcuna preoccupazione.
Follow the Money
La ricerca secondo cui la coronaropatia può regredire seguendo una dieta a base di prodotti di origine vegetale, con o senza altri cambiamenti salutari di stile di vita, è stata pubblicata per decenni in alcune delle più prestigiose riviste mediche specialistiche del mondo. E allora perché non è ancora stata inserita nelle politiche pubbliche?
Nel 1977 la Commissione McGovern del Senato americano per la nutrizione e i bisogni dell’uomo ha cercato di farlo, pubblicando il rapporto Dietary Goals for the United States (Obiettivi per l’alimentazione degli Stati Uniti), nel quale invitava la popolazione a ridurre il consumo di alimenti di origine animale e aumentare l’assunzione di quelli vegetali. Come ricorda un membro del dipartimento della Nutrizione dell’Università di Harvard: «I produttori di carne, latticini e uova si arrabbiarono molto».53 Ma questo è un eufemismo: in seguito alle pressioni dell’industria, infatti, non solo l’obiettivo di «ridurre il consumo di carne» venne eliminato dal rapporto, ma fu smantellata persino la Commissione stessa e si ritiene che molti senatori di spicco abbiano perso le elezioni proprio perché avevano appoggiato quel rapporto.54
Negli ultimi anni si è scoperto che molti membri del Comitato consultivo americano sulle linee guida per l’alimentazione avevano legami finanziari con aziende di ogni tipo, da quelle produttrici di dolci alle istituzioni come il Council on Healthy Lifestyles (Comitato per uno stile di vita sano) della McDonald’s e il Beverage Institute for Health and Wellness (Istituto della sanità e del benessere) della Coca-Cola. Prima di entrare nel gruppo che ha elaborato le Linee guida alimentari per gli americani,55 uno dei membri del comitato aveva fatto la «ragazza immagine» per l’impasto per dolci della Duncan Hines ed era poi diventata «ragazza immagine» ufficiale della Crisco.
Come ha affermato un editorialista del «Food and Drug Law Journal», il rapporto del Comitato consultivo americano sulle linee guida per l’alimentazione non conteneva
alcuna discussione sulla ricerca scientifica relativa alle conseguenze del consumo di carne per la salute. Se il comitato avesse parlato di quella ricerca, non avrebbe potuto giustificare la raccomandazione di mangiare carne, poiché lo studio dimostra che la sua assunzione aumenta il rischio di malattie croniche, in contrasto con gli obiettivi delle Linee guida. Pertanto, limitandosi a ignorare la ricerca, il comitato può giungere a una conclusione che altrimenti apparirebbe scorretta.56
Ma che dire della professione medica? Perché i miei colleghi non hanno sposato questa ricerca che dimostra l’importanza di un’alimentazione sana? Purtroppo la storia della medicina è costellata di casi in cui l’establishment medico ha rifiutato solide prove scientifiche perché andavano contro le opinioni più diffuse. Questo fenomeno ha persino un nome: «Effetto pomodoro». Il termine è stato coniato dal «Journal of the American Medical Association» in riferimento al fatto che un tempo i pomodori erano considerati velenosi e per questo motivo furono banditi per secoli nell’America settentrionale, nonostante prove schiaccianti del contrario.57
Già il fatto che gran parte delle facoltà di medicina non richiedano agli studenti di frequentare nemmeno un corso sulla nutrizione è negativo di per sé,58 ma quando le organizzazioni mediche più quotate fanno attivamente lobbying per evitare che i medici seguano corsi sull’alimentazione è ancora peggio.59 In occasione delle polemiche sorte intorno all’American Academy of Family Physicians (AAFP, Associazione americana dei medici di base) che aveva siglato un accordo con la Coca-Cola finalizzato a insegnare ai pazienti i principi di una corretta alimentazione, uno dei vicepresidenti esecutivi dell’associazione cercò di placare le proteste spiegando che quell’alleanza non era priva di precedenti. Dopotutto, l’AAFP aveva già avuto rapporti con la PepsiCo e con McDonald’s60 e in precedenza aveva avuto legami finanziari con il produttore di tabacco Philip Morris.61
La replica non bastò a placare le critiche, perciò il dirigente dell’AAFP citò la dichiarazione di intenti dell’American Dietetic Association (ADA): «Non esistono cibi buoni e cibi cattivi, solo diete buone o cattive». Non esistono cibi cattivi? Scherziamo? Anche l’industria del tabacco ha sempre ripetuto un ritornello simile: fumare di per sé non fa male, è fumare «troppo» che fa male.62 Vi ricorda qualcosa? «Mangiate di tutto, con moderazione.»
Anche l’American Dietetic Association, che pubblica una serie di tabelle alimentari con indicazioni per una dieta sana, ha i suoi bei legami con l’industria. Vi siete mai chiesti chi produce le tabelle? L’industria alimentare paga l’ADA 20.000 dollari a tabella per poter partecipare alla stesura. Di conseguenza, a parlare di uova è l’American Egg Board e per quanto riguarda i vantaggi della gomma da masticare la parola passa al Wrigley Science Institute.63
Nel 2012, l’American Dietetic Association ha cambiato nome ed è diventata Academy of Nutrition and Dietetics, ma non ha cambiato politica e continua a ricevere milioni di dollari all’anno dalle aziende che producono cibo spazzatura, carne, latticini, bibite gassate e merendine. In cambio, l’ente permette loro di tenere seminari per spiegare ai dietologi cosa dire ai clienti.64 Se un dietologo si definisce «autorizzato», sappiate che fa parte di questo gruppo di affiliati. Per fortuna all’interno di questa comunità professionale esiste un movimento che ha dato vita all’organizzazione Dietitians for Professional Integrity (Dietologi per l’integrità professionale), che ha iniziato a opporsi a questa tendenza.
Che dire, però, dei singoli medici? Perché i miei colleghi non invitano i loro pazienti a smettere di mangiare pollo fritto del fast food? La loro scusa più comune è la mancanza di tempo durante l’orario di visita, ma la vera ragione per cui i dottori non consigliano ai pazienti con il colesterolo alto di mangiare in modo più sano è che questi potrebbero «temere le privazioni implicate dalle raccomandazioni nutrizionali».65 In altre parole, i medici intuiscono che i pazienti sentirebbero la mancanza di tutto il cibo spazzatura che mangiano. Vi immaginate un dottore che dice: «Eh sì, vorrei tanto dire ai miei pazienti di non fumare, ma so quanto gli piace»?
Di recente il dottor Neal Barnard, presidente del Physicians Committee for Responsible Medicine (Consiglio dei medici per una medicina responsabile), ha scritto un editoriale efficace sulla rivista di etica dell’American Medical Association, in cui parlava di come i medici sono passati dall’essere sostenitori – e persino facilitatori – del fumo a guidare la battaglia contro il tabacco: hanno capito che il consiglio di smettere di fumare sarebbe risultato più incisivo se non avessero più avuto le dita macchiate di nicotina.
Oggi il dottor Barnard afferma: «Le diete a base di prodotti di origine vegetale sono l’equivalente nutrizionale dello smettere di fumare».66