CAPITOLO 3
COME NON MORIRE DI MALATTIE CEREBRALI

Il mio nonno materno è morto di ictus e la mia nonna di Alzheimer.

Da bambino, mi piaceva andare a trovare la nonna a Long Island. Noi vivevamo lontani, a ovest, perciò dovevo prendere l’aereo, a volte da solo! Era una nonna perfetta che stravedeva per i nipoti e li viziava. Avrebbe voluto portarmi nei negozi di giocattoli ma, essendo un gran secchione, preferivo andare in biblioteca. Quando tornavamo a casa, carichi di libri presi in prestito, io mi mettevo sul suo grande divano (senza scarpe, ovviamente) a leggere e disegnare. Poi la nonna mi dava i muffin ai mirtilli che aveva preparato con un enorme robot da cucina che occupava metà del piano di lavoro.

Più avanti negli anni, la nonna cominciò a perdere la testa. Io ormai frequentavo la facoltà di medicina, ma tutta la mia conoscenza era inutile. Lei era cambiata: la nonnina dolce e signorile di un tempo lanciava oggetti contro gli altri e imprecava. La badante che si occupava di lei mi mostrò dei segni sul braccio: la mia (un tempo) affettuosa nonnina l’aveva morsa.

Le malattie cerebrali sono orribili. Al contrario di un problema al piede, alla schiena o se vogliamo anche a un altro organo vitale, quelle al cervello possono attaccare la personalità.

Le due patologie più gravi sono l’ictus, che uccide quasi 130.000 americani all’anno,1 e l’Alzheimer, che ne uccide circa 85.000.2 Molti ictus si potrebbero anche definire «attacchi cerebrali», un po’ come gli attacchi di cuore, con la differenza che la rottura delle placche arteriose blocca l’afflusso del sangue in alcune zone del cervello, e non del cuore. Il morbo di Alzheimer è più simile a un attacco alla mente.

L’Alzheimer è una delle patologie più gravose sia a livello fisico che emotivo, sia per chi ne soffre che per chi si prende cura del malato. Al contrario dell’ictus, che può uccidere di colpo e senza preavviso, l’Alzheimer implica un declino molto più lento e impercettibile nell’arco di mesi o anni. Al posto delle placche piene di colesterolo all’interno delle arterie, nel caso dell’Alzheimer si formano nel tessuto cerebrale delle placche di una sostanza chiamata amiloide, che sono associate alla perdita della memoria e, in ultima istanza, della vita.

Anche se l’ictus e l’Alzheimer sono malattie diverse, vi è un fattore chiave che le accomuna: una dieta sana può aiutare a prevenirle, come dimostra un numero sempre maggiore di studi scientifici.

 

ICTUS

 

Nel 90% circa degli ictus,3 l’afflusso di sangue ad alcune parti del cervello viene interrotto, lasciandole prive dell’ossigeno, pertanto la zona alimentata dall’arteria occlusa muore: si tratta dell’ictus ischemico (dal greco íschein «tenere, trattenere» e aimía, «sangue»). Una piccola percentuale di ictus è di origine emorragica, provocato cioè dal sanguinamento che si verifica nel cervello quando si rompe un vaso sanguigno. Il danno provocato dall’ictus dipende dall’area del cervello che è stata priva di ossigeno (o in cui si è verificata l’emorragia) e dalla durata di tale privazione. Chi subisce un ictus di breve durata può riportare soltanto un indebolimento di braccia e gambe, mentre chi viene colpito da un ictus importante può rimanere paralizzato, perdere la parola o, come accade troppo spesso, morire.

A volte il coagulo di sangue dura solo un attimo: non abbastanza da farsi notare, ma quanto basta a uccidere una minuscola parte del cervello. Questi ictus silenziosi possono moltiplicarsi e limitare progressivamente le funzioni cognitive fino alla comparsa di una demenza senile conclamata.4 Il nostro obiettivo è ridurre sia il rischio di ictus importanti che possono uccidere di colpo, sia di quelli minori che uccidono lo stesso, ma nel corso degli anni. Come accade per le malattie cardiache, una dieta sana può far calare il rischio di ictus abbassando colesterolo e pressione da un lato e migliorando al tempo stesso la circolazione sanguigna e l’azione antiossidante dall’altro.

 

Fibra! Fibra! Fibra!

Oltre ai ben noti effetti benefici sull’intestino, una massiccia assunzione di fibre pare ridurre il rischio di tumore al colon5 e al seno,6 di diabete,7 malattie cardiache8, obesità9 e morte prematura in genere.10 Una serie di ricerche recenti dimostra che una massiccia assunzione di fibre può anche aiutare a evitare l’ictus.11 Purtroppo, meno del 3% degli americani raggiunge la quantità minima raccomandata;12 ciò significa che il 97% della popolazione segue una dieta povera di fibre. Queste si trovano in alte concentrazioni solamente nei cibi integrali di origine vegetale. Gli alimenti lavorati ne contengono di meno, e quelli di origine animale non ne hanno affatto. Gli animali sono sostenuti dalle ossa, le piante dalle fibre.

A quanto pare, non occorrono grandi quantità di fibre per ridurre il rischio di ictus. Aumentare l’assunzione di fibre di soli 7 grammi al giorno può portare a una riduzione del rischio pari al 7%.13 A ciascuno il suo ictus, quindi, a seconda delle fibre ingerite. Sette grammi di fibre si possono aggiungere facilmente alla dieta: equivalgono a una ciotola di fiocchi d’avena con frutti di bosco o a una porzione di legumi cotti.

Come fanno le fibre a proteggere il cervello? Non lo sappiamo con certezza. Ma è stato accertato che aiutano a tenere sotto controllo il colesterolo14 e la glicemia,15 il che contribuisce a ridurre la quantità di placche aterosclerotiche nei vasi sanguigni del cervello. Una dieta ad alto contenuto di fibre può anche far abbassare la pressione sanguigna,16 riducendo a sua volta il rischio di emorragie cerebrali. Ma non è necessario che gli scienziati scoprano l’esatto meccanismo delle fibre per sfruttare questa informazione. Come si legge nella Bibbia: «...come un uomo [che] getta il seme nella terra; [...] il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa». Se l’agricoltore delle Sacre Scritture avesse aspettato di comprendere la biologia della germinazione del seme prima di piantarlo, non sarebbe durato molto a lungo. Perciò, perché non godere dei benefici dell’assunzione di fibre mangiando più cibi di origine vegetale non lavorati?

Non è mai troppo presto per iniziare a nutrirsi bene. Sebbene l’ictus sia considerato una malattia da anziani – solo il 2% dei decessi dovuti a questa patologia si verifica prima dei quarantacinque anni17 – i fattori di rischio possono cominciare ad accumularsi fin dall’infanzia. Uno studio significativo pubblicato di recente ha seguito centinaia di bambini per un periodo di ventiquattro anni, dalle scuole medie all’età adulta. I ricercatori hanno scoperto che una scarsa assunzione di fibre determinava già in età precoce l’indurimento delle arterie che portano il sangue al cervello, un fattore di rischio fondamentale per l’ictus. A soli quattordici anni, questi ragazzi presentavano differenze enormi nello stato di salute delle arterie, a seconda della quantità di fibre consumate nell’alimentazione quotidiana.18

Anche in questo caso, non ci voleva molto. Una mela in più, un quarto di tazza di broccoli in più o due soli cucchiai di legumi al giorno durante l’infanzia si sarebbero potuti tradurre in futuro in effetti benefici significativi per la salute delle arterie.19 Se volete davvero essere proattivi, le migliori ricerche disponibili20 suggeriscono che si può minimizzare il rischio di ictus mangiando almeno 25 grammi al giorno di fibre solubili (cioè quelle che si sciolgono in acqua, che si trovano in genere in legumi, avena, frutta a guscio e frutti di bosco) e 47 grammi al giorno di fibre insolubili (che non si sciolgono in acqua, come quelle del riso e del grano integrali). Ovviamente, per raggiungere questi livelli dovrete adottare una dieta straordinariamente sana, ben al di là di quella che viene arbitrariamente ritenuta adeguata dalla maggior parte delle autorità mediche.21 Vorrei tanto che queste autorità, invece di trattare la gente con condiscendenza propinandole i cibi che ritengono essere «alla sua portata»,22 si limitassero a fornire i dati scientifici, lasciando le persone libere di decidere da sole.

 

Potassio

Prendete una pianta e inceneritela. Gettate le ceneri in una pentola d’acqua, bollitele, eliminate quelle rimaste intere e alla fine vi ritroverete con un residuo biancastro chiamato carbonato di potassio o potassa. La potassa è stata usata per millenni per fare molte cose, dal sapone al vetro, dal fertilizzante alla candeggina. Finché, nel 1807, un chimico inglese capì che questa «sostanza vegetale alcalina» conteneva un elemento ancora ignoto, che chiamò pot-ash-ium (da pot, «pentola» e ash, «cenere»), cioè «potassio».

Ho raccontato questa storia solo per evidenziare quale sia la fonte primaria di potassio della vostra dieta: le piante. Ogni cellula dell’organismo per funzionare ha bisogno di potassio, che dobbiamo assumere attraverso la dieta. Per gran parte della storia, gli esseri umani hanno mangiato così tanti vegetali da arrivare ad assumere più di 10.000 milligrammi di potassio al giorno.23 Oggi, meno del 2% degli americani riesce a raggiungere la dose quotidiana raccomandata di 4700 milligrammi.24

Il motivo è semplice: non mangiamo abbastanza cibi non lavorati di origine vegetale.25 Ma che cosa c’entra il potassio con l’ictus? Una revisione sistematica delle migliori ricerche sul rapporto tra il potassio e le nostre due malattie più letali, quelle cardiache e l’ictus, ha concluso che l’assunzione di 1640 milligrammi in più di potassio al giorno è associata a una riduzione del rischio di ictus del 21%.26 Di certo non basta a portare il livello di potassio dell’americano medio alla soglia necessaria, ma è comunque sufficiente a ridurre in modo sostanziale il rischio di ictus. Pensate a quanto diminuirebbe tale rischio se raddoppiaste o triplicaste la quantità di cibi integrali di origine vegetale che mangiate.

Le banane, sebbene siano pubblicizzate per il loro contenuto di potassio, in realtà non ne sono particolarmente ricche. Secondo la banca dati aggiornata del Dipartimento dell’agricoltura statunitense, non rientrano neanche tra i primi mille alimenti con i livelli di potassio più alti; si trovano infatti al 1611esimo posto, appena dopo le caramelle al burro di arachidi Reese’s Pieces.27 Per raggiungere la dose minima di potassio raccomandata dovremmo mangiare dodici banane al giorno.

Quali cibi sono davvero ricchi di questo minerale? Tra quelli integrali, le fonti più sane e diffuse sono probabilmente le verdure a foglia verde, i legumi e le patate dolci.28

 

Agrumi

Ottime notizie per gli amanti delle arance: l’assunzione di agrumi è associata a una riduzione del rischio di ictus – più ancora di quella delle mele.29 Come dite, non si possono fare paragoni del genere? Ma se ne ho appena fatto uno! La chiave potrebbe essere un fitonutriente degli agrumi chiamato esperidina, che a quanto pare fa aumentare la circolazione sanguigna nell’organismo, cervello compreso. Grazie a una macchina chiamata flussimetro doppler, utilizzando un raggio laser gli scienziati possono misurare la circolazione sanguigna attraverso la pelle. Se attacchiamo una persona a questa macchina e le somministriamo una soluzione contenente la quantità di esperidina presente in due tazze di succo d’arancia, la pressione diminuisce, mentre il flusso sanguigno aumenta. È stato riscontrato che quando il soggetto beveva direttamente il succo invece della soluzione contenente esperidina, la circolazione migliorava ulteriormente. In altre parole, la capacità delle arance di ridurre le probabilità di ictus va al di là dell’esperidina.30 Quando si tratta di alimenti, spesso l’intero è maggiore della somma delle sue parti.

Non occorre una macchina per misurare gli effetti positivi degli agrumi sulla circolazione. Alcuni ricercatori hanno sottoposto a esame alcune donne che soffrivano di una marcata sensibilità al freddo a causa della circolazione sanguigna (avevano mani, piedi e dita costantemente gelati) e le hanno fatte accomodare in una stanza con una forte aria condizionata. Quelle del gruppo sperimentale hanno bevuto una soluzione contenente i fitonutrienti degli agrumi, mentre le donne del gruppo di controllo hanno ingerito un placebo (una bevanda all’aroma di arancia). Queste ultime hanno sentito sempre più freddo: per via della ridotta circolazione sanguigna, durante il test la temperatura delle loro dita è calata di quasi 12 gradi. Le dita di coloro che avevano bevuto il succo vero, invece, si sono raffreddate a una velocità pari a meno della metà delle altre, perché la loro circolazione sanguigna era rimasta costante. (I ricercatori hanno anche chiesto alle donne di entrambi i gruppi di immergere le mani nell’acqua ghiacciata e hanno osservato che quelle che avevano bevuto il succo di arancia si riprendevano in metà tempo rispetto al gruppo di controllo.)31

Perciò, mangiare qualche arancia prima di fare snowboard potrebbe impedire che mani e piedi vi si gelino. A ogni modo, se da un lato avere le mani calde è piacevole, la riduzione del rischio di ictus associato a una maggiore assunzione di agrumi lo è ancora di più.

 


ICTUS E DURATA OTTIMALE DEL RIPOSO

La mancanza di sonno, e persino il dormire troppo, sono associati a un aumento del rischio di ictus.32 Ma in quali casi il sonno può essere poco? E troppo?

I ricercatori giapponesi sono stati i primi a cimentarsi con la questione. Hanno seguito per quattordici anni quasi 100.000 donne e uomini di mezza età. Paragonati agli individui che dormivano una media di sette ore per notte, i soggetti che ne dormivano solamente quattro o meno, oppure dieci o più, correvano un rischio quasi doppio di morire di ictus.33

Uno studio recente condotto su 150.000 americani ha esaminato più a fondo la questione. Negli individui che dormivano sei ore o meno, o nove ore o più, sono stati riscontrati tassi di ictus maggiori. Gli individui a rischio minore dormivano circa sette-otto ore per notte.34 Studi a largo spettro condotti in Europa35, Cina36 e altrove37 hanno confermato che sette-otto ore di sonno sono associate al rischio più basso. Non sappiamo con precisione se il rapporto sia di causa/effetto, ma finché non ne sapremo di più, perché non puntare a dormire la giusta quantità di ore? Sogni d’oro!


  

Antiossidanti e ictus

Pare che lo stimato biochimico Earl Stadtman, premiato con la National Medal of Science, la più alta onorificenza americana in campo scientifico, abbia dichiarato: «Invecchiare è una malattia. La durata della vita umana riflette il livello del danno provocato dai radicali liberi che si accumula nelle cellule. Quando tale danno raggiunge un certo livello, le cellule non riescono più a sopravvivere come si deve e si arrendono».38

Proposta per la prima volta nel 1972,39 questa teoria, oggi nota con il nome di «teoria mitocondriale dell’invecchiamento», suggerisce che il danno provocato dai radicali liberi alla fonte energetica delle cellule, ossia ai mitocondri, conduca nel tempo a una perdita dell’energia e della funzione cellulare. È un po’ come caricare l’iPod in continuazione: la capacità della batteria diminuisce di volta in volta.

Ma che cosa sono esattamente i radicali liberi e cosa possiamo fare per contrastarli?

Eccovi una spiegazione semplificata della biologia quantistica che sta dietro alla fosforilazione ossidativa: le piante traggono energia dal sole. Se prendiamo una pianta e la mettiamo al sole, attraverso un processo chiamato fotosintesi, la clorofilla presente nelle foglie cattura l’energia solare e la trasferisce ai mattoncini costitutivi della materia, noti come elettroni.

All’inizio la pianta ha elettroni a bassa energia e, sfruttando l’energia del sole, li carica fino a trasformarli in elettroni ad alta energia. In questo modo, le piante immagazzinano energia solare. Quando le mangiamo (o ci nutriamo degli animali che le hanno mangiate), questi elettroni (sotto forma di carboidrati, proteine e grassi) vengono trasportati in tutte le cellule. Dopodiché, i mitocondri li prelevano e li utilizzano come fonte energetica, cioè come carburante, rilasciando lentamente la loro energia. Attenzione, però: il processo deve avvenire in una maniera precisa e rigidamente controllata, perché gli elettroni sono pieni di energia e quindi volatili, come la benzina.

Non per niente benzina, petrolio e carbone vengono chiamati combustibili fossili: i serbatoi dei nostri SUV sono pieni di materia vegetale in gran parte preistorica che ha immagazzinato l’energia del sole milioni di anni fa, sotto forma di elettroni ad alta energia.

Così come sarebbe pericoloso gettare un fiammifero in un bidone di benzina facendole rilasciare tutta la sua energia in una volta, allo stesso modo l’organismo deve procedere con cautela. Ecco perché le cellule prendono gli elettroni dalle piante che mangiamo e ne rilasciano l’energia in modo controllato, come un fornello a gas: un po’ per volta, finché l’energia non si esaurisce. A quel punto l’organismo trasferisce gli elettroni esausti a una molecola importantissima che forse avrete sentito nominare: l’ossigeno. Di fatto, veleni come il cianuro uccidono proprio perché impediscono al corpo di cedere gli elettroni esausti all’ossigeno.

Fortunatamente, l’ossigeno ama gli elettroni, forse fin troppo. Mentre l’organismo se la prende comoda e rilascia lentamente l’energia degli elettroni, l’ossigeno aspetta impaziente in fondo alla fila. L’ossigeno vorrebbe tanto mettere le sue manine sporche su un elettrone ad alta energia, ma il corpo gli dice: «Resisti: bisogna farlo lentamente, perciò aspetta il tuo turno e lascia terminare il processo. Te lo daremo, il tuo elettrone, ma solo dopo che lo avremo privato dell’energia, così ci puoi giocare senza farti male».

A quel punto la molecola di ossigeno, permalosa, esclama: «Posso gestire uno di quegli elettroni pompati quando mi pare!» Immusonito, ne vede uno ad alta energia, smarrito, che se ne sta seduto fuori. Guarda a destra, poi a sinistra, e con un balzo si lancia su di lui. Il nostro organismo non è perfetto, non può tenere sempre sotto controllo l’ossigeno. Circa l’1-2%40 degli elettroni ad alta energia che transitano dalle cellule fuoriesce, e l’ossigeno lo acchiappa.

Quando mette le mani su un elettrone di questo tipo, l’ossigeno sostanzialmente si trasforma in Hulk, diventando un cosiddetto «superossido», un radicale libero. I radicali liberi sono esattamente quello che sembrano: molecole che possono essere instabili, fuori controllo e altamente reattive. Il superossido pompato di energia può iniziare a devastare la cellula, distruggendo tutto quello che trova e inciampando nel DNA.

Quando entra in contatto con il DNA, può danneggiare i geni che, se non vengono riparati, possono causare una mutazione dei cromosomi la quale a sua volta può condurre al cancro.41 Per fortuna il corpo chiama in aiuto la squadra difensiva degli antiossidanti, che entra in scena e dice al superossido: «Molla quell’elettrone!»

Ma lui non si arrende: «Vuoi batterti con me, signor Vitamina C? Fatti sotto!»

A quel punto gli antiossidanti si lanciano sul superossido, gli strappano via l’elettrone supercarico e se ne vanno, lasciandosi alle spalle il povero ossigeno con i jeans strappati.

In ambito scientifico, il fenomeno attraverso il quale le molecole di ossigeno acchiappano gli elettroni isolati e impazziscono si chiama stress ossidativo. In base a questa teoria, ciò che causa di fatto l’invecchiamento è il danno cellulare derivato da tale fenomeno. Si è sempre pensato che invecchiamento e malattie fossero dovute all’ossidazione dell’organismo. Le macchie scure dell’età sul dorso delle mani, ad esempio, sono semplicemente grasso ossidato sottopelle. Si ritiene che lo stress ossidativo sia il motivo per cui, man mano che invecchiamo, ci vengono le rughe, perdiamo la memoria e i nostri apparati smettono di funzionare. Di fatto, sostiene la teoria, ci arrugginiamo.

È possibile rallentare questo processo ossidativo mangiando cibi che contengono grandi quantità di antiossidanti. Scoprire quali sono è facile: basta tagliarli a metà, esporli all’aria (cioè all’ossigeno) e vedere che cosa succede. Se diventano scuri, vuol dire che si stanno ossidando. Pensiamo a due frutti molto comuni, le mele e le banane. Diventano scuri rapidamente, il che significa che non contengono molti antiossidanti. (Gran parte degli antiossidanti presenti nelle mele sono infatti concentrati nella buccia.) Se tagliate in due un mango, cosa succede? Niente, perché è ricco di antiossidanti. Come si fa a impedire che la macedonia diventi scura? Basta aggiungere del succo di limone, che contiene vitamina C antiossidante. Queste sostanze possono impedire ai cibi di ossidare e possono fare la stessa cosa anche all’interno del nostro organismo.

Una delle malattie che i cibi ricchi di antiossidanti contribuiscono a prevenire è l’ictus. Alcuni ricercatori svedesi hanno seguito oltre 30.000 donne anziane per dodici anni e hanno scoperto che quelle che mangiavano gli alimenti più ricchi di antiossidanti presentavano il minore rischio di ictus.42 Risultati simili sono stati riscontrati anche in Italia, all’interno di un gruppo di uomini e donne più giovani.43 Proprio come avviene per le malattie polmonari,44 pare che gli integratori di antiossidanti siano inutili.45 Il potere di Madre Natura non può essere sintetizzato in una pillola.

Consapevoli di questo, gli scienziati si sono impegnati per individuare i cibi più ricchi di antiossidanti. Sedici ricercatori di tutto il mondo hanno pubblicato una banca dati del potere antiossidante di oltre tremila tra cibi, bevande, erbe, spezie e integratori. Hanno testato qualunque cosa, dai cereali Cap’n Crunch alle foglie essiccate e frantumate del baobab africano. Hanno analizzato decine di marche di birra per vedere quante e quali di queste contengono la maggior quantità di antiossidanti. (Il primo posto è andato all’austriaca Santa Claus di Eggenberg.)46 Purtroppo, per noi americani la birra rappresenta la quarta fonte alimentare di antiossidanti.47 Se volete dare un’occhiata alla lista per controllare se i vostri alimenti e le vostre bevande preferite si sono piazzati bene, questo è il link: http://bit.ly/antioxidantfoods.

Non c’è bisogno che attacchiate al frigo questo documento di 138 pagine! La regola di base è la seguente: in media, i cibi di origine vegetale contengono sessantaquattro volte più antiossidanti di quelli di origine animale. Come hanno dichiarato i ricercatori: «I cibi ricchi di antiossidanti hanno origine nel regno vegetale, mentre carne, pesce e altri alimenti del regno animale ne contengono pochi».48 Persino gli alimenti di origine vegetale meno salutari che mi vengono in mente, come la buona vecchia insalata iceberg americana (che per il 96% è fatta di acqua!49) contiene 17 unità (daµmol utilizzando l’analisi FRAP modificata) di potere antiossidante. Giusto per capire, alcuni frutti di bosco ne hanno oltre 1000 unità, il che fa apparire l’insalata un po’ patetica. Ma se confrontiamo il dato relativo all’iceberg con quello del salmone fresco, abbiamo 17 unità contro le 3 di quest’ultimo. E il pollo? 5 misere unità di potere antiossidante. Il latte scremato o le uova sode? Solo 4 unità, mentre Egg Beaters, un prodotto surgelato a base di albume, totalizza uno zero tondo tondo. «I regimi alimentari che contengono soprattutto cibi di origine animale hanno pertanto un basso contenuto di antiossidanti», ha concluso il team di ricercatori, «mentre le diete basate principalmente su una varietà di alimenti di origine vegetale ne sono ricche, a causa delle migliaia di composti fitochimici antiossidanti bioattivi che si trovano nelle piante e che si conservano in molti cibi e bevande.»50

Per aumentare l’assunzione di antiossidanti non è necessario selezionare alimenti specifici, come fossero la ciliegina sulla torta (anche se le ciliegie ne contengono 714 unità!): basta inserire a ogni pasto una varietà di frutta, verdure, erbe e spezie. In questo modo, possiamo rifornire continuamente il corpo di antiossidanti che contribuiscono a scongiurare l’ictus e altre patologie legate all’età.


UN PIZZICO DI ANTIOSSIDANTI

Le categorie alimentari che contengono in media la maggior quantità di antiossidanti sono le erbe e le spezie.

Ipotizziamo di prepararci un bel piatto di pasta integrale con un sugo al pomodoro: si tratta di 80 unità di potere antiossidante (più o meno 20 nella pasta e 60 nella salsa). Aggiungendo una manciata di cime di broccolo lesse potremo arrivare a 150 unità. Non male. Adesso condiamo la pasta con un cucchiaino di origano essiccato e di maggiorana, la sua sorella più dolce e delicata. Questa piccola quantità da sola può raddoppiare il potere antiossidante del nostro pasto, facendoci superare le 300 unità.51

E che ne dite di una ciotola di fiocchi d’avena a colazione? Aggiungendo mezzo cucchiaino di cannella, possiamo portare il potere antiossidante del pasto da 20 a 120 unità. E se ne sopportate il vigore, un pizzico di chiodi di garofano può permettervi di portare una colazione senza pretese a 160 unità.

I pasti a base di prodotti di origine vegetale tendono già di per sé a essere ricchi di antiossidanti, ma se ci impegniamo a dare un po’ di gusto (speziato) alla vita, potremmo renderli ancora più sani.


 

Pare che le diete ricche di antiossidanti proteggano dall’ictus impedendo che nel sangue circolino grassi ossidati che possono danneggiare le delicate pareti dei piccoli vasi sanguigni del cervello.52 Inoltre, questi regimi possono anche far diminuire la rigidità arteriosa,53 prevenire la formazione di emboli54 e abbassare la pressione sanguigna55 e l’infiammazione. I radicali liberi possono trasformare le proteine presenti nell’organismo fino a renderle irriconoscibili dal nostro sistema immunitario.56 La risposta infiammatoria innescata da questo processo può essere prevenuta fornendo al corpo la giusta quantità di antiossidanti. Se da un lato tutti gli alimenti integrali di origine vegetale possono avere un effetto antinfiammatorio,57 alcune piante sono meglio di altre. Si è scoperto che la frutta e la verdura più antiossidanti, come i frutti di bosco e le verdure a foglia verde, calmano l’infiammazione sistemica in modo significativamente superiore rispetto allo stesso numero di porzioni di frutta e verdura meno antiossidanti, come banane e lattuga.58

I cibi che scegliamo fanno la differenza.

 

IL MORBO DI ALZHEIMER

 

Nella mia esperienza clinica, la diagnosi che mi è sempre pesato comunicare ai pazienti più del tumore era l’Alzheimer. Non solo per via dello stress psicologico del paziente, ma anche per quello emotivo che il verdetto avrebbe determinato nei suoi familiari. La Alzheimer Foundation stima che negli Stati Uniti più di quindici milioni di persone dedichino oltre quindici miliardi di ore non retribuite alla cura dei propri cari, che spesso non li riconoscono neanche.59

Nonostante i miliardi di dollari spesi per la ricerca, non si è ancora scoperta una cura né una terapia efficace contro questa malattia, che invariabilmente conduce alla morte. In sostanza, l’Alzheimer è uno stato di crisi – emotiva, economica e addirittura scientifica. Negli ultimi due decenni sono stati pubblicati oltre 73.000 articoli specialistici su questa patologia, cioè circa cento al giorno. Eppure, i progressi medici nel trattamento o persino nella comprensione del morbo sono stati minimi. Ed è difficile che si possa giungere a una cura definitiva, dato che i pazienti di Alzheimer subiscono una perdita cognitiva che potrebbe essere impossibile da recuperare, a causa del danno irreparabile delle reti neurali. Le cellule nervose morte non possono essere riportate in vita. Anche se le case farmaceutiche riuscissero a capire come fermare la progressione della malattia, in molti pazienti il danno è già stato fatto e la personalità dell’individuo può essere perduta per sempre.60

La buona notizia è che, come ha detto nel titolo di un suo articolo uno scienziato del Center for Alzheimer’s Research, «il morbo di Alzheimer è incurabile ma si può prevenire».61 I cambiamenti alimentari e di stile di vita potrebbero evitare l’insorgere di milioni di casi all’anno.62 In che modo? Vi è un crescente consenso sul fatto che «ciò che fa bene al cuore fa bene anche alla testa»,63 perché si pensa che l’occlusione delle arterie cerebrali causata dalle placche aterosclerotiche svolga un ruolo importantissimo nell’insorgere dell’Alzheimer.64 E dunque non stupisce che il pezzo forte delle Dietary and Lifestyle Guidelines for the Prevention of the Alzheimer’s Disease (Linee guida per l’alimentazione e lo stile di vita finalizzate alla prevenzione del morbo di Alzheimer) del 2014, pubblicate sulla rivista «Neurobiology of Aging» fosse: «Le verdure, i legumi (fagioli, piselli e lenticchie), la frutta e i cereali integrali devono costituire la base della dieta, al posto di carne e latticini».65

 

L’Alzheimer è un problema vascolare?

Nel 1901, una donna di nome Auguste venne accompagnata dal marito in un manicomio di Francoforte. Fu descritta come delirante, smemorata, disorientata, «non in grado di svolgere le sue normali mansioni casalinghe».66 Visitata da un certo dottor Alzheimer, sarebbe diventata il soggetto di uno studio che lo avrebbe reso celebre.

Effettuando l’autopsia sulla donna, Alzheimer riscontrò che nel cervello erano presenti le placche e gli ammassi che in seguito sarebbero stati considerati un segno della malattia. Nell’euforia che accompagnò la scoperta della nuova patologia, però, il medico si lasciò sfuggire un dettaglio. Scrisse infatti: «Die größeren Hirngefäße sind arteriosklerotisch verändert», che significa: «I vasi cerebrali più grandi presentano un cambiamento aterosclerotico». Stava descrivendo l’indurimento delle arterie all’interno del cervello della paziente.67

In genere crediamo che l’aterosclerosi sia una malattia del cuore, ma c’è chi l’ha definita «una patologia onnipresente, che in pratica riguarda l’intero organismo umano».68 I vasi sanguigni irrorano tutti i nostri organi, cervello compreso. Stando al concetto di «demenza cardiogenica», emerso per la prima volta negli anni Settanta del secolo scorso, poiché il cervello in fase di invecchiamento è molto sensibile all’assenza di ossigeno, la mancanza di un adeguato afflusso di sangue può portare a un declino cognitivo.69 Oggi disponiamo di numerose prove raccolte sul campo che associano l’aterosclerosi al morbo di Alzheimer.70

Le autopsie hanno ripetutamente dimostrato che i malati di Alzheimer tendono ad avere nel cervello molte più placche aterosclerotiche e una maggiore occlusione delle arterie.71, 72, 73 Normalmente il flusso sanguigno cerebrale a riposo – cioè la quantità di sangue che circola nel cervello – è di circa 1,1 litri al minuto. A partire dall’età adulta, pare che le persone perdano naturalmente circa mezzo punto percentuale di flusso sanguigno all’anno. A sessantacinque anni, la capacità circolatoria potrebbe essere ridotta addirittura del 20%.74 Mentre questo fatto da solo può non bastare a compromettere le funzioni cerebrali, può però portarci al limite. L’occlusione delle arterie interne e affluenti al cervello a causa di placche piene di colesterolo può ridurre drasticamente la quantità di sangue, e dunque di ossigeno, che il cervello riceve. A conferma di questa teoria, le autopsie hanno rivelato che i malati di Alzheimer avevano occlusioni particolarmente significative delle arterie che portavano ai centri della memoria.75 Alla luce di tali scoperte, alcuni esperti sono giunti a suggerire che l’Alzheimer debba essere riclassificato come una patologia vascolare.76

Tuttavia, vi è un limite a ciò che possiamo ricavare dagli studi autoptici. Ad esempio, forse è la demenza a portare a una dieta scadente, e non viceversa. Per approfondire il ruolo dell’occlusione delle arterie cerebrali nello sviluppo dell’Alzheimer, i ricercatori hanno seguito circa quattrocento persone che iniziavano a perdere le facoltà mentali ed erano quindi affette da quello che si chiama deterioramento cognitivo lieve. Grazie all’impiego di speciali scansioni delle arterie cerebrali, hanno misurato l’entità dell’occlusione arteriosa nel cervello di ciascun paziente e hanno scoperto che le capacità cognitive e di gestione della vita quotidiana di chi aveva occlusioni meno gravi sono rimaste stabili per tutto l’arco dei quattro anni di studio. I soggetti con arterie più ostruite, invece, hanno perso funzioni cerebrali significative, e quelli con le placche aterosclerotiche più grosse sono peggiorati rapidamente e avevano il doppio delle possibilità di sviluppare un Alzheimer conclamato. I ricercatori hanno concluso: «Un insufficiente afflusso di sangue al cervello determina conseguenze gravissime sulle funzioni cerebrali».77

Uno studio condotto su trecento pazienti di Alzheimer ha scoperto che il trattamento dei fattori di rischio vascolare, come ad esempio colesterolo e pressione alti, può anche rallentare la progressione della malattia, ma non arrestarla.78 È per questo che la prevenzione è così importante. Il colesterolo non favorisce soltanto la formazione di placche aterosclerotiche nelle arterie cerebrali, ma contribuisce anche a seminare le placche amiloidi che perforano il tessuto cerebrale dei malati di Alzheimer.79 Il colesterolo è una componente essenziale delle cellule, il che spiega come mai l’organismo ne produca quanto basta. Assumere colesterolo in eccesso, soprattutto grassi trans e saturi, può alzarne il livello nel sangue.80 Avere il colesterolo alto non solo è un fattore primario di rischio per le malattie cardiache81, ma è anche un fattore di rischio unanimemente riconosciuto per l’Alzheimer.82

Le autopsie hanno rivelato che un cervello colpito da Alzheimer presenta una formazione di colesterolo significativamente maggiore rispetto a uno sano.83 Abbiamo sempre pensato che la riserva di colesterolo nel cervello fosse distinta da quello in circolo nel sangue, ma esistono prove crescenti a dimostrazione del contrario.84 Un eccesso di colesterolo nel sangue può portare a un eccesso nel cervello, il che a sua volta può innescare la formazione dei grumi amiloidi riscontrati nei malati di Alzheimer. Usando un microscopio elettronico, possiamo vedere che le fibre amiloidi si ammassano sopra e intorno ai minuscoli cristalli di colesterolo.85 E le tecniche avanzate di neuroimaging funzionale come la PET (tomografia a emissione di positroni) hanno dimostrato la correlazione diretta tra la quantità di colesterolo «cattivo» (LDL) nel sangue e la formazione di amiloidi nel cervello.86 Le industrie farmaceutiche speravano di poter sfruttare tale legame per vendere medicinali a base di statine (che abbassano il colesterolo) anche per prevenire l’Alzheimer, ma queste possono causare deficit cognitivi, tra cui la perdita di memoria a breve e lungo termine.87 Per coloro che non vogliono cambiare la propria dieta, i benefici delle statine sono maggiori dei rischi,88 ma è meglio abbassare i livelli di colesterolo in modo naturale mangiando più sano e contribuendo così a proteggere cuore, mente e cervello.

 

Genetica o dieta?

L’idea della dieta può apparire strana, perché oggi gran parte della stampa popolare tratta l’Alzheimer come una malattia genetica, affermando che sono i geni, e non le scelte di vita, a determinare se vi soccomberemo oppure no. Se si esamina la distribuzione dell’Alzheimer nel mondo, però, questa teoria comincia a fare acqua da tutte le parti.

Il tasso di diffusione dell’Alzheimer varia di dieci volte da un paese all’altro, anche tenendo in considerazione il fatto che alcune popolazioni vivono più a lungo di altre.89 Ad esempio, nella Pennsylvania agricola su cento abitanti anziani, in media diciannove hanno buone probabilità di contrarre l’Alzheimer nei prossimi dieci anni. Tuttavia, se prendiamo gli abitanti del distretto rurale di Ballabgarh, in India, il tasso sarà probabilmente del 3%.90 Come facciamo a essere certi che non si tratti di una semplice vulnerabilità genetica di una determinata popolazione? Grazie agli studi sulla migrazione, in cui vengono messi a confronto i tassi di malattia all’interno di un gruppo etnico nel nuovo ambiente e in madrepatria. Ad esempio, quelli di Alzheimer tra gli uomini giapponesi che vivono negli Stati Uniti sono significativamente più alti rispetto a quelli dei giapponesi rimasti in Giappone.91 L’incidenza della malattia tra gli africani della Nigeria è fino a quattro volte inferiore a quella degli afroamericani che vivono a Indianapolis.92

Per quale ragione abitare negli Stati Uniti fa aumentare il rischio di demenza?

A giudicare dalle prove, la risposta sta nella dieta americana. Ovviamente, nel nuovo mondo globalizzato, non è necessario trasferirsi in Occidente per adottare una dieta occidentale. In Giappone, negli ultimi decenni, l’incidenza dell’Alzheimer è schizzata alle stelle e si pensa che ciò sia dovuto al passaggio dalla tradizionale dieta a base di riso e di verdure a un regime alimentare che contiene il triplo dei latticini e il sestuplo della carne. La correlazione più prossima che i ricercatori sono riusciti a individuare tra dieta e demenza è il consumo di grasso animale; l’assunzione di quest’ultimo è aumentata di circa il 600% dal 1961 al 2008.93 Anche in Cina è stato riscontrato un legame simile fra dieta e demenza.94 Poiché a livello globale la dieta è sempre più occidentalizzata, si prevede che i tassi di Alzheimer continueranno ad aumentare, scrive un ricercatore nel «Journal of Alzheimer’s Disease», «a meno che non si modifichino le abitudini alimentari per adottare diete meno orientate ai prodotti animali...»95

Nel mondo i tassi più bassi di Alzheimer sono stati riscontrati nell’India rurale,96 dove la gente segue la dieta tradizionale a base vegetale, incentrata su cereali e verdure.97 Pare che negli Stati Uniti chi non mangia carne (né pollame né pesce) dimezzi il rischio di demenza. E più a lungo si evita la carne, minore è tale rischio. Rispetto a coloro che la mangiano più di quattro volte alla settimana, chi ha seguito una dieta vegetariana per trent’anni o più presenta un rischio di demenza tre volte inferiore.98

Ma i fattori genetici non svolgono un ruolo in questo fenomeno? Certo che sì. Negli anni Novanta del secolo scorso gli scienziati hanno scoperto una variante del gene dell’apolipoproteina E4, o ApoE4, che ci rende più inclini ad ammalarci di Alzheimer. Tutti abbiamo l’ApoE, ma circa una persona su sette ha una copia del gene E4 che è collegato alla malattia. È stato dimostrato che se si eredita un gene ApoE4 da uno dei genitori, il rischio di Alzheimer può triplicare. Se lo si eredita da entrambi – eventualità che riguarda una persona su cinquanta – il rischio può essere nove volte maggiore.99

Che cosa fa il gene ApoE? Costituisce la proteina incaricata di trasportare il colesterolo al cervello.100 La variante E4 potrebbe condurre a un accumulo abnorme di colesterolo nelle cellule cerebrali, il quale potrebbe a sua volta innescare il morbo di Alzheimer.101 Questo meccanismo può spiegare il cosiddetto paradosso nigeriano. La presenza più massiccia della variante ApoE4 si riscontra nei nigeriani,102 che incredibilmente hanno anche i tassi di Alzheimer più bassi.103 Ma come: la popolazione con i tassi più alti di «gene dell’Alzheimer» registra uno dei tassi più bassi della malattia? Questa contraddizione può essere spiegata grazie ai livelli di colesterolo estremamente bassi dei nigeriani, dovuti a una dieta che comprende pochissimi grassi animali104 e consiste principalmente di cereali e verdure.105 Perciò, a quanto pare, l’alimentazione può battere la genetica.

In uno studio condotto su mille individui nell’arco di vent’anni, si è riscontrato che la presenza del gene ApoE4 ha più che raddoppiato il rischio di Alzheimer, il che non sorprende. Ma in quegli stessi soggetti, è risultato che il colesterolo alto triplicava quasi il rischio. I ricercatori ipotizzano che tenere sotto controllo fattori di rischio quali pressione e colesterolo alti possa ridurre in maniera sostanziale il rischio di Alzheimer, abbassandolo dalle circa nove volte del temuto e micidiale ApoE4 a sole due volte.106

Accade fin troppo spesso che medici e pazienti adottino un approccio fatalista nei confronti delle malattie croniche degenerative, e l’Alzheimer non fa eccezione.107 «È scritto nei geni», dicono, «succederà ciò che deve succedere.» La ricerca dimostra che, sebbene le carte genetiche che avete in mano possano essere scarse, potete sempre rimescolare il mazzo con la dieta.

 

Prevenire il morbo di Alzheimer con alimenti di origine vegetale

L’Alzheimer si manifesta come una malattia degli anziani ma, al pari delle patologie cardiache e di molti tipi di tumore, può svilupparsi nell’arco di decenni. A rischio di sembrarvi un disco rotto, ribadisco che non è mai troppo presto per iniziare a mangiare più sano. Le decisioni che prendiamo in ambito alimentare oggi possono influire sulla nostra salute (compresa quella del cervello) tra molti anni.

A gran parte dei malati di Alzheimer, la malattia non viene diagnosticata fino ai settant’anni,108 ma adesso sappiamo che il loro cervello inizia a deteriorarsi molto prima. Sulla base di migliaia di autopsie, i patologi hanno individuato il primo stadio silente dell’Alzheimer, quello costituito da semplici ammassi nel cervello, nella metà dei cinquantenni, e persino nel 10% dei ventenni.109 La buona notizia è che le manifestazioni cliniche dell’Alzheimer, così come delle malattie cardiache e polmonari e dell’ictus, si possono prevenire.

Le linee guida per la prevenzione dell’Alzheimer raccomandano una dieta a base vegetale in funzione degli alimenti che tendono a incentivare e di quelli che tendono a escludere.110 La dieta mediterranea, ad esempio, essendo ricca di verdure, legumi, frutta e frutta a guscio, e povera di carne e latticini, è stata associata a un minore declino delle capacità cognitive e a un minore rischio di Alzheimer.111 Quando i ricercatori hanno cercato di isolare le sue componenti protettive, gli ingredienti fondamentali sono risultati l’alto contenuto di verdure e il basso rapporto tra grassi saturi e insaturi.112 Questa conclusione è in linea con quella dell’Harvard Women’s Health Study, il quale ha scoperto che una maggiore assunzione di grassi saturi (che si trovano principalmente in latticini, carne e alimenti lavorati) era associata a un declino ben più accentuato delle capacità cognitive e della memoria. Le donne che avevano assunto la maggior quantità di grassi saturi avevano il 60-70% di probabilità in più di subire un deterioramento cognitivo nel tempo. Quelle che ne avevano assunti di meno avevano in media la stessa funzionalità cerebrale delle donne di sei anni più giovani di loro.113

I benefici della dieta a base di prodotti di origine vegetale possono anche essere legati alle piante stesse. I cibi integrali contengono migliaia di composti con proprietà antiossidanti,114 alcuni dei quali riescono ad attraversare la barriera sangue-cervello e ad esercitare effetti neuroprotettivi,115 difendendoci dai radicali liberi (vedi pagina 90), evitando cioè che il cervello si «arrugginisca». Questo organo costituisce solo il 2% del peso corporeo, ma può consumare fino al 50% dell’ossigeno che respiriamo, rilasciando una tempesta di radicali liberi.116 Gli speciali pigmenti antiossidanti dei frutti di bosco117 e delle verdure a foglia verde scura118 fanno di questi cibi l’ideale per il cervello.

Il primo studio condotto sugli esseri umani per dimostrare che i mirtilli migliorano le capacità mnemoniche degli anziani con segni di deterioramento cognitivo precoce è stato pubblicato nel 2010.119 Poi, nel 2012, i ricercatori dell’Università di Harvard hanno quantificato tali risultati utilizzando i dati del Nurses’ Health Study, in cui sono state monitorate la dieta e la salute di sedicimila donne a partire dal 1980. Hanno scoperto che quelle che mangiavano almeno una porzione di mirtilli e due di fragole alla settimana avevano un declino cognitivo più lento di ben due anni e mezzo rispetto a quelle che non li mangiavano. Tali risultati suggeriscono che basta assumere una manciata di frutti di bosco al giorno, modificando in modo facile e gustoso la nostra dieta, per rallentare l’invecchiamento del cervello di oltre due anni.120

Anche il semplice fatto di bere succhi di frutta e verdura può portare dei benefici. Uno studio condotto su quasi duemila persone per otto anni ha rilevato che chi assumeva succhi di frutta e verdura a cadenza regolare aveva un rischio del 76% più basso di venire colpito dall’Alzheimer. «I succhi di frutta e verdura possono svolgere un ruolo fondamentale nel ritardare l’insorgenza del morbo di Alzheimer», hanno concluso i ricercatori, «soprattutto nelle persone ad alto rischio.»121

Gli studiosi ipotizzano che l’ingrediente attivo possa essere una classe di potenti antiossidanti che agiscono sul cervello, i polifenoli. Se così fosse, il succo di uva fragola potrebbe essere la scelta migliore,122 sebbene la frutta intera sia in genere da preferire ai succhi.123 L’uva fragola non si trova tutto l’anno, però, quindi può essere sostituita dai mirtilli rossi, anche questi ricchissimi di polifenoli124, che si trovano surgelati in ogni stagione. (Più avanti, a pagina 248, propongo la ricetta del Succo rosa, un cocktail vegetale a base di mirtilli rossi che ha venticinque volte meno calorie e almeno otto volte i fitonutrienti del «succo» che si compra al supermercato.)

Oltre all’attività antiossidante, è stato dimostrato che i polifenoli proteggono le cellule nervose in vitro inibendo la formazione delle placche125 e degli ammassi126 che caratterizzano la patologia di Alzheimer. In teoria, possono inoltre «eliminare»127 i metalli che si accumulano in certe zone del cervello e che potrebbero influire sullo sviluppo di questa e di altre malattie neurodegenerative.128 I polifenoli sono uno dei motivi per cui, nella seconda parte del volume, raccomando specificamente l’assunzione di frutti di bosco e tè verde.

 


CURARE’ALZHEIMER CON LO ZAFFERANO

Nonostante i miliardi riversati nella ricerca sull’Alzheimer, non abbiamo ancora scoperto una cura efficace in grado di far regredire la malattia. Esistono però dei farmaci che possono aiutare a gestirne i sintomi, così come fa un prodotto che si trova al supermercato.

Sebbene i casi di studio riportino i notevoli benefici della spezia chiamata curcuma,129 i dati più convincenti a nostra disposizione sugli interventi terapeutici a base di erbe contro l’Alzheimer riguardano lo zafferano. Si tratta di una spezia estratta dal fiore chiamato Crocus sativus che, durante una sperimentazione in doppio cieco, si è dimostrato utile per alleviare i sintomi dell’Alzheimer. Nel corso di uno studio di sedici settimane, i pazienti di Alzheimer con una demenza da lieve a moderata che avevano assunto capsule allo zafferano hanno registrato in media una funzione cognitiva significativamente migliore rispetto al gruppo di pazienti a cui era stato somministrato il placebo.130

E se confrontassimo lo zafferano con uno dei farmaci contro l’Alzheimer più diffusi sul mercato, il donepezil (venduto in genere con il nome di Aricept)? Uno studio in doppio cieco (in cui né i ricercatori né i soggetti sapevano chi prendeva i farmaci e chi la spezia) condotto per ventidue settimane ha dimostrato che lo zafferano è efficace nel trattamento dei sintomi dell’Alzheimer quanto il farmaco leader sul mercato.131 Purtroppo essere efficace quanto un medicinale non significa granché,132 ma se non altro le persone non corrono il rischio di subire gli effetti collaterali del medicinale, che tipicamente includono nausea, vomito e diarrea.133

Sebbene non sia stato ancora trovato un modo certo per bloccare la progressione dell’Alzheimer, se conoscete qualcuno che ne soffre potete aiutarlo cucinandogli regolarmente una paella condita con zafferano.


 

Le gerontotossine

Ognuno di noi ospita decine di miliardi di chilometri di DNA: se potessimo svolgere tutti i filamenti e stenderli uno dopo l’altro, sarebbero sufficienti per compiere centomila volte il viaggio sulla luna, andata e ritorno.134 Come fa il nostro organismo a impedire che si formi un grande groviglio? Ci pensano gli enzimi chiamati sirtuine, che mantengono il DNA in spirali ordinate, avvolte intorno a proteine simili a bobine.

Nonostante siano state scoperte solo di recente, le sirtuine costituiscono uno dei campi di ricerca medica più promettenti, perché pare che favoriscano la longevità e un invecchiamento sano.135 Alcuni studi autoptici hanno dimostrato che la perdita di attività delle sirtuine è strettamente legata ai segni distintivi del morbo di Alzheimer, vale a dire l’accumulo di placche e ammassi nel cervello.136 La soppressione di questa difesa fondamentale viene considerata una caratteristica fondamentale del morbo di Alzheimer.137 L’industria farmaceutica sta cercando di produrre medicinali che aumentino l’attività delle sirtuine, ma perché non provare innanzitutto a evitare che questa si blocchi? Possiamo farlo riducendo la nostra esposizione, attraverso la dieta, ai prodotti finali della glicosilazione avanzata, altrimenti detti AGE.138

AGE è un acronimo appropriato (in inglese, infatti, vuol dire «età»), in quanto tali prodotti finali sono considerati «gerontotossine»,139 vale a dire tossine che favoriscono l’invecchiamento (dal greco geros, «anzianità», da cui deriva anche la parola «geriatria»). Si pensa che gli AGE accelerino il processo di decadimento formando legami crociati con le proteine e causano di conseguenza rigidità dei tessuti, stress ossidativo e infiammazione. Questo processo potrebbe contribuire alla formazione della cataratta e alla degenerazione maculare dell’occhio, oltre a danneggiare ossa, cuore, reni e fegato.140 Inoltre, gli AGE possono influire anche sul cervello, perché pare che ne accelerino la lenta perdita di volume nel corso degli anni141 e sopprimano le difese garantite dalle sirtuine.142

A quanto pare, gli anziani con alti livelli di AGE nel sangue143 o nelle urine144 soffrono di una perdita accelerata della funzione cognitiva. Alti livelli di queste sostanze si riscontrano anche nel cervello dei malati di Alzheimer.145 Ma da dove arrivano gli AGE? Alcuni vengono prodotti ed eliminati spontaneamente dall’organismo,146 ma, oltre al fumo di sigaretta,147 le fonti principali sono «la carne e i suoi derivati» cotti senza grassi (alla griglia o al forno).148 Gli AGE si formano soprattutto quando cibi ricchi di grassi e proteine vengono esposti ad alte temperature.149

Gli alimenti testati per valutarne il contenuto di AGE sono oltre cinquecento e comprendono di tutto, dal Big Mac agli involtini Hot Pockets, dal caffè alle gelatine Jell-O. In generale, le carni, i formaggi e i cibi molto lavorati hanno un contenuto di AGE più elevato, mentre cereali, legumi, pane, verdure, frutta e latte ne possiedono quantità minori.150

I venti prodotti più contaminati dagli AGE per singola porzione sono risultati i seguenti:

 

1. Pelle di pollo alla griglia

2. Pancetta

3. Würstel alla griglia

4. Fuso di pollo arrosto

5. Coscia di pollo arrosto

6. Carne in padella

7. Petto di pollo al forno (con fondo di cottura a base di grassi)

8. Petto di pollo fritto

9. Straccetti di carne fritti

10. Straccetti di petto di pollo Chicken Select di McDonald’s

11. Burger di tacchino fritto

12. Pollo alla griglia senza pelle

13. Pesce al forno (con fondo di cottura a base di grassi)

14. Chicken McNuggets di McDonald’s

15. Pollo alla griglia senza grassi

16. Burger di tacchino fritto con olio di colza

17. Pollo arrosto

18. Burger di tacchino fritto con olio spray

19. Würstel lesso

20. Bistecca alla griglia151

 

Be’, vi siete fatti un’idea.

Sì, i metodi di cottura sono importanti. Una mela al forno contiene il triplo degli AGE di una fresca, e un würstel alla griglia ne ha più di uno lesso. Ma quel che conta è il tipo di alimenti: una mela al forno ha 45 unità di AGE rispetto ai 13 di quella fresca; un würstel alla griglia ne ha 10.143, mentre quello lesso 6.736. I ricercatori raccomandano di preparare la carne utilizzando metodi di cottura al vapore o con liquidi non grassi, ma persino il pesce lesso ha 10 volte più AGE di una patata dolce arrostita per un’ora. La carne ha in media 20 volte gli AGE di cibi altamente lavorati come i cereali della colazione e circa 150 volte quelli della frutta e della verdura fresche. Il pollame è risultato essere il peggiore, perché contiene circa il 20% di AGE in più rispetto al manzo. I ricercatori hanno concluso che anche una modesta riduzione della carne può verosimilmente dimezzare la dose giornaliera di AGE.152

Dato che la soppressione delle sirtuine è sia prevenibile che reversibile riducendo gli AGE, evitare i cibi ricchi di questi prodotti potrebbe costituire una nuova strategia per combattere l’epidemia di Alzheimer.153

 


FERMARE IL DECLINO ATTRAVERSO L’ESERCIZIO FISICO?

Ci sono ottime notizie per coloro che iniziano a perdere le proprie facoltà mentali. In uno studio del 2010 pubblicato su «Archives of Neurology», i ricercatori hanno riunito un gruppo di persone con un lieve deficit cognitivo (che stavano cioè iniziando a dimenticare le cose o a ripetere le stesse frasi) e le hanno sottoposte a un programma di esercizi aerobici che durava dai quarantacinque ai sessanta minuti al giorno, per quattro giorni alla settimana, per sei mesi. Nello stesso periodo, al gruppo di controllo è stato semplicemente detto di fare stretching.154

Prima e dopo lo studio sono stati eseguiti alcuni test mnemonici. È emerso che nel gruppo di controllo (quello che faceva stretching) la funzione cognitiva ha continuato a peggiorare, ma in quello che faceva esercizio fisico non solo non è peggiorata, ma è migliorata: dopo sei mesi i soggetti hanno risposto correttamente a un maggior numero di domande del test, dimostrando così che la loro memoria era migliorata.155

Dagli studi svolti in seguito utilizzando la risonanza magnetica è emerso che l’esercizio aerobico può di fatto invertire la riduzione del volume dei centri della memoria legata all’invecchiamento.156 Nei gruppi di controllo che facevano semplicemente stretching o esercizi di tonificazione e in quello che svolgeva esercizi anaerobici di resistenza, tali effetti non sono stati riscontrati.157 L’esercizio aerobico può migliorare l’afflusso di sangue al cervello e le capacità mnemoniche, e contribuire a preservare il tessuto cerebrale.


 

 

Diciamo la verità: una vita senza ricordi non è un granché. Che tali ricordi siano andati perduti tutti insieme per un grave ictus, erosi poco alla volta da mini-ictus che lasciano piccolissimi buchi nel cervello o distrutti per colpa di una patologia degenerativa come l’Alzheimer, mangiare e vivere in modo sano può aiutarci a eliminare alcuni dei peggiori fattori di rischio delle malattie cerebrali più gravi.

Ma la chiave è iniziare presto. Colesterolo o pressione alti possono cominciare a danneggiare il cervello già dai vent’anni. A sessanta e settanta, quando il danno può diventare evidente, potrebbe essere troppo tardi.

Al pari di molti altri organi, anche il cervello possiede la miracolosa capacità di guarirsi da solo, di creare nuove connessioni sinaptiche intorno a quelle vecchie, di imparare e reimparare. A patto, però, di non continuare a danneggiarlo tre volte al giorno. Una dieta sana e l’attività fisica sono forse la migliore speranza che abbiamo di mantenerci brillanti e in salute anche da anziani.

Fortunatamente posso concludere questo capitolo in modo più allegro rispetto a come lo avevo iniziato. Nonostante la nostra storia familiare, mia madre e mio fratello Gene seguono una dieta sana a base di alimenti di origine vegetale e mia madre non presenta alcun segno della malattia cerebrale che ha ucciso i suoi genitori. Anche se io e Gene sappiamo che un giorno o l’altro verrà a mancare, grazie alla nuova dieta speriamo di non perderla prima che se ne sia andata davvero.