CAPITOLO 4
COME NON MORIRE DI MALATTIE GASTROINTESTINALI
Ogni anno, gli americani perdono oltre cinque milioni di anni di vita per colpa di tumori che avrebbero potuto essere prevenuti.1 Solo una piccola percentuale di quelli che colpiscono gli esseri umani sono ascrivibili esclusivamente a fattori genetici; tutti gli altri sono legati a fattori esterni, in particolare alla dieta.2
La nostra pelle misura circa 1,8 metri quadrati. I polmoni, se mettessimo in linea retta tutti i minuscoli alveoli, occuperebbero decine di metri quadrati.3 E gli intestini? Tenendo conto di ogni loro piccola piega, gli scienziati hanno calcolato che misurerebbero centinaia di metri quadrati,4 risultando quindi molto più grandi della pelle e dei polmoni messi insieme. Ciò che mangiamo può benissimo rappresentare la nostra principale interfaccia con il mondo esterno. Ciò significa che, indipendentemente dalle sostanze cancerogene che si annidano nell’ambiente, la maggiore esposizione che subiamo passa attraverso il cibo.
Tre dei tumori più comuni del tratto digestivo uccidono circa 100.000 americani ogni anno. Il carcinoma del colon-retto, che miete 50.000 vittime l’anno,5 è tra i tipi di cancro diagnosticati più di frequente. Per fortuna è anche tra i più curabili, a patto che venga preso in tempo. Il tumore al pancreas, invece, rappresenta in pratica una sentenza di morte per circa 46.000 persone sul totale dei soggetti che ne vengono colpiti ogni anno.6 Solo pochi sopravvivono per un anno dopo la diagnosi, il che significa che la prevenzione è di importanza capitale. Anche il carcinoma dell’esofago, che colpisce l’organo che collega la faringe allo stomaco, risulta spesso fatale per le sue 18.000 vittime l’anno.7 Ciò che mangiamo può influire indirettamente sul rischio di cancro, ad esempio peggiorando il reflusso gastroesofageo, un fattore di rischio per il carcinoma dell’esofago, o entrando in contatto diretto con la parete dell’apparato gastrointestinale.
CARCINOMA DEL COLON-RETTO
Nell’arco della vita, l’individuo medio ha circa una possibilità su venti di ammalarsi di carcinoma del colon-retto.8 Per fortuna è uno dei tumori più curabili, in quanto gli screening svolti a cadenza regolare sulla popolazione permettono ai medici di individuare e rimuovere il tumore prima che si diffonda. Solo negli Stati Uniti ci sono oltre un milione di persone sopravvissute a questo tipo di cancro, e, tra coloro a cui il tumore è stato diagnosticato prima che si diffondesse al di là del colon, il tasso di sopravvivenza sui cinque anni è di circa il 90%.9
Il problema è che, allo stadio iniziale, questo carcinoma raramente dà sintomi. Se viene scoperto a uno stadio più avanzato, la cura è più difficile e meno efficace. A partire dai cinquant’anni e fino ai settantacinque si dovrebbe fare, in alternativa, l’esame delle feci ogni anno, l’esame delle feci ogni tre anni più una sigmoidoscopia ogni cinque, oppure una colonscopia ogni dieci.10 Per saperne di più sui rischi e i benefici di queste opzioni, vedi il capitolo 15. Se da un lato uno screening regolare può essere in grado di individuare il carcinoma del colon-retto, prevenirlo è senz’altro meglio.
Curcuma
Il prodotto interno lordo (PIL) dell’India è circa otto volte inferiore a quello degli Stati Uniti11 e circa il 20% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà,12 eppure i tassi di diffusione del cancro in India sono di gran lunga inferiori a quelli degli USA. Le americane si ammalano di carcinoma del colon-retto dieci volte più delle indiane, di cancro ai polmoni diciassette volte di più, di tumore dell’endometrio e di melanoma nove volte di più, di cancro ai reni dodici volte di più, alla vescica otto volte di più e al seno cinque volte di più. Gli uomini americani, a loro volta, sono colpiti undici volte più degli indiani dal carcinoma del colon-retto, ventitré volte di più dal tumore alla prostata, quattordici volte di più dal melanoma, nove volte di più dal cancro ai reni e sette volte di più dal cancro ai polmoni e alla vescica.13 Come mai una simile discrepanza? Una possibile spiegazione consiste nell’uso regolare che si fa nella cucina indiana della spezia chiamata curcuma.14
Nel capitolo 2 abbiamo visto come la curcumina, il pigmento giallo presente nella curcuma, risulti efficace contro le cellule tumorali in vitro. Tuttavia, solo una frazione minima della curcumina che mangiamo viene assorbita dal flusso sanguigno, perciò questa sostanza potrebbe non entrare mai sufficientemente a contatto con i tumori ubicati al di fuori dell’apparato gastrointestinale.15 La quantità che non viene assorbita dal sangue, però, finisce nel colon, dove può agire sulle cellule delle pareti intestinali dalle quali si sviluppano polipi maligni.
Lo sviluppo del carcinoma del colon-retto avviene in tre fasi. Il primo segno consiste in quelle che vengono chiamate «foci di cripte aberranti», ossia grappoli abnormi di cellule lungo le pareti del colon. Poi sopraggiungono i polipi che si formano sulla superficie interna. Si pensa che l’ultimo stadio si verifichi quando un polipo benigno si trasforma in maligno. Dopodiché, il tumore si nutre attraverso la parete del colon e si diffonde in tutto il corpo. Fino a che punto la curcumina è in grado di bloccare ciascuno di questi stadi del carcinoma del colon-retto?
Esaminando i fumatori, che tendono ad avere numerose foci di cripte aberranti, i ricercatori hanno scoperto che il consumo di curcumina può ridurre fino al 40% la presenza di tali formazioni nel retto, cioè da diciotto a undici, in soli trenta giorni. L’unico effetto collaterale riconosciuto è la colorazione gialla delle feci.16
E se i polipi si sono già sviluppati? Si è scoperto che assumere curcumina per sei mesi, insieme a un altro fitonutriente chiamato quercetina che si trova nella frutta e nella verdura come cipolle rosse e uva rossa, consentiva di abbattere di oltre la metà il numero e la dimensione dei polipi nei pazienti che presentavano una forma ereditaria di carcinoma del colon-retto. Anche in questo caso, non è stato registrato alcun effetto collaterale.17
E se i polipi si sono già trasformati in cancro? In un tentativo disperato di salvare le vite di quindici pazienti con carcinoma del colon-retto in stadio avanzato che non rispondeva più agli agenti chemioterapici né alle radiazioni, gli oncologi hanno somministrato loro un estratto di curcuma. Nel corso della terapia, durata da due a quattro mesi, pare che la cura abbia aiutato a bloccare la malattia in un terzo dei pazienti, cioè cinque su quindici.18
Se parlassimo di qualche nuovo tipo di farmaco chemioterapico che aiuta una persona su tre, dovremmo valutarne i gravi effetti collaterali. Ma quando si tratta semplicemente di estratti vegetali che si dimostrano assolutamente sicuri, anche se aiutano una sola persona su cento, mi pare che valga la pena prenderli in considerazione. Se tali estratti non presentano effetti collaterali e ne beneficia un malato su tre in fase terminale, allora sono subito diventati oggetto di ulteriori ricerche, giusto? Sbagliato: chi ha voglia di prendersi la briga di finanziare uno studio su un prodotto che non può essere brevettato?19
Il basso indice di insorgenza dei tumori in India potrebbe essere in parte dovuto alle spezie usate in cucina, ma potrebbe anche derivare dagli alimenti che vengono conditi con queste. L’India è uno dei maggiori produttori di frutta e verdura del mondo, e solo il 7% circa della popolazione adulta mangia carne tutti i giorni. La maggioranza assume invece verdure a foglia verde scura e legumi20 come fagioli, piselli spaccati, ceci e lenticchie, che tra l’altro sono ricchissimi di un’altra categoria di composti anticancro, i fitati.
LA QUANTITÀ DI FECI È IMPORTANTE
Più abbondanti e frequenti sono le evacuazioni, più siamo in salute. Stando a uno studio condotto su ventitré popolazioni di una dozzina di Paesi diversi, l’incidenza del carcinoma del colon schizza alle stelle nei casi in cui il peso medio delle feci è inferiore ai 450 grammi circa. Le popolazioni le cui feci pesano 110 grammi presentano un tasso triplo di carcinoma del colon-retto. Misurarle è facile: basta usare una comune bilancia. No, non nel modo che vi è venuto in mente: dovete pesarvi prima e dopo essere andati in bagno.
Il legame tra quantità delle feci e carcinoma del colon può dipendere dal «tempo di transito intestinale», cioè il numero di ore che il cibo impiega a viaggiare dalla bocca fino al water. Più abbondanti sono le feci, più rapido sarà questo passaggio, dato che gli intestini potranno farle avanzare più velocemente.21 In genere non ci si rende conto che è possibile evacuare ogni giorno e continuare a essere costipati; quello che si elimina oggi potrebbe essere il pasto della settimana scorsa.
Il tempo impiegato dal cibo per andare dall’alto al basso può dipendere dal sesso e dalle abitudini alimentari. Negli uomini che mangiano alimenti di origine vegetale impiega un giorno o due, ma in quelli che seguono una dieta più tradizionale può richiedere addirittura cinque o più giorni. Anche nelle donne che mangiano soprattutto frutta e verdura il passaggio avviene in uno o due giorni, ma il tempo medio per coloro che seguono una dieta tradizionale potrebbe arrivare a quattro.22 Questo vuol dire che possiamo avere un intestino regolare, ma in ritardo di quattro giorni. Per calcolare il tempo di transito possiamo mangiare barbabietole e controllare quanto tempo impiegano le feci a diventare rosa. Se ci vogliono meno di ventiquattro-trentasei ore, probabilmente raggiungiamo l’obiettivo dei 450 grammi.23
La costipazione è il sintomo gastrointestinale più diffuso negli Stati Uniti, che si traduce in milioni di visite mediche all’anno.24 A parte il fastidio, lo sforzo associato al tentativo di espellere feci piccole e dure può influire su una serie di problemi di salute, tra cui ernia iatale, vene varicose, emorroidi25 e ulcerazioni fastidiose come le ragadi anali.26
La costipazione può essere considerata una malattia legata alla mancanza di una certa sostanza nutritiva, cioè le fibre.27 Così come si prende lo scorbuto se non si assume abbastanza vitamina C, si diventa costipati se non si mangiano fibre a sufficienza. Dato che queste si trovano solamente negli alimenti di origine vegetale, è logico che più verdure mangiamo, meno rischiamo la costipazione. Ad esempio, uno studio ha messo a confronto migliaia di onnivori, vegetariani e vegani e ha scoperto che chi seguiva diete a base esclusivamente vegetale era tre volte più incline a evacuare tutti i giorni.28 A quanto pare i vegani sono persone... regolari.
Fitati
Il carcinoma del colon-retto è la seconda causa di decessi per tumore negli Stati Uniti in ordine di importanza,29 eppure in alcune parti del mondo è completamente sconosciuto. I tassi più alti sono stati registrati nel Connecticut, i più bassi a Kampala, in Uganda.30 Perché questa patologia è tanto diffusa nei Paesi occidentali? Per cercare di rispondere a questa domanda, il celebre chirurgo Denis Burkitt ha trascorso ventiquattro anni in Uganda. Molti degli ospedali da lui visitati non hanno mai trattato nemmeno un caso di carcinoma del colon-retto.31 Alla fine, il dottor Burkitt è giunto alla conclusione che la chiave era l’assunzione di fibre,32 dato che gran parte degli ugandesi seguiva diete basate su cibi integrali di origine vegetale.33
Ulteriori ricerche hanno suggerito che la prevenzione del cancro tramite la dieta può implicare anche altro, oltre alle fibre. Ad esempio, i tassi di carcinoma del colon-retto sono più alti in Danimarca che in Finlandia,34 eppure i danesi assumono leggermente più fibre dei finlandesi.35 Quali altri composti protettivi possono spiegare i bassi tassi di incidenza di questo tipo di cancro fra le popolazioni che mangiano alimenti di origine vegetale? Be’, le fibre non sono l’unico elemento di cui è ricca la dieta vegetariana e che manca nei cibi lavorati e di origine animale.
La risposta potrebbe trovarsi nei composti naturali chiamati fitati, presenti nei semi delle piante – in altre parole, in tutti i cereali integrali, nei legumi, nella frutta a guscio e nei semi oleosi. È stato dimostrato che i fitati eliminano il ferro in eccesso nel corpo, che altrimenti potrebbe generare un tipo particolarmente dannoso di radicale libero chiamato ossidrile.36 Per quanto riguarda il carcinoma del colon-retto, dunque, la dieta americana standard potrebbe rivelarsi una doppia sciagura: la carne contiene il tipo di ferro (eme) specificamente associato a questa patologia,37 ma, al pari degli alimenti vegetali raffinati, non possiede i fitati in grado di eliminare i radicali liberi prodotti dal ferro.
Per molti anni, i fitati sono stati accusati di inibire l’assorbimento dei minerali, il che spiega come mai si sente dire che è meglio arrostire, far germogliare o mettere a mollo i semi per eliminare i fitati. Secondo questa teoria, ciò ci permetterebbe di assorbire più minerali, come ad esempio il calcio. Questa idea è nata da una serie di test di laboratorio condotti sui cuccioli di cane a partire dal 1949, la quale ha suggerito che i fitati potessero avere un effetto anticalcificante, indebolendo le ossa,38 ed è stata suffragata poi da ulteriori studi sui ratti, che sono giunti a conclusioni simili.39 Negli ultimi anni, però, alla luce dei dati sugli esseri umani, l’immagine dei fitati è stata completamente riabilitata.40 Di fatto, chi mangia cibi a più alto contenuto di fitati tende ad avere una maggiore densità ossea41 e una minore perdita ossea ed è meno soggetto a fratture dell’anca.42 A quanto pare, i fitati proteggono le ossa più o meno come fanno i farmaci contro l’osteoporosi quali il Fosamax,43 ma senza presentare il rischio di osteonecrosi (decomposizione ossea) della mascella, un effetto collaterale raro ma potenzialmente deturpante associato a questa categoria di farmaci.44
I fitati, inoltre, possono offrire protezione contro il carcinoma del colon-retto. Uno studio durato sei anni e condotto su circa trentamila californiani ha rilevato che un maggiore consumo di carne si associa a un maggiore rischio di insorgenza del carcinoma del colon-retto. Sorprendentemente, la carne bianca è risultata essere la peggiore. Di fatto, chi mangiava carne rossa almeno una volta alla settimana presentava un rischio doppio di sviluppare il carcinoma del colon-retto, rischio che triplicava, però, nei soggetti che consumavano pollo o pesce una o più volte la settimana.45 Mangiare legumi, una fonte eccellente di fitati, si è invece rivelato efficace nel contenere in parte questo rischio, perciò la probabilità di ammalarsi di carcinoma del colon-retto può dipendere dal rapporto carne-vegetali.
Tra i due estremi – diete ricche di vegetali e povere di carne, e diete ricche di carne e povere di vegetali – il rischio di contrarre il carcinoma del colon-retto aumenta di otto volte.46 Perciò, ridurre drasticamente la quantità di carne che mangiamo potrebbe non bastare: occorre anche assumere più alimenti di origine vegetale. Come ha rilevato il Polyp Prevention Trial del National Cancer Institute (uno studio interventistico randomizzato basato su una dieta a basso contenuto di grassi e ad alto contenuto di fibre), i soggetti che avevano aumentato l’assunzione di legumi anche solo di meno di un quarto di tazza al giorno avevano ridotto il rischio di insorgenza del polipo pretumorale del colon-retto fino a un massimo del 65%.47
Visto quanto sono numerose le sostanze nutritive benefiche contenute nei legumi, perché riteniamo che la diminuzione del rischio dipenda proprio dai fitati? Studi condotti sulle piastre di Petri dimostrano che queste sostanze inibiscono la crescita di tutte le cellule tumorali umane finora testate – comprese quelle del cancro al colon, al seno, alla cervice uterina, alla prostata, al fegato, al pancreas e alla pelle48 – mentre non agiscono sulle cellule sane.49 La capacità di discriminare tra cellule tumorali e tessuto sano è tipica di un ottimo agente antitumorale. Quando mangiamo cereali integrali, legumi, semi e frutta a guscio, i fitati vengono rapidamente assorbiti nel flusso sanguigno e prontamente intercettati dalle cellule tumorali. I tumori concentrano tali composti in modo così efficace che è possibile tracciare la diffusione del cancro all’interno del corpo tramite un’ecografia che individua i fitati.50
Queste sostanze colpiscono le cellule tumorali combinando l’attività antiossidante, quella antinfiammatoria e il rafforzamento del sistema immunitario. Oltre ad agire direttamente sulle cellule tumorali, è stato dimostrato che i fitati stimolano l’attività dei linfociti NK, cioè i globuli bianchi (o leucociti) che formano la nostra prima linea di difesa catturando ed eliminando le cellule tumorali.51 Inoltre, i fitati possono entrare in gioco anche nell’ultima linea di difesa, privando i tumori del sangue che li nutre. Nei cibi vegetali si trovano molti fitonutrienti in grado di bloccare la formazione di nuovi vasi sanguigni che alimentano i tumori, ma pare che i fitati possano anche interrompere la fornitura di nutrienti al tumore già in essere.52 Analogamente, pare che molti composti vegetali aiutino a rallentare e persino arrestare la crescita delle cellule tumorali,53 ma in alcuni casi i fitati riescono addirittura a riportare le cellule tumorali allo stato normale – in altre parole, a farle smettere di comportarsi come cancro. Tale «riabilitazione» delle cellule tumorali è stata dimostrata in vitro relativamente al cancro al colon,54 al seno,55 al fegato56 e alla prostata57.
I fitati hanno anche degli effetti collaterali, ma a quanto pare sono tutti positivi. Un’abbondante assunzione di queste sostanze è associata a una minore incidenza di patologie cardiache, diabete e calcoli renali. Alcuni ricercatori hanno anzi suggerito che i fitati vengano considerati nutrienti essenziali. Al pari delle vitamine, prendono parte a importanti reazioni biochimiche dell’organismo. Il livello di fitati fluttua a seconda della dieta, e un consumo insufficiente è collegato a malattie che possono essere calmierate assumendone quantità adeguate; pertanto dovremmo considerarli come una nuova vitamina.58
FAR REGREDIRE I POLIPI RETTALI CON I FRUTTI DI BOSCO?
Esistono molti modi per mettere a confronto i benefici dei vari tipi di frutta e verdura, ad esempio attraverso il contenuto nutritivo o l’attività antiossidante. Idealmente, dovremmo usare una misurazione che riguardi l’attività biologica reale. Un modo per farlo è valutare l’arresto della crescita delle cellule tumorali. In uno studio, sono stati testati undici frutti di uso comune versandone gocce di estratti su cellule tumorali collocate in una piastra di Petri. Il risultato? Al primo posto si sono piazzati i frutti di bosco.59 In particolare, quelli biologici possono arrestare la crescita delle cellule tumorali meglio di quelli a coltivazione tradizionale.60 Ma un laboratorio non è come la vita reale. Queste scoperte si possono applicare solamente a patto che i componenti attivi del cibo vengano assorbiti dal nostro sistema e riescano a raggiungere i tumori appena formati. Il carcinoma del colon-retto, però, si sviluppa a partire dalla parete intestinale, perciò ciò che mangiamo può avere un effetto diretto. Ecco perché gli studiosi hanno deciso di mettere alla prova i frutti di bosco.
La poliposi adenomatosa familiare è una forma ereditaria di carcinoma del colon-retto causata da una mutazione dei geni oncosoppressori. Chi ne soffre sviluppa centinaia di polipi nel colon, alcuni dei quali inevitabilmente si trasformano in tumori. La cura può richiedere una colectomia profilattica, nella quale il colon viene rimosso in tenera età a scopi preventivi. È stato realizzato un farmaco che pareva in grado di far regredire i polipi, ma ha causato il decesso di decine di migliaia di persone ed è stato tolto dal mercato.61 I frutti di bosco potrebbero arrestare la crescita dei polipi come faceva il medicinale, senza però provocare effetti collaterali mortali? La risposta è sì. Dopo nove mesi di cura a base di lamponi neri, il numero di polipi presenti in quattordici pazienti affetti da poliposi adenomatosa familiare si è dimezzato.62
Di norma, queste formazioni avrebbero dovuto essere rimosse chirurgicamente, ma pare che i lamponi le abbiano fatte scomparire in modo naturale. Il metodo con cui sono stati somministrati questi frutti, però, non è stato per niente naturale. I ricercatori hanno usato una scorciatoia e hanno somministrato i lamponi sotto forma di supposte. Non fatelo a casa, mi raccomando! Dopo aver inserito nel retto dei pazienti l’equivalente di tre chili e seicento grammi di lamponi nell’arco di nove mesi, alcuni malati presentavano ragadi.63 La speranza è che un giorno, grazie alla ricerca, giungeremo a dimostrare gli effetti antitumorali dei frutti di bosco assunti però alla vecchia maniera, vale a dire per bocca.
Troppo ferro?
Nel 2012 sono stati pubblicati i risultati di due importanti studi dell’Università di Harvard. Il primo, chiamato Nurses’ Health Study, ha analizzato il regime alimentare di circa 120.000 donne dai trenta ai cinquantacinque anni a partire dal 1976; il secondo, chiamato Health Professionals Follow-Up Study, ha seguito circa 50.000 uomini dai quaranta ai settantacinque anni di età. Ogni quattro anni, i ricercatori contattavano i soggetti per avere conferma della loro dieta. Entro il 2008 erano scomparsi circa 24.000 partecipanti, di cui circa 6000 di malattie cardiache e 9000 di cancro.64
Dopo aver analizzato i risultati, i ricercatori hanno scoperto che il consumo di carne rossa lavorata o meno era associato a un aumento del rischio di morte per cancro e malattie cardiache e a una diminuzione della durata della vita in generale. Sono giunti alla stessa conclusione anche dopo aver tenuto conto di altri fattori di rischio relativi a età, peso, consumo di alcol, esercizio fisico, fumo, anamnesi familiare, calorie ingerite e anche assunzione di cibi integrali di origine vegetale, come cereali, frutta e verdura. In altre parole, a quanto pareva i soggetti dello studio non morivano precocemente perché assumevano pochi composti salutari delle piante, come i fitati: i risultati suggerivano invece che potesse esserci qualcosa di dannoso nella carne.
Pensate alle difficoltà logistiche di seguire oltre 100.000 pazienti per decenni. E adesso pensate a uno studio cinque volte più ampio. La ricerca più vasta della storia su alimentazione e salute è lo studio NIH-AARP, cofinanziato dal National Institutes of Health e dall’American Association of Retired Persons. Nell’arco di dieci anni, i ricercatori hanno seguito circa 545.000 uomini e donne dai cinquanta ai settantuno anni di età, all’interno del più ampio studio sul legame tra carne e mortalità che sia mai stato condotto. Gli scienziati sono giunti alle stesse conclusioni dei ricercatori di Harvard: il consumo di carne è associato a un aumento del rischio di mortalità per cancro e malattie cardiache e al rischio di morire giovani in generale. Anche in questo caso, si è tenuto conto di altri fattori legati alla dieta e allo stile di vita, escludendo di fatto la possibilità che coloro che mangiavano carne fumassero di più, facessero meno esercizio fisico o non mangiassero frutta e verdura.65 L’editoriale che accompagnava la ricerca pubblicata sugli «Archives of Internal Medicine» dell’American Medical Association (intitolato Reducing Meat Consumption Has Multiple Benefits for the World’s Health, cioè «Ridurre il consumo di carne presenta numerosi vantaggi per la salute mondiale») invocava una «significativa riduzione del consumo totale di carne».66
Ma quali sostanze della carne possono far aumentare il rischio di una morte prematura? Una di queste è il ferro eme, cioè quello che si trova principalmente nel sangue e nei muscoli. Poiché può generare radicali liberi che causano il cancro (agisce cioè da pro-ossidante67), può essere considerato un’arma a doppio taglio: se ne assumiamo troppo poco rischiamo di diventare anemici, se ne assumiamo troppo possiamo correre un maggiore rischio di tumori o malattie cardiache.
Il nostro organismo non possiede un meccanismo specifico per liberarsi dal ferro in eccesso.68 Gli esseri umani hanno sviluppato la capacità di regolare la quantità di ferro assorbito dall’organismo: se non abbiamo abbastanza ferro in circolo, gli intestini ne aumentano l’assorbimento, se invece ne abbiamo troppo, lo rallentano. Questo sistema a termostato, però, funziona in modo efficace solo con la fonte primaria di ferro nella nostra dieta: il non eme che si trova soprattutto nei cibi di origine vegetale. Una volta che nel sangue abbiamo una quantità sufficiente di ferro, l’organismo è circa cinque volte più efficiente nel bloccare l’assorbimento di quello in eccesso dai cibi di origine vegetale che da quelli di origine animale.69 Ciò potrebbe spiegare come mai il ferro eme sia collegato al rischio di cancro70 e patologie cardiache71. Analogamente, è collegato anche a un maggiore rischio di insorgenza del diabete, mentre il non eme non lo è.72
Eliminando il ferro dall’organismo, potremmo forse ridurre i tassi di insorgenza del tumore? Alcune ricerche hanno scoperto che i soggetti randomizzati che donavano regolarmente sangue per far diminuire le proprie scorte di ferro avevano dimezzato il rischio di sviluppare (e morire per) un tumore allo stomaco in cinque anni.73 I risultati sono stati così eclatanti che un editoriale del «Journal of the National Cancer Institute» li ha definiti «quasi troppo belli per essere veri».74
Donare il sangue è una bella cosa, ma dovremmo innanzitutto cercare di prevenire un eccessivo accumulo di ferro. La filiera della carne sta cercando di sintetizzare degli additivi che «blocchino gli effetti tossici del ferro eme»,75 ma l’ideale sarebbe aumentare i cibi di origine vegetale nella dieta, dal momento che il corpo riesce a gestirli molto meglio.
ASSUMERE FERRO A SUFFICIENZA CON UNA DIETA A BASE VEGETALE
Rispetto a chi mangia carne, i vegetariani tendono ad assumere più ferro (e più sostanze nutritive in generale),76 ma quello contenuto nei cibi di origine vegetale non viene assorbito in maniera efficiente quanto quello eme della carne. Se da un lato ciò consente di prevenire il sovraccarico di ferro, dall’altro circa una donna americana mestruata su trenta perde più ferro di quanto ne incameri, il che può portarla a essere anemica.77 Le donne che seguono una dieta a base di prodotti di origine vegetale non presentano anemie da carenza di ferro più di quelle che mangiano tanta carne,78 ma tutte le donne in età fertile devono assicurarsi un adeguato apporto di questo minerale.
Chi soffre di carenza di ferro dovrebbe decidere con il proprio medico se non sia il caso di provare prima a curarla attraverso la dieta, poiché, come è stato dimostrato, gli integratori alimentari a base di ferro aumentano lo stress ossidativo.79 Le fonti più salubri di questo minerale sono i cereali integrali, i legumi, la frutta secca e a guscio, e le verdure a foglia verde. È meglio evitare, invece, di bere tè ai pasti, in quanto può inibire l’assorbimento del ferro. Per aumentarlo, però, si possono mangiare cibi ad alto contenuto di vitamina C. Quella contenuta in una sola arancia è in grado di migliorare l’assorbimento del ferro da tre a sei volte, perciò, se volete raggiungere l’obiettivo, dovreste mangiare più frutta, invece di bere una tazza di tè.80
TUMORE AL PANCREAS
Mio nonno è morto per un tumore al pancreas. Quando si è manifestato il primo sintomo – un dolore sordo allo stomaco – era ormai troppo tardi. Ecco perché è necessario prevenirlo.
Il tumore al pancreas è tra le forme di cancro più letali: solo il 6% dei pazienti sopravvive nei cinque anni successivi alla diagnosi. Per fortuna è relativamente raro e uccide circa 40.000 americani all’anno.81 Pare che il 20% di questi tumori sia dovuto al fumo.82 Tra gli altri fattori di rischio su cui è possibile intervenire vi sono l’obesità e il massiccio consumo di alcol.83 Come vedremo, sull’insorgenza di questo tipo di cancro possono influire anche fattori specifici legati alla dieta.
Ad esempio, per tanti anni si è ragionato sulle modalità con cui i grassi che assumiamo con la dieta contribuiscono ad aumentare il rischio di tumore al pancreas. L’incongruenza delle scoperte scientifiche sull’impatto dell’assunzione complessiva di grassi potrebbe essere in parte spiegata con il fatto che tipi diversi di lipidi influiscono in modo diverso sul rischio. Il già citato studio dell’NIH-AARP è stato abbastanza ampio da individuare quelli più spesso associati con il tumore al pancreas. Si è trattato della prima ricerca che abbia evidenziato il ruolo svolto dai grassi di origine vegetale, come quelli contenuti in frutta a guscio, semi, avocado, olive e olio vegetale, rispetto a quelli derivati da fonti animali come carne, latticini e uova. Il consumo di grassi animali è associato in modo significativo al rischio di cancro al pancreas, mentre non è risultata alcuna correlazione con il consumo di grassi di origine vegetale.84
Consumo di pollo e rischio di tumore al pancreas
A partire dai primi anni Settanta del secolo scorso, una serie di leggi ha limitato l’uso dell’amianto, eppure ancora oggi muoiono migliaia di americani all’anno per l’esposizione a questo minerale. I Centers for Disease Control and Prevention, l’American Academy of Pediatrics e l’Environmental Protection Agency hanno stimato che, nell’arco di trent’anni, tra coloro che da bambini sono stati esposti all’amianto negli edifici scolastici si verificheranno circa mille casi di cancro.85
La malattia ha iniziato a colpire coloro che lavoravano a contatto con l’amianto alcune generazioni fa. I primi tumori legati all’amianto si sono registrati negli anni Venti del Novecento tra i minatori che estraevano questo composto. Poi se ne verificò una seconda ondata tra gli operai dei cantieri navali e edili che lo utilizzavano. Adesso ci troviamo alla terza ondata di patologie legate all’amianto, dato che gli edifici nei quali è stato utilizzato cominciano a deteriorarsi.86
Come dimostra la storia dell’amianto, per capire se un fattore causa il cancro, gli scienziati studiano prima di tutto chi vi è maggiormente esposto. È così che stiamo scoprendo i potenziali effetti cancerogeni dei virus del pollame. È da un bel pezzo che guardiamo con preoccupazione all’eventualità che i virus della leucosi aviaria si trasmettano agli esseri umani tramite il semplice contatto con il pollo fresco o congelato.87 Si sa che questi virus causano il cancro nei volatili, ma il loro ruolo nell’insorgenza dei tumori umani è ancora sconosciuto. La preoccupazione nasce dagli studi secondo i quali chi lavora nella macellazione del pollame e nei relativi stabilimenti rischia di morire per certi tipi di cancro più di altre persone.
La ricerca più recente, condotta su 30.000 operai della filiera del pollame, è stata specificamente messa a punto per testare se «l’esposizione ai virus della leucosi aviaria, così diffusi tra coloro che lavorano nel settore – per non parlare della popolazione in generale – possa essere associata a un maggiore rischio di morte per tumore al fegato o al pancreas». La ricerca ha scoperto che chi macella i polli corre un rischio nove volte maggiore di ammalarsi di questi tipi di cancro.88 Giusto per contestualizzare questi risultati, il fattore di rischio più studiato in relazione al cancro al pancreas è il fumo. Eppure, anche se aveste fumato per cinquant’anni di fila, avreste «solamente» il doppio delle possibilità di ammalarvi di cancro al pancreas.89
E che dire di chi mangia pollo? Il più ampio studio mai condotto in proposito è l’EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), che ha seguito 477.000 persone per circa dieci anni. I ricercatori hanno scoperto che, per ogni cinquanta grammi in più di pollo al giorno, il rischio di tumore al pancreas aumentava del 72%.90 E non stiamo certo parlando di grosse quantità di carne: circa un quarto di petto di pollo.
I ricercatori sono rimasti sorpresi nel vedere che era il consumo di pollame, e non quello di carni rosse, a essere più strettamente legato al cancro. Quando poi lo stesso risultato è stato riscontrato anche nel caso dei linfomi e delle leucemie, i ricercatori dello studio EPIC hanno concluso che, se da un lato ciò probabilmente dipende dagli ormoni della crescita che vengono dati in pasto a polli e tacchini, dall’altro anche i virus tumorali riscontrati nel pollame potrebbero avere la loro importanza.91
Il motivo per cui il collegamento tra amianto e cancro è stato relativamente facile da individuare è che l’amianto causava un tipo di tumore particolarmente insolito (il mesotelioma), praticamente sconosciuto prima che si diffondesse l’uso di questo minerale.92 Ma proprio perché il tumore al pancreas che si può sviluppare mangiando pollame è lo stesso tipo di cancro di cui ci si può ammalare fumando, è più difficile individuare una chiara relazione di causa ed effetto. Esistono malattie tipiche dell’industria della carne, come ad esempio la nuova «malattia dello spazzolatore di salame» che colpisce solamente chi lavora a tempo pieno spazzolando via la muffa bianca che si forma spontaneamente sul salame.93 Gran parte delle patologie che colpiscono chi lavora nella filiera della carne, però, sono molto diffuse. Perciò, nonostante le prove schiaccianti che legano l’esposizione al pollame con il tumore al pancreas, non aspettatevi che domani mattina i fast food specializzati in pollame vengano messi al bando come è stato fatto con l’amianto.
CURARE IL TUMORE AL PANCREAS CON IL CURRY
Quello al pancreas è uno dei tipi di cancro più aggressivi. Se non viene curato, la maggior parte dei pazienti muore da due a quattro mesi dopo la diagnosi. Sfortunatamente, solo il 10% dei pazienti pare rispondere alla chemioterapia, e molti subiscono gravi effetti collaterali.94
Pare che la curcumina, il composto colorato della curcuma, sia in grado di far regredire le mutazioni pretumorali del cancro al colon e negli studi compiuti in laboratorio si è dimostrata efficace anche contro le cellule del tumore ai polmoni. Risultati simili sono stati ottenuti anche utilizzando cellule tumorali pancreatiche.95 Perciò, perché non usare la curcumina per curare i pazienti colpiti da cancro al pancreas? Durante uno studio finanziato dal National Cancer Institute e condotto presso l’MD Anderson Cancer Center, ai pazienti con un tumore al pancreas in fase avanzata sono state somministrate dosi abbondanti di curcumina. Dei ventuno soggetti coinvolti, due hanno risposto positivamente al trattamento: il primo presentava una riduzione delle dimensioni del tumore pari al 73%, anche se alla fine, al posto del primo tumore se ne è sviluppato un secondo resistente alla curcuma. Il secondo paziente, però, ha mostrato un miglioramento costante nel corso di diciotto mesi. L’unica volta che i marcatori del tumore sono risaliti è stato nelle tre settimane in cui la cura alla curcumina era stata interrotta.96 È vero, solo due pazienti su ventuno hanno reagito positivamente alla cura, ma accade più o meno lo stesso anche con la chemioterapia, con la differenza che la cura alla curcumina non ha provocato alcun effetto collaterale. Di conseguenza, mi sento di consigliare vivamente a chi soffre di cancro al pancreas di assumere curcumina, indipendentemente dalle altre cure intraprese. Dato che la prognosi è grave, però, la prevenzione è fondamentale. Finché non ne sapremo di più, la cosa migliore da fare è evitare fumo, alcolici e obesità, cercando inoltre di mangiare pochi cibi di origine animale, cereali raffinati e zuccheri aggiunti97, e scegliendo al loro posto fagioli, lenticchie, piselli spezzati e frutta secca.98
CARCINOMA DELL’ESOFAGO
Il cancro all’esofago compare quando si sviluppano cellule tumorali nell’organo cilindrico che porta il cibo dalla bocca allo stomaco. Tipicamente, il cancro insorge sulle pareti dell’esofago e poi invade gli strati esterni per poi creare metastasi in altri organi (cioè diffondersi). All’inizio i sintomi possono essere lievi, ammesso che vi siano, ma con il crescere del tumore insorgono difficoltà nella deglutizione.
Ogni anno si verificano circa diciottomila nuovi casi di carcinoma dell’esofago e quindicimila decessi dovuti a questa patologia.99 I fattori di rischio primari comprendono il fumo, il massiccio consumo di alcol e il reflusso gastroesofageo (MRGE, detto anche reflusso acido), che provoca un rigurgito nell’esofago dell’acido dello stomaco, il quale a sua volta brucia le mucose e causa un’infiammazione che alla fine può portare al cancro. A parte evitare fumo e alcol (anche una modesta quantità pare aumentare il rischio),100 la cosa più importante da fare per prevenire il carcinoma dell’esofago è eliminare il reflusso gastroesofageo: spesso è possibile farlo attraverso la dieta.
Il reflusso acido e il carcinoma dell’esofago
Il reflusso acido è uno dei disturbi più comuni del tratto digestivo. Tra i sintomi tipici vi sono il bruciore di stomaco e la risalita del cibo ingerito in gola, che può lasciare un sapore acido in bocca. Negli Stati Uniti la MRGE determina milioni di visite mediche e di ricoveri ospedalieri all’anno e rappresenta la spesa annuale più alta tra tutte quelle legate alle patologie digestive.101 L’infiammazione cronica causata dal reflusso acido può provocare l’esofago di Barrett, una malattia pretumorale che determina cambiamenti della mucosa esofagea.102 Per prevenire l’adenocarcinoma, cioè il tumore dell’esofago più diffuso negli Stati Uniti, è necessario interrompere questa sequenza di eventi, e ciò significa eliminare innanzitutto il reflusso acido.
È un compito arduo, però. Negli ultimi tre decenni, tra gli americani l’incidenza del carcinoma dell’esofago è cresciuta di sei volte,103 ossia più di quella del cancro al seno o alla prostata, e tale aumento può essere ascritto principalmente al fatto che il reflusso acido si sta diffondendo.104 Negli Stati Uniti circa una persona su quattro (il 28%) soffre almeno una volta alla settimana di reflusso acido o di rigurgito, mentre ad esempio in Asia ne soffre solamente il 5%.105 Ciò indica che i fattori legati all’alimentazione possono svolgere un ruolo fondamentale.
Negli ultimi vent’anni, circa quarantacinque studi hanno esaminato il legame tra dieta, esofago di Barrett e carcinoma esofageo. La connessione più consistente con il cancro è risultata essere il consumo di carne e di pasti ad alto contenuto di grassi.106 È interessante notare che tipi diversi di carne sono risultati collegati a tumori in parti differenti dell’organismo. La carne rossa è fortemente associata al carcinoma dell’esofago, mentre il pollame è più legato al cancro che si sviluppa tra stomaco ed esofago.107
Come mai? Entro cinque minuti dall’ingestione dei grassi, lo sfintere che si trova in cima allo stomaco, e che agisce come una valvola per tenere il cibo al suo interno, si rilassa, permettendo agli acidi di risalire nell’esofago.108 Ad esempio, in uno studio alcuni volontari hanno mangiato un pasto ad alto contenuto di grassi (il panino di McDonald’s con salsiccia, uova e formaggio) e hanno avuto un reflusso acido esofageo molto più pronunciato di chi aveva ingerito un pasto con pochi grassi (i pancake di McDonald’s).109 Il risultato può essere in parte determinato dal rilascio di un ormone chiamato colecistochinina, che viene attivato dalla carne110 e dalle uova111 e potrebbe essere responsabile del rilassamento dello sfintere.112 Ciò può spiegare perché chi mangia carne abbia il doppio delle possibilità rispetto ai vegetariani di soffrire di un’infiammazione esofagea dovuta al reflusso.113
Rischio di cancro a parte, la MRGE può comunque provocare dolore, sanguinamento e restringimento cicatriziale dell’esofago, che può interferire con la deglutizione. Si spendono miliardi di dollari in farmaci per alleviare il bruciore allo stomaco e il reflusso acido riducendo la quantità di succhi gastrici prodotti dallo stomaco, ma questi medicinali possono provocare carenze nutritive e far aumentare il rischio di polmoniti, infezioni intestinali e fratture.114 Forse la strategia migliore è tenere i succhi gastrici al loro posto riducendo il più possibile l’assunzione di cibi che permettono loro di fuggire.
L’effetto protettivo di una dieta a base di alimenti vegetali, però, potrebbe non dipendere solo da tale riduzione. Seguire una dieta basata su cibi verdi, ricchi di antiossidanti, può dimezzare le probabilità di contrarre il carcinoma dell’esofago.115 A quanto risulta, i cibi che proteggono maggiormente la zona di confine tra esofago e stomaco sono le verdure di colore rosso e arancione, o quelle a foglia verde scura, i frutti di bosco, le mele e gli agrumi,116 ma tutti gli alimenti vegetali non lavorati hanno il vantaggio di contenere fibre.
Fibre ed ernia iatale
Se l’assunzione di grassi è legata a un maggiore rischio di reflusso, l’ingestione di fibre pare ridurlo.117 Mangiare tante fibre può contribuire a ridurre l’incidenza del carcinoma dell’esofago anche di un terzo,118 perché permette di prevenire la causa primaria di molti casi di reflusso acido, vale a dire l’erniazione di parte dello stomaco nella cavità toracica.
Questa patologia è nota come ernia iatale e si verifica quando parte dello stomaco viene spinta verso l’alto, cioè verso il torace, attraverso il diaframma. Ne soffrono oltre un americano su cinque, mentre la malattia è praticamente sconosciuta (con tassi pari all’uno per mille) tra le popolazioni la cui dieta si basa su prodotti di origine vegetale.119 Si pensa che ciò sia dovuto al fatto che le loro feci sono morbide e abbondanti.120
Chi mangia pochi cibi integrali produce feci più piccole e dure che risultano difficili da evacuare (vedi box a pagina 115). Se defecate sempre con sforzo, nel tempo parte dello stomaco può essere spinto verso l’alto e fuoriuscire dall’addome, permettendo così all’acido di risalire verso la gola.121
Lo sforzo necessario per evacuare può provocare anche altri problemi. Analogamente a quanto accade quando stringiamo una pallina anti-stress, che si rigonfia da una parte, la spinta sul gabinetto può causare erniazioni della mucosa del colon, una patologia chiamata diverticolosi. La maggiore pressione addominale può inoltre congestionare la circolazione sanguigna nelle vene dell’ano, causando emorroidi, e persino far rifluire il sangue nelle gambe, provocando vene varicose.122 Una dieta ricca di fibre, però, può alleviare la spinta in entrambe le direzioni. Chi segue diete centrate sui cibi integrali di origine vegetale tende infatti a evacuare senza sforzo, il che permette allo stomaco di rimanere dove dovrebbe123 e contribuisce a ridurre la fuoriuscita di acido associata a uno dei tumori più mortali.
LE FRAGOLE POSSONO DAVVERO FAR REGREDIRE IL CARCINOMA
DELL’ESOFAGO?
Il carcinoma dell’esofago, insieme al cancro al pancreas, è una delle patologie più gravi che si possano immaginare. Il tasso di sopravvivenza sui cinque anni è inferiore al 20%124 e gran parte dei malati muore entro il primo anno dalla diagnosi.125 Ciò basta a evidenziare la necessità di prevenire, bloccare o invertire il processo degenerativo il prima possibile.
I ricercatori hanno deciso di mettere alla prova le fragole. In uno studio clinico randomizzato in cui a pazienti con lesioni pretumorali all’esofago venivano somministrate fragole in polvere, i soggetti hanno mangiato da 28 a 56 grammi di fragole liofilizzate al giorno per sei mesi – vale a dire l’equivalente giornaliero di circa 450 grammi di fragole fresche.126
All’inizio del trial tutti i partecipanti presentavano una patologia pretumorale lieve o moderata, ma, sorprendentemente, nell’80% circa dei pazienti del gruppo a cui erano state somministrate alte dosi di fragole, la progressione della malattia si è invertita. Gran parte delle lesioni pretumorali sono regredite da moderate a lievi oppure sono scomparse del tutto. Metà di coloro che avevano assunto dosi elevate di fragole è tornata a casa senza lesioni.127
Il consumo di fibre non si limita ad alleggerire la spinta necessaria per l’evacuazione. Gli esseri umani si sono evoluti mangiando enormi quantità di fibre, probabilmente oltre cento grammi al giorno,128 ossia circa dieci volte quello che la persona media ingerisce oggi.129 Dato che le piante non corrono veloci come gli animali, un tempo il fulcro della nostra dieta era costituito da grandi quantità di fibre. Oltre a farci andare regolarmente di corpo, queste si legano a tossine come piombo e mercurio, spazzandole via.130 Il nostro organismo è concepito per assorbire una quantità di fibre costante, perciò trasferisce nell’intestino i prodotti di scarto indesiderati, come il colesterolo e gli estrogeni in eccesso, dando per scontato che da lì verranno espulsi. Se però non riforniamo costantemente l’intestino di cibi vegetali, unica fonte naturale di fibre, tali prodotti di scarto possono essere riassorbiti e vanificare i tentativi del corpo di disintossicarsi. Solo il 3% degli americani assume la dose giornaliera minima consigliata di fibre, il che rende la mancanza di fibre una delle carenze nutritive più diffuse negli Stati Uniti.131