CAPITOLO 5
COME NON MORIRE DI INFEZIONI

Stavo ancora studiando medicina quando fui invitato a difendere Oprah Winfrey, che era stata citata in giudizio da un allevatore di bovini per aver infranto la legge del Texas sulla «diffamazione alimentare» (tredici Stati americani hanno in vigore le cosiddette food libel laws, leggi che rendono illegale qualunque commento tendenzioso che «implichi che un prodotto alimentare deperibile non sia adatto al consumo da parte del pubblico»1).

Nel suo show televisivo, Oprah aveva parlato con Howard Lyman, un ex allevatore di bestiame di quarta generazione che aveva condannato l’abitudine cannibalistica di nutrire le mucche con mangimi a base di carne bovina, una pratica rischiosa ritenuta responsabile dell’insorgenza e della diffusione dell’encefalopatia spongiforme (nota anche come «morbo della mucca pazza»). Disgustata dall’idea, Oprah aveva detto al pubblico in ascolto: «Mi ha fatto passare la voglia di mangiare hamburger». Il giorno dopo, i futures del bestiame crollarono e l’allevatore texano dichiarò di aver perso milioni di dollari.

Il mio compito era accertare che i commenti di Lyman fossero «basati su analisi, fatti e dati scientifici affidabili e ragionevoli».2 Sebbene ci fossimo riusciti con relativa facilità, per non parlare della palese violazione del Primo emendamento insita nella legge, l’allevatore fu in grado di inchiodare Oprah in una lunga serie di sfiancanti processi di appello. Alla fine, cinque anni dopo, un giudice federale archiviò il caso con formula dubitativa, mettendo fine all’incubo della conduttrice televisiva.

Dal punto di vista strettamente legale, Oprah vinse, ma se la filiera americana della carne è in grado di trascinare per anni in tribunale una delle persone più ricche e potenti del Paese facendole sborsare una fortuna in spese legali, che effetto può avere una cosa del genere su chi volesse denunciare qualcosa? Oggi l’industria della carne sta cercando di far passare le cosiddette ag-gag laws (leggi contro le «gole profonde» che denunciano attività illecite da parte del governo, di organizzazioni pubbliche o private o di aziende), che rendono illegale scattare fotografie nei loro stabilimenti. Probabilmente temono che, se la gente sapesse come vengono realizzati i loro prodotti, non li comprerebbe più.3

Nel caso della mucca pazza, per fortuna, l’umanità ha schivato un bel proiettile. In Gran Bretagna quasi una generazione intera è stata esposta alla carne di manzo infetto, ma sono morte solamente poche centinaia di persone. Con l’influenza suina, che secondo il CDC di Atlanta ha ucciso dodicimila americani, non siamo stati così fortunati.4 Circa tre quarti di tutte le patologie umane che emergono ciclicamente provengono dal regno animale.5

Il dominio degli esseri umani sul regno animale ha scoperchiato un vaso di Pandora pieno di malattie infettive. Prima che l’addomesticazione portasse a un trasferimento massiccio delle patologie animali agli esseri umani, gran parte delle infezioni era sconosciuta.6 Ad esempio, pare che la tubercolosi sia giunta a noi con l’addomesticazione della capra,7 ma adesso colpisce quasi un terzo dell’umanità.8 Inoltre, sembra che dai virus bovini mutanti siano scaturiti il morbillo9 e il vaiolo.10 Abbiamo addomesticato i maiali e preso la pertosse, poi i polli ed è arrivata la febbre tifoide, infine le anatre, che ci hanno portato l’influenza.11 La lebbra potrebbe derivare dai bufali indiani e il virus del raffreddore dai cavalli.12 Quante volte i cavalli selvatici hanno starnutito in faccia agli esseri umani prima di essere domati e imbrigliati? Probabilmente, in precedenza il raffreddore ce l’avevano soltanto loro.

Una volta che i patogeni oltrepassano la barriera delle specie, possono essere trasmessi da una persona all’altra. L’HIV, un virus che si pensa derivi dalla macellazione dei primati africani per farne selvaggina esotica,13 causa l’AIDS indebolendo il sistema immunitario. Le infezioni fungine, virali e batteriche opportunistiche che colpiscono i malati di AIDS – alle quali invece le persone in salute sono resistenti – dimostrano l’importanza di una buona funzionalità del sistema immunitario. Questo non si attiva solo quando siamo a letto con la febbre alta, ma è impegnato in una lotta quotidiana per la vita o la morte contro i patogeni che ci circondano e che vivono dentro di noi.

Ogni volta che inspiriamo, inaliamo migliaia di batteri,14 e a ogni boccone che mangiamo possiamo ingerirne altri milioni.15 Gran parte di questi minuscoli germi sono totalmente innocui, ma alcuni possono causare malattie infettive gravi che a volte arrivano sulle prime pagine dei giornali, con nomi sinistri come SARS o Ebola. Anche se molti di questi patogeni esotici compaiono spesso sui media, alcune infezioni comuni mietono molte più vittime. Ad esempio quelle dell’apparato respiratorio, come l’influenza e la polmonite, uccidono quasi 57.000 americani all’anno.16

Tenete a mente che per prendere un’infezione non è necessario entrare in contatto con un malato. Nel nostro organismo possono esserci infezioni latenti che attendono solo di emergere non appena le difese immunitarie si indeboliscono. Ecco perché lavarsi le mani non basta: dobbiamo mantenere in salute il sistema immunitario.

 


PROTEGGERE GLI ALTRI

Per proteggere gli altri quando siamo malati, dobbiamo osservare il bon ton respiratorio e imparare a tossire o starnutire nell’incavo del gomito piegato. Questa abitudine limita la dispersione delle goccioline di saliva ed evita di contaminare le mani. In proposito, la Mayo Clinic ha coniato uno slogan che vale la pena ricordare: «Le dieci fonti di infezione più pericolose sono le nostre dita». Se tossiamo nella mano, rischiamo di trasferire il contagio a qualunque cosa, dai pulsanti dell’ascensore agli interruttori della luce, dalle pompe di benzina alle maniglie della toilette.17 Non sorprende che, nella stagione influenzale, il virus si riscontri sul 50% delle superfici di casa e degli ambulatori.18

Idealmente, dovremmo disinfettarci le mani ogni volta che andiamo in bagno o stringiamo la mano a qualcuno, prima di cucinare e di toccarci occhi, naso o bocca quando siamo stati in luoghi pubblici. Le linee guida più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità invitano a strofinarsi abitualmente le mani con creme o gel disinfettanti a base alcolica, invece di lavarle con l’acqua. (Tutti gli studi scientifici a oggi disponibili hanno rilevato che i prodotti contenenti dal 60 all’80% di alcol sono più efficaci del sapone.) L’unico caso in cui è meglio lavarsi le mani con l’acqua è quando sono visibilmente sporche o macchiate di fluidi corporei. Per una disinfezione di routine – vale a dire, in tutti gli altri casi – i prodotti a base alcolica sono il metodo migliore per garantire l’igiene.19

Eppure, ci saranno sempre dei germi che riescono a superare la prima linea di difesa garantita da una buona pratica igienica. Ecco perché dobbiamo mantenere il sistema immunitario sempre perfettamente funzionante attraverso una dieta e uno stile di vita sani.


 

 

COME PREVENIRE LE MALATTIE INFETTIVE

GRAZIE A UN SISTEMA IMMUNITARIO SANO

 

Il termine «immunitario» deriva dal latino immunis, cioè «inviolato», «intatto», il che è appropriato, dal momento che questo sistema protegge l’organismo dagli invasori esterni. Composto da vari organi, dai globuli bianchi e da proteine chiamate anticorpi, tutti alleati contro i patogeni che entrano nel nostro corpo e lo minacciano, il sistema immunitario è, a parte quello nervoso, l’apparato più complesso che abbiamo.20

Il primo livello di protezione contro gli intrusi è costituito dalle barriere fisiche di superficie, come la pelle. Sotto si trovano i leucociti, come ad esempio i neutrofili che attaccano e inglobano direttamente i patogeni, e i linfociti NK che intervengono ogni volta che le cellule diventano tumorali o si infettano per colpa di un virus. Ma come fanno i linfociti NK a riconoscere i patogeni e le cellule infette? Spesso, quelle che devono essere distrutte vengono segnalate dagli anticorpi, speciali proteine costituite da un altro tipo di globuli bianchi, chiamati linfociti B, i quali si avvicinano come bombe intelligenti all’invasore e gli stanno addosso.

Ogni linfocita B produce un anticorpo specifico per una delle firme molecolari relative agli agenti esterni. Non possediamo un linfocita B relativo al polline e un altro che si occupa dei batteri, ma un linfocita B che produce esclusivamente anticorpi contro il polline dell’Allium fistolosum e un altro che produce soltanto gli anticorpi contro le proteine della coda dei batteri che vivono nelle sorgenti idrotermali sul fondale dell’oceano. Se ciascun linfocita B produce un solo tipo di anticorpi, dovremmo avere un miliardo di linfociti diversi, data l’incredibile varietà dei potenziali patogeni che si trovano sulla terra. E in effetti è proprio così!

Supponiamo che un giorno stiate camminando per strada e all’improvviso veniate attaccati da un ornitorinco dal becco ad anatra (che ha spuntoni velenosi sotto le zampe). Per tutta la vita, fino a quel momento, il vostro linfocita B che produce anticorpi contro il veleno dell’ornitorinco ha vagato nell’organismo girandosi i pollici. Non appena il veleno viene intercettato, però, questo linfocita B inizia a scindersi rapidissimamente, e in men che non si dica avrete uno sciame di suoi cloni che producono milioni di anticorpi contro il veleno dell’animale. A quel punto respingete la tossina e vivete per sempre felici e contenti. Il sistema immunitario funziona così... non è spettacolare, il nostro organismo?

Mano a mano che invecchiamo, però, si indebolisce. Si tratta forse di una conseguenza inevitabile dell’età? Oppure può dipendere dal fatto che negli anziani la qualità della dieta peggiora? Per mettere alla prova l’idea che un’alimentazione inadeguata possa contribuire a spiegare la perdita delle difese immunitarie associata all’invecchiamento, i ricercatori hanno diviso in due gruppi ottantatré volontari tra i sessantacinque e gli ottantacinque anni. Il gruppo di controllo ha mangiato meno di tre porzioni al giorno di frutta e verdura, mentre quello di studio ne ha assunte almeno cinque. Dopodiché, sono stati tutti vaccinati contro la polmonite, una pratica raccomandata a tutti gli adulti sopra i sessantacinque anni.21 Lo scopo della vaccinazione è preparare il sistema immunitario a produrre anticorpi contro uno specifico agente patogeno della polmonite, nel caso capitasse di esservi esposti. Rispetto al gruppo di controllo, coloro che avevano mangiato cinque o più porzioni di frutta e verdura presentavano una risposta protettiva degli anticorpi al vaccino dell’82% più alta, dopo solo pochi mesi che mangiavano più frutta e verdura ogni giorno.22 Questo per dire quanto controllo può esercitare la forchetta sulle difese immunitarie.

Certi frutti e certe verdure possono però stimolarle ulteriormente.

Cavolo riccio

Negli Stati Uniti si mangia troppo poco cavolo riccio. Secondo il Dipartimento dell’agricoltura, l’americano medio ne consuma al massimo circa 22 grammi all’anno.23 Vuol dire una tazza e mezza a testa... ogni dieci anni.

Essendo una verdura a foglia verde scuro, il cavolo riccio non è soltanto uno degli alimenti più ricchi di sostanze nutritive del pianeta, ma è anche in grado di contribuire a combattere le infezioni. I ricercatori giapponesi hanno irrorato con una minuscola goccia di estratto di cavolo riccio i globuli bianchi umani su una piastra di Petri, utilizzando circa un milionesimo di grammo di proteina del vegetale. È risultato che persino una quantità così irrisoria ha quintuplicato la produzione di anticorpi all’interno delle cellule.24

I ricercatori hanno utilizzato il cavolo riccio crudo, ma le quantità minime consumate dagli americani spesso sono cotte. La cottura distrugge forse gli effetti positivi di questa verdura? Si è scoperto che anche bollendola senza sosta per mezzora, la produzione di anticorpi non veniva alterata. Anzi, è emerso che il cavolo riccio cotto funziona anche meglio.25

Tuttavia, questa proprietà è stata rilevata in uno studio condotto su una piastra di Petri. Nemmeno gli aficionados del cavolo riccio se lo iniettano come se fosse eroina, e cioè nell’unico modo che presumibilmente permette alle sue proteine di entrare in contatto diretto con le cellule sanguigne. Non esistono studi clinici (ossia, condotti sulle persone) relativi a questo alimento. I produttori di cavolo, a quanto pare, devono ancora mettere insieme il denaro per finanziarli. Al momento abbiamo prove evidenti dei benefici sul sistema immunitario del cugino meno pretenzioso di questa verdura, il broccolo.

 

Broccoli

Come ho già accennato, il nostro organismo entra in contatto con il mondo esterno soprattutto attraverso la mucosa intestinale, che può arrivare a misurare oltre 180 metri quadrati,26 vale a dire l’area calpestabile di una casa.27 La mucosa, però, è molto sottile: misura solo un cinquantamilionesimo di metro. In altre parole, la barriera che separa il flusso sanguigno dal mondo è molto più sottile di un foglio di carta velina. Ciò è dovuto al fatto che il sangue deve assorbire le sostanze nutritive dal cibo: se la mucosa del tratto gastrointestinale fosse più spessa, passerebbero con difficoltà. È un bene che la pelle sia impermeabile, altrimenti avremmo delle perdite, ma la mucosa del tratto gastrointestinale deve consentire l’assorbimento sia dei fluidi che delle sostanze nutritive. Con uno strato così fragile a separare il nostro nucleo sterile dal caos che regna all’esterno, dobbiamo possedere un buon meccanismo di difesa in grado di tenere a distanza ciò che ci fa male.

Ed è qui che interviene il sistema immunitario, nello specifico un particolare tipo di leucociti detti «intraepiteliali». Queste cellule svolgono una duplice funzione: producono e riparano la sottile mucosa intestinale, rappresentando inoltre la prima barriera difensiva del tratto gastrointestinale contro i patogeni.28 Questi leucociti si attivano grazie a dei «recettori Ah» che ne coprono la superficie.29 Per anni gli scienziati hanno cercato inutilmente la chiave di tali recettori. Se riuscissimo a capire come attivare queste cellule, potremmo aumentare le nostre difese immunitarie.30

È emerso che la chiave sta nei broccoli.

Forse da bambini vi hanno insegnato a mangiare le verdure, comprese quelle della famiglia delle crucifere, di cui fanno parte broccoli, cavolo riccio, cavolfiore, verza e cavolini di Bruxelles. È probabile, però, che i vostri genitori non vi abbiano spiegato perché dovevate mangiarli. Oggi sappiamo che questa famiglia di verdure contiene i composti necessari al mantenimento delle difese intestinali. In poche parole, i broccoli possono chiamare a raccolta i soldatini del sistema immunitario.31

Per quali ragioni il nostro sistema immunitario, evolvendosi, è giunto a dipendere da alcune verdure? Per rispondere basta chiedersi: quand’è che abbiamo bisogno di difese intestinali più forti? Quando mangiamo. L’organismo consuma molta energia per mantenere attivo il sistema immunitario, perciò perché rimanere all’erta ventiquattr’ore su ventiquattro per sette giorni alla settimana, quando mangiamo solamente poche volte al giorno? Perché il corpo dovrebbe usare specificamente delle verdure come Batsegnale per chiamare a raccolta le truppe? Per milioni di anni ci siamo evoluti nutrendoci soprattutto di erbe (piante selvatiche, tra cui anche verdure a foglia verde scura), perciò è possibile che il nostro corpo si sia adattato a collegare le verdure all’orario dei pasti. La presenza di questi alimenti nel tratto gastrointestinale funge da segnale per il mantenimento del sistema immunitario.32 Perciò, se non li mangiamo a ogni pasto, potremmo minare la strategia messa in atto dall’organismo per proteggerci.

È interessante notare che la spinta immunitaria fornita da crucifere come i broccoli non solo ci protegge dagli agenti patogeni che si trovano nei cibi, ma anche da quelli inquinanti presenti nell’ambiente. Siamo costantemente esposti a un’ampia gamma di sostanze tossiche: fumo di sigaretta, scarichi delle auto, fumi delle caldaie, carne cotta, pesce, latticini, persino latte materno33 (a seconda di ciò a cui è stata esposta la madre). Dato che alcuni di questi inquinanti, come le diossine, esercitano i propri effetti tossici attraverso i recettori Ah, i composti contenuti nelle crucifere possono bloccarli.34

Esistono anche altre piante che possono difenderci dalle tossine nemiche. Alcuni ricercatori giapponesi hanno scoperto che i fitonutrienti contenuti in cibi di origine vegetale, come frutta, verdura, foglie di tè e legumi, in vitro possono bloccare gli effetti delle diossine. Ad esempio, avere nel sangue i livelli di fitonutrienti forniti da tre mele al giorno o da un cucchiaio di cipolle rosse riduce della metà la tossicità della diossina. L’unico problema è che tali effetti dovuti ai fitonutrienti durano solamente qualche ora, il che significa che, se vogliamo mantenere attive le difese contro gli agenti patogeni e quelli inquinanti, dobbiamo mangiare cibi sani un pasto dopo l’altro.35

La capacità di bloccare le tossine, però, non è una prerogativa che si limita ai cibi di origine vegetale. Esiste un prodotto di origine animale che si è dimostrato altrettanto in grado di bloccare gli effetti tumorali della diossina: l’urina di cammello.36 Perciò, la prossima volta che i vostri bambini non vogliono mangiare frutta e verdura, potete sempre dire: «Ehi, o mangiate i broccoli o bevete pipì di cammello. Scegliete voi».

 


BELLA IN... ROSA

Avete mai notato che, dopo aver mangiato le barbabietole, la pipì diventa rosa? Anche se il colore sembra un po’ innaturale, si tratta di una situazione completamente innocua e passeggera chiamata in inglese beeturia, da beet, «barbabietola».37 Questo fenomeno ci ricorda un fatto importante: quando mangiamo cibi vegetali, molti fitonutrienti contenuti nei pigmenti che fungono da antiossidanti (come ad esempio il licopene e il betacarotene) vengono assorbiti nel flusso sanguigno e irrorano organi, tessuti e cellule.

In altre parole, i pigmenti delle barbabietole arrivano fino alle urine perché vengono assorbiti dal tratto intestinale e poi viaggiano nel sangue, circolando in tutto il corpo finché alla fine non vengono filtrati dai reni. Durante il loro viaggio, anche il sangue diventa un po’ più rosa.

Lo stesso principio determina il fenomeno dell’alito che sa di aglio. Non sono solo gli eventuali residui di cibo in bocca ad allontanare gli altri, ma anche i composti salutari assorbiti nel sangue dopo che abbiamo mangiato l’aglio, i quali vengono espulsi dai polmoni attraverso il fiato. Anche nel caso in cui vi facciate un clistere all’aglio, il vostro alito assumerà il suo odore. È per questo che l’aglio può essere usato come cura aggiuntiva nei casi più gravi di polmonite, in quanto potrebbe contribuire a eliminare i batteri mentre esce dai polmoni.38


  

Aumentare l’attività dei linfociti NK con i frutti di bosco

Secondo il direttore del Bioactive Botanical Research Laboratory, i frutti di bosco di qualunque colore «si sono dimostrati dei campioni» nella prevenzione delle malattie.39 Le proprietà antitumorali dei composti contenuti nei frutti di bosco sono state attribuite alla loro evidente capacità di contrastare, ridurre e riparare il danno risultante dallo stress ossidativo e dalle infiammazioni.40 Ma solo di recente abbiamo scoperto che questi frutti sono anche in grado di aumentare i livelli di linfociti NK nel corpo.

Queste cellule hanno un nome che può apparire inquietante (NK sta per natural killer, cioè «killer naturali»), ma si tratta di un tipo di leucociti fondamentali all’interno della squadra di risposta rapida contro le cellule infettate dai virus e quelle tumorali. Si chiamano «killer naturali» perché per rispondere efficacemente non hanno bisogno di essere esposte a un patogeno, a differenza di quanto accade ad altre componenti del sistema immunitario che intervengono solo dopo avere incontrato la malattia, come ad esempio avviene nel caso della varicella.41 Dopotutto, chi vorrebbe stare ad aspettare che si manifesti un secondo tumore perché il sistema immunitario inizi a combattere?

Nel nostro organismo abbiamo circa due miliardi di questi soldatini dei reparti speciali che pattugliano la circolazione sanguigna in ogni momento, ma la ricerca suggerisce che possiamo ampliarne le fila mangiando mirtilli. In uno studio, i ricercatori hanno chiesto ad alcuni atleti di mangiare circa una tazza e mezza di mirtilli al giorno per sei settimane, per vedere se i frutti determinavano o meno la riduzione dello stress ossidativo causato dalla corsa su lunga distanza.42 I mirtilli ce l’hanno fatta, e questo non sorprende, ma la scoperta più importante è stata quella relativa al loro effetto sui linfociti NK. Di norma, dopo un esercizio fisico di resistenza prolungato, il numero di queste cellule decresce, riducendosi alla metà, cioè scendendo a circa un miliardo. Ma negli atleti che avevano mangiato mirtilli, il numero di linfociti NK raddoppiò, arrivando a un totale di quattro miliardi.

I mirtilli sono in grado di incrementare il numero di linfociti NK, ma vi sono alimenti che possono aumentarne l’attività, vale a dire l’efficacia nella risposta alle cellule tumorali? Sì: pare che uno di questi sia una spezia aromatica chiamata cardamomo. I ricercatori hanno posizionato alcune cellule di un linfoma su una piastra di Petri e vi hanno aggiunto dei linfociti NK, che sono riusciti a eliminare circa il 5% delle cellule tumorali. Dopo averle irrorate con il cardamomo, però, i ricercatori hanno scoperto che i linfociti NK si erano caricati e avevano sradicato ancora più cellule tumorali, fino a dieci volte quelle di prima.43 Non sono ancora state condotte sperimentazioni cliniche per verificare questo risultato sui pazienti oncologici.

In teoria, però, i muffin ai mirtilli e cardamomo potrebbero aumentare il numero di linfociti NK in circolo e accrescere anche la loro vocazione antitumorale.

Prevenire il raffreddore con i probiotici?

Pare che i bambini nati con il parto cesareo corrano un maggiore rischio di contrarre diverse malattie allergiche, tra cui la rinorrea, l’asma e forse anche le allergie alimentari.44 (I sintomi di un’allergia si manifestano quando il sistema immunitario reagisce in modo eccessivo a stimoli normalmente innocui, come ad esempio il polline.) Nel parto naturale, i batteri vaginali della madre colonizzano l’intestino del nascituro. I bambini nati con il cesareo, invece, non vengono sottoposti a questa esposizione naturale. Ne consegue che tale differenza nella flora intestinale può influire sul futuro sviluppo del sistema immunitario del bambino e determinare un divario nei tassi di insorgenza delle allergie. Tale spiegazione è supportata anche dalla ricerca, la quale dimostra che un eventuale disordine nella flora batterica vaginale della madre durante la gravidanza, dovuto ad esempio a infezioni a trasmissione sessuale o a lavande vaginali, potrebbe provocare un aumento del rischio di asma nel nascituro.45

Queste scoperte sollevano una questione di più ampio respiro sugli effetti che i batteri intestinali buoni potrebbero avere sul sistema immunitario. Alcuni studi hanno dimostrato che somministrare batteri buoni (probiotici) può rafforzare le difese immunitarie. Uno di questi ha rilevato che i globuli bianchi dei soggetti sottoposti a un regime probiotico per alcune settimane presentavano una capacità significativamente maggiore di inglobare e distruggere potenziali invasori. Tale effetto durava per almeno tre settimane dopo la fine della somministrazione dei probiotici. Analogamente, anche l’attività antitumorale in vitro dei linfociti NK risultava aumentata.46

Migliorare la funzione cellulare in una piastra di Petri va bene, ma nella pratica questi risultati si traducono davvero in un minor numero di infezioni? Per realizzare uno studio randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo ci sono voluti altri dieci anni. (Considerato lo standard migliore per la ricerca, questo tipo di studio prevede che né i partecipanti né i ricercatori sappiano, fino al termine del trial, chi riceve il trattamento sperimentale e chi invece il placebo.) La ricerca ha dimostrato che chi assume integratori di probiotici potrebbe di fatto avere un numero significativamente inferiore di raffreddori, di giorni di malattia e di sintomi nel complesso.47 A tutt’oggi le prove suggeriscono che i probiotici possono ridurre il rischio di insorgenza delle infezioni del tratto respiratorio superiore, ma non abbastanza da raccomandare l’assunzione delle pillole.48

A meno che non abbiate sofferto di un grave disturbo della flora batterica dovuto a un ciclo di antibiotici o a un’infezione intestinale, forse la soluzione migliore è nutrire i batteri buoni che già vivono nell’intestino.49 Che cosa mangia la flora batterica? Si nutre di fibre e di un particolare tipo di amido contenuto nei legumi. Queste sostanze sono dette prebiotiche. I probiotici sono i batteri buoni, mentre i prebiotici sono il cibo di cui si nutrono tali batteri. Perciò, il modo migliore per fare felici i batteri buoni e mantenerli sazi è mangiare grandi quantità di cibi integrali di origine vegetale.

Quando consumiamo prodotti freschi, nutriamo l’intestino sia di pre- che di probiotici. Frutta e verdura sono ricoperte da milioni di batteri lattacidi, alcuni dei quali sono dello stesso tipo usato negli integratori probiotici. Quando cucinate i crauti, ad esempio, non è necessario aggiungere lattobacilli, perché i batteri sono già presenti in natura sulle foglie del cavolo. Inserire frutta e verdura cruda nella dieta quotidiana può pertanto fornirci il meglio su entrambi i fronti.50

 

Rafforzare il sistema immunitario con l’esercizio fisico

E se ci fosse un farmaco o un integratore in grado di dimezzare il numero di giorni di malattia dovuti a infezioni del tratto respiratorio superiore, come il raffreddore? La casa farmaceutica che lo immettesse sul mercato guadagnerebbe miliardi di dollari. Eppure esiste già qualcosa in grado di rafforzare il sistema immunitario, un prodotto gratuito e così efficace da ridurre del 25-50% i giorni di malattia dovuti alle infezioni di questo tipo. E in più ha soltanto effetti collaterali positivi. Che cos’è?

L’esercizio fisico.51

E non è finita: non è nemmeno necessario svolgere tanta attività fisica per ottenere dei risultati. Alcuni studi hanno scoperto che se lasciamo correre i bambini anche solo per sei minuti, i livelli delle cellule immunitarie in circolo nel sangue aumentano di circa il 50%.52 Parlando di chi si trova all’altra estremità del ciclo della vita, l’esercizio fisico regolare può contribuire alla prevenzione del declino immunitario legato all’invecchiamento. Uno studio ha scoperto che, mentre le donne anziane sedentarie, in autunno, hanno il 50% di probabilità di contrarre una patologia del tratto respiratorio superiore, quelle randomizzate a cui è stato chiesto di fare una passeggiata di mezz’ora al giorno hanno ridotto questo rischio al 20%. Tra i corridori in buona forma fisica, il rischio è risultato essere solamente dell’8%.53 A quanto pare, l’esercizio fisico rendeva il loro sistema immunitario oltre cinque volte più efficace nel combattere le infezioni.

Ma in che modo? Come può il semplice movimento fisico far diminuire il rischio di contrarre un’infezione? Circa il 95% di tutte le infezioni ha origine dalle mucose, comprese quelle di occhi, narici e bocca.54 Tali superfici sono protette da anticorpi chiamati IgA (immunoglobuline di tipo A), che fungono da barriera immunologica neutralizzando i virus e impedendo loro di penetrare nell’organismo. Le IgA della saliva, ad esempio, sono considerate la prima linea di difesa contro infezioni del tratto respiratorio come polmonite e influenza.55 E l’esercizio fisico moderato potrebbe essere tutto ciò che occorre per far aumentare i livelli di IgA e ridurre in modo significativo il rischio di ritrovarsi con i sintomi dell’influenza. Se paragonati al gruppo di controllo sedentario, coloro che avevano svolto esercizi aerobici per trenta minuti tre volte la settimana per dodici settimane presentavano un aumento dei livelli di IgA nella saliva del 50% e riferivano molti meno sintomi di infezioni respiratorie.56

Se da un lato l’attività fisica regolare migliora le difese immunitarie e fa diminuire il rischio di infezioni respiratorie, uno sforzo intenso e prolungato potrebbe produrre un effetto opposto. Passando dall’inattività all’attività, il rischio di infezioni diminuisce, ma a un certo punto, troppo esercizio fisico e uno sforzo eccessivo possono farlo aumentare compromettendo la funzione immunitaria.57 Nelle settimane che seguono le maratone o le ultramaratone, i partecipanti presentano un aumento delle infezioni del tratto respiratorio da due a sei volte superiore.58 Si è scoperto che a un giorno dall’inizio dei campionati internazionali, i calciatori di punta subiscono un calo significativo della produzione di IgA.59 Questo calo è risultato collegato alle infezioni del tratto respiratorio superiore durante l’allenamento. Altri studi hanno dimostrato che i livelli di IgA possono crollare anche dopo singole sedute di esercizio fisico troppo pesante.60

Che cosa si può fare, allora, se siamo atleti irriducibili? Come possiamo contenere il rischio di infezioni? Le raccomandazioni della medicina sportiva tradizionale non sembrano offrire granché: consigliano di fare il vaccino antinfluenzale, di evitare di toccarvi gli occhi o di mettervi le dita nel naso e di stare lontani da chi è malato.61 Grazie tante. Il motivo per cui questi accorgimenti potrebbero non bastare è che spesso le infezioni respiratorie sono innescate dalla riattivazione di virus latenti che già abitano il nostro organismo, come ad esempio il virus di Epstein-Barr, che causa la mononucleosi. Perciò, anche se non entrate in contatto con nessuno, non appena le difese immunitarie si abbassano, questi virus dormienti possono tornare all’attacco e farvi ammalare.

Per fortuna, esiste tutta una serie di alimenti in grado di aiutarci a conservare le nostre difese, tenendo così alla larga i germi.

Il primo è la chlorella, un’alga verde unicellulare d’acqua dolce che in genere viene venduta in polvere o in compresse. I ricercatori giapponesi sono stati i primi a dimostrare che le gestanti a cui veniva somministrata presentavano maggiori concentrazioni di IgA nel latte.62 Sebbene gli integratori con estratti di chlorella non siano risultati in grado di stimolare la funzione immunitaria nel complesso,63 i dati dimostrano che le alghe vere e proprie possono essere efficaci. In uno studio condotto in Giappone nel 2012, i ricercatori hanno radunato alcuni atleti nel bel mezzo di un periodo di allenamento che li rendeva i candidati ideali per le infezioni. Durante l’esercizio fisico intenso, il gruppo di controllo che non aveva ricevuto integratori presentava livelli di IgA significativamente inferiori, ma in coloro che avevano assunto la chlorella tali livelli sono rimasti costanti.64

Attenzione, però: recentemente è stato reso noto un caso inquietante verificatosi a Omaha, in Nebraska, definito «Psicosi indotta dalla chlorella».65 Una donna di quarantotto anni ha subito un crollo psicotico due mesi dopo avere iniziato ad assumere chlorella. I medici le hanno detto di smettere di prenderla e le hanno prescritto degli antipsicotici. Una settimana dopo, la donna stava bene. Prima di allora la chlorella non era mai stata associata alla psicosi, perciò all’inizio i medici hanno pensato che si fosse trattato di una coincidenza. In altre parole, forse la psicosi si era manifestata per caso proprio quando la donna aveva cominciato a prendere la chlorella, e il fatto che si fosse sentita meglio quando ne aveva interrotto l’assunzione poteva dipendere semplicemente dall’effetto dell’antipsicotico. Sette settimane dopo, però, quando era ancora sotto farmaci e aveva ripreso anche la chlorella, la donna è ricaduta nella psicosi. Ha smesso di assumere l’integratore, e il disturbo è nuovamente sparito.66 Forse non è stata la chlorella a scatenare l’episodio psicotico, ma qualche impurità o adulterazione tossica in essa contenuta: non lo sappiamo. Dato che il mercato degli integratori è scandalosamente mal regolamentato, è difficile sapere che cosa prendiamo quando acquistiamo del «cibo» in capsule.

Un’altra opzione per gli atleti che desiderano rafforzare le difese immunitarie è il lievito alimentare. Uno studio del 2013 ha dimostrato che è possibile conservare i livelli di globuli bianchi dopo l’esercizio fisico se si assume un tipo speciale di fibra contenuto nel lievito da fornaio o di birra e in quello alimentare.67 Il lievito di birra è amaro, ma quello alimentare ha un sapore piacevole, che ricorda il formaggio, ed è particolarmente buono sui pop corn.

Lo studio ha scoperto che dopo due ore di bicicletta su un percorso impegnativo, il numero di monociti (un altro tipo di globuli bianchi del sistema immunitario) nella circolazione sanguigna dei soggetti crollava. Tuttavia, gli atleti a cui era stato somministrato l’equivalente di circa tre quarti di cucchiaino di lievito alimentare prima dell’attività fisica presentavano livelli di monociti ancora più alti di quando avevano iniziato a pedalare.68

Finché si tratta di test di laboratorio va bene, ma il consumo di lievito si traduce davvero in un minor numero di malattie? I ricercatori lo hanno verificato alla Carlsbad Marathon in California.

I maratoneti cui era stato somministrato l’equivalente di circa un cucchiaio di lievito alimentare al giorno nelle quattro settimane dopo la gara presentavano un tasso di infezioni del tratto respiratorio superiore dimezzato rispetto ai colleghi che avevano preso il placebo. È interessante notare che i maratoneti sottoposti al trattamento con il lievito hanno anche dichiarato di sentirsi meglio. Quando è stato chiesto loro di descrivere il proprio stato di salute su una scala da uno a dieci, in cui dieci rappresentava la condizione ideale, i soggetti sottoposti al placebo hanno dichiarato di trovarsi tra il quattro e il cinque. I soggetti che assumevano il lievito, invece, si attestavano intorno al sei o al sette. In genere gli atleti professionisti subiscono variazioni di umore prima e dopo la maratona, ma questo studio ha rivelato che una piccola quantità di lievito alimentare può far migliorare un’ampia gamma di stati emotivi, riducendo la sensazione di tensione, fatica, confusione e rabbia, e al tempo stesso aumentando il «vigore» percepito.69 Passatemi i pop corn!

 


RAFFORZARE LE DIFESE IMMUNITARIE CON I FUNGHI

Soffrite per caso di allergie stagionali? Naso che cola, occhi irritati, starnuti? Se da un lato le allergie possono farvi sentire malissimo perché il sistema immunitario è impegnato a sferrare attacchi a destra e sinistra, dall’altro proprio questo stato di estrema allerta può avere conseguenze positive sulla salute in generale.

Pare che i soggetti allergici corrano un minore rischio di contrarre un certo tipo di tumori.70 Certo, il sistema immunitario può essere sovraccarico perché deve colpire cose innocue come i pollini o la polvere, ma questo stato di allerta potrebbe anche distruggere i tumori in via di formazione. Sarebbe bello se ci fosse un modo per rafforzare quella parte di sistema immunitario che combatte le infezioni e allo stesso tempo indebolire quella che porta all’infiammazione cronica (e a tutti quei sintomi fastidiosi).

I funghi potrebbero essere la soluzione.

Così come le alghe possono essere considerate piante unicellulari, il lievito può essere visto come un insieme di funghi unicellulari. Vi sono migliaia di funghi commestibili che crescono spontaneamente e danno vita a una produzione commerciale che nel mondo raggiunge i milioni di tonnellate all’anno.71 Ma se controllate le informazioni nutrizionali sull’etichetta delle confezioni, non vedrete granché, a parte alcuni minerali e vitamine del gruppo B. Tutto qui, quello che contengono i funghi? Niente affatto. Le etichette non riportano la varietà unica di miconutrienti contenuta nei funghi, in grado di rafforzare il nostro sistema immunitario.72

Alcuni ricercatori australiani hanno suddiviso alcuni soggetti in due gruppi. Al primo hanno somministrato una dieta tradizionale, mentre al secondo hanno chiesto di seguire la stessa dieta con l’aggiunta di una tazza di champignon cotti al giorno. Dopo solo una settimana, il secondo gruppo presentava un aumento dei livelli di IgA nella saliva pari al 50%. Tale livello, prima di decrescere, è rimasto inalterato per circa una settimana.73 Perciò, per avere dei benefici duraturi, provate a introdurre stabilmente i funghi nel vostro regime alimentare.

Ma se i funghi determinano un aumento così drastico della produzione di anticorpi, non dovremmo preoccuparci che facciano peggiorare i sintomi delle malattie allergiche o autoimmuni? Niente affatto: pare che i funghi abbiano un effetto antinfiammatorio. Alcuni studi eseguiti in vitro hanno dimostrato che diversi tipi di funghi, tra cui gli champignon, possono mitigare la risposta infiammatoria, determinando un potenziale rafforzamento delle difese immunitarie e antitumorali senza aggravare le malattie di origine infiammatoria.74 Il primo studio clinico randomizzato, controllato e in doppio cieco sull’argomento, pubblicato nel 2014, ha confermato l’evidente effetto antiallergico dei funghi in bambini con una storia di infezioni ricorrenti del tratto respiratorio superiore.75


 

Avvelenamento alimentare

Gli agenti patogeni (dal greco pathos, «soffrire» e gheno, «insorgenza, nascita») si trovano anche nel cibo che mangiamo. Le intossicazioni alimentari sono infezioni causate dall’ingestione di cibo contaminato. Secondo il CDC di Atlanta, ogni anno circa un americano su sei viene colpito da un’intossicazione alimentare. Si tratta all’incirca di quarantotto milioni di persone, cioè più degli abitanti della California e del Massachusetts messi insieme. Oltre centomila di loro vengono ricoverati in ospedale e alcune migliaia muoiono, il tutto a causa di ciò che hanno mangiato.76

In termini di anni di vita sana persi, le cinque combinazioni più devastanti tra patogeni e prodotti alimentari sono: Campylobacter e Salmonella nel pollame, parassiti del Toxoplasma nel maiale e batteri della Listeria in salumi e latticini.77 Uno dei motivi per cui i cibi di origine animale sono i principali responsabili delle intossicazioni alimentari è che gran parte dei patogeni presenti nei cibi è di tipo fecale. Dato che le piante non fanno pupù, l’Escherichia coli che si può prendere dagli spinaci in realtà non proviene da questo ortaggio: è un patogeno intestinale, e gli spinaci non hanno intestino! Si è scoperto che la concimazione delle colture con il letame fa aumentare il rischio di contaminazione da E. coli di oltre cinquanta volte.78

 

Uova e Salmonella

Negli Stati Uniti il problema più grave per quanto riguarda le intossicazioni alimentari è dato dalla Salmonella. Si tratta infatti della causa principale di ricoveri ospedalieri per questo tipo di disturbi, e anche della causa numero uno dei decessi da questi provocati.79 E la situazione sta peggiorando. Negli ultimi dieci anni, i casi sono aumentati del 44%, soprattutto tra bambini e anziani.80 Entro dodici-settantadue ore dall’infezione cominciano a comparire i sintomi più comuni: febbre, diarrea e forti crampi addominali.81 Tipicamente, la malattia dura da quattro a sette giorni, ma nei bambini e negli anziani può essere così grave da richiedere il ricovero in ospedale, oppure un funerale.

Molte persone collegano la Salmonella alle uova, e per un’ottima ragione. Nel 2010, ad esempio, sono state ritirate dal mercato oltre mezzo miliardo di uova per colpa dei focolai di Salmonella.82 Ciononostante, l’industria del settore ha continuato a ripetere il suo ritornello: «Smettetela di piagnucolare, le uova sono sicure». Rispondendo alle richieste di ritirare il prodotto, lanciate da un opinionista di «USA Today» nel suo editoriale, il presidente dell’organizzazione di categoria United Egg Producers ha dichiarato che «le uova ben cotte sono assolutamente sicure».83 Ma che cosa significa esattamente «ben cotte»?

La stessa industria delle uova ha finanziato la ricerca sulla Salmonella e sui diversi modi di cuocere le uova. E che cosa ha scoperto? Che la Salmonella sopravvive nelle uova strapazzate e al tegamino (sia cotte da entrambi i lati che da un lato solo). Quest’ultimo metodo di cottura si è rivelato il più rischioso. I ricercatori di questi studi finanziati dai produttori di uova hanno dichiarato: «La cottura delle uova all’occhio di bue è da ritenersi pericolosa».84 In altre parole, persino i produttori stessi sanno che le loro uova, preparate nel modo in cui milioni di americani le mangiano ogni santo giorno in tutto il Paese, è pericoloso. In realtà, lo sappiamo da diverso tempo. Vent’anni fa, i ricercatori della Purdue University hanno dimostrato che la Salmonella riesce a sopravvivere nelle omelette cotte e nei french toast (pane passato nell’uovo e poi fritto),85 ed è in grado di resistere persino nelle uova bollite fino a otto minuti.86

Considerando quanto detto sopra, non dovrebbe sorprendere che, secondo quanto dice la Food and Drug Administration (FDA) circa 142.000 americani all’anno si ammalino per colpa delle uova contaminate da Salmonella.87 Si tratta di una vera e propria epidemia che ogni anno colpisce gli Stati Uniti. Ma le uova si trovano «solamente» al decimo posto nella lista delle peggiori combinazioni tra agenti patogeni e prodotti alimentari.

 

Pollo e Salmonella

Le galline, e non le loro uova, sono di fatto la fonte più comune di avvelenamento da Salmonella.88 Negli Stati Uniti, un’epidemia dovuta a un ceppo particolarmente virulento è stata ricollegata al sesto maggior produttore di pollame del Paese, Foster Farms. È durata da marzo 2013 a luglio 2014.89 Come mai così tanto? Perché la società ha continuato a produrre in serie polli contaminati, nonostante i ripetuti avvertimenti del CDC.90 Sebbene il numero ufficiale di casi ammontasse a qualche centinaio, il CDC stima che per ogni caso di Salmonella confermato ce ne siano stati altri trentotto che sono sfuggiti alle maglie del controllo.91 Ciò significa che i polli di Foster Farms possono aver fatto ammalare oltre diecimila persone. Quando i funzionari del Dipartimento dell’agricoltura americano hanno iniziato a indagare, hanno scoperto che il 25% dei polli esaminati era contaminato dallo stesso ceppo di Salmonella, probabilmente dovuto alla materia fecale riscontrata sulle carcasse dei polli.92

Il Messico ha vietato l’importazione dei polli della Foster Farms, ma negli Stati Uniti sono rimasti in vendita in tutto il Paese.93 Quando i freni di una data marca di automobile si rompono, l’auto viene ritirata dal mercato per motivi di sicurezza. Perché i polli contaminati dalla Salmonella non sono stati ritirati? Una volta il Dipartimento dell’agricoltura ha cercato di chiudere una società produttrice che violava continuamente gli standard relativi alla Salmonella. La società ha citato in giudizio il Dipartimento e ha vinto. «Dato che i normali procedimenti di cottura della carne e del pollame distruggono i bacilli della Salmonella», hanno concluso i giudici, «la sua presenza nei derivati della carne non rende tali prodotti “dannosi per la salute”».94

Se una cottura adeguata uccide i bacilli, perché centinaia di migliaia di americani continuano a prendere la Salmonella dal pollame ogni anno? Non si verifica certo ciò che accade con l’E. coli e gli hamburger al sangue: a chi verrebbe in mente di mangiare pollo al sangue? Il problema è la contaminazione incrociata. Dal momento in cui il pollo fresco o surgelato viene acquistato a quello in cui viene infilato in forno, i germi del pollo possono contaminare mani, utensili da cucina e superfici. Alcuni studi hanno dimostrato che fino all’80% delle volte posare il pollo fresco sul tagliere anche solo per pochi minuti può determinare il trasferimento di batteri che provocano malattie.95 Di conseguenza, se mettiamo il pollo cotto sullo stesso tagliere, abbiamo più o meno il 30% di possibilità che la carne si contamini nuovamente.96

La risposta indifferente della Foster Farms all’epidemia si è dimostrata in realtà la più previdente: «Non è insolito che il pollame di qualunque produttore ospiti batteri di Salmonella», ha dichiarato l’azienda in un comunicato stampa. «I consumatori devono prepararlo, maneggiarlo e cucinarlo in modo adeguato».97 In altre parole, è normale che il pollo sia contaminato da Salmonella: mangiatelo a vostro rischio e pericolo.

Ma perché i consumatori americani corrono un rischio simile? In alcuni Paesi europei la contaminazione da Salmonella del pollame raggiunge al massimo il 2%. Com’è possibile? Dipende dal fatto che vendere polli contaminati da questo batterio è illegale. Che originali! Questi Paesi vietano la vendita di gallinacei contaminati da un agente patogeno che fa ammalare oltre un milione di americani l’anno.98 In un articolo pubblicato su una rivista specialistica della filiera della carne, un professore dell’Alabama esperto di pollame ha spiegato come mai negli Stati Uniti non esistono leggi così «punitive»: «Il consumatore americano non è disposto a spendere. Punto». Se l’industria della carne dovesse investire per rendere i suoi prodotti più sicuri, il prezzo al dettaglio salirebbe. «Il fatto», continuava il professore, «è che non vendere polli positivi alla Salmonella è troppo costoso».99

 

Batteri fecali sulla carne

Il problema della contaminazione si estende ben al di là del singolo produttore di pollame. In un numero del 2014 di «Consumer Reports», i ricercatori hanno pubblicato uno studio sul vero costo del pollame a buon mercato. Hanno scoperto che il 97% dei petti di pollo venduti al dettaglio erano contaminati da batteri che avrebbero potuto far ammalare la gente.100 Il 38% della Salmonella riscontrata nei polli era resistente a numerosi antibiotici; secondo il CDC, questi agenti patogeni rappresentano una grave minaccia per la salute pubblica.101

Come ha dichiarato senza tanti giri di parole la Mayo Clinic, «Molte persone hanno preso la Salmonella mangiando cibi contaminati da feci».102 Ma come ci arrivano, nel cibo, le feci? Negli impianti di macellazione, di solito i gallinacei vengono eviscerati per mezzo di un gancio metallico, che spesso perfora l’intestino lasciando fuoriuscire le feci, che si depositano sulla carne. Secondo il più recente sondaggio della FDA sulla carne al dettaglio americana, circa il 90% dei polli in vendita nei negozi è positivo alla contaminazione da materia fecale.103

Utilizzando la presenza di batteri come l’Enterococcus faecalis e l’Enterococcus faecium come marcatori della contaminazione fecale, a livello di vendita al dettaglio su scala nazionale sono risultati contaminati il 90% della carne di pollo, il 91% del tacchino, l’88% del manzo e l’80% delle cotolette di maiale.104

Mentre le epidemie di Salmonella sono aumentate, le infezioni da E. coli derivate dalla presenza di materia fecale nella carne di manzo sono diminuite.105 Perché il manzo sta diventando più sicuro mentre il pollo diventa sempre più rischioso?106 Un probabile motivo può essere il fatto che il governo è riuscito ad applicare il divieto di vendita di manzo contaminato da un ceppo particolarmente aggressivo di E. coli. Ma perché è vietato vendere carne di manzo contaminata da un agente patogeno potenzialmente letale, mentre è perfettamente legale vendere pollo contaminato? Dopotutto, la Salmonella del pollo uccide molte più persone dell’E. coli nel manzo.107

Il problema risale al celebre caso del 1974 in cui l’American Public Health Association ha citato il Dipartimento dell’agricoltura per aver dato il proprio benestare alla carne contaminata da Salmonella. Nel difendere l’industria della carne, il dipartimento in questione ha sottolineato: «poiché esistono numerose fonti di contaminazione che possono contribuire al problema di fondo», sarebbe «ingiustificato chiamare in causa l’industria della carne e chiedere al Dipartimento dell’agricoltura di indurla a dichiarare che i suoi prodotti sono pericolosi per la salute».108 In altre parole, dato che la Salmonella infetta anche uova e latticini, non sarebbe giusto costringere solo l’industria della carne a rendere i propri prodotti più sicuri. È un po’ come la filiera del tonno, la quale dichiara che scrivere sulle etichette delle confezioni che mangiando tonno si rischia di ingerire mercurio non serve, perché lo si potrebbe assumere anche mangiando un termometro.

Il circuito delle Corti d’appello di Washington ha sostenuto la posizione dell’industria della carne, dichiarando che il Dipartimento dell’agricoltura può ammettere la vendita di carne infetta dal batterio potenzialmente letale della Salmonella in quanto «le casalinghe e le cuoche americane non sono né ignoranti né stupide, e i loro metodi di preparazione e cottura del cibo non provocano di norma la salmonellosi».109 Sarebbe come dire che i minivan non hanno bisogno di airbag o cinture di sicurezza, o che i bambini non devono avere il seggiolino a norma, perché le mamme che scorrazzano i figli da un impegno all’altro di norma non vanno a sbattere contro le cose.

 

Evitare il pollo per scampare le infezioni delle vie urinarie

Da dove vengono le infezioni alla vescica? Negli anni Settanta del secolo scorso, alcuni studi condotti sulle donne hanno evidenziato che prima della comparsa di un’infezione alla vescica si verificava la migrazione di batteri dal retto alla zona vaginale.110 Tuttavia, ci sono voluti altri venticinque anni prima che le tecniche di fingerprinting genetico dimostrassero che i ceppi di E. coli che si annidano nell’intestino sono la fonte delle infezioni delle vie urinarie (IVU).111

E altri quindici anni sono passati prima che gli scienziati fossero in grado di risalire al colpevole originario, la fonte iniziale di alcuni dei batteri del retto associati alle IVU: il pollo. I ricercatori della McGill University sono riusciti a isolare l’E. coli che causa le IVU negli impianti di macellazione, rilevandone poi la presenza nella carne al dettaglio e infine nei campioni di urina delle donne infette.112 Grazie a questo risultato, oggi abbiamo una prova diretta che le infezioni della vescica si possono definire zoonosi, cioè malattie trasmesse dagli animali all’uomo.113 Si tratta di una scoperta fondamentale, dato che le IVU colpiscono oltre dieci milioni di donne all’anno nei soli Stati Uniti e determinano una spesa superiore a un miliardo di dollari.114 Quel che è peggio è che, come è stato dimostrato, molti ceppi di E. coli dei polli che causano le IVU sono ormai resistenti ad alcuni dei più potenti antibiotici.115

Non potremmo risolvere questa emergenza distribuendo semplicemente termometri da cucina e assicurandoci così che la gente cuocia il pollo in modo adeguato? Purtroppo no, proprio per via della contaminazione incrociata. Alcune ricerche hanno dimostrato che maneggiare pollo crudo può provocare la colonizzazione dell’intestino anche se non se ne mangia la carne.116 In questo caso, non importa se si cucina il pollo a puntino oppure no. Potremmo anche ridurlo in cenere e prendere comunque l’infezione. Si è poi visto che, dopo l’infezione, i batteri del pollame resistenti agli antibiotici si moltiplicano fino a rimpiazzare gran parte della flora intestinale del soggetto.117

Probabilmente il motivo per cui in genere abbiamo più batteri fecali nei lavelli della cucina che sulla tavoletta del water118 è che prepariamo il pollo in cucina, e non in bagno. E se prendessimo tutte le precauzioni possibili? Uno studio fondamentale dal titolo The Effectiveness of Hygiene Procedures for Prevention of Cross-Contamination from Chicken Carcasses in the Domestic Kitchen (L’efficacia delle procedure igieniche per la prevenzione della contaminazione incrociata dovuta alle carcasse di pollo nella cucina di casa) ha provato a rispondere a questa domanda. I ricercatori sono andati in decine di case, hanno consegnato a ciascuna famiglia un pollo e hanno chiesto di cucinarlo. Dopodiché, gli studiosi sono tornati e hanno confermato che i batteri fecali del pollame (Salmonella e Campylobacter, entrambi agenti patogeni pericolosi per l’uomo) ricoprivano le cucine di queste famiglie: si trovavano sul tagliere, sugli utensili, sulla credenza, sulla maniglia del frigo, sulla manopola del piano cottura, sul pomello della porta e via dicendo.119

Ovviamente le persone non sapevano quale fosse lo scopo dell’esperimento, perciò i ricercatori l’hanno ripetuto, dando però istruzioni specifiche su come comportarsi: dopo aver cotto il pollo avrebbero dovuto lavare le superfici interessate con acqua calda e detersivo, soprattutto tagliere, utensili, credenza, maniglie e pomelli. Nonostante ciò, i ricercatori hanno trovato comunque batteri fecali patogeni su tutte le superfici.120

Leggendo questo studio si capisce che i ricercatori non sapevano più che pesci pigliare. Alla fine hanno invitato i soggetti a usare la candeggina. Il panno da cucina utilizzato per pulire doveva prima essere immerso in una soluzione disinfettante alla candeggina, dopodiché i soggetti dovevano spruzzare la soluzione dappertutto e lasciarla agire per cinque minuti. Ma ancora una volta, i ricercatori sono stati in grado di rilevare tracce di Salmonella e Campylobacter su qualche attrezzo da cucina, sullo strofinaccio, sul piano di lavoro intorno al lavello e sulla credenza.121 Il grado di contaminazione della cucina era molto diminuito, ma a quanto pare, a meno di non trattare la cucina come un luogo a rischio biologico, l’unico modo per assicurarsi di non lasciare in giro agenti patogeni fecali è innanzitutto non farli entrare in casa.

Ci sono anche buone notizie: non è che se mangiamo il pollo una volta rimaniamo infetti per sempre. Nello studio in cui i volontari sono risultati infetti per aver semplicemente maneggiato la carne, i batteri del pollo che avevano cercato di infestare l’intestino sono sopravvissuti circa dieci giorni.122 Quelli buoni già presenti nel tratto digerente sono riusciti a sbattere fuori i cattivi. Il problema, però, è che le persone tendono a mangiare il pollo più di una volta ogni dieci giorni, perciò rischiano di introdurre in continuazione nell’organismo questi agenti patogeni.

 

La Yersinia nel maiale

Ogni anno, quasi centomila americani si ammalano per colpa di un batterio che si chiama Yersinia.123 Ogni volta che si è riusciti a individuare la fonte, la colpevole è risultata essere la carne di maiale infetta.124

In gran parte dei casi, l’intossicazione alimentare da Yersinia determina poco più di una forte gastroenterite, ma i sintomi possono aggravarsi ricordando quelli dell’appendicite, portando di conseguenza a inutili interventi chirurgici d’urgenza.125 Le conseguenze dell’infezione da Yersinia sul lungo periodo comprendono l’infiammazione cronica di occhi, reni, cuore e articolazioni.126 La ricerca ha scoperto che nel giro di un anno dall’intossicazione da Yersinia, i pazienti sono quarantasette volte più inclini a soffrire di artrite reumatoide,127 senza contare che questi batteri potrebbero favorire la comparsa di una malattia autoimmune che colpisce la tiroide e si chiama morbo di Basedow-Graves.128

Quanto sono infetti i prodotti a base di carne di maiale negli Stati Uniti? La rivista «Consumer Reports» ha testato circa duecento campioni provenienti da tutto il Paese e ha scoperto che oltre due terzi erano contaminati da Yersinia.129 Ciò può essere dovuto all’intensificazione dei processi produttivi e al sovraffollamento che oggi caratterizzano buona parte della filiera industriale del maiale.130 Come sottolineato in un articolo pubblicato su «National Hog Farmer» e intitolato Crowding Pig Pays (Ammassare i maiali paga), i produttori possono massimizzare i profitti relegando ogni animale in uno spazio poco più grande di mezzo metro quadrato. Ciò in sostanza significa che bestie da novanta chili vengono ammassate in uno spazio di 60 centimetri per 90. Gli autori dell’articolo ammettevano che questa soluzione presentasse dei problemi, tra cui una ventilazione inadeguata e un aumento dei rischi per la salute, ma concludevano che a volte «far stare un po’ più stretti i maiali fa guadagnare di più».131

Purtroppo pare che la situazione non cambierà a breve. Per quale motivo? Perché i batteri della Yersinia non provocano malattie nei maiali.132 In altre parole, è una questione di salute pubblica, non di produzione animale, quindi non intacca i profitti. Perciò, invece di dare a questi animali un po’ più di spazio per respirare, l’industria si limita a scaricare sulla società i 250 milioni di dollari circa che si spendono ogni anno per curare decine di migliaia di americani.133

 

I superbatteri di Clostridium Difficile nella carne

È arrivato un nuovo superbatterio: il Clostridium Difficile. Detto anche C. diff, è una delle minacce batteriologiche più gravi degli ultimi anni, in quanto colpisce circa 250.000 americani all’anno, uccidendone migliaia e generando costi pari a 1 miliardo di dollari annui.134 Questo batterio provoca una malattia chiamata colite pseudomembranosa, che si manifesta con diarrea e crampi addominali. Il C. diff è sempre stato considerato la tipica infezione che si prende in ospedale, anche se di recente si è scoperto che solo un terzo circa dei casi può essere ricondotto a un contatto con un paziente infetto.135 Ma allora, come la mettiamo?

Un’altra fonte di infezione potrebbe essere la carne. Il CDC ha scoperto che il 42% delle carni confezionate scelte a campione tra quelle vendute in tre grosse catene nazionali di supermercati conteneva questo batterio, fonte di tossine.136 A quanto pare gli Stati Uniti registrano i più alti livelli del mondo di contaminazione da C. diff nella carne.137

Il batterio è stato trovato anche in pollo, tacchino e manzo, ma quello presente nel maiale ha ricevuto maggiore attenzione da parte degli ufficiali sanitari, dato che si avvicina di più al ceppo riscontrato nelle infezioni non ricollegabili a contesti ospedalieri.138 A partire dal 2000, il C. diff viene sempre più considerato una delle cause principali di infezioni intestinali tra i maialini da latte.139 Si ritiene che l’infezione delle carcasse da parte di questo agente patogeno al momento della macellazione sia la fonte più probabile di contaminazione della carne di maiale venduta nei negozi.140

Di norma, il C. diff non è pericoloso per l’uomo. Anche se raggiunge l’intestino, i nostri batteri buoni in genere riescono a domarlo. Tuttavia, può rimanere latente e aspettare che i batteri buoni escano di scena. Perciò può capitare che, prendendo un antibiotico che distrugge la flora intestinale, il C. diff rialzi la testa e causi una serie di infiammazioni intestinali, tra cui una malattia potenzialmente letale che ha un nome altrettanto brutto: il megacolon tossico.141 (Il suo tasso di mortalità è pari alle probabilità di sconfitta che si hanno giocando a testa o croce.)142

Ma la cottura non riesce a eliminare gran parte dei batteri? Be’, il C. diff non è come gli altri. Per quasi tutte le carni, la temperatura di cottura interna raccomandata è di 71 gradi centigradi. Il C. diff, però, sopravvive a due ore di cottura a questa temperatura.143 In altre parole, potremmo grigliare il pollo per due ore di fila seguendo le raccomandazioni sanitarie e non riuscire comunque a uccidere il batterio.

Avrete senz’altro visto la pubblicità di quei detergenti per le mani a base alcolica che si vantano di uccidere il 99,99% dei germi. Be’, il C. diff fa parte di quello 0,01%. Mica lo chiamano superbatterio per niente. È stato dimostrato che le spore residue di questo agente patogeno si trasmettono prontamente con una stretta di mano, anche dopo essersi lavati con i detergenti specifici.144 Come ha dichiarato il capo ricercatore che ha scoperto un altro superbatterio nella carne americana, lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA),145 chi maneggia carne cruda farebbe bene a indossare i guanti.146

 


COME AFFRONTARE L’ERA POST-ANTIBIOTICA

Di recente la dottoressa Margaret Chan, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha dichiarato che in futuro molti nostri farmaci miracolosi potrebbero non funzionare più. «L’era post-antibiotica corrisponde di fatto alla fine della medicina moderna che conosciamo», ha detto. «Disturbi comuni come la faringite streptococcica o la sbucciatura sul ginocchio di un bambino potrebbero tornare a mietere vittime».147 Presto potremmo trovarci ben oltre l’era dei miracoli.

La raccomandazione del direttore generale per evitare questa catastrofe include un appello globale a «limitare l’uso di antibiotici nella produzione alimentare al solo scopo terapeutico». In altre parole, dovremmo usarli solamente per curare gli animali malati. Ma il suo appello è caduto nel vuoto. Ogni anno, negli Stati Uniti, i produttori di carne somministrano ai loro animali milioni di chilogrammi di antibiotici per favorire la crescita o prevenire le malattie nelle condizioni spesso anguste, stressanti e antigieniche in cui si svolge l’allevamento industriale. Certo, anche i medici prescrivono troppi antibiotici, ma la FDA stima che l’80% dei farmaci antimicrobici venduti ogni anno negli Stati Uniti finiscano alla filiera della carne.148

Di conseguenza, possono trovarsi in quella che mangiamo. Le ricerche hanno rivelato che nell’urina dei mangiatori di carne si sono riscontrate tracce di antibiotici come Bactrim, ciprofloxacina ed enrofloxacina, anche se nessuno dei soggetti aveva assunto quei farmaci. I ricercatori hanno concluso che «La quantità consumata di manzo, maiale, pollo e latticini potrebbe spiegare l’escrezione giornaliera di numerosi antibiotici con l’urina».149 I loro livelli, però, possono diminuire in soli cinque giorni eliminando la carne dalla dieta.150

Quasi tutti i principali enti medici e di sanità pubblica hanno condannato pubblicamente la rischiosa abitudine di somministrare tonnellate di antibiotici agli animali da fattoria solo per ingrassarli più in fretta.151 Eppure, il potere politico congiunto dell’imprenditoria agricola e delle case farmaceutiche che traggono profitto dalle vendite di questi medicinali ha di fatto bloccato qualunque azione legislativa o normativa efficace, il tutto solo per far risparmiare alla filiera meno di un centesimo di dollaro per ogni chilo di carne.152


 

Uno stile di vita sano può proteggerci sia dalle malattie a trasmissione aerea sia dalle intossicazioni alimentari. Se mangiamo più frutta e verdura e facciamo esercizio fisico più spesso possiamo rafforzare il sistema immunitario e combattere le infezioni delle vie respiratorie, come il raffreddore comune. Attenerci a una dieta basata perlopiù su alimenti di origine vegetale può tenerci fuori dalle statistiche sulle intossicazioni alimentari, riducendo la nostra esposizione ad alcuni dei patogeni fecali più pericolosi.

 

Sei anni dopo aver difeso Oprah nella causa per diffamazione, ho ricevuto anch’io le mie belle minacce legali. La Atkins Nutritionals, azienda produttrice di alimenti a basso contenuto di carboidrati previsti dalla dieta Atkins, mi ha accusato di averla «diffamata» nel mio libro Carbophobia: The Scary Truth About America’s Low-Carb Craze (Carbofobia: la temibile verità dietro alla mania americana di una dieta a basso contenuto di carboidrati). Il loro avvocato sosteneva che le mie parole «danneggiavano la reputazione della Atkins causandole danni». Di certo il mio libro non avrebbe potuto danneggiare il dottor Atkins più di quanto non facesse già la dieta da lui inventata. Era infatti morto l’anno prima, sovrappeso e, stando al referto dell’autopsia, da tempo vittima di infarti, insufficienza cardiaca congestizia e ipertensione.153

Ma gli avvocati si riferivano al presunto danno inferto alla Atkins Nutritionals, Inc. Invece di farmi tappare la bocca, ho postato online le loro minacce legali con le mie obiezioni puntuali.154 Per fortuna agli occhi della legge la verità è considerata una difesa inoppugnabile contro la diffamazione.

Gli avvocati della Atkins non hanno tenuto fede alle loro minacce. Nel giro di quattro mesi dalla pubblicazione del mio libro, l’azienda è andata in bancarotta.