CAPITOLO 6
COME NON MORIRE DI DIABETE

Qualche anno fa, Millan, che fa parte della comunità di NutritionFacts.org, è stata così gentile da raccontarmi la sua storia. Quando aveva trent’anni le fu diagnosticato un diabete di tipo 2. Millan aveva combattuto con l’obesità per tutta la vita, subendo per anni gli alti e bassi di un’alimentazione con forti oscillazioni di peso. Aveva provato tutte le diete lampo che era riuscita a scoprire ma, e la cosa non sorprende, riacquistava sempre in fretta i chili perduti. Il diabete non era una novità: i suoi genitori, i fratelli e la zia erano diabetici, perciò Millan immaginava che il suo destino fosse segnato. Il diabete era legato all’invecchiamento. Era genetico. Lei non poteva farci niente, o almeno così pensava.

La sua diagnosi iniziale risaliva al 1970 e per due decenni Millan aveva vissuto da diabetica. Poi, verso il 1990, adottò una dieta vegetariana e la sua vita cambiò completamente. Oggi ha più energia che mai, sembra e si sente più giovane ed è finalmente riuscita a mantenere un buon peso forma. Oltre quarant’anni dopo che le era stato diagnosticato il diabete, Millan ne ha settanta ed è in forma come non mai. Figuratevi che insegna persino zumba ad alto impatto! La soluzione non è stata un farmaco miracoloso o una dieta firmata: ha semplicemente deciso di mangiare meglio.

 

La malattia chiamata «diabete mellito» deriva da due parole: diabetes (dal greco «passare attraverso») e mellitus (dal latino «mielato»). È caratterizzata da una glicemia (concentrazione di zuccheri nel sangue) cronicamente alta. Ciò accade perché il pancreas non produce abbastanza insulina (l’ormone che regola la glicemia) oppure perché il corpo sviluppa una insulinoresistenza. La carenza di insulina è associata al diabete mellito di tipo 1, mentre l’insulinoresistenza è associata al diabete mellito di tipo 2. Se nel sangue si formano troppi zuccheri, possono intasare i reni e riversarsi nelle urine.

Come si facevano gli esami delle urine prima della nascita delle moderne tecniche di laboratorio? Tramite l’assaggio. L’urina dei diabetici può essere dolce come il miele: ecco da dove viene la parola «mellito».

Il diabete di tipo 2 è stato soprannominato «la morte nera del XXI secolo» per la sua diffusione esponenziale in tutto il mondo e i suoi effetti devastanti sulla salute. A differenza della peste bubbonica, però, nel nostro caso gli agenti patogeni dell’obesità e nel diabete mellito di tipo 2 sono le diete ricche di grassi e altamente caloriche, e al posto di pulci e roditori, i fattori scatenanti sono la pubblicità e gli incentivi a seguire uno stile di vita malsano.1 Al momento, oltre venti milioni di americani soffrono di diabete, e dal 1990 in poi i casi si sono triplicati.2 Di questo passo, il CDC prevede che entro la metà del secolo in corso si ammalerà di diabete un americano su tre.3 Oggi, negli Stati Uniti, questa patologia provoca 50.000 casi di insufficienza renale, 75.000 amputazioni degli arti inferiori, 650.000 casi di perdita della vista,4 e circa 75.000 decessi all’anno.5

Il nostro apparato digestivo trasforma i carboidrati che ingeriamo in uno zucchero semplice chiamato glucosio, che costituisce il principale carburante delle cellule dell’organismo. Per passare dal flusso sanguigno alle cellule, il glucosio necessita dell’insulina. Quest’ultima è un po’ come la chiave che apre le porte delle cellule in modo che gli zuccheri possano entrare. A ogni pasto, il pancreas secerne insulina per trasportare il glucosio nelle cellule. Senza questo ormone, le cellule non accettano il glucosio che, di conseguenza, si ammassa nel sangue. Nel tempo, questi zuccheri in eccesso possono danneggiare i vasi sanguigni di tutto l’organismo. Ecco perché il diabete può provocare cecità, insufficienza renale, infarto e ictus. Alti livelli di glucosio nel sangue possono anche danneggiare i nervi, causando una complicanza chiamata neuropatia, che a sua volta può provocare parestesia, formicolii e dolore. Poiché vasi sanguigni e nervi risultano danneggiati, i diabetici possono inoltre avere problemi di circolazione e mancanza di sensibilità a gambe e piedi, il che può impedire la corretta guarigione delle ferite e portare, nei casi più gravi, all’amputazione degli arti.

Il diabete di tipo 1, un tempo definito «giovanile», rappresenta il 5% circa di tutti i casi di diabete diagnosticati.6 Nella maggior parte delle persone che ne soffrono, il sistema immunitario distrugge per errore le cellule beta del pancreas, che producono insulina. Senza questo ormone, la glicemia aumenta a livelli pericolosi. Perciò, il diabete di tipo 1 viene curato con iniezioni di insulina, ossia con una terapia ormonale sostitutiva che permette di far fronte alla mancata produzione. Non si conosce l’esatta causa scatenante del diabete di tipo 1, anche se potrebbe essere legata a una predisposizione genetica, unita all’esposizione a fattori ambientali quali infezioni virali e/o latte vaccino.7

Il diabete di tipo 2, un tempo chiamato «dell’adulto», rappresenta il 90-95% di tutti i casi.8 In questa patologia, il pancreas riesce a produrre insulina, ma non funziona come dovrebbe. L’accumulo di grassi nelle cellule muscolari ed epatiche interferisce con l’azione dell’insulina.9 Se quest’ultima è la chiave che apre le porte delle cellule, i grassi saturi sono ciò che blocca le serrature. Se il glucosio non riesce a entrare nei muscoli, principali consumatori di questo carburante, la glicemia può aumentare in modo pericoloso. Il grasso all’interno delle cellule muscolari può derivare dai grassi che mangiamo o da quelli che abbiamo addosso (cioè il grasso corporeo). Pertanto, prevenzione, cura e guarigione del diabete di tipo 2 dipendono dalla dieta e dallo stile di vita.

Il CDC stima che a tutt’oggi vi siano oltre ventinove milioni di americani che soffrono di diabete, diagnosticato o non diagnosticato– il che equivale a circa il 9% della popolazione degli Stati Uniti. Su cento americani, è possibile che sei sappiano già di avere il diabete, mentre tre ne sono affetti, ma non lo sanno. Ogni anno vengono diagnosticati oltre un milione di nuovi casi di diabete mellito di tipo 2.10

Ma ecco la buona notizia: questa malattia si può quasi sempre prevenire, spesso curare e a volte persino guarire apportando cambiamenti alla dieta e allo stile di vita. Come avviene per altre patologie killer, soprattutto per le malattie cardiache e l’ipertensione, il diabete di tipo 2 è la sfortunata conseguenza delle scelte alimentari. Ma anche se soffrite già di diabete e relative complicazioni, c’è speranza. Cambiando stile di vita, potreste ottenere una completa remissione del diabete di tipo 2, anche se ne soffrite da decenni. Di fatto, passando a una dieta sana, potete migliorare la vostra salute in poche ore.

 

Che cosa provoca l’insulinoresistenza?

Il segno caratteristico del diabete di tipo 2 è l’insulinoresistenza che si produce all’interno dei muscoli. Come abbiamo visto, di norma l’insulina permette agli zuccheri del sangue di penetrare nelle cellule, ma quando queste oppongono resistenza e non rispondono all’insulina come dovrebbero, la glicemia rischia di raggiungere livelli di guardia.

Ma che cosa provoca l’insulinoresistenza?

Alcune ricerche risalenti a quasi un secolo fa presentano una scoperta sensazionale. Nel 1927, i ricercatori suddivisero in gruppi alcuni studenti di medicina in buona salute per verificare gli effetti dei diversi regimi alimentari. Ad alcuni vennero somministrate diete ricche di grassi, composte da olio d’oliva, burro, tuorli d’uova e panna; ad altri fu chiesto di seguire una dieta ricca di carboidrati, composta da zucchero, dolci, pasticcini, pane bianco, patate al forno, sciroppo d’acero, banane, riso e pappa d’avena. Incredibilmente, nel gruppo che aveva seguito la dieta ricca di grassi l’insulinoresistenza schizzò alle stelle: nell’arco di pochi giorni, di fronte a uno stimolo zuccherino la glicemia raddoppiò, risultando di gran lunga superiore a quella degli studenti che seguivano un’alimentazione a base di zuccheri e amidi.11 Gli scienziati hanno impiegato altri settant’anni per scoprirne le ragioni, ma la risposta potrebbe svelarci le cause del diabete di tipo 2.

Per comprendere il ruolo della dieta, dobbiamo innanzitutto capire in che modo il corpo immagazzina carburante. Quando gli atleti parlano di «fare il pieno di carboidrati» prima di una gara, si riferiscono al bisogno di costituirsi una riserva di combustibile nei muscoli. Il pieno di carboidrati è una versione più estrema di ciò che in realtà facciamo tutti i giorni: l’apparato digestivo scompone l’amido che abbiamo ingerito e forma il glucosio, che entra in circolo sotto forma di zuccheri nel sangue e viene poi immagazzinato nei muscoli per essere a sua volta utilizzato quando serve un po’ di energia.

Lo zucchero nel sangue, però, è un po’ come un vampiro: per raggiungere le cellule ha bisogno di un invito. E questo invito è l’insulina, la chiave che apre la porta delle cellule muscolari per fare entrare il glucosio. Quando questo ormone si aggancia ai recettori dell’insulina di una cellula, attiva una serie di enzimi che scortano il glucosio in entrata. Senza insulina, il glucosio nel sangue rimane bloccato nel flusso sanguigno e continua a bussare alla porta d’ingresso delle cellule, senza poter entrare. La glicemia a questo punto si alza, danneggiando gli organi vitali. Nel diabete di tipo 1, il corpo distrugge le cellule beta del pancreas che producono insulina, perciò rimane ben poca insulina per permettere allo zucchero di penetrare nelle cellule. Ma nel tipo 2, il vero problema non è la produzione di insulina: la chiave c’è, ma c’è anche qualcosa che blocca la serratura, e questo qualcosa si chiama insulinoresistenza. Le cellule muscolari sviluppano una resistenza agli effetti dell’insulina.

Pertanto che cos’è che blocca le serrature delle cellule muscolari, impedendo all’insulina di lasciar entrare il glucosio? Il grasso o, più specificamente, i lipidi intramiocellulari, che si trovano all’interno delle cellule muscolari.

I lipidi presenti nel sangue, che provengano dalle nostre riserve di grasso o dalla dieta, si possono accumulare nelle cellule muscolari, dove creano prodotti di degradazione tossici e radicali liberi che bloccano il processo di segnalazione dell’insulina.12 Non importa quanta ne produciamo: le cellule muscolari compromesse dal grasso non possono usarla in modo efficiente.

Il meccanismo di interferenza dei lipidi con la funzione insulinica è stato verificato sia immettendo dei grassi nel flusso sanguigno dei soggetti e osservando i valori dell’insulinoresistenza schizzare in alto13, sia eliminando i grassi dal sangue e osservando i valori dell’insulinoresistenza crollare.14 Oggi siamo persino in grado di visualizzare la quantità di lipidi presenti nei muscoli utilizzando la risonanza magnetica tomografica.15 In questo modo, infatti, i ricercatori possono tracciare i grassi che dal sangue entrano nei muscoli e osservare l’aumento dell’insulinoresistenza.16 È sufficiente un pieno di lipidi e, nell’arco di 160 minuti, l’assorbimento del glucosio da parte delle cellule viene compromesso.17

I ricercatori non devono per forza somministrare ai loro soggetti dei grassi tramite fleboclisi: basta che glieli facciano mangiare.

Persino negli individui sani, una dieta ad alto contenuto lipidico può compromettere la capacità del corpo di gestire gli zuccheri. È però possibile ridurre l’insulinoresistenza diminuendo l’assunzione di grassi. Come la ricerca ha dimostrato, via via che la quantità di lipidi nella dieta diminuisce, l’insulina lavora sempre meglio.18 Purtroppo, vista la dieta attualmente seguita dai bambini americani, il diabete di tipo 2 e l’obesità si manifestano in età sempre più precoce.

 

Il prediabete nei bambini

Il prediabete è caratterizzato da una glicemia elevata, ma non ancora così alta da raggiungere la soglia ufficiale del diabete. Lo si riscontra generalmente nei soggetti sovrappeso oppure obesi e in passato era considerato una condizione ad alto rischio che precedeva il diabete vero e proprio, non una malattia di per sé. Tuttavia, oggi sappiamo che chi soffre di prediabete potrebbe avere già subito danni agli organi interni.

I prediabetici, infatti, possono già presentare problemi causati dagli zuccheri a reni, occhi, vasi sanguigni e nervi prima ancora che venga loro diagnosticato il diabete.19 I dati raccolti in numerosi studi suggeriscono che le complicazioni croniche del diabete mellito di tipo 2 iniziano a manifestarsi già allo stato di prediabete.20 Perciò, per evitare i danni del diabete, dobbiamo prevenire il prediabete, e prima lo si fa, meglio è.

Trent’anni fa, tutti i casi di diabete nei bambini erano classificati di tipo 1. Ma a partire dalla metà degli anni Novanta, si è osservato un aumento del tipo 2 fra i più giovani.21 Quello che una volta veniva chiamato «diabete dell’adulto» è ora noto come diabete di tipo 2, perché anche i bambini iniziano a soffrire di questa malattia, fin dagli otto anni.22 Questa tendenza può avere conseguenze devastanti: uno studio condotto per quindici anni su bambini con diabete di tipo 2 ha riscontrato un’allarmante diffusione di cecità, amputazioni, insufficienza renale e persino morte nei soggetti di studio prima che questi raggiungessero la soglia della giovinezza.23

Perché questo aumento allarmante del diabete in giovane età? Probabilmente a causa dell’altrettanto preoccupante diffusione dell’obesità tra i bambini.24 Negli ultimi decenni, il numero di piccoli americani sovrappeso è aumentato di oltre il 100%.25 I bambini che a sei anni sono già obesi rischiano di rimanere tali e il 75-80% degli adolescenti obesi lo saranno anche da adulti.26

L’obesità infantile è un potente fattore predittivo del tasso di malattia e morte da adulti. Ad esempio, si è scoperto che essere sovrappeso da adolescenti preannuncia il rischio di malattia che si avrà cinquantacinque anni dopo. I soggetti possono ritrovarsi con il doppio del rischio di morte per malattie cardiache e con una maggiore incidenza di altre patologie, tra cui carcinoma del colon-retto, gotta e artrite. I ricercatori hanno scoperto che essere sovrappeso da ragazzi può costituire un fattore predittivo ancora più forte del rischio di malattia rispetto a esserlo da adulti.27

Per prevenire il diabete nei bambini dobbiamo prevenire l’obesità infantile. Come farlo?

Nel 2010, il direttore del Dipartimento di nutrizione della Loma Linda University ha pubblicato un articolo in cui suggeriva che rinunciare completamente alla carne è un modo efficace di combattere l’obesità infantile, riprendendo studi di popolazione i quali avevano dimostrato che chi seguiva una dieta basata su prodotti di origine vegetale era sistematicamente più magro di chi mangiava carne.28

Per studiare il peso corporeo, in genere ci affidiamo all’indice di massa corporea (IMC), cioè a una misura del peso che prende in considerazione anche l’altezza. Per quanto riguarda gli adulti, un IMC superiore a 30 è sintomo di obesità. Tra 25 e 29,9 evidenzia un sovrappeso, mentre tra 18,5 e 24,9 indica il «peso ideale». Nella professione medica, in passato ritenevamo «normale» un IMC inferiore a 25. Purtroppo, però, non è più così.

Qual è il vostro IMC? Per scoprirlo, potete affidarvi a uno dei calcolatori di IMC che si trovano in rete, oppure prendere una calcolatrice e dividere il vostro peso espresso in chilogrammi per il quadrato della vostra altezza in centimetri. Ad esempio, se pesate 90 chili e siete alti 1,80 metri, il vostro IMC è dato da 90:(1,80x1,80)=27,7, e purtroppo indica un notevole sovrappeso.

Lo studio più ampio che abbia paragonato i tassi di obesità di chi segue diete a base di prodotti di origine vegetale con quelli altrui è stato pubblicato in Nordamerica. I mangiatori di carne hanno raggiunto la vetta della classifica registrando un IMC medio di 28,8, prossimo all’obesità. I semivegetariani (che mangiano carne più su base settimanale che giornaliera) se la sono cavata un po’ meglio, ottenendo un IMC di 27,3, ma erano ancora sovrappeso. Con un IMC di 26,3, i pescetariani (che mangiano pesce, ma non carne) hanno fatto meglio ancora. Negli Stati Uniti persino i vegetariani tendono a essere un po’ sovrappeso, totalizzando 25,7. L’unico gruppo che ha registrato un peso ideale è stato quello dei vegani, il cui IMC si è assestato in media su 23,6.29

E allora perché i genitori che fanno seguire ai propri figli una dieta a base di prodotti di origine vegetale sono così pochi? In America si ritiene erroneamente che la loro crescita ne risentirebbe. Ma la verità è che potrebbe essere vero l’esatto contrario. I ricercatori della Loma Linda University hanno scoperto che i bambini che seguivano una dieta vegetariana non solo crescevano più snelli dei coetanei che mangiavano carne, ma diventavano anche più alti, di circa un pollice.30 Al contrario, l’assunzione di carne è associata a una crescita di tipo orizzontale: gli stessi ricercatori hanno infatti evidenziato un forte legame tra il consumo di cibi animali e l’aumento del rischio di sovrappeso.31

Pare che l’insorgenza del diabete nei bambini diminuisca l’aspettativa di vita di circa vent’anni.32 E chi di noi non farebbe i salti mortali pur di permettere ai suoi figli di vivere vent’anni di più?

 

 

GRASSO MANGIATO E GRASSO ACCUMULATO

 

Portarsi dietro troppo grasso corporeo è il principale fattore di rischio del diabete mellito di tipo 2; fino al 90% di chi soffre di questa malattia è sovrappeso.33 Che legame c’è tra le due cose? In parte, un fenomeno chiamato «effetto spillover».

È interessante notare che in età adulta il numero di cellule adipose nell’organismo non cambia di molto, indipendentemente da quanto peso si prenda o si perda. Il punto è che si gonfiano nel momento in cui il corpo ingrassa, perciò quando la pancia aumenta non stiamo per forza di cose creando nuove cellule adipose, ma accumulando più grasso in quelle già esistenti.34 Nei soggetti sovrappeso oppure obesi, queste cellule possono dilatarsi fino a riversare nuovamente il grasso nel sangue, rischiando di provocare lo stesso blocco del segnale dell’insulina che si subisce quando si consuma un pasto molto grasso.

I medici sono in grado di misurare la quantità di lipidi che circolano liberamente nel sangue. Di norma è tra circa cento e cinquecento micromoli al litro. Le persone obese, però, registrano valori che vanno da seicento a ottocento circa. Chi segue una dieta a basso contenuto di carboidrati e ricca di grassi può raggiungere valori altrettanto alti. Persino una persona snella che segue una dieta ad alto contenuto di grassi può raggiungere in media ottocento micromoli al litro, perciò questo valore così elevato non è una prerogativa degli obesi. Dato che chi consuma molti grassi li assorbe nel sangue a partire dall’apparato digerente, la quantità di lipidi nel flusso sanguigno è pari a quella di una persona molto obesa.35

Analogamente, essere grassi è un po’ come abbuffarsi di burro e pancetta per tutto il giorno anche se ai pasti si segue una dieta sana. Questo perché l’organismo di una persona obesa continua a riversare lipidi nel sangue, indipendentemente da ciò che questa mangia. Non importa quale sia la fonte di tali sostanze: quando la loro quantità sale, la capacità dell’organismo di ripulire il sangue dallo zucchero precipita a causa dell’insulinoresistenza, ossia la causa del diabete mellito di tipo 2.

Chi segue una dieta vegetariana, al contrario, ha solo una piccola percentuale del tasso di diabete registrato da chi mangia regolarmente carne. Come si vede nella Figura 1, più la dieta si basa su prodotti di origine vegetale, più si verifica un calo progressivo dei tassi di insorgenza del diabete.36 Secondo uno studio condotto su ottantamila californiani, i semivegetariani hanno un rischio di diabete del 28% inferiore agli onnivori, il che è un’ottima notizia per chi mangia carne magari una sola volta alla settimana, invece che tutti i giorni. Chi ha eliminato totalmente la carne dalla dieta, ma consuma pesce, presenta una riduzione del rischio dimezzata. E chi ha escluso del tutto carne e pesce? In questo caso il rischio cala del 61%. E chi fa un passo in più ed elimina anche uova e latticini? Il rischio potrebbe crollare del 78%, rispetto a chi mangia carne tutti i giorni.

Come mai?

La questione dipende forse soltanto dal fatto che i vegetariani controllano meglio il loro peso? Non esattamente. Anche nel caso in cui un vegano pesi quanto un onnivoro, presenta un rischio di diabete pari a meno della metà.37 La spiegazione di questo fatto potrebbe risiedere nella differenza tra grassi vegetali e grassi animali.

  

Grassi saturi e diabete

Non tutti i tipi di lipidi agiscono sulle cellule muscolari allo stesso modo. Ad esempio, l’acido palmitico, un grasso saturo che si trova perlopiù nella carne, nei latticini e nelle uova, provoca insulinoresistenza. Invece l’acido oleico, cioè il grasso monoinsaturo presente soprattutto nella frutta a guscio, nelle olive e nell’avocado, potrebbe di fatto proteggerci dagli effetti dannosi dei grassi saturi.38 Questi sono in grado di portare scompiglio nelle cellule muscolari, provocando l’accumulo di altri prodotti di degradazione tossici (come ceramidi e digliceridi)39 e di radicali liberi, oltre a causare infiammazione e persino disfunzioni mitocondriali, una sorta di interferenza con le piccole centrali elettriche (mitocondri) delle cellule.40 Questo fenomeno si chiama lipotossicità (da lipo, «grasso», come in «liposuzione»).41 Se facessimo delle biopsie muscolari, l’eventuale accumulo di grassi saturi nelle membrane delle cellule muscolari sarebbe collegato all’insulinoresistenza.42 I grassi monoinsaturi, invece, sono in genere depurati dall’organismo o immagazzinati per usi futuri.43

Questa discrepanza può spiegare perché coloro che seguono una dieta a base di prodotti di origine vegetale sono più protetti contro il diabete. I ricercatori hanno messo a confronto l’insulinoresistenza e il contenuto di grasso muscolare di vegani e onnivori. Dato che i primi hanno il vantaggio di essere di media molto più snelli, i ricercatori hanno cercato onnivori che pesassero più o meno quanto i vegani oggetto di studio, per verificare se una dieta a base di frutta e verdura avesse un effetto diretto, oltre a presentare il vantaggio indiretto di estrarre il grasso dai muscoli aiutando le persone a perdere peso.

I risultati? I muscoli del polpaccio dei vegani contenevano molto meno grasso di quanto non ve ne fosse in quelli degli onnivori di pari peso.44 Si è scoperto che chi segue diete basate su prodotti di origine vegetale ha una maggiore sensibilità all’insulina, valori di glicemia e di insulina migliori,45 e persino una funzionalità decisamente superiore delle cellule beta, le cellule del pancreas che producono insulina.46

In altre parole, chi segue questo tipo di dieta è in grado di produrre e utilizzare l’insulina più degli altri.

 


PREVENIRE IL DIABETE MANGIANDO DI PIÙ

Molti studi di popolazione dimostrano che chi mangia quantità significative di legumi (fagioli, piselli spezzati, ceci e lenticchie) tende a essere più magro. Inoltre, ha un girovita più sottile, è meno incline all’obesità e ha la pressione più bassa rispetto a chi non ne mangia tanti.47 Tutti questi vantaggi potrebbero forse essere dovuti non tanto ai legumi di per sé quanto al fatto che chi ne mangia di più segue un dieta più sana in generale? Per verificarlo, i ricercatori hanno utilizzato lo strumento più potente della ricerca nutrizionale: gli studi interventistici. Invece di limitarsi a osservare che cosa mangiano i soggetti, si modifica la loro dieta per vedere che cosa succede. In questo caso, i ricercatori hanno studiato i legumi mettendo a confronto un loro consumo extra con la riduzione calorica.

Diminuire il grasso addominale potrebbe essere il modo migliore di evitare che il prediabete si trasformi in diabete conclamato. Sebbene la riduzione calorica sia il fondamento di molte diete dimagranti, i dati indicano che gran parte degli individui che perdono peso riducendo le porzioni, alla fine lo riacquistano. Fare la fame non funziona quasi mai, sul lungo periodo. Perciò, non sarebbe meraviglioso se potessimo trovare il modo di mangiare di più e riuscire ugualmente a dimagrire?

I ricercatori hanno suddiviso alcuni soggetti sovrappeso in due gruppi. Al primo hanno chiesto di mangiare cinque tazze alla settimana di lenticchie, ceci, piselli spezzati o fagioli bianchi, senza però cambiare la dieta in altro modo. Al secondo hanno chiesto di eliminare cinquecento calorie al giorno. Indovinate chi ha guadagnato in salute? Il gruppo a cui era stato chiesto di mangiare di più. È stato così dimostrato che mangiare legumi è efficace nel ridurre il girovita e nel migliorare il controllo della glicemia tanto quanto diminuire le calorie assunte. Le leguminose, inoltre, presentano ulteriori vantaggi in termini di abbassamento del colesterolo e regolazione dell’insulina.48 È una bella notizia per chi è sovrappeso e a rischio di diabete di tipo 2. Invece di limitarsi a mangiare porzioni più piccole e a ridurre la quantità di cibo assunto, queste persone possono anche migliorare la qualità della loro dieta consumando pasti ricchi di legumi.


  

I grassi saturi possono inoltre risultare tossici per le cellule del pancreas che producono insulina. All’età di circa vent’anni, l’organismo smette di creare nuove cellule beta, produttrici di insulina. Dopodiché, se le perdiamo, sono perdute per sempre.49 Alcuni studi autoptici hanno dimostrato che quando il diabete di tipo 2 viene diagnosticato in età avanzata, è possibile che metà delle cellule beta siano già morte.50

La tossicità dei grassi saturi può essere dimostrata in maniera diretta. Se esponiamo le cellule beta a grassi saturi51 o al colesterolo «cattivo» (LDL) su una piastra di Petri, cominciano a morire.52 Questo non accade con i grassi monoinsaturi concentrati negli alimenti ricchi di grassi vegetali, come ad esempio la frutta a guscio.53 Quando ingeriamo grassi saturi, l’azione e la secrezione dell’insulina vengono compromesse nel giro di poche ore.54 Più ne abbiamo in circolo, più rischiamo di ammalarci di diabete di tipo 2.55

Ovviamente, così come non è detto che tutti i fumatori abbiano il cancro ai polmoni, non tutti coloro che mangiano grassi saturi si ammaleranno di diabete. Entra in gioco anche una componente genetica, ma per coloro che sono geneticamente predisposti, una dieta eccessivamente ricca di calorie e grassi saturi è ritenuta una delle cause del diabete di tipo 2.56

Dimagrire con una dieta a base vegetale

Come abbiamo già detto, anche se non assumiamo grassi in più, quelli extra che ci portiamo addosso potrebbero causare l’effetto spillover, cioè la tendenza delle cellule esageratamente dilatate di riversare lipidi nel flusso sanguigno. Per quanto riguarda il dimagrimento, il vantaggio di una dieta a base di prodotti integrali di origine vegetale sta nel fatto che non è necessario ridurre le porzioni, saltare i pasti o contare le calorie, perché gran parte di questi cibi è per sua natura ricca di sostanze nutritive e povera di calorie.

La frutta e la verdura contengono in media circa l’80-90% di acqua. Proprio come le fibre possono far aumentare il volume dei cibi senza aggiungere calorie, lo stesso accade con l’acqua. Diversi esperimenti hanno dimostrato che le persone tendono a mangiare la stessa quantità di cibo a ogni pasto, indipendentemente dal conteggio calorico – probabilmente perché dopo l’ingestione di un certo volume di cibo, i recettori di tensione presenti nello stomaco inviano i loro segnali al cervello. Quando gran parte di questo volume è formato da componenti a zero calorie come le fibre o l’acqua, possiamo mangiare di più, ma ingrasseremo comunque di meno.57

La Figura 2 mostra la quantità di broccoli, pomodori e fragole che contiene cento calorie, messa a confronto con le quantità di pollo, formaggio e pesce che corrispondono alle stesse calorie. Come vedete, anche se il contenuto calorico è identico, il volume di questi alimenti è diverso. Perciò è logico che cento calorie di alimenti vegetali ci riempiano, mentre le stesse cento calorie di cibi animali o lavorati ci lasciano con la pancia mezza vuota.

Ecco perché le diete a base di prodotti integrali di origine vegetale sono l’ideale per tutti coloro che amano mangiare: sostanzialmente si può consumare tutto il cibo che si vuole senza doversi preoccupare delle calorie.

Uno studio clinico randomizzato di confronto diretto ha scoperto che, quanto a dimagrimento, questo tipo di dieta è migliore di quella raccomandata dall’American Diabetes Association, e non richiede di ridurre le porzioni o di contare le calorie o i carboidrati.58 Inoltre, dalla revisione sistematica di studi simili è emerso che, oltre a dimagrire, i soggetti che mangiavano prodotti di origine vegetale avevano una glicemia più bassa ed erano meno esposti al rischio di patologie cardiovascolari rispetto a quelli che seguivano diete con più alimenti di origine animale.59 Questi sono i vantaggi di una dieta a base vegetale.

I diabetici sono più inclini a soffrire di ictus e insufficienza cardiaca.60 Di fatto, quelli che non hanno mai sofferto di coronaropatia potrebbero presentare lo stesso rischio di infarto dei non diabetici con problemi cardiaci conclamati.61 Oltre a migliorare la sensibilità all’insulina più delle diete tradizionali per diabetici, un’alimentazione basata su prodotti di origine vegetale può anche determinare una significativa diminuzione del colesterolo LDL, riducendo di conseguenza il rischio di insorgenza del nemico numero uno dei diabetici, le patologie cardiache.62 Ma le persone sono disposte a cambiare radicalmente la propria dieta? Come ha detto il dottor Dean Ornish con una battuta, vivremo più a lungo o ci sembrerà solamente di vivere più a lungo?63

A quanto pare, gran parte delle persone che sono passate a una dieta a base di prodotti di origine vegetale sono felici di averlo fatto. Uno dei motivi per cui i cambiamenti alimentari di questo genere hanno tanto seguito è che le persone non solo tendono a stare oggettivamente meglio, ma si sentono anche meglio. In un recente studio clinico randomizzato sulla perdita di peso, alcuni soggetti diabetici sono stati divisi in due gruppi. A metà di loro è stato chiesto di seguire una dieta convenzionale per diabetici consigliata da organizzazioni mediche specifiche, all’altra metà una dieta a base di prodotti di origine vegetale costituita soprattutto da verdure, frutta, cereali, legumi e frutta a guscio. Dopo sei mesi, il secondo gruppo ha riferito un significativo miglioramento sia della qualità della vita sia dell’umore rispetto al gruppo che aveva seguito la dieta convenzionale. I pazienti che seguivano la dieta vegetale, inoltre, si sentivano meno limitati di quelli dell’altro gruppo ed era diminuita anche la loro tendenza a un’alimentazione disordinata, vale a dire che i pazienti vegetariani erano meno inclini ad abbuffarsi e tendevano ad avere meno fame – condizioni, queste, che possono aiutarli a mantenere tale regime alimentare nel lungo periodo.64 Perciò, non solo le diete a base vegetale sembrano funzionare meglio, ma potrebbero anche essere più facili da seguire nel tempo. E grazie ai loro benefici sull’umore, potrebbero apportare vantaggi sia alla salute fisica che a quella mentale. (Per maggiori dettagli sull’argomento, vedi capitolo 12).

Quando si tratta di ridurre al minimo il rischio di diabete, quanto è importante il fatto di mangiare solo poca carne? Alcuni ricercatori di Taiwan hanno cercato di rispondere alla domanda. Per tradizione, le popolazioni asiatiche hanno sempre avuto tassi di diabete molto bassi. Negli ultimi anni, però, questa patologia si è diffusa quasi come un’epidemia in concomitanza con l’occidentalizzazione della dieta asiatica. Invece di mettere a confronto i vegetariani con gli onnivori di oggi, i ricercatori li hanno paragonati a soggetti che seguivano la dieta asiatica tradizionale, che di norma comprende pesce e carne in quantità minime. Le donne hanno assunto l’equivalente di una sola porzione di carne alla settimana, mentre gli uomini ne mangiavano una ogni pochi giorni.65

Sia il gruppo vegetariano sia quello asiatico tradizionale seguivano diete sane, che ad esempio non comprendevano le bibite gassate. Nonostante le affinità alimentari tra i quattromila soggetti dello studio e dopo aver tenuto conto di fattori come il peso, l’anamnesi familiare, l’attività fisica e l’abitudine o meno al fumo, i ricercatori hanno scoperto che gli uomini vegetariani avevano solo la metà delle probabilità di ammalarsi di diabete rispetto ai consumatori occasionali di carne. Le donne vegetariane avevano un rischio inferiore del 75%. Chi evitava completamente carne e pesce presentava un rischio di prediabete e diabete decisamente inferiore rispetto ai vegetariani che ogni tanto li consumavano. I ricercatori non sono stati in grado di confrontare i tassi di insorgenza del diabete degli oltre mille vegetariani dello studio con quelli dei sessantanove vegani del gruppo, in quanto la presenza di diabetici all’interno di questo gruppo che mangiava solo prodotti di origine vegetale era pari a zero.66

 


GLI INQUINANTI CHE FAVORISCONO IL DIABETE

La diffusione esponenziale dell’obesità è stata attribuita esclusivamente al fatto di mangiare troppo e alla sedentarietà. Ma è possibile che nel cibo ci sia anche qualcos’altro che ci fa gonfiare oltre misura? Gli scienziati hanno cominciato a identificare gli inquinanti chimici «obesogeni» rilasciati nell’ambiente che potrebbero danneggiare il metabolismo e predisporre all’obesità. Il cibo contaminato è la fonte primaria di esposizione a questi agenti chimici, e il 95% di tale esposizione può derivare dal consumo di grassi animali.67 Qual è il problema? Uno studio condotto in tutti gli Stati Uniti ha scoperto che i soggetti con i livelli di inquinanti più alti rischiavano di ammalarsi di diabete addirittura trentotto volte di più.68 I ricercatori dell’Università di Harvard hanno dimostrato che un composto organico in particolare, l’esaclorobenzene, è un potente fattore di rischio in tal senso.69

Dove si trova tale tossina? A quanto pare, nei negozi di alimentari. Grazie a uno studio condotto su una vasta gamma di alimenti dei supermercati, si è scoperto che le sardine in scatola erano le più inquinate dall’esaclorobenzene, anche se il cibo più contaminato di tutti è risultato essere il salmone. Nei filetti di questo pesce sono stati trovati ventiquattro pesticidi.70 Il salmone di allevamento è forse il peggiore in assoluto, perché contiene dieci volte più policlorobifenili (PCB, una classe di pesticidi tossici) rispetto al salmone pescato.71

Le tossine di origine industriale come l’esaclorobenzene e i PCB sono stati vietati quasi ovunque alcuni decenni fa. Come si spiega allora che siano responsabili dell’aumento del rischio di diabete oggi? La risposta a questo paradosso potrebbe essere l’attuale epidemia di obesità che si verifica negli Stati Uniti. Il legame tra questi composti tossici e il diabete è molto più pronunciato nei soggetti obesi che in quelli magri, il che fa sorgere il dubbio che le riserve di grasso nell’organismo fungano da serbatoi di questi inquinanti.72 Gli individui sovrappeso potrebbero davvero portarsi dietro i loro rifiuti tossici personali. Senza una significativa perdita di peso, chi ha assunto gli inquinanti del salmone potrebbe impiegare dai cinquanta ai settantacinque anni per ripulire il proprio organismo dalle sostanze chimiche.73


 

Chi evita la carne assorbe sostanze nutritive a sufficienza? Per scoprirlo, i ricercatori hanno osservato per un’intera giornata tredicimila persone in tutti gli Stati Uniti, confrontando l’assunzione di sostanze nutritive dei mangiatori di carne con quella dei vegetariani. Hanno scoperto che, a parità di calorie, chi seguiva una dieta vegetariana assumeva quantità maggiori di quasi tutti i nutrienti: più fibre, più vitamina A, vitamina C, vitamina E, più tiamina (o vitamina B1), riboflavina (vitamina B2) e acido folico (vitamina B9), più calcio, magnesio, ferro e potassio. Inoltre, molti dei nutrienti di cui sono particolarmente ricche le diete a base di prodotti di origine vegetale sono anche gli stessi che gran parte degli americani non assume a sufficienza – vale a dire le vitamine A, C ed E, per non parlare di fibre, calcio, magnesio e potassio. Infine, chi evitava la carne ingeriva anche meno sostanze dannose, come sodio, grassi saturi e colesterolo.74

In termini di controllo del peso, chi seguiva diete vegetariane consumava in media 364 calorie in meno al giorno.75 Si tratta delle stesse calorie che molti di coloro che seguono una dieta dimagrante tradizionale si sforzano di tagliare: ciò significa che evitare la carne potrebbe essere la versione «mangia quanto vuoi» della dieta dimagrante in cui si diminuiscono le calorie, senza che sia necessario contarle o ridurre le porzioni.

Chi segue una dieta a base vegetale potrebbe persino avere un metabolismo basale più alto dell’11%.76 Ciò significa che i vegetariani bruciano più calorie degli altri persino quando dormono. Come mai? Perché hanno una maggiore espressione genica di un enzima brucia-grassi chiamato carnitina-palmitoil-transferasi, che getta il grasso nelle fornaci mitocondriali delle cellule.77

Perciò, quando si parla di carne, una caloria potrebbe non essere soltanto una caloria. Uno studio su vasta scala dal nome altrettanto vasto, European Prospective Investigation into Cancer-Physical Activity, Nutrition, Alcohol, Cessation of Smoking, Eating Out of Home and Obesity (Indagine europea su cancro, attività fisica, alimentazione, alcol, disabitudine al fumo, pasti fuori casa e obesità), noto come studio EPIC-PANACEA, ha preso in esame centinaia di migliaia di uomini e donne per anni. È la ricerca più ampia mai condotta sul rapporto tra consumo di carne e peso corporeo, e ha scoperto che l’assunzione di carne è associata a un significativo aumento del peso, anche tenendo conto delle calorie. Ciò vuol dire che se due persone assumono la stessa quantità di calorie, quella che mangia più carne, di media, ingrassa significativamente di più.78

 

 

LA REMISSIONE DEL DIABETE

 

A proposito di farmaci e chirurgia

Come accennavo prima, chi soffre di diabete di tipo 2 presenta un rischio elevato di gravi problemi di salute, tra cui patologie cardiache, morte prematura, cecità, insufficienza renale e amputazioni, oltre a fratture, depressione e demenza. Inoltre, più la glicemia è alta, più questi malati tendono ad avere infarti e ictus, una vita più breve e un maggiore rischio di complicazioni. Per verificare se queste conseguenze si possono evitare, è stato condotto uno studio in cui diecimila diabetici sono stati randomizzati in due gruppi, quello che seguiva una terapia standard (il cui scopo era abbassare semplicemente la glicemia) e quello in cui si affrontava la glicemia in modo aggressivo (i ricercatori hanno infatti somministrato per via orale ai diabetici fino a cinque diversi tipi di farmaci contemporaneamente), con o senza iniezioni di insulina. Lo scopo non era solamente ridurre la glicemia, come nel caso della terapia standard, ma farla rientrare nei valori normali.79

Se consideriamo che il diabete di tipo 2 è una malattia determinata dall’insulinoresistenza, la glicemia alta è un sintomo della malattia, non la malattia in sé. Perciò, anche se abbassiamo forzatamente i livelli di zucchero in ogni modo possibile, in realtà non curiamo la causa della malattia, proprio come i farmaci che fanno calare la pressione non curano la patologia. Riducendo uno degli effetti della malattia, però, gli scienziati speravano di prevenire alcune delle sue complicazioni peggiori.

I risultati di questo studio, pubblicati sul «New England Journal of Medicine», hanno scosso l’intera comunità medica. La terapia di riduzione massiccia della glicemia di fatto aveva aumentato la mortalità dei soggetti, costringendo i ricercatori a interrompere anticipatamente lo studio per motivi di sicurezza.80 I cocktail di farmaci erano forse più pericolosi della glicemia che cercavano di curare.81

Anche le terapie insuliniche potrebbero accelerare l’invecchiamento, peggiorare la perdita della vista dovuta al diabete e favorire l’insorgenza di cancro, obesità e aterosclerosi.82 L’insulina può provocare l’infiammazione delle arterie, il che potrebbe a sua volta spiegare l’aumento di decessi nel gruppo sottoposto alla terapia aggressiva.83 Perciò, invece di cercare di sconfiggere l’insulinoresistenza con la forza bruta, pompando nel corpo sempre più insulina, non è meglio curarla cambiando la dieta dannosa che l’ha causata? È la stessa situazione di chi si sottopone a un bypass perché ha le arterie occluse. Se queste persone continuano a mangiare male, anche il bypass alla fine si intaserà. Molto meglio curare la causa invece del sintomo.

Che dire della chirurgia per i diabetici? Il bypass gastrico, un intervento chirurgico che riduce efficacemente le dimensioni dello stomaco del 90% o più, è uno dei metodi di cura più diffusi per il diabete mellito di tipo 2, che determina un tasso di remissione sul lungo periodo pari all’83%. Grazie a questi risultati, si pensa che il bypass gastrico migliori il diabete alterando in qualche modo gli ormoni della digestione, ma questa interpretazione trascura il fatto che per due settimane dopo l’intervento i pazienti vengono sottoposti a una dieta strettissima, in modo che possano ristabilirsi dall’operazione. La riduzione drastica delle calorie è in grado da sola di far migliorare il paziente diabetico. Che cos’è allora, a determinare il successo della cura: l’intervento chirurgico andato a buon fine o la dieta rigida?

Anche in questo caso, i ricercatori hanno cercato di rispondere con uno studio.84 Hanno messo a confronto diabetici sottoposti alla stessa dieta postoperatoria prima e dopo l’esecuzione dell’intervento. Con grande sorpresa, hanno scoperto che la sola dieta funzionava meglio della chirurgia, persino all’interno dello stesso gruppo di pazienti: la glicemia dei soggetti rimaneva a livelli più bassi senza intervento chirurgico. Ciò significa che i vantaggi di un intervento invasivo si potevano ottenere senza andare sotto i ferri per farsi risistemare gli organi interni.85

Morale della favola: la glicemia può normalizzarsi nel giro di una settimana assumendo seicento calorie al giorno, perché il grasso viene estratto da muscoli, fegato e pancreas, e ciò permette loro di riprendere la normale funzionalità.86

La remissione del diabete si può ottenere riducendo le calorie per scelta oppure involontariamente,87 cioè facendosi asportare gran parte dello stomaco, che equivale a una riduzione forzata di ciò che si mangia. Andare sotto i ferri può essere più facile che soffrire la fame, ma gli interventi chirurgici invasivi come questo comportano gravi rischi, sia in corso d’opera sia in seguito: emorragie, incontinenza, infezioni, ernie e gravi carenze nutritive.88

La scelta, allora, è forse tra chirurgia o fame? Ci dev’essere una terza via e, di fatto, c’è. Invece di modificare la quantità di cibo che mangiamo, possiamo far regredire il diabete cambiando tipo di alimenti.

 


MANGIARE ANIMALI OBESI FA DIVENTARE OBESI?

Lo studio EPIC-PANACEA ha scoperto che il consumo di carne è associato a un aumento di peso anche indipendentemente dalle calorie ingerite e ha inoltre identificato la carne che fa ingrassare di più: il pollame.89 La scoperta è stata poi confermata anche da un altro studio. Gli uomini e le donne che per i quattordici anni dello studio avevano consumato anche solo 30 grammi scarsi di pollo al giorno (due crocchette) registravano un aumento significativamente maggiore dell’indice di massa corporea rispetto a quelli che non ne avevano mangiato affatto.90 Forse la notizia non dovrebbe sorprenderci, considerando quanto i polli vengano manipolati geneticamente per ingrassare oltre misura.

Secondo il Dipartimento dell’agricoltura americano, un secolo fa una porzione di pollo conteneva circa sedici calorie di lipidi. Oggi, arriva ad averne oltre duecento. Il contenuto di grassi nel pollame è schizzato dai due grammi scarsi per porzione di un secolo fa ai ventitré grammi di oggi, vale a dire dieci volte tanto. Il pollo contiene due o tre volte più calorie derivate dai lipidi che dalle proteine, il che porta i nutrizionisti a chiedersi: «Mangiare animali obesi fa diventare obesi?»91 Come dichiarano orgogliosamente i produttori di manzo, perfino una volta spellato il pollo può contenere più lipidi, e in particolare più grassi saturi che occludono le arterie, rispetto a dodici diversi tagli di bistecca.92


 

Guarire dal diabete con l’alimentazione

Fin dall’assedio di Parigi del 1870 sappiamo che il diabete di tipo 2 può essere guarito riducendo drasticamente la quantità di cibo ingerita. I medici parigini documentarono il fatto che, dopo settimane senza cibo, le urine dei soggetti non contenevano più glucosio.93 I diabetologi sanno da sempre che i pazienti dalla volontà ferrea, in grado di perdere fino a un quinto del proprio peso, possono far regredire il diabete e riportare la funzione metabolica ai valori normali.94

E se i diabetici, invece di patire la fame mangiando di meno, mangiassero semplicemente meglio, seguendo ad esempio un’alimentazione basata su prodotti di origine vegetale per oltre il 90%, nella quale possono mangiare quanto vogliono scegliendo tra verdure, legumi, cereali integrali, frutta, frutta a guscio e semi? In uno studio pilota, tredici uomini e donne diabetici hanno ricevuto le seguenti istruzioni: mangiare almeno un’insalatona al giorno, oltre a una zuppa vegetariana a base di legumi, una manciata di frutta a guscio e semi, frutta a ogni pasto, 450 grammi di verdure cotte e un po’ di cereali integrali; ridurre il consumo di prodotti animali ed eliminare cereali raffinati, cibo spazzatura e olio. Dopodiché, i ricercatori hanno misurato i loro livelli di emoglobina glicata, che è ritenuta il migliore indicatore della concentrazione del glucosio nel sangue nel tempo.

All’inizio dello studio, i diabetici avevano in media un livello di emoglobina glicata pari a 8,2. La norma prevede livelli inferiori a 5,7, mentre tra 5,7 e 6,4 ci si trova in fase di prediabete e sopra i 6,5 si è considerati diabetici. Ciononostante, l’obiettivo dell’American Diabetes Association è semplicemente portare i valori dei diabetici sotto il 7.95 (Come ricorderete, purtroppo i trial clinici mirati ad abbassare la glicemia con l’ausilio di farmaci che cercavano di portare i livelli di emoglobina glicata sotto il 6 hanno finito per condurre molti diabetici nella tomba.)

Dopo circa sette mesi di dieta centrata su cibi integrali di origine vegetale, i livelli di emoglobina glicata dei soggetti sono calati a un livello da non diabetici, pari a 5,8, e questo dopo che i pazienti avevano smesso di prendere gran parte dei farmaci.96 Sapevamo che il diabete potesse andare in remissione grazie a una dieta poverissima di calorie;97 adesso sappiamo anche che è possibile raggiungere lo stesso risultato seguendo una dieta molto sana, ma il risultato dipende forse anche dal fatto che la dieta fosse povera di calorie? I soggetti dello studio hanno perso circa lo stesso peso di coloro che hanno seguito un regime alimentare ridottissimo con somministrazione di pasti liquidi sostitutivi.98 Tuttavia, anche ammesso che la remissione del diabete fosse dovuta solamente a una riduzione delle calorie, quale dieta era più sana, quella composta da frullati dietetici a base di zucchero, latte in polvere, sciroppo di mais e olio oppure quella basata su prodotti di origine vegetale in cui si può mangiare cibo vero in quantità?

Incredibilmente, persino i partecipanti che all’inizio della dieta vegetale non erano dimagriti, o che addirittura erano ingrassati, hanno registrato una regressione della malattia. In altre parole, gli effetti positivi di un’alimentazione di questo tipo vanno ben al di là della perdita di peso.99 Tuttavia, lo studio ha analizzato solo pochi soggetti, non prevedeva un gruppo di controllo e comprendeva solo chi poteva seguire costantemente il regime alimentare indicato. Per dimostrare che le diete basate su prodotti di origine vegetale sono davvero in grado di far regredire il diabete indipendentemente dal dimagrimento, i ricercatori dovevano progettare uno studio in cui far seguire ai soggetti una dieta sana, costringendoli però a mangiare talmente tanto da non perdere peso.

Questo studio è stato pubblicato più di trentacinque anni fa. Alcuni diabetici di tipo 2 sono stati sottoposti a una dieta a base di prodotti di origine vegetale e pesati tutti i giorni. Se dimagrivano, veniva chiesto loro di mangiare di più, al punto che alcuni partecipanti facevano fatica a ingurgitare così tanto cibo! Risultato: anche in assenza di dimagrimento, i soggetti che seguivano la dieta hanno registrato una riduzione della richiesta di insulina pari al 60%: quella che dovevano iniettarsi era diminuita di oltre la metà. Inoltre, metà di loro ha potuto eliminare del tutto l’insulina, nonostante il peso fosse rimasto uguale, semplicemente seguendo un’alimentazione più sana.100

E non dopo mesi o anni, ma dopo circa sedici giorni di dieta. Alcuni soggetti erano diabetici da vent’anni e si erano sempre iniettati venti unità di insulina al giorno. Eppure, con due settimane di dieta basata su prodotti di origine vegetale non ne avevano più bisogno. All’inizio dello studio, un paziente ne assumeva trentadue unità al giorno: dopo diciotto giorni, la sua glicemia si era abbassata così tanto da rendere superflue le iniezioni. Sebbene pesasse più o meno quanto prima, grazie alla dieta e senza assumere insulina aveva meno zuccheri nel sangue rispetto a quando seguiva una dieta tradizionale e si iniettava trentadue unità di insulina al giorno.101 Questo è ciò che possono fare i prodotti vegetali.

 

Curare la neuropatia diabetica

Fino al 50% dei diabetici soffre di neuropatie, cioè di danni neurologici.102 La neuropatia può essere molto dolorosa e spesso le cure convenzionali non possono fare niente per lenire il dolore: non esistono trattamenti medici considerati efficaci contro questa patologia.103 Per alleviare la sofferenza dei nostri pazienti, noi medici avevamo a disposizione solo steroidi, oppiacei e antidepressivi, ma poi è stato pubblicato un ottimo studio intitolato Regression of Diabetic Neuropathy with Total Vegetarian (Vegan) Diet [Regressione della neuropatia diabetica con una dieta vegetariana totale (vegana)]. Ventuno diabetici che soffrivano da dieci anni di una dolorosa neuropatia sono stati sottoposti a una dieta integrale a base di prodotti di origine vegetale. Dopo anni di sofferenza, diciassette di loro hanno dichiarato di non provare più alcun dolore, e questo nel giro di qualche giorno. Anche la parestesia risultava migliorata e gli effetti collaterali sono stati solo ed esclusivamente positivi: i diabetici hanno perso di media quattro chili e mezzo, la loro glicemia è calata, il bisogno di insulina si è dimezzato e, in cinque pazienti, non solo la neuropatia è guarita, ma a quanto pare anche il diabete. Dopo essere stati diabetici per vent’anni, in meno di un mese hanno abbandonato completamente i farmaci per la glicemia.104

Inoltre, i livelli di trigliceridi e di colesterolo dei diabetici, in media, sono migliorati. La pressione sanguigna è diminuita così tanto che metà dei soggetti è guarita anche dall’ipertensione. Nel giro di tre settimane il bisogno di farmaci per curare tale disturbo è calato dell’80%.105 (Ecco perché è fondamentale consultarsi con il proprio medico nel momento in cui si decide di migliorare la dieta: se non si riducono o eliminano i farmaci di conseguenza, glicemia e pressione potrebbero diminuire troppo.)

Da tempo sapevamo che le diete basate su prodotti di origine vegetale possono far regredire il diabete106 e l’ipertensione,107 ma la guarigione dal dolore dovuto a un danno neurologico tramite l’alimentazione era una novità.

Lo studio si basava su un programma residenziale in cui ai pazienti venivano somministrati i pasti. Che cosa è successo dopo che sono stati rimandati a casa, nel mondo reale? I diciassette soggetti sono stati monitorati per anni, e in tutti i casi tranne uno la dolorosa neuropatia non si è più manifestata oppure è ulteriormente migliorata. Come hanno fatto i ricercatori a ottenere che i pazienti seguissero la dieta in modo così stringente in un ambiente non controllato? «Il dolore e la cattiva salute», hanno scritto, «sono fattori motivanti molto potenti».108 In altre parole: ci sono riusciti perché la dieta basata su prodotti di origine vegetale funzionava.

Pensateci: i malati arrivano con una delle patologie più dolorose, frustranti e difficili da curare della scienza medica e tre quarti di loro vengono guariti in pochi giorni grazie a una cura naturale e non tossica, cioè una dieta composta da cibi integrali di origine vegetale. Avrebbe dovuto essere una notizia da prima pagina.

Com’è stato possibile guarire il dolore dovuto a un danno neurologico in così poco tempo? A quanto pareva, la soluzione non aveva a che fare con il calo della glicemia. Ci sono voluti circa dieci giorni prima che la dieta riuscisse a tenere a bada il diabete, ma il dolore è scomparso in soli quattro giorni.109

L’ipotesi più interessante è che gli acidi grassi trans che si trovano nella carne e nei latticini possano causare una risposta infiammatoria nell’organismo dei pazienti. I ricercatori hanno scoperto che una percentuale significativa del grasso sottocutaneo di coloro che mangiavano carne o anche solo latticini e uova, era composta da acidi grassi trans, mentre chi aveva seguito una dieta completamente basata su prodotti integrali di origine vegetale non presentava quantità misurabili di acidi grassi trans nei tessuti.110

I ricercatori hanno applicato degli aghi nelle natiche dei soggetti che avevano seguito diete diverse e hanno scoperto che chi aveva mangiato cibo integrale di origine vegetale per nove mesi o più aveva completamente eliminato gli acidi grassi trans dall’organismo (o quantomeno dalle natiche!).111 Il dolore dovuto alla neuropatia, però, non ha impiegato nove mesi per migliorare, ma qualcosa di più vicino a nove giorni. È più probabile che questa sorprendente remissione fosse dovuta a un miglioramento della circolazione sanguigna.112

I nervi contengono minuscoli vasi sanguigni che si possono occludere, privandoli di ossigeno. Di fatto, alcune biopsie effettuate sui nervi delle gambe di diabetici con una grave neuropatia progressiva hanno mostrato la presenza di arteriopatia nel nervo surale.113 Tuttavia, dopo qualche giorno di dieta sana, la circolazione sanguigna può migliorare fino a far scomparire la neuropatia.114 In media, dopo due anni di alimentazione basata su prodotti di origine vegetale e composta principalmente da riso e frutta, nel 30% dei pazienti possono migliorare anche i problemi della vista dovuti al diabete.115

Perché allora non ho scoperto tutte queste cose alla facoltà di medicina? Perché se si prescrive una dieta sana, e non i farmaci, in America si guadagna ben poco. Lo studio sulla scomparsa del dolore provocato dalla neuropatia è stato pubblicato più di vent’anni fa e quelli sulla remissione della cecità oltre quindici anni fa. Come ha scritto un opinionista, «Il fatto che la comunità medica in generale abbia ignorato questo importante lavoro è quasi inconcepibile».116

 


RAPPORTO CIRCONFERENZA VITA-ALTEZZA CONTRO IMC

L’indice di massa corporea (Imc) funziona meglio del solo peso corporeo come fattore predittivo delle malattie, in quanto prende in considerazione anche l’altezza, ma è da tempo criticato perché non tiene conto della distribuzione o della composizione del nostro peso. Chi pratica body building, ad esempio, ha pochissimo grasso, ma può avere un Imc fuori misura, perché i muscoli pesano più della massa grassa.

Oggi in genere si dà per scontato che i rischi per la salute possano derivare sia dalla distribuzione relativa del grasso corporeo che dalla sua quantità totale.117 Ma qual è il tipo peggiore di grasso? Quello addominale, che si accumula intorno agli organi interni. Il fatto di avere la pancia può essere un fattore predittivo importante di morte prematura.118

Gli uomini della Figura 3 hanno lo stesso Imc, ma la loro distribuzione del peso varia molto dall’uno all’altro. Le persone con la pancia, ossia con il grasso concentrato nella regione addominale, possono avere un’aspettativa di vita più bassa.119

Per fortuna, abbiamo a disposizione uno strumento ben più preciso dell’Imc per determinare i rischi per la salute provocati dal grasso corporeo. Si tratta del rapporto circonferenza vita-altezza.120 Invece di una bilancia, prendete un semplice metro. State dritti e fate un bel respiro, buttate fuori l’aria e prendete la misura. Il girovita (situato a metà tra la parte superiore delle anche e quella inferiore della cassa toracica) dovrebbe misurare metà della vostra altezza; anzi, idealmente dovrebbe essere inferiore. Se invece risulta superiore, è ora di iniziare a mangiare meglio e di fare esercizio fisico in maniera più regolare, a prescindere dal vostro peso.121


  

Negli Stati Uniti il diabete di tipo 2 sta diventando un’epidemia. Secondo il CDC, il 37% degli americani adulti e il 51% degli over sessantacinque ha il prediabete. Stiamo parlando di ottantasei milioni di persone,122 gran parte delle quali diventeranno diabetici conclamati.123 Ma il diabete di tipo 2 si può prevenire, bloccare e persino far regredire attraverso una dieta sufficientemente sana. Purtroppo, però, i medici in genere non parlano ai pazienti di prevenzione. Solo un prediabetico su tre riferisce di essere stato consigliato dal medico di fare esercizio o di mangiare meglio.124 Tra i motivi che spingono i dottori americani a non offrire indicazioni in questo senso vi sono la mancanza di un rimborso assicurativo per il tempo extra speso con il paziente e la scarsità di risorse, tempo e conoscenze.125 In pratica, i medici non vengono formati su come rendere più autonomi i loro pazienti.

L’attuale sistema delle scuole mediche deve ancora adattarsi alla trasformazione delle patologie da acute a croniche. Fare medicina non significa più soltanto aggiustare ossa rotte o curare la faringite streptococcica. In America le malattie croniche come il diabete sono la principale causa di morte e disabilità e fagocitano tre quarti del budget sanitario della nazione. La formazione medica deve ancora riconoscere la natura di patologie che si stanno trasformando e deve imparare a rispondervi, il che oggi impone di concentrarsi sulla prevenzione e sul cambiamento dello stile di vita.126 Quanto sono rimasti indietro, i dottori? In un rapporto dell’Institute of Medicine sulla formazione dei medici si legge che l’approccio di base all’istruzione specifica non è più cambiato dal 1910.127

Non molto tempo fa ho ricevuto un’e-mail che riassume bene la situazione. Tonah, un nativo americano di sessantacinque anni, è stato sottoposto a terapia insulinica per diabete di tipo 2 per ventisette anni. Il medico gli aveva sempre detto che la sua etnia era «geneticamente predisposta» alla malattia. Lui doveva rassegnarsi a conviverci, il che significava anche sopportare neuropatie lancinanti, tre stent coronarici e la disfunzione erettile. Dopo aver guardato il mio video Uprooting the Leading Causes of Death (Eliminare le principali cause di morte) sul sito NutritionFacts.org, sua nipote lo ha convinto a seguire una dieta basata su alimenti di origine vegetale.

Non è stato facile, dato che il negozio di prodotti ortofrutticoli più vicino era a ottanta chilometri da casa. Tuttavia, in meno di due settimane, la vita di Tonah è cambiata completamente. La neuropatia è diminuita, finché ha smesso di tenerlo sveglio di notte. L’uomo ha perso tredici chili nel giro di pochi mesi e non ha più avuto bisogno dell’insulina. Il suo medico non credeva che fosse possibile e ha ordinato una Tac per individuare eventuali tumori: non ce n’erano. Erano anni che Tonah non stava così bene.

«Sono felice che mia nipote non mi veda più come un vecchio malato», ha scritto Tonah concludendo la mail. «Caro dottore, mi sento ringiovanito.»