CAPITOLO 7
COME NON MORIRE DI IPERTENSIONE

L’analisi più sistematica ed esaustiva delle cause di morte mai avviata è stata recentemente pubblicata su «Lancet», una delle riviste scientifiche più autorevoli del mondo.1 Promosso da Bill e Melinda Gates, il Global Burden of Disease Study (Studio globale sul «peso» delle malattie, un sistema di valutazione che stima l’influenza di determinati fattori o gruppi di fattori sulla salute umana) ha chiamato a raccolta quasi cinquecento ricercatori da oltre trecento istituzioni di cinquanta Paesi diversi per esaminare all’incirca centomila fonti di dati.2 I risultati dello studio ci permettono di rispondere a domande tipo «Quante vite potremmo salvare in tutto il mondo se le persone smettessero di bere bibite gassate?» E sapete qual è la risposta? 299.521.3 Ciò significa che le bibite, con le calorie vuote che si portano dietro, non solo non fanno bene alla salute, ma accelerano la nostra dipartita. A quanto pare, però, non sono nocive quanto pancetta, mortadella, prosciutto e würstel. Si ritiene che gli insaccati siano responsabili di oltre ottocentomila decessi all’anno. Su scala globale, parliamo di quattro volte quelli causati dalla droga.4

Lo studio, inoltre, ha individuato i cibi che, se aggiunti alla dieta, possono salvare delle vite. Mangiare più cereali integrali potrebbe salvare 1,7 milioni di persone all’anno. Più verdure? 1,8 milioni di vite. Frutta a guscio e semi? 2,5 milioni di vite. I ricercatori non hanno esaminato i legumi, ma di tutti gli alimenti considerati, qual è quello di cui il mondo ha più bisogno? La frutta. Su scala globale, se l’umanità mangiasse più frutta, potremmo salvare 4,9 milioni di vite: parliamo di quasi 5 milioni di persone che rischiano la vita. La loro salvezza non sta nei farmaci o in un nuovo vaccino, ma potrebbe consistere semplicemente in un maggiore consumo di frutta.5

Stando alle scoperte dello studio, il principale fattore di rischio nel mondo è la pressione alta.6 Nota anche come ipertensione, questa patologia annienta nove milioni di persone all’anno in tutto il globo.7 Uccide tanta gente perché contribuisce a un’ampia gamma di cause di morte, tra cui aneurisma, infarto, insufficienza cardiaca e renale, ictus.

Tutti ci siamo fatti misurare la pressione dal medico almeno una volta. L’infermiera legge due numeri ad alta voce, ad esempio «115 su 75». Il primo rappresenta la pressione arteriosa («sistolica») nel momento in cui il sangue viene pompato dal cuore; il secondo è la pressione arteriosa («diastolica») quando il cuore è a riposo tra un battito e l’altro. L’American Heart Association definisce «normale» una pressione arteriosa con valori di sistolica inferiori a 120 e di diastolica inferiori a 80; in altre parole, 120 su 80. Qualunque valore sopra i 140 su 90 viene considerato ipertensione e quelli nel mezzo sono tipici della preipertensione.8

La pressione alta sottopone il cuore a uno sforzo e può danneggiare i sensibili vasi sanguigni degli occhi e dei reni, causare emorragie cerebrali e persino far sì che alcune arterie si gonfino e si rompano. Il fatto che l’ipertensione possa danneggiare tanti apparati diversi e far aumentare il rischio di patologie cardiache e ictus, due tra le principali cause di morte negli Stati Uniti, spiega come mai è considerato il fattore di rischio numero uno del mondo.

Negli Stati Uniti soffrono di ipertensione quasi settantotto milioni di persone, cioè un adulto su tre.9 Man mano che invecchiamo, la pressione sanguigna tende a salire al punto che, superati i sessant’anni, il 65% degli americani può vedersi diagnosticare l’ipertensione.10 Ciò ha spinto molte persone, medici compresi, a ipotizzare che la pressione alta, come le rughe o i capelli grigi, sia una conseguenza inevitabile dell’invecchiamento. Sappiamo però da quasi un secolo che non è così.

Negli anni Venti del Novecento, i ricercatori misurarono la pressione arteriosa di un migliaio di kenioti che seguivano una dieta povera di sodio basata su alimenti integrali di origine vegetale: cereali integrali, legumi, frutta e verdure a foglia verde, oltre ad altri ortaggi.11 Fino ai quarant’anni, la pressione arteriosa di questi africani delle zone rurali era simile a quella di europei e americani, cioè circa 125 su 80. Però, con l’invecchiamento, la pressione degli occidentali superava quella dei kenioti. A sessant’anni, l’occidentale medio era iperteso, con valori pari a 140 su 90. E i kenioti? Alla stessa età, la loro pressione media era di fatto diminuita e si assestava su una media di 110 su 70.12

La soglia dei 140 su 90 tipica dell’ipertensione viene considerata un limite arbitrario.13 Così come nel caso del colesterolo o del grasso corporeo in eccesso, avere una pressione arteriosa addirittura inferiore al «normale» è un bene. Perciò, anche chi ha una pressione cosiddetta «normale» di 120 su 80 può trarre vantaggio dal farla scendere a 110 su 70.14 È possibile riuscirci? Basta pensare ai kenioti: non solo è possibile, ma è tipico di chi segue uno stile di vita sano e una dieta basata su prodotti di origine vegetale.

In due anni, un ospedale di un’area rurale del Kenya ha ricoverato 1800 pazienti. Quanti, tra questi, avevano la pressione alta? Nessuno. E non c’era neanche un caso del principale killer negli Stati Uniti, l’aterosclerosi.15

Pare dunque che la pressione alta sia il frutto di una scelta. Potete continuare a seguire la classica dieta occidentale che fa scoppiare le arterie oppure scegliere di allentare la pressione. La verità è che eliminare il principale fattore di rischio dell’umanità intera può essere facile: niente farmaci, niente chirurgia. Solo forchette.

 

Il sodio

I due principali fattori di rischio di morte e disabilità su scala mondiale legati alla dieta potrebbero essere: non mangiare abbastanza frutta e assumere troppo sale. Ogni anno muoiono quasi cinque milioni di persone perché non hanno mangiato abbastanza frutta,16 mentre il sale in eccesso può uccidere fino a quattro milioni di individui.17

Il sale è un composto costituito per il 40% da sodio e per il 60% da cloruro. È una sostanza nutritiva fondamentale, ma ci pensano già le verdure e altri alimenti naturali a fornirci la piccola quantità di sodio che ci occorre. Se ne consumiamo troppo, possiamo soffrire di ritenzione idrica e l’organismo può reagire alzando la pressione del sangue per espellere dal sistema i fluidi e il sale in eccesso.18

Durante il primo 90% dell’evoluzione umana, probabilmente abbiamo seguito un regime alimentare che conteneva meno sodio di quanto se ne trova in un quarto di cucchiaino di sale al giorno.19 Come mai? Perché probabilmente mangiavamo soprattutto vegetali.20 Abbiamo vissuto per milioni di anni senza saliere, perciò nel tempo il nostro organismo è diventato una macchina in grado di trattenere il sodio. E questo ci è stato utile finché non abbiamo scoperto che il sale si poteva usare per conservare gli alimenti.21 In assenza della refrigerazione, per l’umanità è stata una manna. Non importava se l’aggiunta di sale ai cibi provocava un aumento generalizzato della pressione arteriosa: l’alternativa era morire di fame perché il cibo andava a male.

Ma dove ci ha portato tutto questo? In fondo non siamo più costretti a vivere di verdure in salamoia e strisce di carne salata ed essiccata. Gli esseri umani sono geneticamente programmati per mangiare dieci volte meno sodio di quanto ne consumiamo oggi.22 Molte delle cosiddette «diete povere di sodio» in realtà sono da considerare ricche di sodio. Ecco perché è fondamentale capire che cosa sia davvero la «normalità» quando si parla di questa sostanza. Assumere una quantità «normale» di sale può determinare una pressione arteriosa «normale», che a sua volta può contribuire a farci morire per cause altrettanto «normali», quali l’infarto o l’ictus.23

L’American Heart Association raccomanda di consumare meno di 1500 milligrammi di sodio al giorno24 – vale a dire circa tre quarti di cucchiaino di sale. L’adulto americano medio ne assume più del doppio, cioè circa 3500 mg al giorno.25 Ridurre il consumo di sodio anche solo del 15% su scala globale potrebbe salvare milioni di vite ogni anno.26

Se riuscissimo a ridurre il consumo di sale di circa mezzo cucchiaino al giorno, e per farlo basterebbe evitare i cibi salati e l’aggiunta di sale alle nostre pietanze, potremmo evitare il 22% dei decessi per ictus e il 16% di quelli per infarto. Potenzialmente salveremmo più vite rispetto a quelle che si risparmierebbero se riuscissimo a curare con successo la gente con i farmaci contro l’ipertensione.27 In parole povere, ridurre il sale è un’azione semplice e alla portata di tutti che potrebbe rivelarsi più efficace di una prescrizione di farmaci. Se mangiassimo meno sale, ogni anno potremmo salvare la vita di novantaduemila americani.28

Che il sodio faccia aumentare la pressione sanguigna è comprovato anche da sperimentazioni cliniche randomizzate in doppio cieco effettuate decenni fa.29 Se prendiamo alcuni soggetti che soffrono di ipertensione e li sottoponiamo a una dieta povera di sodio, la loro pressione diminuisce. Se, continuando la dieta, aggiungiamo un placebo, non accade niente. Se però somministriamo ai soggetti del sale sotto forma di pillola di sodio a rilascio graduale, la loro pressione risale.30 Più sodio somministriamo senza farglielo sapere, più la loro pressione aumenta.31

Anche un solo pasto può bastare. Se prendiamo persone con valori della pressione nella norma e chiediamo loro di mangiare una zuppa contenente la quantità di sale che si trova in un pasto medio americano,32 nelle successive tre ore la loro pressione aumenterà rispetto a quella di chi mangia la stessa zuppa scondita.33 Decine di studi simili dimostrano che, se riduciamo l’assunzione di sale, abbassiamo di conseguenza la pressione. E più questa riduzione è significativa, maggiore sarà il beneficio che ne trarremo. Se però non vi prestiamo attenzione, assumere eccessive quantità di sale può determinare un graduale aumento della pressione nel corso degli anni.34

Un tempo ai medici veniva insegnato che una pressione sistolica «normale» si otteneva grossomodo aggiungendo 100 all’età del soggetto. Si tratta in effetti del valore che abbiamo alla nascita. I neonati hanno una pressione di circa 95 su 60. Man mano che si invecchia, però, quel 95 può salire fino a 120 già verso i vent’anni. A quarant’anni può raggiungere il valore di 140 – limite al di sopra del quale è considerata alta – e continuare a salire con il passare del tempo.35

Che cosa succederebbe se, invece di mangiare dieci volte più sodio di quanto il nostro organismo possa gestire, ne assumessimo la quantità che si trova naturalmente nei cibi integrali? È possibile che la nostra pressione rimanga bassa per tutta la vita? Per mettere alla prova questa teoria, bisognava trovare una popolazione di oggi che non usasse sale, non mangiasse cibi lavorati né andasse al ristorante. Per scoprirla, gli scienziati si sono dovuti inoltrare nei meandri della foresta pluviale amazzonica.36

Ignari dell’esistenza delle saliere, degli snack e del pollo fritto, gli indios Yanomamö consumano la minor quantità di sodio mai registrata prima, quella cioè che l’evoluzione ci ha portato a consumare.37 E, sorpresa!, i ricercatori hanno scoperto che gli Yanomamö più anziani avevano gli stessi valori di pressione sanguigna degli adolescenti.38 In altre parole, da piccoli hanno una pressione media di circa 100 su 60 e la mantengono tale per tutta la vita. I ricercatori non sono riusciti a trovare tra loro un solo caso di ipertensione.39

Ma perché pensiamo che sia colpa del sodio? Dopotutto, gli Yanomamö presi in esame non bevevano alcol, seguivano una dieta ricca di fibre a base di prodotti di origine vegetale, facevano tantissimo esercizio fisico e non erano obesi.40 Ci voleva uno studio interventistico per dimostrare che il colpevole era effettivamente il sodio. Immaginate di prendere persone che stanno per morire di pressione alta (la cosiddetta «ipertensione maligna»), una malattia che rende ciechi per via del sanguinamento degli occhi, provoca blocco renale e insufficienza cardiaca. Che cosa succederebbe se somministrassimo loro la stessa quantità minima di sale assunta dagli Yanomamö, vale a dire una quantità normale per la specie umana?

Sono lieto di presentarvi il dottor Walter Kempner e la sua dieta a base di riso e frutta. Senza ricorrere ai farmaci, è riuscito a portare pazienti con una pressione spaventosa di 240 su 150 a valori di 105 su 80 solo cambiandone la dieta. Ma come ha potuto, dal punto di vista etico, togliere i farmaci a pazienti così gravi? Le moderne pillole contro l’ipertensione non erano ancora state inventate: il dottor Kempner svolse la sua attività negli anni Quaranta del secolo scorso.41

A quell’epoca, l’ipertensione maligna equivaleva a una sentenza di morte e l’aspettativa di vita era di circa sei mesi.42 Ciononostante, il medico fu in grado di far regredire la malattia grazie alla dieta in oltre il 70% dei casi.43 Sebbene il suo regime alimentare non prevedesse soltanto dosi bassissime di sodio (era anche strettamente vegana e povera di grassi e proteine), oggi il dottor Kempner è ricordato come il medico che ha provato, senza ombra di dubbio, che spesso la pressione alta si può abbassare grazie a una dieta povera di sodio.44

Oltre a provocare l’ipertensione, il troppo sale può danneggiare significativamente la funzione arteriosa45 anche in persone la cui pressione non pare subire alterazioni in base alla quantità di sale assunta.46 In altre parole, il sale di per sé può compromettere le nostre arterie indipendentemente dall’impatto che esercita sulla pressione sanguigna, e la sua azione dannosa inizia entro mezz’ora dall’assunzione.47

Usando una tecnica chiamata «flussimetria laser Doppler», i ricercatori possono misurare la pressione dei minuscoli vasi sanguigni della pelle. Dopo un pasto ad alto contenuto di sodio, il flusso sanguigno rallenta in maniera significativa, a meno che non venga iniettata della vitamina C sottopelle, che a quanto pare ripristina la funzione dei vasi sanguigni bloccata dal sodio. Perciò, se un antiossidante aiuta a limitare l’effetto del sodio, il meccanismo grazie al quale il sale danneggia la funzione arteriosa potrebbe essere lo stress ossidativo, cioè la formazione di radicali liberi nel sangue.48 Guarda caso, l’assunzione di sodio pare sopprimere l’attività di un enzima antiossidante fondamentale chiamato «superossido dismutasi»,49 che è in grado di disintossicare l’organismo da un milione di radicali liberi al secondo.50 Quando l’azione di questo enzima stakanovista viene bloccata dal sodio, lo stress ossidativo che porta all’occlusione delle arterie può aumentare.

Dopo un pasto salato, non solo cresce la pressione sanguigna, ma le arterie di fatto iniziano a irrigidirsi.51 È stato forse così che migliaia di anni fa abbiamo capito che troppo sale ci faceva male. Per dirla con un antico testo di medicina cinese, Il canone di medicina interna dell’imperatore: «Se nel cibo viene usato troppo sale, il polso si indurisce...»52 Forse, allora, non abbiamo bisogno di condurre una sperimentazione in doppio cieco: basta che chiediamo a qualcuno di mangiare un sacchetto di patatine fritte e gli/le misuriamo i battiti del polso.

Come è prevedibile, le aziende produttrici di sale non fanno salti di gioia all’idea che mangiamo senza condire. Come ha riportato nel 2009 l’American Heart Association, la direttrice della Commissione nazionale di indirizzo per le linee guida sulla dieta ha dichiarato che gli americani avrebbero dovuto ridurre il consumo di sale. Il Salt Institute, un’organizzazione di categoria dell’industria del sale, l’ha accusata di nutrire un «pregiudizio malsano» nei confronti di questo prodotto, sostenendo che avesse «pre-giudicato la questione del sale».53 È un po’ come l’industria del tabacco che si lamenta perché quelli dell’American Lung Association sono prevenuti nei confronti del fumo. Ovviamente, il Salt Institute non è stato l’unico ente offeso. A quanto pare, nella dieta americana, il formaggio è tra le fonti principali di sodio,54 perciò il National Dairy Council si è unito all’industria del sale nel condannare le raccomandazioni della Commissione di indirizzo per le linee guida sulla dieta.55

L’industria del sale ha le sue società di pubbliche relazioni e di lobbying che mettono in atto le stesse tattiche dell’industria del tabacco al fine di minimizzare i rischi percepiti dei suoi prodotti.56 I veri cattivi, però, non sono necessariamente i baroni delle saline, ma l’industria dei cibi lavorati. Quest’ultima ha un giro di migliaia di miliardi di dollari e vende schifezze piene di sale e zuccheri aggiunti.57 Ecco perché non è facile evitare il sodio, se si segue la dieta americana standard: tre quarti del sale provengono da alimenti lavorati, e non dalla saliera.58 Se ci abituiamo a cibi dolcissimi e salatissimi, le nostre papille gustative si indeboliscono al punto che i cibi naturali ci sembreranno di cartone. E la frutta matura non sarà mai dolce quanto i cereali zuccherati Froot Loops.

Vi sono però altre due ragioni importanti che spingono l’industria alimentare ad aggiungere sale ai cibi. Se saliamo la carne, assorbe acqua. In questo modo, una casa produttrice può far aumentare il peso dei suoi prodotti del 20% circa. Dato che la carne viene venduta al chilo, si tratta del 20% di profitti in più a fronte di un costo aggiuntivo irrisorio. Inoltre, come tutti sanno, mangiare salato fa venire sete. C’è un motivo per cui i bar offrono noccioline e simili, ed è lo stesso per cui i produttori di bibite gassate possiedono anche società che producono snack. Le bibite fresche vanno a braccetto con gli snack salati. Forse non è una coincidenza che la Pepsi e la Frito-Lay, che produce patatine, facciano parte dello stesso gruppo.59

E ora rispondete: quale dei seguenti alimenti contiene più sodio? Una porzione di manzo, una di pollo alla griglia al naturale, una porzione grande di patatine fritte di McDonald’s o una di pretzel salati?

La risposta è: il pollo. L’industria americana del pollame in genere gonfia le carcasse degli animali con acqua salata in modo da aumentarne artificialmente il peso, eppure può comunque definirli «naturali al 100%». «Consumer Reports» ha scoperto che i polli venduti in alcuni supermercati erano stati gonfiati così tanto di sale che il loro contenuto di sodio era schizzato a 840 mg a porzione: un solo petto di pollo conteneva più della quantità giornaliera di sodio consentita.60

La fonte principale di sodio per i bambini e gli adolescenti americani è la pizza.61 Una fetta di Pizza Hut ai peperoni può contenere metà della dose giornaliera raccomandata.62 Per gli adulti sopra i cinquanta è il pane, ma tra i venti e i cinquanta la fonte primaria di sodio è il pollo, e non, come potremmo aspettarci, le zuppe in lattina, i pretzel o le patatine fritte.63

Come possiamo vincere il desiderio di consumare sempre più sale, zucchero e grassi? Datevi solo qualche settimana e vedrete che le vostre papille gustative inizieranno a cambiare. Quando i ricercatori hanno sottoposto alcuni soggetti a una dieta povera di sale, con il passare del tempo questi hanno imparato ad apprezzare la zuppa senza sale, arrivando a rifiutare quella salata che fino a poco prima amavano mangiare. Con il procedere della sperimentazione, quando i partecipanti hanno avuto il permesso di salare la zuppa a piacere, hanno preferito mettere sempre meno sale man mano che le papille si abituavano a livelli di sodio più sani.64

Lo stesso vale anche per lo zucchero e i grassi. È probabile che noi esseri umani riconosciamo il gusto dei grassi, così come il dolce, l’acido e il salato.65 I soggetti che avevano seguito una dieta povera di lipidi hanno iniziato a preferire cibi poco grassi.66 Di fatto la lingua può diventare più sensibile ai grassi e, più lo diventa, meno burro, carne, latticini e uova desideriamo mangiare. Al contrario, se assumiamo quantità eccessive di questi cibi, rischiamo di smorzare la sensibilità gustativa nei confronti dei grassi, il che a sua volta può spingerci a ingerire più calorie e più grassi, latticini, carne e uova e, alla fine, può farci ingrassare,67 il tutto nel giro di poche settimane.68

Ci sono tre cose che possiamo fare per disabituarci al sale.69 Primo, non metterlo in tavola. (Una persona su tre aggiunge il sale ancora prima di avere assaggiato ciò che ha nel piatto!)70 Secondo, smettere di aggiungerlo quando cuciniamo. All’inizio il cibo sembra insipido, ma nel giro di due-quattro settimane i recettori del gusto salato diventano più sensibili e il cibo più saporito. Che ci crediate o meno, dopo due settimane potreste addirittura preferire i cibi senza sale.71 Provate invece una combinazione qualunque di condimenti fantastici come pepe, cipolle, aglio, pomodori, peperoni, basilico, prezzemolo, timo, sedano, lime, peperoncino in polvere, rosmarino, paprika affumicata, curry, coriandolo e limone.72 Inoltre, potrebbe essere una buona idea evitare il più possibile di mangiare fuori casa. Anche i ristoranti tendono a esagerare con il sale.73 Infine, fate il possibile per evitare i cibi lavorati.

In gran parte dei Paesi analizzati, questi cibi forniscono solamente la metà della dose giornaliera di sodio, ma negli Stati Uniti ne consumiamo così tanti che anche se smettessimo di aggiungere sale ai pasti preparati a casa, ridurremmo solo di pochissimo la quantità di sodio assunta.74 Cercate di comprare alimenti con un contenuto di sodio in milligrammi inferiore ai grammi di una porzione (basta leggere l’etichetta). Ad esempio, se la porzione è di 100 grammi, il prodotto dovrebbe contenere meno di 100 mg di sodio.75 In alternativa, potete puntare ad assumere meno milligrammi di sodio per porzione rispetto alle calorie. È un trucchetto che ho imparato da uno dei miei dietologi preferiti, Jeff Novick. Molte persone ingeriscono 2200 calorie al giorno, perciò se quello che mangiate ha più calorie che sodio, probabilmente sarete sotto al limite massimo delle Dietary Guidelines for Americans, pari a 2300 mg di sodio al giorno.76

L’ideale, però, sarebbe comprare soprattutto cibi senza etichetta. È praticamente impossibile seguire una dieta a base di alimenti naturali e non lavorati che oltrepassi il limite di 1500 mg al giorno raccomandato dall’American Heart Association per contenere il sodio.77

Cereali integrali

In media, i farmaci contro l’ipertensione riducono il rischio di infarto del 15% e quello di ictus del 25%.78 In uno studio randomizzato e controllato, però, è stato dimostrato che tre porzioni di cereali integrali al giorno aiutavano le persone ad abbassare la pressione.79 Lo studio ha rivelato che una dieta ricca di cereali integrali apporta gli stessi vantaggi senza gli effetti negativi che in genere sono associati ai farmaci contro l’ipertensione, vale a dire squilibrio elettrolitico in chi assume diuretici,80 aumento del rischio di cancro al seno in donne che prendono calcio-antagonisti (come il Norvasc o il Diltiazem),81 letargia e impotenza in chi assume betabloccanti (come il metoprololo tartrato e il nadololo),82 edemi improvvisi e potenzialmente letali in chi prende ACE-inibitori (come il Naprilene o l’Enapren e il Triatec),83 e infine aumento del rischio di gravi traumi da caduta legato praticamente a tutti i tipi di farmaci per la pressione.84

Anche i cereali integrali hanno degli effetti collaterali, ma sono positivi! L’assunzione di questi alimenti è associata a una diminuzione del rischio di diabete di tipo 2, coronaropatia, aumento di peso85 e carcinoma del colon-retto.86 Tenete però presente la parola integrali. Se da un lato si sa che avena, farina e riso integrali sono in grado di ridurre il rischio di malattie croniche,87 i cereali raffinati possono invece farlo aumentare. I ricercatori dell’Università di Harvard, ad esempio, hanno scoperto che, mentre il consumo regolare di riso integrale è associato a un minore rischio di insorgenza del diabete di tipo 2, quello di riso bianco è associato a un rischio maggiore. Porzioni giornaliere di riso bianco sono state associate a un aumento del rischio di diabete del 17%, mentre se si sostituiva un terzo di porzione al giorno con del riso integrale, il rischio calava del 16%. E a quanto pare sostituire il riso bianco con avena e orzo potrebbe essere anche meglio, perché si associa a una riduzione fino al 36% del rischio di diabete.88

Dato che durante gli studi clinici sui cereali integrali i fattori di rischio cardiaco migliorano,89 non sorprende registrare un rallentamento nel decorso delle arteriopatie tra coloro che mangiano regolarmente questi alimenti. Negli studi condotti su due delle principali arterie del nostro organismo, quelle coronariche che portano sangue al cuore e quelle carotidee che alimentano il cervello, chi mangiava più cereali integrali presentava un restringimento delle arterie molto più lento.90, 91 Dato che le placche aterosclerotiche nelle arterie sono il killer numero uno negli Stati Uniti, l’ideale sarebbe non solo rallentare il processo, ma di fatto arrestarlo o addirittura farlo regredire. Come abbiamo visto nel capitolo 1, pare che ciò richieda qualcosa di più dei cereali integrali; ci vogliono anche verdure, frutta, legumi e altri cibi vegetali integrali, oltre a una drastica riduzione degli acidi grassi trans, dei grassi saturi e del colesterolo, le componenti alimentari che favoriscono l’occlusione delle arterie.

 

Che cos’è la dieta DASH?

E se anche noi avessimo già la pressione alta, come accade a settantotto milioni di americani? Come potremmo abbassarla?

L’American Heart Association (AHA), l’American College of Cardiology (ACC) e i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) raccomandano ai pazienti di provare innanzitutto a cambiare il proprio stile di vita, ad esempio dimagrendo, limitando il consumo di alcol e sodio, facendo più esercizio fisico e seguendo una dieta più sana.92

Tuttavia, se questa soluzione non funziona, la seconda opzione consiste nei farmaci. Si parte da un diuretico e, nel tempo che ci si impiega a dire «cocktail di farmaci», le medicine continuano ad accumularsi finché la pressione cala. I pazienti che soffrono di ipertensione in genere finiscono per assumere tre diversi farmaci per volta,93 eppure solo la metà dei malati continua a prendere anche solo quelli principali.94 (Ciò dipende in parte dagli effetti collaterali, tra cui si annoverano disfunzione erettile, affaticamento e crampi alle gambe.)95 In conclusione, i farmaci non sono ancora riusciti ad arrivare alla radice del problema. La pressione alta non è causata dal fatto di assumere poche medicine, ma da ciò che mangiamo e dallo stile di vita che conduciamo.

Come abbiamo già detto, la pressione ideale, cioè il livello sotto il quale scendere ulteriormente non apporterebbe alcun beneficio, è probabilmente intorno ai 110 su 70.96 Ma è possibile abbassarla così tanto senza medicinali? Ricordate che questi erano i valori medi degli ultrasessantenni dell’Africa rurale che non si curavano se non attraverso una dieta tradizionale basata su prodotti di origine vegetale e un certo stile di vita.97 Nella Cina agricola, riscontriamo valori simili: 110 su 70 per tutta la vita, senza incrementi legati all’età.98 Si pensa che ciò dipenda dal fatto che la loro dieta si basa su prodotti di origine vegetale, perché nel mondo occidentale l’unico gruppo abitualmente in grado di raggiungere tali valori è costituito dai vegetariani.99

A fronte di ciò, le linee guida di AHA, ACC e CDC raccomandano forse a chi soffre di pressione alta di non mangiare carne? No, consigliano la dieta DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension, Approcci dietologici per sconfiggere l’ipertensione), un piano alimentare specificamente ideato per abbassare la pressione sanguigna.100 Sebbene sia stata descritta come una dieta latto-vegetariana101 (latticini sì, ma niente carne né uova), la definizione non è accurata. La dieta DASH lascia molto spazio a frutta, verdura e latticini a basso contenuto di grassi, ma la carne è comunque presente: se ne deve semplicemente mangiare di meno.102

Perché non raccomandare una dieta con una maggior quantità di prodotti di origine vegetale? Da decenni sappiamo che «una volta eliminati i fattori legati all’età e al peso, gli alimenti di origine animale sono associati in maniera fortemente significativa alla P[ressione] S[anguigna] sistolica e diastolica».103 Questa citazione è tratta da una serie di studi condotti dal celebre medico Frank Sacks e colleghi negli anni Settanta del secolo scorso, ma esistono ricerche che risalgono addirittura agli anni Venti le quali dimostrano che aggiungere la carne a una dieta vegetariana può far aumentare la pressione in modo significativo nell’arco di pochi giorni.104

Perché dunque la dieta DASH prevede la carne? Partendo dal lavoro del dottor Sacks all’Università di Harvard, l’American Heart Association ha ammesso che «[a]lcuni dei valori più bassi di pressione sanguigna registrati nei Paesi industrializzati si riscontrano nei vegetariani stretti...»105 Forse chi ha inventato la dieta DASH non era a conoscenza del lavoro del dottor Sacks? No, il presidente della commissione che ha ideato la dieta era il dottor Sacks.106

La ragione per cui questo regime alimentare si ispira esplicitamente alle diete vegetariane ma comprende comunque la carne potrebbe sorprendervi. Il suo obiettivo principale era fornire un regime alimentare «in grado di apportare il beneficio di un abbassamento della pressione, tipico delle diete vegetariane, ma di includere prodotti di origine animale in quantità sufficiente da risultare appetibile per i non vegetariani...»107 Il dottor Sacks aveva persino dimostrato che più i vegetariani mangiavano latticini, più la loro pressione saliva.108 Purtroppo, il celebre medico ritenne che non avesse senso imporre una dieta che avrebbero seguito solo in pochi. Questa idea ricorre spesso nelle raccomandazioni ufficiali sull’alimentazione: invece di dirvi semplicemente che cosa è stato dimostrato dalla scienza e lasciarvi la facoltà di decidere da soli, gli esperti vi trattano con condiscendenza e propongono ciò che gli sembra pratico da attuare, non ciò che è ideale. Prendendo la decisione al posto vostro, ostacolano chi vorrebbe apportare alla propria vita ulteriori cambiamenti a beneficio della salute.

La dieta DASH aiuta ad abbassare la pressione sanguigna, ma il suo effetto principale pare dovuto non all’adozione di una dieta povera di latticini e carne bianca o alla riduzione di dolciumi e lipidi, ma all’aggiunta di frutta a verdura.109 Se i vantaggi sono dovuti all’aggiunta di prodotti di origine vegetale, perché non fare di tutto perché la dieta delle persone si basi su questi?

La faccenda è ancora più urgente, data la meta-analisi (una serie di studi di natura simile) del 2014 secondo la quale le diete vegetariane potrebbero essere particolarmente efficaci nell’abbassare la pressione.110 E, forse, più verdure aggiungiamo, meglio è. Le diete prive di carne «proteggono dalle patologie cardiovascolari [...] da alcuni tipi di cancro e dal rischio di morte in generale», ma pare che quelle vegane «offrano una protezione aggiuntiva contro obesità, ipertensione, diabete di tipo 2 e morte per malattie cardiovascolari».111

Pare dunque che più prodotti di origine vegetale mangiamo, maggiore sia il calo graduale dell’ipertensione. Secondo lo studio condotto su 89.000 californiani di cui abbiamo parlato nel capitolo 6, se paragonati ai soggetti che mangiano carne più di una volta alla settimana, i semivegetariani (che la mangiano poche volte al mese) avevano valori della pressione inferiori del 23%. Chi non mangiava carne ma solo pesce aveva un rischio di ipertensione più basso del 38% e chi non mangiava né carne né pesce lo aveva inferiore del 55%. Infine, chi eliminava carne, uova e latticini presentava i valori migliori, con una riduzione del rischio di ipertensione del 75%. Quindi, chi adottava una dieta completamente vegana aveva di fatto cancellato tre quarti del rischio di essere colpito da questa patologia killer.112

Quando poi gli scienziati hanno preso in esame il diabete e il peso corporeo, hanno riscontrato gli stessi evidenti miglioramenti graduali, parallelamente alla progressiva riduzione del consumo di prodotti animali e all’incremento di quelli vegetali. Chi seguiva una dieta vegetariana presentava solo una frazione del rischio di diabete, anche dopo aver tenuto conto dei benefici dovuti al dimagrimento,113 ma che dire dell’ipertensione? In media, i vegetariani pesano circa 13 chili meno di chi segue la dieta tradizionale.114 Forse hanno una pressione così perfetta solo perché sono molto più magri? In altre parole, gli onnivori magri quanto i vegani hanno la loro stessa pressione sanguigna?

Per rispondere alla domanda, i ricercatori dovevano trovare un gruppo di individui che seguissero la dieta standard americana ma che fossero anche magri come i vegani. Per farlo, hanno chiamato a raccolta dei corridori di fondo e resistenza che avevano corso in media settantasette chilometri alla settimana per ventuno anni. Correndo quasi due maratone alla settimana per tanti anni, chiunque può diventare magro come un vegano, indipendentemente da ciò che mangia! I ricercatori hanno poi confrontato questi atleti con altri due gruppi: carnivori sedentari che facevano esercizio fisico per meno di un’ora a settimana e sedentari vegani che mangiavano soprattutto alimenti crudi e non lavorati.

Che cosa è emerso? Come c’era da aspettarsi, i corridori di resistenza che seguivano la dieta standard americana avevano in media una pressione migliore dei loro corrispettivi carnivori sedentari: 122 su 72 contro 132 su 79 (che corrisponde alla preipertensione). E che ne era dei sedentari vegani? In media avevano uno straordinario 104 su 62.115 Evidentemente, anche se si corrono 3200 chilometri l’anno, il fatto di seguire la dieta americana standard non aiuta ad abbassare la pressione ai valori dei vegani pantofolai.

 


CHE COSA MANGIARE PER PROTEGGERSI DALL’IPERTENSIONE

Una dieta povera di sodio composta principalmente da prodotti di origine vegetale è il modo migliore per abbassare i valori della pressione sanguigna. E se fossimo già vegetariani ma i 110 su 70 fossero ancora un miraggio? Esistono alcuni cibi che possono offrirci una protezione aggiuntiva.

Ho già parlato dei cereali integrali, e tratterò più in dettaglio i semi di lino, il karkadè e le verdure ricche di nitrati. I semi di lino macinati, da soli, «hanno prodotto l’effetto più rilevante sulla pressione mai raggiunto con un intervento dietetico».116 Mangiarne anche solo qualche cucchiaino al giorno pare essere da due a tre volte più efficace che seguire un programma di esercizio fisico aerobico di resistenza117 (il che non esclude di fare entrambe le cose: inserire i semi di lino nel vostro regime alimentare e fare esercizio fisico).

Il consumo di verdure sia cotte che crude è associato alla pressione bassa, ma quelle crude possono offrire una protezione leggermente maggiore.118 Alcuni studi hanno anche scoperto che mangiare fagioli, piselli spezzati, ceci e lenticchie contribuisce a proteggerci un po’,119 quindi sarebbe bene aggiungerli alla lista della spesa. Anche il vino rosso può aiutare, ma solo se è analcolico. Soltanto quello privo di alcol pare abbassare la pressione del sangue.120

L’anguria fa la sua parte nel proteggerci, il che è un’ottima (e deliziosa) notizia, ma per avvertire qualche cambiamento ne dovremmo mangiare circa 900 grammi al giorno.121 I kiwi, invece, hanno fatto fiasco. In uno studio finanziato da una casa produttrice, è risultato che questo frutto non offre alcuna protezione dall’ipertensione.122 Forse l’industria del kiwi dovrebbe farsi dare una dritta dal California Raisin Marketing Board, la commissione californiana per la promozione dell’uvetta, che ha finanziato uno studio per dimostrare che le uvette possono ridurre la pressione sanguigna. Per ingigantirne i benefici, hanno usato un gruppo di controllo che mangiava cibo spazzatura. Lo studio, pertanto, ha concluso che le uvette possono abbassare la pressione, ma solo, a quanto risulta, se paragonate ai cookies al caramello o al cioccolato Chips Ahoy e agli snack al formaggio Cheez-it!123


 

Semi di lino

Nei Capitoli 11 e 13 vedremo quanto possano essere efficaci i semi di lino contro il cancro al seno e il tumore alla prostata, ma quando gli scienziati li definiscono «miracolosi», bisogna prenderli con le molle. (Una rivista medica specializzata ha pubblicato un articolo intitolato Flaxseed: A Miraculous Defense Against Some Critical Maladies, ossia Semi di lino: una difesa miracolosa contro alcune gravi malattie.)124 Eppure, uno studio clinico di alto profilo pubblicato su «Hypertension» suggerisce che, in questo caso, il termine «miracoloso» potrebbe non essere così sbagliato.

È raro vedere uno studio sulla dieta di questo calibro: si trattava di una sperimentazione prospettica in doppio cieco, controllata da placebo e randomizzata. Era difficile portarla a termine con il cibo. Se lo studio è sui farmaci, è facile condurlo in cieco: i ricercatori somministrano a un soggetto una pillola di zucchero identica al farmaco, in modo che né i partecipanti né il somministratore possa distinguerle (per questo si chiama «doppio-cieco»). Ma com’è possibile fare una cosa simile con il cibo? Se versate un quarto di tazza di semi di lino macinati nel piatto che hanno davanti, le persone se ne accorgono.

Perciò i ricercatori hanno pensato a una strategia per ovviare al problema. Hanno creato una serie di ricette di piatti noti, tra cui i muffin e la pasta, in cui hanno potuto inserire ingredienti placebo come crusca e melassa perché avessero consistenza e colore simili ai cibi a cui erano stati aggiunti i semi di lino. In questo modo, sono riusciti a randomizzare le persone in due gruppi e a introdurre di nascosto ogni giorno alcuni cucchiai di semi di lino appena macinati nella dieta di metà dei partecipanti, per vedere se si riscontravano differenze degne di nota.

Dopo sei mesi, coloro che avevano mangiato i cibi placebo ebbero un inizio di ipertensione, che poi si mantenne costante nonostante molti di loro stessero prendendo una serie di farmaci mirati. In media, all’inizio dello studio avevano valori di 155 su 81 e alla fine di 151 su 81. E gli ipertesi che senza saperlo avevano mangiato semi di lino tutti i giorni? La loro pressione era scesa da 152 su 82 a 143 su 75. Forse una diminuzione di sette punti della diastolica potrebbe sembrare poco, ma nel tempo può portare al 46% di ictus e al 29% di malattie cardiache in meno.125

E come se la sono cavata i semi di lino rispetto ai farmaci? I semi sono riusciti ad abbassare la pressione sistolica e diastolica dei soggetti rispettivamente di un massimo di 15 e 7 punti; se mettiamo a confronto questi risultati con l’effetto di potenti farmaci contro l’ipertensione, come ad esempio i calcio-antagonisti (Norvasc, Diltiazem o Adalat), che riducono la pressione di soli 8 e 3 punti rispettivamente, o agli ACE-inibitori (Naprilene o Enapren, benazepril, lisinopril e ramipril), che l’abbassano rispettivamente di soli 5 e 2 punti,126 i semi di lino macinati potrebbero funzionare da due a tre volte meglio di questi medicinali e hanno solo effetti collaterali positivi. Oltre a possedere proprietà antitumorali, stando agli studi clinici aiutano anche a tenere sotto controllo il colesterolo, i trigliceridi e la glicemia; inoltre riducono le infiammazioni e sono efficaci in caso di costipazione.127

 

Il karkadè contro l’ipertensione

Il karkadè si ottiene dal fiore dell’Hibiscus sabdariffa ed è noto anche come «tè rosa dell’Abissinia». Grazie al suo sapore aspro, simile a quello del mirtillo rosso, e al colore rosso acceso, questo tè alle erbe viene servito e gustato sia caldo che freddo in tutto il mondo. In un confronto sul contenuto di antiossidanti di 280 bevande comuni, il karkadè è risultato il numero uno, battendo altri giganti come l’osannato tè verde.128 Nel giro di un’ora da quando lo si beve, il potere antiossidante del sangue sale vertiginosamente, dimostrando che i fitonutrienti antiossidanti di questa bevanda vengono assorbiti dall’organismo.129 Che effetti può avere questo infuso sulla salute?

Purtroppo si è rivelato scarsamente efficace contro l’obesità. Dopo aver somministrato per mesi del karkadè a persone sovrappeso, i ricercatori sono riusciti a dimostrare solamente che, rispetto ai soggetti sottoposti a placebo, il dimagrimento è stato di mezzo chilo al mese.130 I primi studi sulla capacità di abbassare il colesterolo facevano sperare bene, in quanto suggerivano che due tazze di karkadè al giorno per un mese avrebbero potuto farlo diminuire dell’8%,131 ma quando queste ricerche sono state analizzate insieme, i risultati sono apparsi insignificanti.132 Ciò si potrebbe spiegare con il fatto che, per qualche motivo, il karkadè pareva efficace solo sulla metà circa dei soggetti. Perciò, se rientrate nella metà fortunata, potreste avere un calo del colesterolo fino al 12%.133

Ma il karkadè fornisce risultati brillanti quando si ha a che fare con l’ipertensione.134 Uno studio in doppio cieco e controllato da placebo condotto dalla Tufts University ha messo a confronto il karkadè con una bevanda di aspetto simile, colorata e aromatizzata artificialmente, e ha dimostrato che tre tazze di karkadè al giorno abbassano la pressione degli adulti preipertesi molto più delle tazze di placebo.135 Sì, ma quanto di più? Quanto è efficace il karkadè rispetto ad altri tipi di intervento?

La sperimentazione clinica PREMIER ha randomizzato ­centinaia di uomini e donne con la pressione alta suddividendoli in un gruppo di controllo al quale si davano solo consigli e un gruppo di intervento attivo sullo stile di vita. Al gruppo di controllo è stata consegnata una brochure ed è stato detto di dimagrire, ridurre il consumo di sale, fare più esercizio fisico e mangiare più sano in generale (ossia seguire la dieta DASH). Il gruppo di intervento comportamentale ha ricevuto le stesse istruzioni ma in più è stato sottoposto a sedute individuali e incontri di gruppo, ha tenuto un diario alimentare ed è stato monitorato relativamente a calorie, attività fisica e assunzione di sodio.

Nell’arco di sei mesi, il gruppo di intervento ha ottenuto, rispetto a quello di controllo, un calo di 4 punti nella pressione sistolica. Potrebbe sembrare poco, ma se ragioniamo in termini di popolazione, un calo di 5 punti potrebbe portare al 14% in meno di decessi per ictus, al 9% in meno di infarti mortali e al 7% in meno di decessi totali all’anno.136 Intanto, nella sperimentazione della Tufts, una tazza di karkadè a ogni pasto è riuscita a far calare la pressione sistolica dei soggetti di 6 punti in più rispetto al gruppo di controllo.137

Per abbassare la pressione dovremmo dimagrire, ridurre il consumo di sale, fare più esercizio fisico e mangiare più sano, ma le prove dimostrano che aggiungere il karkadè alla nostra routine quotidiana può offrire benefici supplementari, paragonabili addirittura a quelli offerti dai farmaci contro l’ipertensione. Se messe a confronto con il farmaco più diffuso contro l’ipertensione, due tazze di karkadè concentrato ogni mattina (per un totale di cinque bustine) sono risultate efficaci nell’abbassare la pressione quanto una dose iniziale di Capoten due volte al giorno.138

Tuttavia, vi sono delle differenze: il Capoten può avere effetti collaterali, in genere eruzioni cutanee, tosse e disturbi del gusto (disgeusia), e può persino, anche se molto raramente, causare un edema letale alla gola.139 Il karkadè, invece, non ha effetti collaterali noti, anche se è molto aspro. Se decidete di berlo, assicuratevi poi di sciacquarvi la bocca con l’acqua, in modo da impedire che gli acidi naturali dell’infuso corrodano lo smalto dei denti.140 E, dato l’altissimo contenuto di manganese,141 per non avere problemi è meglio evitare di berne più di 940 ml al giorno.

La forza del NO

Il monossido di azoto (la cui molecola è NO) è un messaggero biologico importante dell’organismo e il suo messaggio è: «Apriti Sesamo!» Quando viene rilasciato dal tessuto endoteliale (cioè dalle cellule che rivestono la superficie interna delle arterie), segnala alle fibre muscolari delle arterie di rilassarsi, permettendo loro di aprirsi e di accogliere più sangue. Le pillole alla nitroglicerina funzionano proprio così: il farmaco, che viene assunto quando si avverte dolore al petto, si trasforma in NO, che dilata le arterie coronariche e fa sì che al muscolo cardiaco arrivi più sangue. Le pillole contro la disfunzione erettile (DE) come il Viagra funzionano allo stesso modo; aumentano il segnale del monossido di azoto, che a sua volta rilassa le arterie del pene e aumenta l’afflusso di sangue all’organo sessuale.

La DE di cui ci si deve preoccupare davvero, però, è la disfunzione endoteliale, cioè l’incapacità dell’endotelio arterioso di produrre abbastanza NO da dilatare adeguatamente le arterie. Il monossido di azoto viene prodotto da un enzima chiamato NO-sintasi. I suoi peggiori nemici sono i radicali liberi, che non solo divorano il monossido di azoto, ma possono sequestrare il NO-sintasi e costringerlo a produrre altri radicali liberi.142

Senza sufficienti quantità di NO, le arterie possono indurirsi, funzionare peggio e far aumentare la pressione sanguigna e il rischio di infarto.

Pertanto, occorre eliminare i radicali liberi e fare in modo che il NO-sintasi riprenda a svolgere il proprio lavoro, cioè mantenere le arterie perfettamente funzionanti, fornendo all’organismo cibi vegetali ricchi di antiossidanti. Esiste uno strumento agli ultrasuoni usato dai ricercatori per misurare la dilatazione arteriosa indotta dal NO. Uno studio che si è avvalso di questa tecnica ha scoperto che, se prendiamo alcune persone che seguono la dieta occidentale standard e facciamo assumere

loro ancora meno antiossidanti, la dilatazione arteriosa peggiora soltanto un po’. Pare infatti che, in questi casi, tale funzione sia già ridotta al minimo, perciò non vi sono molte possibilità di peggioramento. Invece, facendo seguire ai soggetti di studio una dieta altamente antiossidante, grazie a semplici accorgimenti come passare dalle banane ai frutti di bosco e dal cioccolato bianco a quello fondente, nell’arco di due sole settimane si è registrato un significativo aumento della capacità delle arterie di rilassarsi e dilatarsi normalmente.143

Oltre a mangiare cibi ricchi di antiossidanti che possono migliorare la capacità dell’organismo di produrre NO, si possono consumare anche determinati ortaggi, come le barbabietole e le verdure a foglia verde, che sono ricchissime di nitrati naturali, i quali vengono trasformati in monossido di azoto dall’organismo. (Vedi capitolo 10 per le differenze tra nitrati e nitriti.) Questo processo spiega come mai i ricercatori hanno ottenuto nei volontari un calo di dieci punti della pressione sistolica solo poche ore dopo che questi avevano assunto succo di barbabietola; l’effetto si è poi protratto per tutto il giorno.144

Lo studio, però, è stato condotto su un gruppo di partecipanti sani. Ovviamente occorre testare il potere delle barbabietole nelle situazioni più importanti, e cioè su persone che soffrono di ipertensione. Se le verdure ricche di nitrati possono influenzare tanto il principale fattore di rischio di morte dell’umanità, perché abbiamo dovuto aspettare il 2015 prima che venisse pubblicato uno studio simile? La risposta è: chi avrebbe dovuto finanziarlo, la famosa industria della barbabietola? Le aziende farmaceutiche incassano oltre 10 miliardi l’anno dalla vendita di medicinali per la pressione.145 Con le barbabietole non si possono fare numeri del genere, ecco perché siamo fortunati ad avere associazioni benefiche come la British Heart Foundation, che ha sovvenzionato uno studio sul succo di barbabietola condotto su individui con la pressione alta.

A metà dei soggetti è stato chiesto di bere una tazza di succo di barbabietola al giorno per quattro settimane, mentre all’altra metà è stata data una bevanda placebo priva di nitrati ma di uguale aspetto. I ricercatori hanno scoperto che nel gruppo che beveva il succo vero, non solo la pressione sistolica era scesa di otto punti, ma i benefici crescevano con il passare delle settimane, indicando che, con ogni probabilità, la loro pressione sarebbe migliorata ulteriormente. Gli scienziati hanno concluso che «le verdure ricche di nitrati possono risultare convenienti dal punto di vista della spesa, efficaci e positive per l’ipertensione per quanto riguarda la salute pubblica».146

La dose ottimale è risultata essere mezza tazza,147 ma il succo di barbabietola è deperibile, viene confezionato industrialmente ed è difficile da trovare. Una tipica lattina di barbabietole da 425 grammi può fornire la stessa dose di nitrati, ma le fonti più concentrate di questo composto sono le verdure a foglia verde scura. Nella tabella che segue troverete i dieci alimenti più ricchi di nitrati, in ordine crescente. Come vedrete, otto di questi sono verdure a foglia verde.

 


LE 10 PRINCIPALI FONTI ALIMENTARI DI NITRATI

10. Barbabietole

9. Bietole

8. Insalata gentilina

7. Foglie di barbabietola

6. Basilico

5. Foglie di cavolo novello

4. Lattuga cappuccio

3. Coriandolo

2. Rabarbaro

1. Rucola


 

La rucola è al primo posto con un contenuto di nitrati di 480 mg per porzione di 100 grammi, cioè oltre il quadruplo di quello delle barbabietole.148

Il modo più sano di assumere la dose giusta di nitrati è mangiare una bella insalata tutti i giorni. Si possono sempre prendere integratori alimentari di nitrati e monossido di azoto, ma si è visto che non sono molto sicuri149 né efficaci150, pertanto è meglio evitarli. E i celebri succhi prodotti dalla V8, che vantano una grande quantità di succo di barbabietola e spinaci? Be’, non devono averne poi tanta, dato che per raggiungere la dose giornaliera raccomandata di nitrati dovreste berne otto litri.151

I benefici dei nitrati possono spiegare come mai il consumo di verdure a foglia verde sia associato a una riduzione delle malattie cardiache152 e all’aumento dell’aspettativa di vita,153 per non parlare dell’effetto «Viagra vegetale». Sì, avete letto bene: esiste un legame tra il consumo di verdure e il miglioramento della funzione sessuale,154 così come dell’afflusso di sangue al nostro organo più importante, il cervello.155 E l’unico effetto collaterale del consumo di barbabietole potrebbe essere l’aggiunta di un po’ di colore alla vostra vita, vale a dire una bella tinta rosata delle feci e dell’urina.

 


DOPARSI CON IL SUCCO DI BARBABIETOLA

Una Lamborghini va più veloce di una vecchia carretta perché la chimica della combustione della benzina di una macchina sportiva è diversa da quella di un bidone. La Lamborghini va più forte perché ha un motore più potente. Allo stesso modo, gli atleti hanno muscoli più grandi e riescono a irrorarli di ossigeno più in fretta. Fondamentalmente, però, la quantità di energia che l’organismo riesce a ricavare dall’ossigeno è la stessa... o almeno, così pensavamo.

Cinque anni fa, uno dei fondamenti della fisiologia della sport è stato scardinato, e tutto per colpa del succo di barbabietola.

I nitrati, che si trovano in alte concentrazioni nelle verdure e foglia verde e nelle barbabietole, non solo contribuiscono a portare sangue ossigenato ai muscoli dilatando le arterie, ma permettono anche all’organismo di ricavare più energia da quello stesso ossigeno, cosa che prima non era ritenuta possibile. Ad esempio, si è scoperto che una dose minima di succo di barbabietola permette a chi fa apnea di trattenere il respiro per mezzo minuto in più.156 Dopo aver sorseggiato il succo, alcuni ciclisti sono riusciti a ottenere prestazioni pari a quelle del gruppo sotto placebo, consumando però il 19% di ossigeno in meno. Poi, quando hanno aumentato la resistenza della bici per una sessione di «pedalate sotto sforzo intenso», la soglia dello sfinimento è salita da 9 minuti e 43 secondi a 11 minuti e 15 secondi. Il gruppo che aveva bevuto il succo mostrava di avere più resistenza, utilizzando al contempo meno ossigeno. In breve, il succo di barbabietola ha reso molto più efficiente la produzione energetica dei ciclisti. Nessun farmaco, steroide, integratore o altro tipo di intervento aveva mai dimostrato di poter fare ciò che ha fatto il succo di barbabietola.157

Il discorso vale anche per le barbabietole intere. In un altro studio, alcuni uomini e donne che avevano mangiato una tazza e mezza di barbabietole al forno settantacinque minuti prima di partecipare a una corsa di 5 chilometri hanno migliorato le loro prestazioni e mantenuto al contempo lo stesso battito cardiaco, riferendo addirittura di aver fatto meno fatica.158 Minor tempo di percorrenza con meno sforzo? Signore e signori, ecco le meravigliose barbabietole!

Da quanto risulta, per massimizzare le prestazioni atletiche, la dose e la tempistica ideali sono mezza tazza di succo di barbabietola (o tre barbabietole da 7,5 centimetri, o una tazza di spinaci cotti159) da assumere due-tre ore prima della gara.160

I notiziari sportivi parlano sempre degli steroidi e di altri farmaci illegali che migliorano le prestazioni. Perché nessuno ha mai citato queste verdure potenti e perfettamente legali che producono gli stessi risultati? Chissà!


 

È facile ignorare o posticipare un controllo della pressione. Al contrario di quanto accade per molte altre malattie killer, le insidiose conseguenze dell’ipertensione potrebbero non manifestarsi finché non veniamo portati via su un’ambulanza oppure seppelliti. Perciò, andate in farmacia o dal medico e fatevi misurare la pressione. Se è troppo alta, la cattiva notizia è che rientrerete anche voi nel miliardo di persone che convivono con questa malattia. La buona notizia, però, è che non dovete per forza far parte dei milioni di persone che ne muoiono ogni anno. Cercate di mangiare e vivere in modo sano anche solo per qualche settimana, e resterete sorpresi dai risultati. Ecco la storia di chi l’ha fatto.

Ogni giorno, NutritionFacts.org riceve centinaia di e-mail, molte delle quali vengono da persone che desiderano raccontare come hanno rivoluzionato la loro vita facendosi carico della loro salute. Bob, ad esempio, pesava 105 chili, aveva il colesterolo sopra i 200, i trigliceridi alle stelle e prendeva una valanga di farmaci per la pressione. Dopo avere iniziato una dieta basata su prodotti integrali di origine vegetale, è sceso a 80 chili, ha il colesterolo a 136 e non prende più farmaci contro l’ipertensione. Ha sessantacinque anni e da decenni non si sentiva così bene; il tutto non grazie a una nuova routine di esercizi o all’ultimo ritrovato farmacologico, ma semplicemente cambiando alimentazione.

Patricia ci ha inviato un’e-mail non molto tempo fa: a suo fratello era appena stata diagnosticata una grave ipertensione e aterosclerosi. Pesava circa 27 chili di troppo e aveva la pelle bianca come un lenzuolo. Stava talmente male che non era neanche riuscito a prendere la patente. Patricia e il fratello hanno deciso di iniziare a seguire, insieme, una dieta a base di prodotti di origine vegetale. Adesso lui è in forma, è tornato ad avere un peso normale e non ha più bisogno di medicine per l’ipertensione, mentre Patricia si meriterebbe una torta (senza zucchero, latte né uova) come miglior sorella del mondo.

Infine c’è Dean: si è rimpinzato della dieta americana standard ed è diventato obeso. Aveva la pressione alta, perciò il medico gli ha prescritto dei farmaci. Poi il colesterolo è salito oltre i livelli normali e il medico gli ha fatto prendere altre medicine. Inoltre, ogni inverno, Dean soffriva di terribili infezioni respiratorie che richiedevano cure antibiotiche. Alla fine si è stancato e ha cominciato a seguire una dieta a base di prodotti di origine vegetale. Ha perso 23 chili, ha glicemia e colesterolo normali, così come la pressione, e trascorre felicemente l’inverno senza bisogno di medicine. Dean ha concluso il suo messaggio con questa promessa: «Seguirò una dieta vegetale per tutta la vita». Grazie a un’alimentazione sana, potrebbe essere una vita molto lunga.