Sloane Andrews non mi piace. Ma ci andrei a letto.
La incontro in una caffetteria del suo quartiere, uno dei posti che frequenta di solito, o così dice. Il barista non sembra riconoscerla né come cliente né come una dei cinque adolescenti che hanno fatto fuori l’Oscuro quasi dieci anni fa. Il che, a essere onesto, è degno di nota perché, a parte il viso famoso in tutto il mondo, Sloane Andrews è quel genere di bellezza sana e pulita che suscita pensieri sporchi. Se si trucca, non si vede; è tutta pelle chiara e grandi occhi azzurri, una pubblicità di cosmetici ambulante e parlante. Quando entra ha in testa un berretto dei Chicago Cubs con i lunghi capelli castani infilati sopra la fascetta posteriore, una maglietta grigia aderente nei punti giusti, jeans strappati, che mettono in mostra lunghe gambe ben fatte, e un paio di scarpe da ginnastica. È il genere di vestiti che dice che a lei non frega niente dei vestiti, e neanche del corpo lungo e sottile che contengono.
Ed è questa la cosa di Sloane: che io ci credo. Credo che non gliene freghi niente di niente, men che meno di incontrare me. Non voleva neanche concedermela questa intervista. Ha detto di aver accettato solo perché il suo fidanzato e collega Prescelto, Matthew Weekes, le ha chiesto di aiutarlo a promuovere il suo nuovo libro, Ancora una scelta (in uscita il 3 febbraio).
Negli scambi preliminari a questo colloquio, lei non sembrava avere molte idee su dove avremmo potuto incontrarci. Anche se tutti a Chicago sanno dove vive – e cioè, nel quartiere di Uptown, a pochi isolati da Lake Shore Drive – si è categoricamente rifiutata di lasciarmi vedere il suo appartamento. “Non vado da nessuna parte” mi ha scritto. “Vengo importunata ogni volta che esco. Per cui, a meno che tu voglia provare a stare al passo con me mentre corro, o Java Jam o niente.”
Non sono sicuro di riuscire a prendere appunti e correre allo stesso tempo, quindi vada per il Java Jam.
Dopo aver ordinato il caffè, lei si toglie il berretto e i capelli le ricadono sulle spalle come se si stesse rigirando su un materasso. Ma qualcosa del suo viso – forse gli occhi leggermente troppo vicini o il modo in cui piega la testa di scatto quando non le piace quello che dici – la fa assomigliare a un uccello predatore. Con un solo sguardo ha ribaltato i ruoli, e sono io quello sul chi va là, non lei. Mi affanno alla ricerca della prima domanda, e mentre la maggior parte della gente sorriderebbe, cercando di piacermi, Sloane si limita a fissarmi.
“Si avvicina il decimo anniversario della vostra vittoria sull’Oscuro” dico. “Come ti senti?”
“Come una sopravvissuta.” La sua voce è dura e aspra. Mi provoca un brivido lungo la schiena, ma non riesco a capire se sia una cosa positiva o meno.
“Non una vincitrice?” chiedo, e lei alza gli occhi al cielo.
“Domanda successiva” risponde mentre beve il suo primo sorso di caffè.
È allora che metto a fuoco: non mi piace. Questa donna ha salvato migliaia – no, milioni – di vite. Diavolo, probabilmente ha salvato anche la mia, in un modo o nell’altro. A tredici anni è stata indicata da una profezia come una delle cinque persone che avrebbero sconfitto un essere onnipotente di una malvagità assoluta. È scampata a una manciata di battaglie contro l’Oscuro – tra cui un breve rapimento, di cui non ha mai raccontato i dettagli – e ne è uscita indenne e bella, più famosa dei più famosi personaggi della storia. E, ciliegina sulla torta, ha una relazione stabile con Matthew Weekes, il ragazzo d’oro, Prescelto tra i Prescelti, molto probabilmente la persona di animo più gentile del pianeta. Ma comunque non mi piace.
E a lei non potrebbe importare di meno.
Che è il motivo per cui vorrei andarci a letto. È come se riuscire ad averla nuda tra le mie lenzuola significasse costringerla a mostrare almeno un po’ di calore e di emozione. Lei mi trasforma in un maschio alfa, un cacciatore maledettamente determinato ad abbattere la preda più inafferrabile del pianeta, e appendere la sua testa alla parete del mio salotto come trofeo. Forse è il motivo per cui viene importunata ovunque vada; non perché la gente la ama, ma perché desidera amarla, desidera fare di lei una persona amabile.
Quando appoggia la tazza sul tavolo, vedo la cicatrice sul dorso della sua mano destra. È grande, percorre tutta la mano, ed è irregolare e bitorzoluta. Non ha mai detto a nessuno come se l’è procurata, e sono sicuro che non lo dirà a me, ma devo domandarglielo comunque.
“Mi sono tagliata con la carta” risponde.
Sono abbastanza sicuro che vorrebbe essere una battuta, per cui rido. Le chiedo se andrà all’inaugurazione del Monumento dei Dieci Anni, un’installazione artistica eretta sul luogo in cui è stato sconfitto l’Oscuro. Risponde: “Fa parte del pacchetto”, come se si trattasse di un impiego d’ufficio e non letteralmente di un destino.
“Sembra che non ti faccia piacere” dico.
“Come l’hai scoperto?” ribatte con un sorrisetto.
Per prepararmi all’intervista ho chiesto ad alcuni amici che cosa pensavano di lei, per farmi un’idea di come l’americano medio vede Sloane Andrews. Uno ha osservato che non l’aveva mai vista sorridere davvero e, ora che le sono seduto di fronte, mi trovo a interrogarmi se lo faccia mai. Lo esprimo perfino ad alta voce, curioso di scoprire come risponderà.
Non bene, a quanto pare.
“Se fossi maschio, mi faresti questa domanda?”
Devio dall’argomento il più rapidamente possibile. Questa non è tanto una conversazione quanto una partita a Campo minato, con me che entro sempre più in tensione a ogni casella che scopro, perché a ogni mossa aumentano le mie possibilità di finire su una mina. Clicco ancora una volta, chiedendole se questo periodo dell’anno le riporta alla mente ricordi. “Cerco di non pensarci” dice. “Se lo facessi, la mia vita si trasformerebbe in un calendario dell’avvento. Un cioccolatino dell’Oscuro di forma diversa per ogni giorno, ma tutti con un sapore da vomito.”
Clicco di nuovo, chiedendo se ha anche dei bei ricordi. “Eravamo tutti amici. Lo saremo sempre. Quando siamo insieme, parliamo quasi esclusivamente con battute che capiamo solo noi.” Bleah. Immagino di non correre rischi se le domando degli altri quattro Prescelti: Esther Park, Albert Summers, Ines Mejia e, naturalmente, Matthew Weekes.
È qui che finalmente cominciamo a ingranare. I cosiddetti Prescelti hanno legato rapidamente dopo essersi incontrati, con Matt come loro leader naturale. “Lui è semplicemente così” dice, e sembra quasi che ne sia infastidita. “Sempre pronto a mettersi al comando, ad assumersi la responsabilità. A ricordarci di considerare l’aspetto etico. Quel genere di cose.” Sorprendentemente, non è stato Matt la persona con cui lei ha legato subito, ma Albie. “Era silenzioso” dice, ed è un complimento. “Tutti i nostri fratelli e padri erano morti, come prevedeva la profezia, ma mio fratello era morto più di recente degli altri. Avevo bisogno di silenzio. Inoltre… il Midwest, l’Alberta, sono posti che si assomigliano.”
Albert e Ines vivono insieme a Chicago; platonicamente, dal momento che Ines si dichiara lesbica. Esther è tornata a casa a Glendale, California, l’anno scorso per prendersi cura della madre malata. Stare lontani è difficile per tutti loro, continua Sloane, ma per fortuna possono tenersi aggiornati sulla vita di Esther dalla sua pagina Instagram, molto attiva (e popolare), dove lei documenta dettagliatamente le sue giornate.
“Che cosa pensi del movimento Tutti Prescelti venuto fuori negli ultimi anni?” Il movimento Tutti Prescelti è un gruppo piccolo ma molto attivo che promuove la valorizzazione del ruolo giocato dagli altri quattro Prescelti nella sconfitta dell’Oscuro, contro chi attribuisce la vittoria principalmente a Matthew Weekes.
Sloane non usa mezzi termini. “Penso che sia razzista.”
“Alcuni di loro dicono che porre Matt al di sopra di voi altri sia sessista” le faccio notare.
“Quello che è sessista è ignorare ciò che dico e affermare che non so di cosa parlo” replica lei. “Penso che Matt sia il vero Prescelto. L’ho ripetuto un sacco di volte. Non fingere di farmi un favore attaccando lui.”
Sposto la conversazione dai Prescelti all’Oscuro, e tutto comincia ad andare storto. Chiedo a Sloane perché l’Oscuro sembrava nutrire un interesse speciale verso di lei. Lei mi fissa negli occhi mentre beve l’ultimo sorso di caffè; quando riappoggia la tazza, le trema la mano. Si rimette il berretto dei Cubs sugli splendidi capelli, vagamente spettinati come dopo una scopata, e dice: “Chiudiamo qui”.
E a quanto pare quando Sloane dice che chiudiamo, chiudiamo davvero, perché lei è fuori in un istante. Butto dieci dollari sul tavolo e le corro dietro, perché non mi arrendo così facilmente. Ho già detto che Sloane Andrews mi trasforma in un cacciatore?
“C’era un solo argomento che avevo proibito di toccare” mi dice di scatto. “Te lo ricordi?” È rossa in viso e furibonda, e radiosa, in parte dominatrice e in parte gatto di strada scaltro e aggressivo. Perché ho aspettato così tanto a farla arrabbiare? Avrei potuto godermi questo spettacolo fin dal primo momento.
L’argomento proibito, ovviamente, era tutto quello che riguarda in modo specifico il rapporto tra lei e l’Oscuro. Di certo non si aspettava che rispettassi il divieto, osservo. È la cosa più interessante di lei.
Lei mi guarda come se fossi un pezzo di carta bagnato in una pozzanghera di un vicolo, mi dice di andare affanculo e si butta in mezzo al traffico per allontanarsi da me. Questa volta la lascio andare.