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I Gorghi erano sempre uguali: gente che gridava e cercava di scappare dalla nuvola scura e gigantesca di caos senza mai correre abbastanza veloce. Venivano tutti spazzati via, la pelle strappata dalle ossa mentre erano ancora vivi e ne sentivano il dolore, il sangue che esplodeva dal corpo come quando si schiaccia una zanzara.

Sloane si svegliò ansimando. “Silenzio” si disse. Le dita dei suoi piedi si arricciarono; il pavimento era freddo nella casa dell’Oscuro, e lui le aveva rubato gli anfibi. Doveva trovare qualcosa di pesante o di appuntito; entrambe le cose era chiedere troppo ovviamente, lei non era mai stata così fortunata.

Aprì di furia i cassetti, trovandovi cucchiai, forchette, spatole. Una manciata di elastici. Clip per alimenti. Perché le aveva portato via gli anfibi? Che cos’aveva da temere un omicida di massa da un paio di Dr. Martens?

“Ciao, Sloane” le sussurrò lui nell’orecchio, e a lei sfuggì un singhiozzo strozzato. Aprì di scatto un altro cassetto e trovò una serie di manici, le lame infilate in un ceppo portacoltelli di plastica. Stava tirando fuori il coltello da carne quando sentì un rumore dietro di sé, la pressione di un piede sul pavimento.

Ruotò su se stessa, i piedi che aderivano al linoleum, e tirò un fendente.

«Cristo santo!» Matt le afferrò il polso e per un momento rimasero a fissarsi, le braccia ferme, il coltello in mezzo a loro.

A Sloane mancò il fiato quando la realtà cominciò a riprendere forma nella sua mente. Non si trovava nella casa dell’Oscuro, non era nel passato, non era da nessun’altra parte se non nell’appartamento che divideva con Matthew Weekes.

«Oddio.» Allentò la presa e il coltello cadde rumorosamente a terra, rimbalzando in mezzo ai loro piedi.

Matt le mise le mani sulle spalle, stringendole con calore. «Sei qui?» disse.

Le aveva già posto altre volte quella domanda, decine di volte. Il loro addestratore, Bert, diceva che lei era un lupo solitario, e raramente la faceva allenare o andare in missione insieme agli altri. «Lasciala fare a modo suo» aveva detto a Matt una volta che era diventato chiaro che Matt era il leader. «È così che otterrai i risultati migliori.» E Matt l’aveva fatto, controllandola solo quando era necessario.

«Sei qui?» Al telefono, in un sussurro, nel cuore della notte, o dritto in faccia quando lei si incantava con il pensiero. All’inizio la domanda la infastidiva. «Ovvio che sono qui, dove dovrei essere?» Ma poi si era resa conto che lui capiva una cosa di lei che non avevano mai ammesso esplicitamente: la risposta non era sempre sì.

«Sì» disse lei.

«Okay. Resta qui, d’accordo? Vado a prenderti la medicina.»

Sloane si appoggiò al ripiano di marmo. Il coltello era a terra ai suoi piedi, ma lei non osava più toccarlo. Rimase in attesa, fece un lungo respiro e osservò la spirale grigia che le ricordava il profilo di un vecchio.

Matt tornò con una piccola pillola gialla in una mano e il bicchiere d’acqua che lei teneva sul comodino nell’altra. Lei prese entrambi con mani tremanti e ingoiò la pillola con impazienza. Che arrivasse la calma pacificante delle benzodiazepine. Lei e Ines avevano composto un’ode alle pillole, una sera che erano ubriache, inneggiando ai loro bei colori e agli effetti rapidi e alla capacità di fare ciò che nient’altro era in grado di fare.

Sloane posò il bicchiere d’acqua e si lasciò scivolare sul pavimento. Sentì il freddo attraverso i pantaloni del pigiama, quello con i gatti con gli occhi laser, ma stavolta la aiutò ad ancorarsi alla realtà. Matt, che era in boxer, si sedette accanto al frigorifero.

«Ascolta» cominciò lei.

«Non sei tenuta a dirlo.»

«Certo, a momenti ti accoltello, ma non è necessario scusarsi.»

Gli occhi di lui erano dolci. Preoccupati. «Voglio solo che tu stia bene.»

Come l’aveva definito quell’articolo orrendo? “Molto probabilmente la persona di animo più gentile del pianeta”? Non era in disaccordo con Rick Lane, il re dei pervertiti, almeno non su quel punto. Matt aveva le sopracciglia che si avvicinavano al centro in un’espressione di perpetua empatia, abbinate a un cuore perfettamente intonato.

Ora stava stendendo la mano verso il coltello sul pavimento, accanto alla caviglia di lei. Era grosso, lungo quasi quanto il suo avambraccio.

A lei bruciavano gli occhi. Li chiuse. «Mi dispiace molto.»

«Lo so che non ti va di parlarne con me» disse Matt, «ma magari con qualcun altro?»

«Tipo chi?»

«La dottoressa Novak, per esempio? Lavora con i veterani, ricordi? È quella con cui abbiamo parlato al centro di detenzione giovanile.»

«Io non sono un soldato.»

«Sì, ma lei è esperta di disturbo da stress post-traumatico.»

Sloane non aveva mai avuto bisogno di una diagnosi ufficiale; quello di cui soffriva era decisamente stress post-traumatico. Ma era strano sentirlo dire a Matt con tanta tranquillità, come se si trattasse di un’influenza. «D’accordo.» Si strinse nelle spalle. «La chiamo domattina.»

«Chiunque avrebbe bisogno di andare in terapia, sai. Dopo quello che abbiamo passato. Voglio dire, Ines ci è andata.»

«Sì, e ancora dissemina l’appartamento di trappole come se fosse il bambino di Mamma ho perso l’aereo» obiettò Sloane.

«D’accordo, Ines non era un buon esempio.» Dalla finestra entrava la luce della lampada delle scale del retro, tutta giallo-arancione contro la pelle scura di Matt.

«Tu non ne hai mai avuto bisogno.»

Lui sollevò un sopracciglio. «Dove pensi che sparissi in continuazione l’anno dopo la morte dell’Oscuro?»

«Ci dicevi che andavi dal dottore.»

«E quale genere di dottore ha bisogno di visitare un paziente tutte le settimane, per mesi?»

«Non lo so! Ho immaginato che avessi qualche problema con…» Sloane si indicò vagamente in mezzo alle gambe. «Sai, robe da maschi, insomma.»

«Fammi capire.» Lui stava sorridendo. «Tu hai pensato che io avessi qualche patologia imbarazzante che richiedeva visite mediche regolari per almeno sei mesi… e non mi hai mai chiesto niente?»

Lei represse un sorriso. «Sembri quasi deluso.»

«No, no. Sono solo colpito.»

Lui era un tredicenne allampanato quando si erano conosciuti, un corpo tutto spigoli sporgenti che non si capiva dove cominciava e dove terminava, ma aveva sempre avuto quel sorriso.

Se ne era innamorata una mezza dozzina di volte prima di rendersene conto: quando gridava ordini sopra il vento assordante di un Gorgo, salvando la vita a tutti; quando rimaneva sveglio insieme a lei nelle lunghe notti in macchina anche dopo che tutti gli altri si erano addormentati; quando chiamava la nonna e la sua voce si addolciva. Era uno che non lasciava indietro nessuno, mai.

Lei arricciò le dita dei piedi sulle piastrelle. «Ci sono già stata, sai. In terapia. Ci sono andata per qualche mese quando avevamo sedici anni.»

«Davvero?» Lui corrugò leggermente la fronte. «Non me l’avevi detto.»

C’erano un sacco di cose che lei non gli aveva detto, che non aveva detto a nessuno. «Non volevo farvi preoccupare. E non lo voglio neanche adesso, per cui… non parlarne con gli altri, okay? Non voglio vederlo finire su quel cazzo di “Esquire” sotto il titolo Rick Lane vi aveva avvertito

«Certo.» Matt le prese la mano e intrecciò le dita con le sue. «Dovremmo andare a letto. Dobbiamo svegliarci tra quattro ore per l’inaugurazione del monumento.»

Sloane annuì, ma rimasero seduti sul pavimento della cucina finché la medicina non cominciò a fare effetto e lei smise di tremare. Allora Matt mise via il coltello, la aiutò ad alzarsi, e insieme tornarono a dormire.