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Sloane addentò un altro boccone di torta salata. Stava con Esther accanto a uno dei tavoli del buffet, nel salone in cui si stava svolgendo il gala per i Dieci Anni di Pace. Tenevano le teste chine l’una verso l’altra, come se fossero impegnate in una conversazione importante. Era l’unico modo per essere lasciate tranquille abbastanza a lungo da riuscire a mettere un po’ di cibo sotto i denti. Essere uno dei Prescelti al gala della Pace era come essere la sposa a una festa di nozze.

Si trovavano nella magnifica sala ricevimenti dell’hotel Drake. Era una sala bianca e dorata, con il pavimento di marmo e due file di colonne decorate da elaborati motivi dorati con lampadari che diffondevano una luce bianco-giallastra. Su una parete, finestre alte dal pavimento al soffitto mostravano la curva di Lake Shore Drive, le luci degli edifici prospicienti e la distesa scura del lago Michigan di notte.

Tutto intorno a loro c’erano uomini in smoking e donne in abito lungo, che formavano piccoli capannelli stringendo calici di champagne dallo stelo. Sloane incontrò lo sguardo di un invitato e immediatamente distolse il suo, per non incoraggiare una conversazione.

«Continui a fare smorfie» le disse Esther.

«Mi sono provocata un’irritazione all’ascella radendomi, stamattina, e il sudore è letteralmente sale sulla ferita» rispose Sloane. Una gocciolina di sudore era appena scivolata sulla parte arrossata, e non era una bella sensazione.

«Non c’è niente di peggio» disse Esther storcendo la bocca. Indossava un abito che solo lei avrebbe potuto mettersi, un vestito da sera morbido e riccamente pieghettato di un tenue color verde menta. Aveva i capelli tirati all’indietro in uno chignon semplice. E uno spesso strato di trucco, come al solito; ma quella sera era adatto all’occasione, con quegli occhi incorniciati da un ombretto grigio, come se uno sbuffo di fumo le si fosse posato sulle palpebre. «Mi manca questa città» continuò. Stava infilzando le olive di un’insalata di pasta con la forchetta, cercando di infilarle tutte nello stesso rebbio. La sua estrema concentrazione sul piatto completava il loro travestimento; quando abbassavi gli occhi, la gente poteva pensare che stessi piangendo e ti evitava. Questo, combinato con gli sguardi assassini che a Sloane venivano naturali, le avrebbe tenute al sicuro per qualche minuto almeno.

«Come sta tua mamma?» chiese Sloane.

«Non bene.» Esther si strinse nelle spalle. «L’oncologo dice che non possiamo fare molto a questo punto, tranne… posticipare l’esito.»

«Mi dispiace tanto, Essy. Vorrei avere qualcosa di più profondo da dire, ma… che schifo di situazione.»

Non sembrava affatto giusto che loro potessero salvare il mondo uccidendo un’entità del male suprema, e per di più usando la magia, ma non erano in grado di proteggere le loro famiglie dai pericoli comuni. Per l’umanità, loro erano i Prescelti, i salvatori, erano eroi, ma il cancro rendeva tutti uguali.

«Meglio essere sinceri che profondi» rispose Esther in tono distante.

Sloane vide un giovane slanciato in smoking e papillon azzurro fissare Esther con interesse. Quando spostò lo sguardo su di lei, lei socchiuse gli occhi e scosse la testa. Il giovane si allontanò.

«Ci manchi, però. Anche se sembriamo scontrosi.»

«Oh, sembriamo scontrosi?» Esther sollevò un sopracciglio. «Slo, lo vedo fin dalla California che stai andando via di testa. Che cosa ti succede ultimamente?»

Sloane le lanciò un’occhiata di traverso. Pensò di richiamare l’uomo con il papillon azzurro perché le distraesse da quella conversazione.

«Non credere di mettermi a tacere con un’occhiataccia» insistette Esther. «Ti ho fatto una domanda.»

Le loro conversazioni erano sempre così. Entrambe comunicavano come arieti da sfondamento, nel bene e nel male, il che significava che si scontravano spesso, con effetti catastrofici. Ma in compenso non sprecavano tempo. Se Esther pensava una cosa, la diceva, senza lasciare spazio alle congetture.

«Ho richiesto alcuni documenti al governo» disse Sloane. «Leggerli mi ha… aperto gli occhi.»

«Sai, gli occhi a volte è meglio tenerli chiusi.» Esther bevve un sorso di champagne. «Okay, togliti quel pezzetto verde di spinaci dai denti, perché sono abbastanza sicura che Matt stia per richiamare l’attenzione su di te.»

E difatti, i musicisti nell’angolo avevano smesso di suonare i loro violini, violoncelli e… era un contrabbasso quello? Stavano tutti guardando dall’altra parte della sala, dove c’era Matt nel suo smoking immacolato, papillon color oro, e un gran sorriso. Stava battendo con un coltello sul suo flûte di champagne, chiedendo il silenzio.

«Posso avere la vostra attenzione, per favore?» La sua voce rimbombò nell’ampio locale. “Comandante Matt” lo chiamavano quando parlava in quel modo durante le loro battaglie contro l’Oscuro. Nessuno degli altri quattro avrebbe potuto prendere il comando, perché nessuno era in grado di farsi sentire sopra il frastuono di un Gorgo.

Sloane si affrettò a infilarsi un’unghia tra i due incisivi per liberarli dallo spinacio.

Finalmente la sala si fece silenziosa. Tutti si voltarono verso Matt, obbedienti come scolari.

«Grazie, e scusate per l’interruzione.» Matt addolcì il tono, da Matt il Comandante a Matt il Politico. «Vorrei approfittare per un momento della vostra indulgenza. Dov’è Sloane?»

Sloane tirò fuori il dito dalla bocca e raddrizzò la schiena. Matt le fece segno e lei lo raggiunse al centro della sala, sotto un lampadario. Si sentiva una stretta al petto quasi dolorosa. Lui le prese la mano. Lei lo guardò, in attesa, notando che le si erano intorpidite le dita. Rimpianse di non aver bevuto un terzo calice di champagne.

«Ho capito di essere innamorato di Sloane circa undici anni fa» cominciò Matt. «C’era questo bambino, vicino al sito di un Gorgo dove eravamo andati per investigare sull’Oscuro, che non trovava più i suoi genitori. E Sloane lo portava in giro, interrogando ogni persona che vedeva.»

Sloane ricordava il bambino. Lo aveva preso in braccio perché lui si rifiutava di muoversi e lei non si sentiva di discutere con lui. L’aveva sorpresa la facilità con cui le si era abbandonato contro il fianco, considerato che non aveva mai preso in braccio un bambino prima.

«Interrompeva la gente mentre parlava per chiedere se qualcuno sapeva chi era. Sloane è così, se la conoscete sapete cosa intendo.» Una risata sommessa si diffuse tra gli astanti. Persino chi non l’aveva mai incontrata probabilmente se la immaginava, bastava aver letto le numerose descrizioni di lei che erano state scritte negli ultimi dieci anni, e che la definivano instabile, taciturna, lunatica, irascibile, stronza. Un’antieroina. Si sentì avvampare. Perché lui ci stava scherzando sopra?

Matt continuò. «Sloane è come uno di quei cioccolatini con lo strato esterno duro, ma un morbido ripieno dentro.» Sorrise, gli brillavano gli occhi.

Voleva essere una frase dolce. Invece, Sloane si sentì come una bambina vestita da donna.

Lui prese dalla tasca l’astuccio dell’anello, lo aprì e si inginocchiò. Qualcuno soffocò un’esclamazione.

«Sloane, ti amo. Ti amo da molto tempo.» Teneva gli occhi su di lei, ma tutto intorno la gente aveva tirato fuori i cellulari e li puntava nella loro direzione. Quel video, come la maggior parte dei video di Sloane ripresi da estranei, sarebbe probabilmente girato nei programmi televisivi, sui siti di informazione e sui blog di gossip, e sarebbe stato analizzato fino all’esasperazione. La sua espressione, la sua postura, i suoi vestiti, il suo dannato rossetto.

Matt continuò. «E voglio passare il resto della mia vita a rompere quel duro guscio di cioccolato. Vuoi sposarmi?»

La folla sospirò all’unisono, come un unico, enorme animale.

“Non farti vedere” lei disse a se stessa, la stessa cosa che si era detta mentre i tirapiedi dell’Oscuro – ora tutti morti, erano morti con lui – le si avvicinavano strisciando nel cuore della notte. Ma stavolta non significava che doveva scappare, significava che doveva nascondersi in piena vista.

Richiamò alla mente le lezioni che, dopo tutte le interviste che aveva rilasciato dalla fine della battaglia, aveva imparato su come fingere, e fece un ampio sorriso, sperando che anche i suoi occhi luccicassero. «Sì.» La parola le uscì quasi strozzata, dando l’impressione che fosse rimasta senza fiato. E funzionò alla perfezione, perché a quel punto Matt saltò in piedi, la abbracciò facendola girare, e nessuno analizzò più la sua espressione.

Tutti esultarono e si levò un coro di scatti digitali da innumerevoli smartphone, le telecamere dei canali giornalistici ruotarono intorno a loro, riprendendoli da ogni angolazione: Matt con il suo smoking, Sloane con il suo vestito di perline. Il Prescelto e la sua sposa tutta rossa in viso.

La quale, a quanto pareva, era un maledetto cioccolatino.

Sloane era in quella sala, desiderando che esistesse un modo socialmente accettabile di asciugarsi le ascelle perché smettessero di pizzicare, ma allo stesso tempo non era lì.

Era accanto al fiume, con l’aria fredda che le bruciava i polmoni, e fissava l’Oscuro, sull’altra sponda, un istante prima dello scontro finale. Una parte di lei sarebbe sempre stata là.