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Lasciarono Albie con Cho perché potesse testare il dispositivo. Lei aveva promesso di riportarlo a casa quando avessero finito.

Sloane non aveva dubbi che il dispositivo avrebbe funzionato; non ne avrebbe sentito con tanta forza la presenza, altrimenti. Ciascuno di loro aveva un proprio modo di relazionarsi con la magia, e il suo era desiderarla, cercarla e comprenderla. Lei “conosceva” il dispositivo, e il dispositivo conosceva lei.

Albie era stato più diretto nel suo uso della magia. Albie con le Freikugeln – le pallottole della leggenda tedesca che colpivano il loro bersaglio senza mai fallire – era solo un uomo con uno strumento a disposizione, non diverso da un martello o una sega. Il suo artefatto non gli si era conficcato sotto la pelle, diventando parte di lui, come aveva fatto l’Ago di Koschei con lei. Lui teneva semplicemente i proiettili in mano e, anche se nessuno degli artefatti che avevano raccolto faceva mai quello che diceva la leggenda, i proiettili gli permettevano di eseguire magie rudimentali, accendere fuochi, far levitare oggetti e altre cose del genere.

Ines, Matt e Sloane ripercorsero il raggio della ruota di bicicletta e il tratto di circonferenza e raggiunsero Scott nel suo golf cart. Sloane non aveva più paura del dispositivo; sentiva piuttosto un intorpidimento, una separazione tra il corpo e la mente. Sapeva che a poco a poco si sarebbero riuniti, doveva solo aspettare.

Scott il portò fuori nello stesso modo in cui erano arrivati, tracciando un percorso a zigzag fra le tende. Neanche un minuto dopo essere partiti, Sloane vide la tenda con la scritta FATE CIÒ CHE È GIUSTO: RIPORTATELO INDIETRO, e il fischio nelle orecchie si intensificò. La distanza tra mente e corpo che si era creata quando aveva percepito la presenza del dispositivo magico cedette all’improvviso, come due mani battute insieme. Lei si appoggiò al sostegno di protezione del sedile e si lanciò fuori dal golf cart accompagnata dal grido all’unisono di Ines e Matt: «Sloane!».

Oltrepassò il piccolo altare ricavato dal ceppo di un albero tagliato, sopra il quale era posato quello che sembrava lo scheletro di uno scoiattolo avvolto in perline e spago, e la tenda con la campana a vento appesa all’entrata chiusa da una cerniera, probabilmente prodotta in serie in Cina e acquistata nel reparto “home” di qualche catena di abbigliamento da hipster. Quella gente voleva la magia, ma non aveva idea di che cosa fosse davvero; non avevano mai visto il disfacimento provocato da un Gorgo, il modo in cui separava ogni essere vivente in parti distinte, ossa, tendini, sangue e nervi strappati, al punto che potevi vedere i dettagli più minuziosi del corpo umano, e tutto questo mentre quel corpo umano era ancora abbastanza cosciente da accorgersene.

Quando raggiunse il piccolo falò dei ragazzini che fingevano di essere uomini, loro avevano ormai finito di cuocere gli hot dog e stavano ascoltando della musica, ma Sloane riusciva a sentire solo i colpi del basso. Il fischio nelle sue orecchie era troppo forte a quel punto per poter sentire altro, compresa Ines alle sue spalle che gridava il suo nome.

Notò un coltello da caccia sopra un bancale carico di bottiglie d’acqua e piantò i piedi davanti al barbecue portatile, guardando dall’alto l’uomo che le aveva dato della “puttana” poco prima. Non era la prima volta che la chiamavano così, e non sarebbe stata l’ultima, ma c’era una violenza in quella parola, nel modo in cui rendeva la sua rabbia piccola e insignificante, nel modo in cui riduceva il suo intero essere in qualcosa di limitato e sciocco.

«Ehi tu» disse, la voce che suonava stranamente untuosa tutto a un tratto. «Mi riconosci?»

Capì dagli occhi sgranati di lui che l’aveva riconosciuta. E proprio mentre i suoi occhi cominciavano a stringersi, proprio mentre la parola “puttana” stava probabilmente riprendendo forma nella sua bocca, lei si chinò e raccolse il coltello da caccia.

«Che…» fece per dire l’uomo, ma lei aveva già sfoderato il coltello e l’aveva affondato nel fianco della tenda, nel bel mezzo della parola GIUSTO.

«Che cazzo?» gridò l’uomo. Erano tutti in piedi ora. Sloane sentiva solo il fischio nelle orecchie.

«Idioti. Voi pensate che lui accoglierebbe con piacere la vostra lealtà se tornasse indietro, che vi premierebbe? Se lui torna in vita, strapperà le budella a voi come a chiunque altro.»

«Lui attaccava solo i deboli» rispose l’uomo. «Il negretto laggiù è stato fortunato la prima volta…»

I suoi occhi si spostarono oltre la spalla di Sloane, verso il golf cart, verso Ines e Matt. Ma lei non sentì che cosa disse dopo. Gli tirò un pugno in faccia.

Il fischio nelle orecchie si fermò. Il dolore esplose in ogni nocca. Lei scrollò la mano, stringendo i denti per la fitta che le risalì lungo il braccio. L’uomo perdeva sangue dal naso e i suoi amici gli erano intorno, gridando oscenità contro di lei ma non del tutto pronti a contrattaccare. Era pur sempre una ragazza.

Aveva tirato pugni altre volte, ma si dimenticava sempre di quanto faceva male. Ines la prese per il braccio e la trascinò via. Lei gridò: «Andate a farvi fottere!» prima di risalire sul golf cart.

Quando si sedette, Scott la stava fissando.

«Che c’è?» disse lei, ma lui scosse solo la testa e riprese a guidare, andando al massimo della velocità che gli permetteva la macchinina.