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Quella sera Sloane ricevette un messaggio da Esther: “Bel colpo. Bert ne sarebbe orgoglioso”. Conteneva anche il link a un video sfocato girato con un cellulare in cui la si vedeva tirare il cazzotto all’accolito dell’Oscuro. Nel fermoimmagine che accompagnava l’articolo digrignava i denti, la mano stretta a pugno alta davanti alla faccia. Sloane si osservò. Il volto pallido lucido di sudore, la strana vacuità dei propri occhi. Era un’espressione che aveva visto spesso allo specchio da quando era morto l’Oscuro.

«Merda» esclamò ad alta voce. Matt era appena tornato a casa da un incontro di lavoro con Eddie. Stava appendendo il cappotto nell’armadio. «C’è un video del pugno in rete» gli disse.

«Che sorpresa» rispose Matt, chiudendo lo sportello dell’armadio. Aveva le maniche della camicia celeste arrotolate fino ai gomiti.

«Non sono pentita, sai. Quel tizio era uno stronzo. Se l’è meritato.»

«Non è questo il problema.»

«Stavo difendendo te.»

«Già, ed è questo il problema. Non ho bisogno che tu mi difenda, Sloane. So prendermi cura di me stesso.»

«Ma non l’avresti fatto. Sei così… passivo su certe questioni…»

«Passivo?» Matt rise aspramente. «Passivo?! Che cosa pensi che abbia fatto ogni giorno da quando è morto l’Oscuro, esattamente? Che mi sia girato i pollici?»

«No, ovviamente no.» Sloane corrugò la fronte. «Ma i tipi come quello…»

«Non sono un mio problema» la interruppe Matt. «Sono facili da individuare e facili da evitare. Il mio vero problema è la gente soddisfatta che sorride e intanto si rifiuta di alzare un dito per il suo prossimo. Sono queste le persone contro cui passo le giornate a combattere, cercando di spingerle a fare qualcosa, cazzo. E sarebbe molto carino se la mia fidanzata riuscisse a capirlo invece di rendermi le cose ancora più difficili.»

«E come diavolo te le avrei rese più difficili?» scattò Sloane. «C’è la mia fotografia nei notiziari, non la tua.»

«Già, è la tua foto, ma ora quei deficienti e il loro “messaggio” sono di nuovo nei notiziari, e riescono pure a essere le vittime stavolta! Li hai attaccati senza motivo, li hai minacciati con un coltello…»

«Io non ho minacciato nessuno con un coltello!»

«Non è quello che si deduce dalla foto di te con un coltello in mano. Pensi che quella cretinata non si ritorca contro tutti noi? Se tu usi la violenza per proteggere me e Ines, secondo te non fai sembrare violenti anche noi? Ma noi non riusciamo a risollevarci in fretta come te! Noi rimaniamo qua seduti a preoccuparci che non arrivi un gruppo di estremisti a mandarci a fuoco la casa.»

«Non succederà.»

«Be’, deve essere bello sentirsi così sicuri. Ma io non sono così. Io non posso perdere il controllo e prendere a pugni la gente. Non posso creare casini. Mi sento sempre di deludere qualcuno, in ogni momento.»

Tutta la rabbia sembrò abbandonarlo all’improvviso. Si sedette sul divano e si accasciò appoggiando le braccia sulle ginocchia. La busta del ghiaccio che Sloane aveva usato per le sue nocche gonfie era scivolata tra i cuscini, il gel ormai caldo.

Avrebbe voluto confortarlo, ma non sapeva come. Non l’aveva mai visto così stanco, così… deluso. Dal mondo, da se stesso, persino da lei. Gli si sedette accanto. Vedeva il loro riflesso sullo schermo nero del televisore spento, la testa china di Matt, lei rigida e dritta.

«Ti ha chiamato “negretto”» disse piano.

«Già.» Matt voltò la testa per guardarla negli occhi. «Che novità!»

«Che cosa avrei dovuto fare, lasciare che ti insultasse?»

«Come prima cosa, avresti dovuto restare nel golf cart.» Lui sollevò un sopracciglio. «Che cosa ti succede ultimamente? L’hai caricato come un toro prima ancora che dicesse qualcosa. È come se volessi dare fuoco al mondo.»

Esther le aveva chiesto la stessa cosa. “Che cosa ti succede?” La risposta, ovviamente, aspettava nell’ultimo cassetto della sua scrivania, dove aveva nascosto la pila di documenti.

Come se le avesse letto nel pensiero, Matt aggiunse: «Esther mi ha detto della tua richiesta FOIA».

«Dio, Esther.» Sloane si premette le mani sulla faccia. «Non le dirò mai più niente.»

Matt aspettò. C’era qualcosa nella sua postura che la irritava. Le spalle incurvate, da sconfitto. Avrebbe preferito che le urlasse in faccia.

«Ho richiesto i documenti del Progetto Fuoriclasse» spiegò. «Volevo sapere tutto quello che è possibile sapere. È la mia vita, e loro hanno tutti questi… rapporti.»

«Capisco il voler sapere. Trovo solo strano che tu non me l’abbia detto. E che ne abbia parlato con Esther prima che con me.»

«Stavo per dirtelo subito. Ma poi sono andata avanti a leggere ed era… disturbante.»

«E allora? Non volevi disturbarmi?»

Lei scosse la testa. «Non è questo.»

«Parlamene, allora.» Suonava sincero, ma Sloane lo conosceva troppo bene per farsi ingannare. Aveva usato quel tono quando combattevano l’Oscuro. Lei ricordava una sera in particolare: avevano cercato di risalire all’identità dell’Oscuro quando era solo un uomo, non un’ombra al centro di un Gorgo. Ines aveva seguito una pista promettente che non aveva portato a nulla. «Dimmi che cosa è successo» aveva chiesto Matt. Ma era stato solo un momento di quiete prima che lui esplodesse. Il litigio li aveva lasciati tutti tesi come corde di violino. Lei non si era resa conto che la fatica di vivere con lei negli ultimi giorni, o forse le celebrazioni dei Dieci Anni di Pace, avessero pesato così tanto su di lui.

«A volte» disse, prendendo tempo, «quando sono turbata per qualche motivo, tutto quello che fai tu è spiegarmi perché non dovrei esserlo.»

«E questo è un male?»

«Mi fa sentire come se fossi pazza! Come se non potessi fidarmi delle mie reazioni.»

«Tutti abbiamo bisogno dell’aiuto degli altri per vedere le cose secondo prospettive diverse.»

Lei alzò gli occhi al cielo. «Credi che io non mi preoccupi di considerare le cose da altre angolazioni?» Aveva passato una vita a reagire e poi a mettere in discussione le sue reazioni; una vita a criticarsi, a interrogarsi, a tormentare il suo cervello perché pensasse nel mondo “giusto”. «Credi che non ne sia capace?» Il volume della sua voce si stava alzando. «Hai mai considerato che quando sono turbata da qualcosa, potrebbe essere perché è qualcosa per cui valga la pena essere turbati?»

«Questo spiega perché non sei te stessa ultimamente» disse Matt. «Vorrei averlo saputo, io…»

«Il tuo problema è che pensi che questa non sia io. Proprio come pensi che passare un giorno prigioniera dell’Oscuro sia stata una gita di piacere e che a quest’ora dovrei averlo superato e… che dovrei elettrizzarmi pensando agli abiti da sposa o che so io!»

«Penso che avresti dovuto passare gli ultimi dieci anni a impegnarti per andare avanti invece di piangerti addosso ininterrottamente e di rintanarti come un’eremita, ecco cosa penso.» Matt era scattato, la corda di violino si era spezzata. «Non ho insinuato neanche una volta che avrebbe dovuto essere facile. Ti ho solo chiesto di provarci e di smettere di comportarti come se fossi l’unica persona al mondo a soffrire.»

Tacquero entrambi. A Sloane bruciavano le guance. Combatté contro l’impulso di uscire di furia dalla stanza, sapendo che l’avrebbe fatta apparire ancora di più la bambina che lui l’aveva accusata di essere, ma allo stesso tempo desiderando disperatamente di nascondersi dalle sue critiche. Ogni volta che le sembrava di comprendere quello che non sapeva di lui, che non avrebbe mai potuto sapere, si ricordava che era impossibile.

Il telefono di Matt vibrò, illuminandosi nella tasca dei suoi jeans. Lui spense la suoneria. Lei fece un respiro profondo, ricordando il fermoimmagine del pugno, la vacuità del suo sguardo, i denti scoperti. Il cane randagio dentro di lei.

«Gesù, che idea hai di me.» Buttò fuori una risata risentita. «Come puoi voler sposare una persona che ai tuoi occhi è solo una bambina egoista?»

«Sloane…»

Dal telefono di Sloane, che era sul tavolino da caffè con lo schermo rivolto verso il basso, risuonarono le prime battute di Good Times, Bad Times dei Led Zeppelin, la suoneria associata al numero di Ines. Lei allungò la mano e la disattivò.

Un secondo dopo il telefono di Matt vibrò di nuovo. Questa volta lui rispose. «Che c’è, Ines?!»

Rimase in ascolto per un momento e poi il suo corpo si ripiegò su se stesso, come appassendo.

«Oddio.» Coprì con la mano il microfono. «Albie è in ospedale» disse a Sloane, poi tornò alla telefonata. «No, mi dispiace, arriviamo subito.»