Sloane sognò che l’Oscuro era in piedi accanto al suo letto e le passava un dito freddo sulla guancia. Si svegliò di soprassalto, prese il bicchiere d’acqua sul comodino e lo svuotò in un sorso.
Poche persone avevano visto l’Oscuro in faccia e non erano morte subito dopo. Persino i suoi seguaci ricordavano solo immagini da romanzi fantasy o da saghe spaziali: un uomo di mantello e sudario, maschera e mistero. Per cui, nei ricordi di Sloane, l’elemento che la sorprendeva sempre era il suo volto: giovane e pallido, un ciuffo di capelli castano chiaro sulla fronte, occhi acquosi. Sembrava il cadavere ben conservato di un bell’uomo, gli occhi vuoti, la pelle liscia come cera.
Sloane aveva visto la sua faccia ed era sopravvissuta.
Si lanciò sulla borsa che si era portata dalla Terra e la capovolse sul pavimento bianco. L’alba era appena iniziata, e la luce che entrava dalle finestre coperte di brina era ancora azzurra. Lei studiò con attenzione la pila che aveva creato. C’erano scontrini fradici, carte di gomma da masticare, fiammiferi bagnati, un coltellino. E il portafoglio. Lei vi infilò le dita fin negli angoli e, incastrata tra una banconota da un dollaro e il cuoio, trovò un’ultima pillola di benzodiazepine.
La sollevò per osservarla. Ne rimaneva una sola. Poteva prenderla subito, confidando che quella mattina – la mattina dopo aver scoperto di essere intrappolata in un universo parallelo – fosse il peggio che potesse capitarle. Oppure poteva conservarla per quando si fosse trovata paralizzata dal terrore. La aspettavano sicuramente momenti più duri.
Con un sospiro, mise la pillola sul comodino e si sedette con la testa tra le ginocchia respirando lentamente per allontanare l’attacco d’ansia.
Era un po’ più chiaro nella camera quando si fu ripresa abbastanza da alzarsi. Lasciò la scatola di fiammiferi bagnata e tutto il resto sul pavimento, si infilò gli stivali e uscì in corridoio. Gli altri dormivano ancora. Andò in bagno per legarsi i capelli in una treccia e sciacquarsi il sonno dagli occhi. Non le avevano dato uno spazzolino da denti, per cui o loro non li usavano più e si pulivano con i sifoni oppure si erano semplicemente dimenticati di lasciarglielo. In ogni caso, si sentiva una patina sui denti.
Dopo essersi resa almeno presentabile, andò all’ascensore, ma non sapeva come chiamarlo. La sera prima Nero l’aveva fatto comparire con il sifone. Ma anche agli ascensori magici doveva capitare di rompersi, pensò, per cui andò in cerca delle scale.
Le trovò dietro l’angolo. C’era una porta con la scritta APRIRE SOLO IN CASO D’EMERGENZA, ma sembrava più una minaccia a vuoto che qualcosa di cui preoccuparsi. E difatti, quando abbassò la maniglia non partì nessun allarme, e nessuna luce balenò ad avvisarla dell’arrivo di guardie di sicurezza.
Le scale non sembravano essere molto utilizzate. I gradini erano ricoperti da piastrelle bianche e nere a forma di cunei e triangoli, e il corrimano era di ferro battuto con fitti ghirigori. Andò di sotto fino all’atrio, sfiorando il ferro con le dita per tutta la discesa. Pensò alle sue corse mattutine lungo il lago nella sua Chicago, all’aria fredda e alla schiuma delle onde che si raccoglieva sulla sabbia della spiaggia. Almeno quello sarebbe stato uguale su Genetrix.
Ma quando fu nell’atrio – tutto marmo, finiture dorate e rombi art déco combinati con linee architettoniche alla Frank Lloyd Wright – vide un’indicazione che mandava verso la biblioteca. L’idea di accedere a una quantità di informazioni infinita era irresistibile, per cui seguì la freccia e imboccò un corridoio fiancheggiato da vetrate colorate. Ogni vetrata era composta da file sovrapposte di pannelli multicolore disposti a ventaglio, ogni segmento di una diversa tonalità di verde. Il sole mattutino proiettava macchie verdi sulle sue scarpe.
Il corridoio si aprì su uno spazio enorme che odorava di carta vecchia. Sloane si fermò e chiuse gli occhi un istante, fingendo di essere a casa, nella biblioteca in fondo alla sua strada.
I libri avevano lo stesso odore in qualunque dimensione ti trovassi.
La biblioteca era a forma di C, come raggomitolata per proteggersi dal freddo. Due piani di scaffali si innalzavano su entrambi i lati di uno spazio relativamente stretto, con un ballatoio al livello superiore. Al centro c’erano tavoli e scrivanie, illuminati dai lucernari sul soffitto e da lampade di foggia antica con paralumi di vetro colorato. Non assomigliava molto alla biblioteca del suo quartiere. Tanto per cominciare, non c’erano le postazioni dei computer a rubare spazio agli scaffali dei libri.
Sloane corrugò la fronte. In effetti non aveva ancora visto neanche un computer su Genetrix, e neanche nessuno con gli occhi sullo smartphone nelle auto di passaggio la sera prima.
C’era internet su Genetrix?
Percorse la curva interna della biblioteca in cerca di un computer. La sala era vuota e silenziosa; non c’era niente che le impedisse di scappare fuori con una pila di libri. Niente di visibile, almeno. Ma poi, chissà di cosa era capace la magia di Genetrix.
«Posso aiutarti a cercare qualcosa?»
Sloane riconobbe la voce di Nero ma sobbalzò ugualmente. Lui emerse da dietro gli scaffali alla sua sinistra, le mani sollevate in un gesto conciliante.
«Mi spiace» disse con un sorriso. Indossava un paio di occhiali rotondi, e il mantello che la sera prima portava fissato sulla spalla era slacciato, come una cappa. «Non sapevo come fare per non spaventarti.»
Lei fu contenta di non essersi tolta il reggiseno la sera prima. «Mi hai seguito?» chiese.
Nero sollevò un sopracciglio. «Non esattamente. Sai, ci sono posti pericolosi in questo edificio in cui potresti finire se giri non accompagnata. Io per esempio sto lavorando costantemente su una mezza dozzina di esperimenti a rischio di esplosione nel mio laboratorio. Ma ancora più spaventoso per te sarebbe imbatterti in Aelia al mattino, prima che abbia bevuto la sua terza tazza di caffè.»
«Be’, che fortuna che hai avuto allora a incontrare me, invece» disse Sloane con voce piatta.
«Non è una coincidenza. Mi sono assicurato di essere allertato se qualcuno di voi avesse cominciato ad andare in giro.»
«Se la tua intenzione era di farci sentire come se non fossimo stati rapiti» rispose Sloane, «non è stata una grande idea dirmelo.»
«Ho pensato che avresti potuto insospettirti ancora di più se avessi fatto finta di averti incontrata per caso.»
«Questo è certo» Sloane fece un sorrisetto. «Da dove ti è arrivata la soffiata? Dalla porta delle scale?»
«Non te lo dico.»
Il sole era più alto ora ed entrava dai lucernari. Se ascoltava con attenzione, Sloane riusciva a sentire il suono dei clacson fuori. Il traffico del mattino che iniziava.
«Stavi cercando qualcosa in particolare?» disse Nero. «Quando ero studente lavoravo qui, per cui so come muovermi.»
«Forse.» Sloane sospirò. «Voi avete i… computer?»
«Computer» ripeté Nero. «Sì, li abbiamo. Ma non so bene a cosa potrebbero servirti.»
«Oh, non so. A cercare qualche informazione? Mi piacerebbe sapere in quale momento i nostri universi si sono separati. Sarà più facile per noi acclimatarci se lo sappiamo.»
«Questa è una biblioteca» disse Nero. «I computer sono per gli ingegneri e gli scienziati; se è la storia che ti interessa, la trovi qui.»
«Quindi esiste internet?» Esther sarebbe rimasta sconvolta se non fosse esistita la rete.
«Esiste, ma non conosco nessuno che ne faccia uso. Perché lo chiedi?»
«Da noi la gente si porta internet in tasca. Tutto quello che potresti desiderare di sapere, in qualunque lingua, lo trovi lì. È così che sono abituata a ottenere le informazioni.»
«E poi dite che non avete la magia.»
«Non è magia.»
«Lo so.» Nero sorrise un poco. «A noi non servirebbe granché, immagino. È già abbastanza difficile parlare di teoria magica per iscritto; non riesco neanche a immaginare di provare a insegnare le tecniche nel vostro modo. È molto più semplice di persona.»
Sloane non riusciva a pensare a niente che non potesse essere spiegato tramite internet. L’anno prima aveva imparato a sostituire lo scarico del lavandino da un tutorial su YouTube. Era riuscita a fare la spesa in Germania usando un traduttore online. Persino in quel momento le sembrava di sentir vibrare il telefono che aveva lasciato in camera, ancora bagnato, per la notifica di un’email o di un appuntamento dal medico, come per una sorta di sindrome dell’arto fantasma. Non aveva mai dovuto spiegare a nessuno perché era utile. Era come dover spiegare perché era utile bere l’acqua.
«A noi sembra tutto antiquato qui» disse. «Come se avessimo viaggiato indietro nel tempo.»
«Anche voi a noi sembrate piuttosto arretrati» disse Nero. «Lascia che te lo mostri. Dimmi qualcosa che vorresti cercare. Qualunque cosa.»
«Okay.» In un primo momento Sloane non seppe cosa dire. C’erano così tante cose che le serviva sapere su Genetrix per trovare il modo di tornare a casa; anche se avessero deciso di combattere il Resurrezionista, cosa di cui Sloane ancora non era convinta. Ma non voleva chiedere di cercare qualcosa sulla magia. Non voleva ricevere quelle informazioni da Nero quando non era sicura di potersi fidare. Per cui forse poteva verificare qualcosa che aveva detto lui. Giusto per assicurarsi che fosse stato onesto con loro. «Hai detto che c’è un collegamento tra questo universo e il nostro» disse. «Vorrei trovare qualche prova.»
«Non sono sicuro che riuscirai a trovarla qui. La nostra conoscenza della connessione si fonda su analisi di campi di energia magica e…»
Sloane non gli stava già più prestando attenzione. Stava pensando al filmato che aveva visto nella Cupola della ARIS, quello che avrebbe dimostrato che c’era un malfunzionamento nel mondo. Gli alberi che fluttuavano sopra l’acqua, e che non si sapeva da dove fossero arrivati; il campo di granturco che era apparso sul fondo dell’oceano, e il contadino intrappolato nel suo trattore che non corrispondeva a nessuna persona di cui fosse stata denunciata la scomparsa. Se si ipotizzava che Nero avesse ragione sulla connessione tra gli universi, forse quel contadino non era della Terra, ma veniva da Genetrix.
«Che data è oggi? Giorno e anno?» chiese.
«Ventinove aprile 2020» rispose lui.
«Merda. Da noi è ancora marzo.»
«Le discrepanze temporali sembra si verifichino piuttosto spesso quando ci si sposta tra gli universi. Noi abbiamo trovato alcuni sistemi per stabilizzarle, ma riusciamo solo ad approssimare.»
Sloane si abbandonò per un istante al terrore nel rendersi conto che anche se fossero riusciti a convincere Nero e Aelia a rimandarli a casa, avrebbero potuto finire in un’epoca a millenni di distanza dalla loro nel futuro, o peggio ancora, nel passato. Poi respinse il pensiero. Non poteva preoccuparsene in quel momento. «Sto cercando una denuncia di persona scomparsa di… qualche mese fa, immagino, nel nostro tempo. Un caso strano: un agricoltore di qualche città del Midwest. Coltivatore di granturco. È… scomparso mentre era sul suo trattore. Un trattore John Deere, per cui probabilmente americano.»
Nero sollevò le sopracciglia, ma non fece domande. Invece, si portò un fischietto alle labbra e si voltò verso gli scaffali. Sollevò una mano, poi la agitò distrattamente mentre produceva una nota acuta e dolce come il trillo di un uccello. «Certe frequenze sono come sentieri per specifici processi» disse, togliendosi il fischietto dalla bocca per parlare. «E le categorie dei processi sono numerosissime. Ma una volta che trovi il sentiero giusto, è l’intenzione che guida la magia, non tanto la nota che si emette. Per cui devo conoscere l’intenzione del mio cuore ed essere in grado di darvi forma. Voglio trovare questo per te. Ma ho bisogno di un’intenzione più precisa. Il trattore perduto, sto calcolando, è un dato più preciso rispetto al tuo intervallo di date.»
Si infilò il fischietto tra le labbra e soffiò di nuovo, una lunga nota lenta. I suoi occhi si chiusero e Sloane aspettò che succedesse qualcosa. Ma quando Nero riaprì gli occhi e si tolse il fischietto dalla bocca, niente nella biblioteca sembrava cambiato. Lui le rivolse un sorrisetto e le fece segno di seguirlo.
La condusse lontano dalle torri di libri, in una stanza sul retro dove erano raccolte pile ordinate di giornali, su ogni superficie disponibile. La maggior parte portava il nome “Chicago Post”, un giornale che Sloane non conosceva, ma c’era anche qualche copia del “New York Times”. Una pila era illuminata da quello che Sloane sulle prime aveva ignorato, pensando fosse un riflesso del sole, ma che poi scoprì essere un bagliore che emanava da alcune copie in mezzo alla raccolta. Vi si avvicinò, gli occhi spalancati, le mani già protese in avanti, e cercò il numero giusto in mezzo al mucchio che ne offuscava la luminosità. Lesse i titoli mentre sfogliava le prime pagine: Resurrezionista avvistato presso un alimentari del South Side; I nuovi regolamenti dell’Unione Europea sui sifoni potrebbero creare problemi ai profughi; Birmingham: la prossima città-presidio?; Balena killer volante avvistata vicino alle coste dell’Alaska.
Il giornale illuminato si chiamava “Peoria Chronicle” e in prima pagina portava il titolo: Agricoltore dello Iowa scomparso insieme a metà della sua coltura. Il testo sotto diceva:
Trevor Sherman, proprietario di una coltivazione di granturco nello Iowa centrale, è sparito mentre tornava a casa con il suo trattore una settimana fa. Sono spariti insieme a lui un sistema di irrigazione e sessantacinque ettari di granturco. La scomparsa è stata verificata di persona dal corrispondente per il Midwest del “Chronicle”.
Sotto l’articolo c’era una foto che occupava mezza pagina con un cerchio di terra spoglia e mezzo impianto di irrigazione al centro di un campo di granturco. Qualcosa aveva tagliato di netto gli steli restanti formando una diagonale perfetta. Lo stesso valeva per l’impianto di irrigazione di metallo.
«Prima di venire su Genetrix» disse Sloane, «abbiamo visto un filmato di un uomo e il suo trattore apparsi sul fondo dell’oceano dal nulla. Mi sono chiesta se quest’uomo fosse di Genetrix. Pare che la risposta sia sì.»
«Non è stata la prima sparizione qui da noi.» Nero batté un dito sul giornale che lei aveva in mano. «Continua a leggere.»
Sloane diede una scorsa alla descrizione dei figli dell’uomo (tre, tutti adolescenti) e alle parole della moglie, fino a uno dei paragrafi successivi, sul quale si soffermò:
Sparizioni e riapparizioni di questa natura si sono verificate in tutto il globo negli ultimi mesi; tra questi, ricordiamo l’incidente sulla Sunshine Coast in Australia l’anno scorso, quando sulla spiaggia è comparso un enorme iceberg. Alcuni teorici della magia hanno proposto come spiegazione la teoria del multiverso, ma gli scienziati la respingono in quanto non esiste alcuna prova concreta che i contatti tra i multiversi siano possibili al momento, e men che meno che la materia possa essere spostata da un universo all’altro.
Sloane alzò lo sguardo su Nero, che stava leggendo da sopra la sua spalla. «La gente qui non sa che avete trovato il modo di accedere a un altro universo.»
«Ci è sembrato prudente mantenere il riserbo, finché non ne comprenderemo le ripercussioni. Non possiamo permettere che tutti comincino a cercare il modo per intrufolarsi in altri universi, dopotutto.»
Sul “Peoria Chronicle” c’era una rubrica intitolata “Curiosità magiche”. La maggior parte degli articoli sembrava roba da giornalaccio: gente a cui crescevano le ali o la coda, storie di rapimenti da parte degli alieni, veicoli che scomparivano (e poi si scopriva essere stati rimossi dalla stradale o rubati). Ma altri sembravano più credibili: una cassetta delle lettere che schizzava verso il cielo come un razzo, un gatto che era uscito da una tomba scavandosi un cunicolo con le unghie, un altro avvistamento del Resurrezionista, stavolta nello Iowa.
«Quindi sei il genere di persona da “Ti dico solo quello che è necessario tu sappia”.» Sloane posò il giornale. Aveva le dita sporche d’inchiostro. La luce cominciava a spegnersi dietro le lettere del titolo, lasciando macchie scure a danzarle davanti agli occhi. «Come faccio a sapere che mi stai dicendo abbastanza?»
Nero sospirò. «So che ti devo delle scuse, le devo a tutti voi. Non basta, naturalmente, ma… non potrò mai rimarcare a sufficienza quanto eravamo disperati dopo la sconfitta del Prescelto. Era come… se il mondo stesse finendo.»
Sloane ricordò le notti in cui loro cinque avevano pensato che il mondo stesse per finire. Ce n’erano state diverse. Quella dopo che lei e Albie erano tornati dalla prigionia era stata la peggiore di tutte, con loro due in ospedale e Matt che camminava avanti e indietro nel corridoio tra le camere dove erano ricoverati, non riuscendo a dormire. Alla madre di Esther era stato diagnosticato il cancro appena due giorni prima. Per cui avevano portato anche lei nella stanza di Albie, su una sedia a rotelle, e si erano ubriacati tutti.
Ciò che ricordava meglio era come si sentiva. La spossatezza, ma anche il bisogno frenetico di fuggire, come se dovesse lottare contro una camicia di forza. Doveva esserci una via d’uscita, un punto debole che non avevano scoperto, una strada che non avevano esplorato…
Non avevano mai pensato a una dimensione parallela. Ma se l’avessero fatto era sicura che, nello stato febbrile in cui si trovava allora, sarebbe stata capace di rapire qualcuno per salvare il mondo.
«Questo Resurrezionista. È potente?»
Nero annuì. «Tutti possono usare un sifone per fare qualcosa, ma i livelli di abilità sono molto diversi. Dico “abilità”, ma in realtà l’abilità vi ha poco a che fare. “Talento” è forse più preciso. I sifoni da polso sono i manufatti più semplici. I sifoni da gola sono costosi e richiedono una predisposizione naturale. Gli altri implicano un alto livello di abilità magica innata. Orecchie, occhi, bocca. Petto.» Si strinse nelle spalle. «Ne puoi mettere uno quasi ovunque, anche se alcuni sono illegali per il genere di magia che producono.»
«Tipo?»
«Si dice che un sifone sulla spina dorsale rende chi lo porta sottomesso al controllo di un’altra persona. E metterlo sui genitali provoca orribili deformità.»
Sloane rabbrividì. «La gente si mette proprio di tutto laggiù, eh?»
Nero annuì con espressione sapiente, ma sorrideva. «A ogni modo, i sifoni sono difficili da padroneggiare e la maggior parte della gente non ne può indossare più di due contemporaneamente senza finire in coma. Il Resurrezionista ne porta cinque.»
Lei emise un fischio sommesso.
«Le sue doti innate combinate con la sua natura sono… catastrofiche» aggiunse cupamente Nero.
«Che cosa sapete della sua natura?» Sloane parlò con circospezione, avvertendo un cambiamento nello stato d’animo di Nero.
Lui rimase in silenzio. Il sole, che ora, alto sopra i lucernari, illuminava i libri sugli scaffali, li raggiunse nella stanza del retro dove si erano fermati, in mezzo ai giornali.
«Mia sorella era l’assistente del Prescelto» disse Nero. «Una notte, è stata… presa. Torturata. E il suo corpo è rimasto a fluttuare sopra questo edificio. Ci sono voluti giorni per capire come tirarla giù affinché potessi seppellirla.»
Sloane ricordava il giorno in cui avevano riportato il corpo di suo fratello dal sito del Gorgo. In una bara fornita dal governo. Non avevano trovato una stanza in cui metterla, per cui l’avevano sistemata in garage per la notte prima del funerale. Quando sua madre si era addormentata, lei era andata lì per stare con lui. Non voleva lasciarlo solo, per quanto stupido fosse. Sapeva che lui non c’era più, che dentro quella bara non c’era altro che ossa e carne marcia, ma era rimasta là ugualmente. Nessuno sarebbe dovuto rimanere da solo nella morte. «Mi dispiace.»
«Si chiamava Claudia. Come probabilmente avrai notato, i nomi dell’antica Roma hanno conosciuto un’ondata di popolarità da queste parti una quarantina di anni fa.»
«Me l’ero domandato. Non sono in molti ad avere un’idea positiva di Nerone.»
«A mia madre piaceva semplicemente il suono.» Un sorriso incerto gli disegnò una ruga netta nella guancia. «Non mi piace parlare di mia sorella, ma ho pensato dovessi sapere perché siete stati portati via da casa vostra. O, più specificamente, perché io ho aiutato a portarvi via da casa vostra.»
«Grazie» disse Sloane.
«Ora credo sia meglio che ti riaccompagni in camera tua. O Aelia vorrà la mia testa.»
«Sembra un po’ scorbutica con te.»
«Mi dà la colpa per aver convocato tre persone invece di una sola. Anche se non ero l’unico a eseguire il processo.»
«Che genere di sifone apre alle altre dimensioni?»
«Indovina.»
«Il sifone da sedere» scherzò Sloane.
Nero ridacchiò. «No. In realtà non si tratta di nessuna parte del corpo. Si tratta di numerose persone raccolte intorno a un sifone enorme incassato nel pavimento. Lo chiamiamo sifone fortis. Ce ne sono di moderatamente grandi nelle città-presidio, ma gli unici che vantano queste specifiche dimensioni sono uno qui, nella Sala delle Convocazioni, uno a Los Angeles e uno nel Maine.»
«Nel Maine?»
Nero sorrise. «La nostra università magica più prestigiosa si trova nel Maine, proprio sulla costa. È molto bella, ma anche molto cara.» Guardò il polso, quello non coperto dal sifone, per controllare l’ora. «Andiamo. Sono sicuro che hai voglia di farti una doccia e cambiarti i vestiti. E magari fare colazione.»
Andarono insieme all’ascensore. Tornarono al corridoio dei Prescelti proprio mentre Matt ed Esther si stavano svegliando.