La prima volta che aveva visto Matt era stato alla Fattoria, come chiamavano la struttura in cui si erano addestrati per combattere l’Oscuro. Lui era aggrappato alla catena del dondolo nel portico, allampanato, i capelli con corti dreadlock. Le aveva detto che aveva un nome strano e le aveva chiesto da dove arrivava. Quando lei gli aveva risposto che il suo nome e quello di suo fratello venivano dal film Una pazza giornata di vacanza, lui era scoppiato a ridere. Aveva un sorriso così aperto che a lei era piaciuto immediatamente.
Qualcosa del Matt che se ne stava in corridoio aggrappato allo stipite della porta le ricordò il ragazzino che aveva conosciuto allora. Ma lui aveva smesso di sorridere in quel modo molto tempo prima. Ancora prima che cominciassero a uscire insieme.
E di sicuro non stava sorridendo ora.
«Bel biglietto» disse, sollevando il pezzo di carta che Sloane gli aveva infilato sotto la porta prima di uscire.
Matt…
noi andiamo a conoscere la controparte di Bert. Dobbiamo sapere. Siamo accompagnate, per cui non preoccuparti.
Slo ed Essy
Matt lo accartocciò e glielo gettò ai piedi. La palla di carta le rimbalzò contro la gamba e andò a fermarsi vicino al muro.
«Be’, stavolta ti ho detto dove stavo andando» disse Sloane freddamente.
«Non è questo il punto. Si suppone che siamo una squadra.»
«Tu non vuoi una squadra. Tu vuoi che ti si obbedisca.»
Matt trasalì come se gli avesse dato un pugno e fece un passo indietro. Lei sentì una punta di dispiacere. Ma era stanca di doversi difendere ogni volta che voleva fare qualcosa, dire qualcosa, andare da qualche parte. E non solo su Genetrix, ma ovunque. Lui era un uomo gentile, ma la sua disapprovazione era paternalistica nel migliore dei casi, e dispotica nel peggiore.
«Ehi, ehi, non fate così» intervenne Esther prima che Matt potesse ribattere. Si mise in mezzo a loro, un braccio steso verso Sloane e l’altro verso Matt. «Non è che Sloane mi ci abbia trascinata, Matt. Ero d’accordo con lei che sarebbe stato utile e sapevo che tu non volevi venire, per cui…»
«No, tu sapevi che se me l’avessi detto, avremmo litigato» disse Matt, accigliandosi. «Non vale andarvene alle mie spalle solo perché sapete che non sono d’accordo! Vi ho mai fatto una cosa del genere io?»
«Be’, forse se qualche volta volessi fare qualcosa…»
«Sloane, taci!» scattò Esther. «Smettila di comportarti come una bambina.»
Sloane si sentì arrossire. Esther si pizzicò il naso come per scacciare la tensione. Sloane continuava a dimenticarsi quanto l’avesse vista stanca quando era uscita dal fiume. Non c’era niente ad attendere Sloane sulla Terra tranne il conforto di essere in un mondo che conosceva e un appartamento da cui doveva andarsene. Ma ad aspettare Esther c’era un genitore che stava morendo. Ogni momento che passava su Genetrix per lei era un momento di troppo.
«Giusta osservazione» disse Esther a Matt. «Vero, Sloane?»
«Non devi forzarla a essere d’accordo con te» l’ammonì Matt.
«Non lo sta facendo» Sloane si costrinse a dire. «È un’osservazione giusta. Scusa.»
Esther sospirò con evidente sollievo e si sfilò con un calcio una scarpa che atterrò da qualche parte nella sua camera. L’altra scarpa la raggiunse a ruota ed Esther si ritrovò con i suoi piedi piatti, il rossetto rosa ridotto al contorno delle labbra, il trucco sugli occhi sbavato. La Essy famosa di Instagram era sparita.
«Okay» assentì Matt. «Be’, com’era?»
«Una testa di cazzo» rispose Sloane.
«Non era una testa di cazzo» obiettò Esther. «Era un postino con la moglie morta. Nessun interesse nel lavoro del governo o nella magia.»
«Per cui non era uguale a Bert» dedusse Matt con aria trionfante. «L’avevo detto a Esther: solo perché una persona ha lo stesso patrimonio genetico della sua controparte…»
«Era un bel po’ uguale a Bert, in realtà.» Sloane incrociò le braccia e si appoggiò al muro. «Stava ascoltando Neil Young. Aveva un sacco di libri su oggetti magici e leggende. Parlava come Bert, lacrimava come Bert; aveva dei dannati nani nel giardino. Era Bert, ma la diffusione della magia l’ha fatto deragliare.»
«Come può la diffusione della magia averlo fatto deragliare? Bert era affascinato dalla magia» disse Matt. «Sarebbe stato felicissimo di vederla diffusa.»
«No, Bert era attratto dal mistero» disse Sloane. «A lui piaceva sapere cose che nessun altro sapeva, scoprire che i miti erano reali; una volta che la magia è diventata un’entità risaputa che puoi controllare con la tecnologia e con i suoni, ha perso interesse.» Si guardò le scarpe, sporche di polvere, fango e acqua delle pozzanghere. «Era così simile che ho perso un po’ il controllo. Ed era così simile che credo sia possibile, forse perfino probabile, che il Resurrezionista sia la versione parallela dell’Oscuro.»
«Il nostro Oscuro usava una magia che la maggior parte degli abitanti della Terra non credeva neanche esistesse» osservò Matt. «Immagino abbia senso che in un mondo in cui è ampiamente risaputo che la magia esiste, lui scavi più in profondità in cerca di nuove possibilità, tipo resuscitare un esercito di morti.»
Sloane annuì.
«Voglio dire, se una persona normale sapesse come richiamare qualcuno dalla morte, non metterebbe in piedi un cazzo di esercito. Richiamerebbe i propri cari, i familiari, gli amici» commentò Esther.
Sloane pensò a Cameron nella piscina comunale, che le insegnava a fare le capriole all’indietro nell’acqua. C’erano così tante cose che non gli aveva detto. Cose che avrebbe potuto dirgli se avesse scoperto come riportare in vita i morti.
La voce di Esther suonò tesa quando proseguì, come se stesse pensando a suo padre, ucciso dall’Oscuro, e a sua madre, che non sarebbe vissuta ancora a lungo: «Ma l’Oscuro non era… non è normale».
«La buona notizia… insomma, la notizia leggermente meno orribile» disse allora Sloane, «è che noi l’Oscuro un po’ lo conosciamo. Per cui qui non ci troviamo davanti un nemico totalmente estraneo. Come hai detto tu l’altro giorno, Matt… l’abbiamo già combattuto una volta.»
Erano scuse migliori di quelle di prima, in un certo senso; era il riconoscimento che lui aveva avuto ragione a cercare una speranza pensando che avevano già vissuto quell’esperienza. Lei se la stava ricordando, solo che non sembrava un ricordo, non per davvero. Sembrava più un ritorno a essere qualcosa che era già stata. Una Sloane semplificata, ridotta agli elementi essenziali. Mascella serrata, mente lucida e un unico scopo: uccidere l’Oscuro.
«So che odi i sifoni, Slo, ma devi continuare a lavorarci» disse Matt. «Dobbiamo farlo tutti. Il prossimo passo per noi qui è imparare a usare la magia, perché è l’arma migliore che abbiamo.»
«Non avrei mai immaginato di desiderare di avere ancora l’Ago conficcato nella mano» concluse Sloane. «Ma sto cominciando a farlo.»
Nella settimana successiva, Sloane arrivò a detestare il sifone. Ne odiava il peso, la freddezza, il contatto con le corde che lo stringevano intorno alle dita. Era inutile e inerte sulla sua mano a prescindere da quale processo lei tentasse. Cyrielle aveva rinunciato al respiro magico e aveva cercato di insegnarle una mezza dozzina di processi minori, ciascuno dei quali aveva portato allo stesso risultato: niente. Il Resurrezionista era solo uno spettro, una leggenda, mentre il sifone era un nemico che poteva vedere e toccare.
Gli altri stavano imparando a padroneggiare il loro senza troppa difficoltà. Matt aveva un talento nel muovere gli oggetti senza toccarli. Esther era stata maldestra in tutti i processi che richiedevano il sifone da polso, ma Cyrielle, in un colpo di genio, le aveva procurato un sifone da gola e ora Esther sapeva imitare a proprio piacimento la voce di chiunque.
Ogni mattina a Sloane veniva voglia di fare a pezzi il sifone con uno dei libri che teneva sul comodino. La fermavano soltanto la paura del Resurrezionista e il pensiero del Gorgo.
Prese in considerazione l’idea di tornare al Boccale per rivedere Mox, ma decise altrimenti, e trovò invece nuovi modi per tenersi occupata. Portava Kyros a correre sul lungolago a dispetto dell’aria gelata. Leggeva la pila di libri che aveva trovato nella sua stanza. Riuscì perfino a trascinare Esther all’Art Institute, dove c’era un’intera ala dedicata ai Processi artistici. Vagò per ore per una mostra di fotografie che si trasformavano in immagini tridimensionali quando ci si avvicinava, dando l’impressione di passeggiarvi dentro. Stava cominciando a comprendere gli Irrealisti; come fidarsi di una realtà che poteva essere manipolata così facilmente?
L’unico lato positivo della sua costante frustrazione per i fallimenti con il sifone era quanto la stancava. Il sonno pesante la teneva lontana dagli incubi peggiori, anche se niente riusciva a proteggerla completamente. Le capitava spesso di sognare Albie; di inseguirlo lungo strade deserte o su e giù per rampe di scale. In un sogno particolarmente vivido, lui si gettava di corsa in mezzo al traffico dell’interstatale e finiva schiacciato nello scontro frontale tra due camion. E un incendio divampava su tutta la scena.
Quando si svegliava da questi sogni, Sloane rinunciava a tornare a dormire e cercava di calmarsi leggendo. Tutti e tre avevano raccolto i libri che avevano trovato nelle loro camere e li avevano impilati in corridoio, creando una piccola biblioteca. Sloane si era tenuta per sé La manifestazione dei desideri impossibili: una nuova teoria del magico, ma aveva anche preso una raccolta di poesie dalla stanza di Matt e un testo di storia da quella di Esther.
Il libro di storia copriva il periodo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la formazione della Cortina di ferro e una Guerra fredda che Sloane riconosceva in parte ma in parte no. Si era aspettata di leggere dello sviluppo della tecnologia satellitare, della corsa allo spazio, ma non erano mai arrivate; al loro posto, c’era lo sviluppo della tecnologia per immergersi in acque sempre più profonde; per udire a distanze sempre maggiori sfruttando il canale SOFAR, il livello dell’oceano a cui il suono viaggiava più velocemente; per piazzare idrofoni sempre più in profondità nell’oceano senza che perdessero efficacia. Il risultato di tutto questo era naturalmente l’incidente della Tenebris, un inconveniente verificatosi durante la sperimentazione di un missile sottomarino che aveva diffuso la magia in tutto il mondo.
Una mattina Sloane era seduta nel corridoio, con il libro in grembo e una tazza mezza vuota di caffè accanto, quando sentì un flebile suono di campanello, il segnale dell’ascensore in arrivo. Ne uscì Nero, le mani in tasca, un pollice coperto dal metallo cromato del sifone. Aveva i capelli pettinati all’indietro, che scoprivano rughe sulla fronte che lei non aveva mai notato. Per la prima volta si domandò quanti anni avesse.
«Sì?» gli disse quando le fu vicino.
«Ho ricevuto segnalazioni su di te che giravi per i corridoi ogni singola notte, questa settimana. Alla fine sono venuto per capire se sei sonnambula.»
«Per cui l’allarme magico che hai installato si trova nella mia stanza. Mi guardi mentre dormo, SuperStalker?»
«Super… che?» Nero si accovacciò accanto a lei, i gomiti sulle ginocchia. «No, non ti guardo mentre dormi. Vengo semplicemente avvisato che qualcuno è uscito dalla sua stanza.»
«Soffro di insonnia.»
«Sempre?»
«Da quando mio fratello è stato assassinato dal signore del male distruttore di mondi. Di solito prendo delle pillole, ma le ho lasciate a casa.»
Nero inclinò la testa e la guardò. «Non ti è venuto in mente che abbiamo medicine anche su Genetrix?»
Sloane rise un po’. «Immagino di no. Avete le benzodiazepine?»
«Tipo il Valium?»
«Credo che funzionerebbe.»
«Ne chiederò un po’ per te. So quanto è frustrante non riuscire mai a dormire abbastanza.»
Sloane non aveva pensato che potesse essere così semplice. «Be’… grazie.»
«Di niente.» Nero sollevò il libro che lei aveva in mano per vedere la copertina. Era uno schizzo della balena di cui le aveva parlato Kyros, alla deriva tra le nuvole sopra il Challenger Deep.
«Storia» disse Nero. «Immagino aiuti a dormire.»
«Non ti piace la storia?»
«Non particolarmente.» Nero si strinse nelle spalle. «Su larga scala, forse; la nascita del mondo, i primi organismi viventi, l’inizio dell’umanità. Ma i dettagli dei battibecchi tra le nazioni – “questa terra è mia; no, è mia; uccidiamoci a vicenda per chi se la prende” – questo no, non mi interessa.»
«Senza quei piccoli battibecchi non avreste la magia» disse Sloane. «Non ci sarebbe stato un missile balistico sparato accidentalmente dentro la Fossa delle Marianne.»
«E la magia fine a se stessa è davvero una cosa buona?»
«No. Ma… non ti piace la magia? Lavori qui, dopotutto.»
«A volte mi piace. Mi ha dato una conoscenza dell’universo che i miei antenati non si sarebbero mai sognati. Ma quella conoscenza non è mai sufficiente per prevenire le catastrofi, a quanto pare.»
«Non è tua responsabilità fermare qualunque evento negativo.»
«Solo alcuni. Lo so.» Fece un mezzo sorriso. «Ma porto il peso di tutti.»
Sloane si domandò se stesse pensando alla sorella, attirata tra le grinfie del Resurrezionista. L’orrore della sua morte, il corpo sospeso sopra il Caram, rigido e freddo. A volte immaginava Cameron nello stesso modo, freddo nella sua bara, cosparso della polvere dell’impresa di pompe funebri che lo faceva sembrare di plastica, come una bambola. Lei era piccola quando lui si era arruolato nella guerra contro l’Oscuro. Troppo piccola per fermarlo, probabilmente, ma non ci aveva neanche provato.
«Credo di capirlo questo» disse.
«Non volevo interrompere le tue letture con la mia tetraggine» disse Nero. «Mi hanno detto che ti sei impegnata molto con il sifone.»
«Ma senza risultati.»
Nero accolse la risposta con un cenno della testa. «C’è un libro che potrebbe aiutarti a comprendere meglio la teoria del magico. Si intitola La manifestazione dei desideri…»
«… impossibili. Sì, l’ho letto.» Forse si stava illudendo, ma le parve che lui ne fosse un po’ colpito. «La magia è questione di desiderio, non solo di intenzione, bla bla. Non mi è stato molto utile, non puoi costringerti a volere qualcosa.»
Nero inclinò la testa di lato di nuovo. «No?»
Lei non ci aveva mai pensato prima. Aveva vissuto metà della sua vita a desiderare una cosa sola – salvare il mondo – e l’altra metà a desiderare di essere lasciata in pace, il che era quasi la stessa cosa che non desiderare proprio niente. Non sapeva che cosa significava desiderare qualcosa di intermedio tra quei due estremi. Non era neanche sicura di esserne capace.
«Non lo so» rispose.
«Be’, allora, questa è la questione centrale» disse Nero. «Non sarai mai in grado di fare niente di magico se non trovi il modo di desiderarlo.» Si alzò con un gemito, le ginocchia gli scricchiolarono. «Sono un po’ troppo vecchio per stare seduto sul pavimento, temo. Parlerò con un dottore per le tue medicine non appena il mondo si sveglia.»
«Grazie di nuovo» disse lei.
Nero si allontanò nel corridoio, canticchiando.