Le settimane che seguirono furono per Sloane fonte di noia e frustrazione. Il dottore le aveva detto di non esercitarsi con i sifoni per almeno due settimane, per cui tutti la lasciarono in pace. Non poteva camminare senza stampelle, e le stampelle le facevano male sotto le braccia, per cui passava quasi tutto il tempo nello stesso posto, a leggere La manifestazione dei desideri impossibili. Il posto era una piccola panchina in fondo al corridoio del laboratorio di Nero.
Poche persone si avvicinavano alla porta. Ancora di meno la oltrepassavano, e quelle che lo facevano erano sempre scortate da Nero stesso. Era come se la magia che teneva in sicurezza la porta rispondesse solo a lui.
Questo era il motivo per cui Sloane aveva scelto l’ufficio di Nero come obiettivo, anziché quello di Aelia, che permetteva l’accesso al suo spazio almeno a Cyrielle e Nero. Lui invece non l’aveva concesso a nessuno, il che significava che stava proteggendo qualcosa di importante.
All’inizio Sloane provò a pensare a una scusa che convincesse Nero a lasciarla entrare, ma anche lui era diventato più elusivo dopo la loro conversazione nell’ufficio di Aelia. Il primo giorno in cui l’aveva vista lì, le aveva chiesto perché le piacesse leggere su quella panchina, e lei aveva indicato con la mano la finestra di fronte, da cui si vedeva la Sears Tower. Dopodiché lui aveva cambiato il percorso per andare al laboratorio in modo da non doverle passare davanti.
Ci vollero due settimane prima che Sloane lo sentisse. Si era alzata quando aveva visto Nero andare verso la porta del laboratorio e si era avvicinata di corsa – per quanto le era possibile – per coinvolgerlo in una conversazione, ma lui aveva fatto finta di non vederla ed era scivolato dentro il laboratorio proprio quando lei era ormai abbastanza vicina da parlargli. Lei aveva visto le pesanti doppie porte chiudersi e poi… aveva sentito la serratura girare.
Aveva ipotizzato che Nero proteggesse il suo ufficio con qualche tipo di processo applicato sulla soglia. Se invece la magia fosse stata eseguita solo sulla serratura?
Nei giorni successivi chiese dei soldi a Cyrielle e andò in un vicino ferramenta – indossando un nuovo tutore grazie al quale non aveva bisogno delle stampelle – per comprare un martello e un cacciavite.
«Non posso credere di aver accettato» disse Esther.
«Non comportarti come se ti avessi trascinato io» disse Sloane, puntandole contro il cacciavite. Aveva il manico blu scuro con il nome della marca, SIPHONA TECHNICA, stampato in oro sul fianco. Sloane infilò un dito sotto il cinturino dell’orologio di Esther e tirò il quadrante verso di sé per controllare l’ora. «Bene, andiamo. Ti ricordi qual è la nostra storia se troviamo Nero?»
«Il tuo sifone da gamba emette un rumore acuto e abbiamo bisogno che ci dia un’occhiata» disse Esther. «Sai che lui non se la berrà, però, vero? Potevamo andare semplicemente da Cyrielle.»
«Tanto non ci sarà. Ho controllato i suoi orari di entrata e di uscita per due settimane e non si ferma mai dopo le cinque.»
«Sei una stalker.»
Sloane sorrise e aprì la porta delle scale spingendola con le spalle.
Percorsero l’ampio corridoio pieno di finestre che conduceva al laboratorio di Nero. Oltrepassarono la panchina dove Sloane aveva trascorso tanto tempo a leggere e una scultura monocromatica rosa che le ricordava un rene. Le doppie porte dell’ufficio di Nero sembravano appartenere a un castello invece che al Caram, con grossi perni nei vecchi cardini arrugginiti. Questa era una fortuna per loro due.
«Avvisami se arriva qualcuno» disse Sloane a Esther, accovacciandosi con fatica davanti al più basso dei tre cardini. Incastrò l’estremità del cacciavite contro la base del perno e lo colpì con il martello, spingendolo verso l’alto. Quando lo vide sporgere dal cardine, lo sfilò dall’alto muovendolo un po’. Uno era andato, ne mancavano due.
«E quindi, la magia sulla porta non impedisce di fare questo?» chiese Esther. «Sembra una grossa disattenzione.»
«Viene da pensarlo, vero?» Sloane passò al secondo cardine. «Ma tutto quello che fa lui con la magia è agire sulla serratura. Il processo fa ruotare il blocco e la tiene chiusa, ma non agisce sulla porta stessa. Anche perché, se lo facesse, perché Nero si preoccuperebbe di avere una serratura meccanica? Non sarebbe necessaria. Si affidano alla magia per tutto, qui.»
«E tu questo l’hai pensato… come?»
«Leggo il giornale. Non hai idea di quanti furti avvengano in questa città solo perché la gente si affida alle protezioni magiche e dimentica che i sistemi pratici a volte le vanificano. Hanno perso del tutto il contatto con il funzionamento delle cose semplici.» Sloane terminò con la terza cerniera e infilò la testa del cacciavite di piatto tra il cardine e il muro per scostare la porta.
Il chiavistello magico tenne, per cui la porta rimase a penzolare in modo strano da quell’unico punto, come un dente attaccato all’osso ancora solo per una minima parte.
«Vittoria» disse. Si girò di fianco per infilarsi nell’ufficio.
«Se rimaniamo bloccati su Genetrix per qualche motivo» disse Esther, «dovresti prendere in considerazione la carriera da criminale.»
«Ci penserò. Sbrigati, non ci vorrà molto prima che si accorgano della porta.» Si voltò a guardare il laboratorio di Nero per la prima volta. Era uno spazio ampio con una luce pallida e malinconica che entrava dall’esterno attraverso un soffitto composto da una geometria di pannelli bianchi trasparenti, come quello di una serra. Le pareti erano coperte di fregi decorativi di pietra che facevano sembrare la stanza un tempio antico coperto di simboli sacri. Lo spazio era ingombro di libri e macchinari, pezzi di vecchi sifoni e attrezzi per aggiustarli, testi in molteplici lingue aperti o impilati l’uno sopra l’altro.
Esther tirò qualcosa fuori dalla tasca. Era un fischietto, lungo all’incirca come un dito. Sloane aveva visto gente in strada e nell’atrio del Caram con quelli tra i denti, che soffiava in continuazione per compiere processi complessi.
Si infilò il fischietto tra le labbra e produsse una lunga nota bassa. Non successe niente, per cui provò di nuovo, chiudendo gli occhi e corrugando la fronte mentre si concentrava sulla sua intenzione. Sloane intravide una debole luce con la coda dell’occhio ed Esther corse verso una pila di libri lì vicino per sfilare un sottile diario nero. Sfogliò le pagine in cerca di quella illuminata e lesse:
Il Prescelto descrive la sua particolare percezione del magico come sottili fili di luce, come un ordito in un telaio, che collegano le persone tra loro, agli oggetti, al terreno. È questa ultima parte che più mi interessa: la magia che penetra nella Terra deve affondare oltre la crosta; deve essere collegata a qualcosa che è al cuore del nostro pianeta, qualcosa che non possiamo ancora comprendere… forse qualcosa che è stato distrutto dal missile lanciato dentro la Gola della Tenebris, il che spiegherebbe la diffusione di quella che chiamiamo “magia” su tutto Genetrix.
«Il diario di Nero?» chiese Esther interrompendo la lettura.
«Sembra che ne abbia diversi.» Sloane indicò un sottile barlume di luce in una pila accanto a Esther. Girò per il laboratorio guardando i libri lasciati aperti da Nero in cerca di altri eventuali punti luminosi. Corso avanzato di riparazione di sifoni, Volume 3. Colonna vertebrale, petto, pancia: uno studio dei sifoni meno utilizzati. Teoria delle stringhe per la mente magica. Fece scorrere le dita sulle pagine mentre zoppicava verso una parete. Sotto una finestra trovò una piccola nicchia occupata da un tavolo.
Esther ricominciò a leggere:
Finora sono riuscito a vedere altri universi, ma non ho tentato di agire su di loro. È più importante, a questo stadio, trovare un universo all’interno del quale sia possibile operare. Sono richiesti alcuni parametri: la presenza di almeno un po’ di magia, come prima cosa; nessuna barriera linguistica, come seconda; un punto di distacco entro gli ultimi cinquant’anni circa, perché sia più facile per il soggetto adattarsi a Genetrix; e un campione o cosiddetto Prescelto che sia in grado di portare a termine il compito. È incomprensibile quanto sia difficile trovare un mondo che soddisfi…
Non finì la frase.
Il tavolo era davanti a una finestra con piccoli pannelli a losanghe attraverso cui Sloane vedeva soltanto forme confuse della città, che si colorava di nero e blu man mano che il sole tramontava. C’erano pochi oggetti sul davanzale: un orologio da tasca con la catena rotta, un paio di piccoli occhiali rosa a occhi di gatto, un anello con una pietra viola. Sotto gli occhiali c’era una gru di carta. Sloane ne prese il becco tra il pollice e l’indice e la sollevò alla luce. Era piegata con precisione, come quelle di Albie.
«Aspetta, c’è dell’altro» disse Esther.
Ho passato giorni a vagliare nuvole di materia che andava addensandosi, ma non aveva ancora formato un pianeta; mondi allo stato liquido troppo tossici per ospitare la vita; mondi gassosi invischiati in tempeste continue. Ho visto Terre squarciate in due da giganteschi asteroidi, Terre invase da dinosauri pennuti, Terre sature di oceani. E ho visto Terre sterili per gli attacchi delle bombe atomiche, Terre svuotate di vita umana dalle pestilenze, con le case ancora intatte, le colazioni marcite sulle tavole.
Esther passò a un altro diario, uno rosso, grande come il palmo della sua mano.
Il mio campione è morto. È stato ucciso dal Resurrezionista ieri sera, a mezzanotte e un quarto, sulla spiaggia lungo il lago. Vittima del metodo preferito del Resurrezionista per uccidere, l’antitesi del respiro magico, una sorta di collasso magico…
La gru che aveva in mano Sloane era fatta con carta di quaderno, a righe. Sulla cresta del dorso c’era uno scarabocchio rosa, come se qualcuno avesse usato il foglio per provare una penna. Dopo aver gettato un’occhiata a Esther, che stava sfogliando freneticamente il diario rosso in cerca di un’altra pagina illuminata, Sloane tirò le estremità della gru e la disfece.
Scoprì che erano state testate penne di ogni genere su quel pezzo di carta. Tutte di colori vivaci, luccicanti, fluorescenti, lattiginosi. Il genere che usava Albie, nonostante loro lo prendessero in giro per quello. Sloane non aveva mai visto niente del genere su Genetrix. La gente lì scriveva con strumenti elaborati e antichi: penne d’oca, penne stilografiche, stili di metallo modernizzati con punte a sfera.
«Essy» disse.
La voce di Esther risuonò di nuovo: «“Il secondo dei miei campioni è morto.” Oh, mio Dio, Sloane.»
Gli sguardi di Sloane ed Esther si incontrarono da una parte all’altra della stanza.
«Il secondo» ripeté Esther.
«Non dovremmo essere noi?» chiese Sloane, dimenticandosi per un momento del foglio di carta. «Il Prescelto di Genetrix era il primo e poi hanno portato qui noi… giusto?»
«Così dicono» rispose Esther, lo sguardo distante.
«Vai avanti» le disse Sloane.
La mia ricerca continuerà – deve continuare – finché non si presenta un candidato adatto. Frugherò nei mondi infiniti per tutta una vita se necessario…
«Che bugiardo sacco di merda» esclamò Sloane.
«Quanti ce ne sono stati?» Esther guardò Sloane. «Decine? Centinaia? Se non sono sopravvissuti, come diavolo si suppone che ci riusciamo noi? Abbiamo battuto a fatica il nostro Oscuro, e in un mondo che non conosceva la magia…» Le mancò la voce e tacque.
«Se mente su questo, potrebbe mentire su un sacco di altre cose» disse Sloane. «Su quanto è difficile mandarci a casa, per dirne una.» Attraversò la stanza e mise le mani sulle spalle di Esther. «Non andare in panico. Non ancora, per lo meno.»
«Che cos’è?» Esther stava guardando il foglio accartocciato in mano a Sloane.
«Era una gru di carta. Mi ha ricordato…»
«Oh.» Un’espressione simile a pietà ammorbidì lo sguardo di Esther, e Sloane si staccò.
«Abbiamo trovato quello per cui siamo venuti. Ora andiamo, prima che Nero…»
«Temo sia un po’ tardi per quello.» Nero batté un dito sulla serratura che teneva in piedi la porta e la porta cadde a terra rumorosamente.
Sloane, agendo d’istinto, brandì il foglio di carta di quaderno nella sua direzione. Tutti e tre – Nero, Esther e Sloane – fissarono quella pagina come fosse una spada finché lei l’abbassò.
Per un momento soltanto, mentre camminava sopra la porta caduta, Nero digrignò i denti, i capelli biondi gli ricaddero sugli occhi, e Sloane vide una persona di cui avere paura. Ma poi lui si spazzolò la maglia grigia con le mani, si scostò i capelli dal viso e tornò a essere la mitezza personificata.
«Non so bene che cosa ho fatto per risvegliare i vostri sospetti al punto da spingervi a fare irruzione nel mio laboratorio» riprese placido.
Sloane provò un improvviso e disperato desiderio di trovare qualunque punto sensibile avesse scoperto in lui e attaccarlo con tutta la forza che aveva.
«Be’, ci sarebbe tipo tutta la faccenda del “rapire tre persone da una dimensione parallela”» disse. «Ma, più di recente, c’è Aelia che ha parlato del Prescelto alternando tra il maschile e il femminile nell’arco della stessa conversazione.»
«Ah.» Nero passò le dita sulla maniglia della porta. «Le avevo detto che te ne eri accorta. Non mi ha ascoltato.»
«Siamo venute qui per cercare le prove» affermò Sloane. «Per cui, a meno che i tuoi diari siano un tuo primo tentativo di scrivere un romanzo… non un granché, a proposito…»
«Quanti ce ne sono stati?» La domanda arrivò improvvisa e stridula. Esther si lanciò su di lui, come se volesse strangolarlo. «Quanti Prescelti hai strappato dalla loro dimensione per combattere il tuo dannato Oscuro?»
«L’unico motivo per cui non vi è stato detto è che non volevo allarmarvi» rispose Nero. «Non quando non conoscevate la magia, non…»
«Presumo che questi siano quaderni di gran valore» disse Sloane, prendendo un diario e tenendolo aperto dal dorso come preparandosi ad aprirlo in due.
«Infatti…»
Sloane strappò le due metà del diario, disfacendo la rilegatura.
«Non c’è bisogno di essere…»
«Non so, ne sento un po’ il bisogno» ironizzò Sloane. «Considerando che non hai menzionato che noi siamo… cosa? I decimi ad affrontare uno scontro mortale al vostro posto?»
«Voi» dichiarò Nero, improvvisamente tranquillo, «siete i quinti.»
«Quinti?» strillò Esther.
«Abbiamo convocato altri perché non volevamo convocare persone sostanzialmente incompetenti e senza esperienza nell’uso della magia per combattere il Resurrezionista» disse Nero, alzando la voce. Strinse la mano del sifone in un pugno e comparvero scintille sulle placche di metallo. «Abbiamo cercato in universi con Prescelti vittoriosi che fossero anche capaci di brandire la magia. Sono caduti tutti per mano del Resurrezionista. Tutto per il bene della Terra e di Genetrix. Alla fine non siamo stati più in grado di sostenere le perdite. Abbiamo deciso che un coinvolgimento personale nella battaglia poteva forse compensare la mancanza di preparazione. Così abbiamo preso voi. Sì. Dopo dieci anni di battaglie, alla fine abbiamo preso voi.»
Si guardò la mano corrucciato, come se gli stesse disobbedendo. Le scintille si spensero.
«Davvero non vi è mai venuto in mente che non avevate affatto bisogno di un Prescelto?» chiese Sloane.
«Stai parlando come se non ci avessero provato altri a sconfiggerlo. Per ogni Prescelto che abbiamo avuto, almeno dieci persone comuni sono morte nel tentativo e questo, tra parentesi, senza contare le migliaia di persone uccise dai Gorghi.»
A Esther luccicavano le guance per le lacrime.
«Ve l’ho nascosto perché è preoccupante… e demoralizzante» continuò Nero, riabbassando la voce. «Perché non volevo vi sentiste sconfitti prima di aver fatto almeno un tentativo. Sapevo che tu in particolare, Sloane, eri ancora fragile, incapace di accedere alle tue doti magiche in modo affidabile, poi sei stata catturata dal Resurrezionista e…»
«Io non sono fragile» ribatté Sloane.
«Non intendevo offenderti. Ma hai subito un trauma fuori del comune per mano dell’Oscuro e…»
«Chiudi la bocca.» Non fu Sloane a interromperlo stavolta, ma Esther. Si asciugò le guance e diede uno strattone al collo della sua rigida camicetta per attirare l’attenzione sul sifone. «O ti mando a fuoco.»
Nero sollevò le mani.
«Vieni» disse Esther a Sloane. «Dobbiamo dirlo a Matt. A meno che tu abbia altre bugie da confessare.»
Sloane fece del suo meglio per darsi un’aria dignitosa mentre zoppicava verso la porta dietro Esther. Quando fu sulla soglia, Nero parlò di nuovo.
«Non dimenticate.» La sua voce era così fredda che le fece rizzare i capelli sulla nuca. «Tutti voi avete ancora bisogno di me per tornare a casa. E dovete uccidere il Resurrezionista se volete avere una casa a cui tornare.»
Sloane non si voltò; continuò a camminare, claudicante, verso l’ascensore.
«Sono tornato con un regalo» annunciò Matt dalla soglia della camera di Sloane. Avevano cominciato a chiamarla “la Stanza Bianca”, per ovvi motivi. Quella di Matt era “la Cabina” e quella di Esther era “la Chiesa”.
Sloane era seduta con la schiena contro la testiera del letto. Esther, che indossava i pantaloni della tuta, era sdraiata a terra, due dita infilate in un barattolo di burro d’arachidi. Avevano tutti preso l’abitudine di mangiare il burro d’arachidi – nei panini, sulle mele, spalmato sui cracker – perché la marca su Genetrix, Nutty Buddy, era la stessa che c’era sulla Terra, e anche il sapore era uguale. Una delle pochissime corrispondenze perfette che avevano trovato.
Matt sollevò una bottiglia di liquore scuro. «Bourbon» disse. «Omaggio di Cyrielle.»
Esther applaudì.
«È per scusarsi di non averci detto che siamo spacciati?» commentò Sloane dal letto.
«Non lo sapeva» replicò Matt. «Lavora per Aelia solo da un anno.»
Sloane fece una mezza risata.
«Non disprezzare la persona che ci ha dato l’alcol» la canzonò Matt. «Solo perché il tuo motto “mai fidarsi di nessuno” ha avuto conferma.»
«La mia visione del mondo si è dimostrata quella giusta» disse Sloane, «e tu ti aspetti che non gongoli?»
Matt rise e per un momento furono quello che erano stati prima. Lui svitò il tappo del bourbon e buttò giù un sorso. Mentre deglutiva, passò la bottiglia a Esther. «Non sono d’accordo che siamo spacciati, però.»
«Siamo i quinti ad affrontare il Resurrezionista» disse Esther. «E siamo gli unici che non sanno usare la magia. Una di noi è già stata rapita.» Si alzò a sedere per porgere la bottiglia di bourbon a Sloane, che la prese e bevve.
Sapeva di vaniglia e arachidi. Sloane fece una smorfia e la ripassò a Matt.
«Siamo spacciati» concluse Esther.
«È questo il punto, però.» Matt le si sedette accanto sul pavimento, bevve un sorso dalla bottiglia, e gliela ripassò. «Penso ci sia del vero nella faccenda della storia che si ripete.»
Sloane sollevò un sopracciglio.
«Se la storia vuole ripetersi, per me va bene» disse Matt. «L’ultima volta abbiamo vinto, ricordate?»
«L’amico non ha tutti i torti» commentò Esther, puntando la bottiglia verso di lui.
«Non so. Credo che non dovremmo neanche combattere» suggerì Sloane.
«E lasciare che il Resurrezionista distrugga entrambi gli universi?» obiettò Matt.
«Il fatto che Nero abbia mentito su una cosa significa che potrebbe aver mentito su tutto. Può darsi che gli universi non siano neanche collegati. Può darsi che il Resurrezionista non sia nostro nemico. Può…»
«Che non sia nostro nemico?» Matt era incredulo. «Ti ha rapita. Ha ucciso Dio sa quante persone. Controllava il Gorgo!»
«Lo so.» Sloane appoggiò la fronte alla mano. «Questo lo so, okay? Sto solo dicendo…»
«Abbiamo verificato il collegamento tra gli universi» disse Esther, passandole la bottiglia. «Tu hai trovato quell’articolo.»
«Un articolo non è una dimostrazione definitiva. E ora sappiamo che Nero mente.»
«E sappiamo che il Resurrezionista è un assassino» ribadì Matt.
«Non sto dicendo che dovremmo andarci a bere una birra o altro, solo che dovremmo essere più scrupolosi nel cercare conferme a quello che dice Nero!» Gli allungò la bottiglia.
«Sì, okay.» Matt la prese e bevve.
Poche ore dopo, il bourbon era quasi finito ed Esther era distesa ai piedi del letto, addormentata. Sloane si cullava la bottiglia in grembo e Matthew era a terra, appoggiato al muro. Erano in silenzio da un po’, ma nessuno dei due se n’era andato. Sloane non voleva che lo facessero. Voleva rimanere in quella compagnia silenziosa il più a lungo possibile.
«Che situazione del cazzo» disse Matt di punto in bianco.
Sloane annuì.
«Non so come si fa a stare senza di te» continuò lui. «A casa non posso uscire con le ragazze normali. E non posso neanche smettere di vederti del tutto.»
«In realtà, potresti.»
Lui scosse la testa. «No. Io, te, Esther, Ines… siamo legati per sempre. È come un matrimonio, nel bene e nel male. Nella salute e nella malattia…»
Sloane strinse con forza la bottiglia di bourbon.
«Hai mai pensato che potremmo restare qui?» disse Matt. «Qui nessuno sa che siamo i Prescelti. Possiamo uscire con la gente comune. Nessuno che ci guarda. Nessuno che chiede autografi.»
«Non riusciresti ad avere il tavolo migliore con un semplice occhiolino» gli fece notare Sloane.
«Già» sospirò. «E probabilmente sarei discriminato. Qualcosa la guadagni, qualcosa la perdi.»
Sloane soffocò una risata. Non era davvero divertente – niente di tutta la situazione lo era – ma grazie al bourbon sentiva un’allegria spumeggiare dentro di lei come acqua frizzante, e i contorni degli oggetti apparivano ammorbiditi. Si schiarì la voce, cercando di rimettere tutto a fuoco. «Troverai il modo. Lo faremo entrambi. Troveremo il modo di essere amici.»
Matt tirò su con il naso. Una lacrima gli scese sulla guancia, e lui la asciugò. «Lo so.»
«Io non sto bene» disse lei. «So che non si vede. Sto bene finché continuo a muovermi, ma quando siamo a casa, quando mi fermo… Boom! Sloane esplode.»
«Immagino che questo non dovrebbe essere rassicurante» ribatté lui. «Ma lo è.»
Sloane posò la bottiglia sul comodino e chiuse gli occhi.