Mox la condusse lungo la sala con il pavimento a scacchi e le alte finestre chiuse da assi che lei aveva visto quando aveva ripreso conoscenza. Era piena di soldati come lo era stata allora. Oltrepassarono un gruppetto radunato intorno ad alcuni dadi sparpagliati e un paio di uomini che si ricucivano l’un l’altro le dita con ago e filo.
La donna con il buco nella mascella andò loro incontro. I suoi capelli sfilacciati erano divisi in due trecce, un’acconciatura da ragazzina in contrasto con la pelle scolorita. «Signore» disse, fissando Sloane, «cosa…»
«È venuta ad avvisarci» la interruppe Mox. «Dobbiamo andarcene. Fai alzare tutti, e falli andare al rifugio.»
La donna avvicinò il viso a quello di Sloane, i suoi denti sbatterono quando serrò la mascella. Sloane vide la sua lingua muoversi prima che cominciasse a parlare con la stessa voce gracchiante e tesa che ricordava bene. «Sei sicuro che non è una trappola?»
«Non credo che abbia quel livello di lungimiranza» rispose Mox.
«Vaffanculo» protestò Sloane. Dietro la donna, riconobbe l’uomo con gli occhi lattiginosi che l’aveva portata in spalla. Era seduto con alcuni altri, e un sifone smontato in grembo. Mimò un bacio con le labbra nella sua direzione.
«Non intendo “in generale”» disse Mox a Sloane, con un tono che le ricordò un po’ il ragazzo normale che aveva incontrato al Chicago Cultural Center, nonostante la distorsione metallica del sifone. «Sloane, questa è Ziva, la mia luogotenente. Ziva, Sloane.»
«Ci siamo già incontrate. Mi ha narcotizzato» rispose Sloane.
«Pensavamo fossi brava a usare la magia» la schernì Ziva, arricciando il labbro superiore in quello che avrebbe potuto essere un ghigno se non avesse avuto la bocca tirata e spaccata come terra secca. «Se avessi saputo che ne eri completamente incapace, mi sarei risparmiata il disturbo.»
«Incapace?» Sloane rise. «E allora come ti spieghi che ti sia scappata sotto il naso?»
«Questo edificio sta per essere assaltato dall’Esercito Baluginante, ma voi continuate pure a litigare come due bambine» intervenne seccato Mox.
Ziva raddrizzò la schiena e si allontanò. Si infilò tra le labbra un fischietto, che era attaccato a un suo dito, e soffiò. Sloane si portò una mano al petto per calmarsi quando tutti i soldati nel corridoio si alzarono in piedi. Alcuni ci impiegarono più tempo degli altri; Sloane vide una donna piuttosto piccola avvicinarsi con la schiena contro il muro e poi fare leva sulle gambe per tirarsi su. Quando la donna si voltò, Sloane si accorse che aveva in mano un braccio, che si era evidentemente staccato dalla sua spalla.
Ziva fischiò di nuovo portandosi una mano alla gola, dove indossava un sifone graffiato. «Evacuazione di emergenza! Tutti al rifugio, e tenete gli occhi aperti. Siamo inseguiti.» Si voltò a guardare Sloane; c’era qualcosa di strano nella sua espressione. Qualcosa come speranza e disperazione mescolati insieme.
«Non sai ancora usare i sifoni?» chiese Mox a Sloane. Tutto intorno a loro, i soldati del Resurrezionista avevano raccolto delle borse e vi stavano infilando le loro cose; compreso, notò Sloane, il braccio staccato della donna.
«No» ammise.
«Allora tu stai davanti con me. Cerca di non restare indietro.»
L’esercito si stava raccogliendo in un gruppo sparso dietro di loro. Qualcuno staccò le assi da una delle porte, lasciando entrare una folata di aria fresca. Le lampade azzurre di forma geometrica sopra la testa di Sloane dondolarono avanti e indietro spinte dal vento. Mox andò a grandi passi verso la porta, con andatura irregolare ma energica, il mantello che sbatteva intorno alle sue spalle. Lei sentì i soldati avvicinarsi da dietro e correre per raggiungerlo.
Sloane aveva lasciato il suo mantello nella camera, per cui l’aria fredda le penetrò direttamente sotto la camicia, facendola rabbrividire. Si tirò le maniche fin sopra le mani.
I soldati del Resurrezionista si riversarono in strada come acqua da un bicchiere rovesciato. Si divisero quindi in gruppi più piccoli, in perfetto silenzio, a parte lo scricchiolio delle ossa e lo strisciare dei piedi. Scomparvero poi nei vicoli, scivolando tra gli edifici, riducendosi di numero a ogni traversa che oltrepassavano, finché rimasero solo Mox, Sloane e tre zombie decrepiti.
Le strade erano più vuote a sud della zona del centro, e gli edifici più distanti tra loro. Oltrepassarono un minimarket illuminato da pallide luci fluorescenti che mostravano una decina di marche di sigarette – tra cui le Rabdo, le Fate Madrine e le Fumus – e litri di bibite in lattine verdi, arancioni e blu glitterato. Dietro il banco, un uomo dal viso giallastro li guardò passare a bocca aperta. Nonostante i cappucci e i mantelli in cui erano avvolti tutti gli altri, erano comunque una vista strana: quattro figure incappucciate con le mani con i sifoni protese in avanti che camminavano insieme a una donna che sembrava capitata lì per caso.
A parte poche macchine che passarono schivandoli come se fossero buche nell’asfalto, trovarono la strada libera finché non raggiunsero Roosevelt Road. Sulla sinistra c’era lo scalo ferroviario, il terreno increspato di binari. E, parcheggiata nell’angolo sulla destra, c’era un’auto della polizia. Anche se aveva le luci spente, Sloane vide due sagome sui sedili anteriori.
Mox sollevò una mano e tutti si fermarono. Poi emise un cinguettio, come un passero. Dietro di lui, i soldati zombie stesero le braccia con il sifone e soffiarono nei fischietti. All’unisono, tutti e quattro produssero lo stesso suono alla stessa frequenza, alto e leggero, un coro di canti d’uccello.
L’auto della polizia si sollevò dall’asfalto e si ribaltò. Sloane vide gli agenti all’interno spostarsi, poi uno picchiò una mano contro il vetro, mostrando l’inconfondibile placca da palmo di un sifone standard. Mox fischiò di nuovo. L’auto si raddrizzò e tornò sulla strada come se non si fosse mai mossa.
Un coro di suoni dissonanti circondò Sloane, che si coprì le orecchie con le mani. Le ruote dell’auto girarono all’indietro, mandando il veicolo sopra i binari, oltre la recinzione, e nel fiume Chicago.
Sloane fissò Mox. Lui riprese a camminare, e gli altri lo seguirono.
Oltrepassarono in silenzio il fiume, poi svoltarono e presero a camminare lungo l’argine. Superarono canali di scolo pieni di cartacce e lattine mezzo schiacciate. Sloane tirò un calcio a un torsolo di mela marcio. Era inebetita dal terrore e il pensiero che l’Esercito Baluginante li trovasse la spaventava tanto quanto l’uomo che aveva appena annegato due agenti di polizia.
Intravide figure scure davanti a loro. Risuonò un grido. Un lampo di fuoco. Nella luce arancione, Sloane riconobbe il simbolo dell’Esercito Baluginante sulla giacca di un uomo.
«Ziva!» gridò Mox, così forte che il suono crepitò dentro la sua maschera. Lui si mise a correre.
Il muro di fuoco lanciato dai soldati dell’Esercito Baluginante danzava verso alcune sagome incurvate, in cui Sloane riconobbe la luogotenente e quattro altri soldati zombie. Ziva e uno di loro fischiarono contemporaneamente, e intorno ai loro piedi si formò uno strato di ghiaccio, che crebbe fino a formare una barriera, che rifletteva frammenti di luna, alta fino al ginocchio.
Mox li raggiunse e sollevò da terra i soldati con un basso rombo. Loro atterrarono sulla strada sbattendo le ginocchia. Mox gridò a Ziva istruzioni che Sloane non riuscì a sentire.
Un arco di energia, quasi come una bolla d’aria, sfrecciò nella sua direzione, lo spinse indietro verso il fiume e lo sollevò a due metri d’altezza. Mox ricadde violentemente sulla schiena, ma non appena toccò terra sollevò il braccio ed emise uno scroscio di suoni percussivi.
Pezzi di marciapiede si staccarono dai bordi della strada e volarono verso i soldati che, in risposta, eressero luminose barriere di energia che le pietre martellarono senza riuscire a penetrarle.
Mox si voltò verso Ziva: «Vai!».
Ziva esitò e Mox fischiò, investendola con un soffio così intenso da farle volare via il cappuccio dalla testa. Lei corse via, seguita dai quattro sotto il suo comando. Mox rivolse la sua attenzione di nuovo ai soldati dell’Esercito Baluginante, che avevano abbassato le loro barriere e, tutti insieme, stavano sollevando acqua dal fiume. A un gesto della donna che li guidava, l’acqua si addensò in un’enorme sfera delle dimensioni di un’automobile che, non appena prese forma, inglobò Mox completamente.
La sfera si deformò e ruotò quasi subito dopo averlo raggiunto, e un momento dopo lui era al centro di un ciclone, i capelli appiccicati alla maschera sul viso e gli abiti bagnati che sbattevano intorno alle sue spalle. Il ciclone masticava l’asfalto mentre attaccava i soldati, lanciando contro di loro rocce e acqua.
Uno di loro si stava ritirando impaurito dall’attacco, e Sloane lo riconobbe: era Edda. I loro sguardi si incontrarono proprio mentre Mox sollevava di nuovo la mano.
Sloane gridò: «No!».
Mox esitò, e gli costò. Edda fischiò, un suono secco e preciso, e un oggetto argenteo sfrecciò nell’aria verso di lui: un grosso frammento di metallo che lo pugnalò al fianco. Il suo corpo si curvò. Lui gridò dentro il sifone, ma un attimo dopo buttò fuori una lunga nota penetrante. E una luce accecante gli esplose dalle mani.
Sloane sollevò un braccio per coprirsi gli occhi, ma non era un lampo momentaneo. Sentiva un calore continuo sull’avambraccio, segno che la luce stava ancora bruciando. I soldati dell’Esercito Baluginante si scambiavano grida rabbiose. Una mano si chiuse intorno al suo gomito.
«Tieni su il braccio» le disse Mox. «Andiamo.»
La condusse via dai soldati, abbaiò un comando agli zombie che li seguivano e corsero via.