Quando Sloane poté scoprirsi gli occhi, si trovavano dentro il rifugio, un grande edificio di mattoni rossi appollaiato sulla sponda del fiume. La costruzione aveva l’aria di essere stata elegante in passato, ma era caduta in rovina. Il soffitto era in legno, con lucernari a forma di archi squadrati che lasciavano entrare il chiarore della luna. Come nella Vecchia Posta Centrale, le finestre più basse erano chiuse da assi ma, a giudicare dalla posizione dell’edificio sul fiume, era sicura che da lì si vedeva un pezzo del profilo della città.
Ammassati all’interno c’erano i soldati del Resurrezionista, arrivati lì prima di loro. Ziva, riconoscibile dalle trecce che dondolavano avanti e indietro sulle sue spalle, si spostava da un soldato all’altro. Una volta dentro, Mox lasciò andare il braccio di Sloane e si curvò per guardare meglio il pezzo di metallo che aveva conficcato nel fianco.
«Non tirarlo fuori» disse Sloane. «Non prima di aver modo di pulire la ferita e medicarla.»
Mox la guardò, o sembrò guardarla, perché rivolse per un istante nella sua direzione gli occhi resi meccanici dal sifone. «Allora dovrà aspettare» disse. «Resta qui.»
Attraversò il pavimento polveroso verso Ziva. Sloane si appoggiò a una delle colonne di legno ai margini della stanza e lo osservò farsi strada tra i gruppi di soldati, mettendo una mano sulla spalla ad alcuni e prestando l’orecchio ad altri. La donna che si era portata dietro il braccio nella borsa lo tirò fuori quando lui le si avvicinò e glielo mostrò. Sloane rimase sorpresa quando lui si inginocchiò accanto a lei ed estrasse qualcosa dalla tasca: un contenitore di pelle grande più o meno come la sua mano che conteneva un ago e un filo piuttosto spesso.
Sloane lo guardò, con repulsione mista a fascino, ricucire il braccio. La donna lo teneva fermo mentre lui ci lavorava, studiando la pelle che si spaccava intorno alla punta dell’ago, facendo passare il filo con strappi gentili e poi tirandolo bene. Quando ebbe finito, fermò il filo con un nodo e fece dei gesti sopra i punti di sutura. Sloane immaginò che fosse qualche genere di processo, ma non riuscì a capire a cosa serviva. A ogni modo, la donna zombie toccò con affetto la guancia di Mox e sorrise.
Sloane aveva pensato che l’esercito dei morti viventi fosse alla mercé del Resurrezionista, un gruppo di schiavi zombie senza cervello. Ma ora le sembrò evidente che lo conoscevano. Forse perfino da prima di morire.
Ci volle un po’ perché lui tornasse da lei, con il metallo ancora conficcato nel fianco, i vestiti bagnati per il tentativo dei soldati di annegarlo.
«Abbiamo una riserva di acqua e cibo di là» le disse.
Sloane lo seguì fuori dalla sala. Sapeva che avrebbe dovuto aver paura di restare sola con lui, di trovarsi lì, in generale. Ma era troppo tardi per tornare indietro ormai. Aveva tradito i suoi amici, Edda l’aveva vista con il Resurrezionista.
Entrarono in una piccola stanza non lontana dalle altre, anch’essa in rovina, con un mezzo muro diroccato che la separava dal bagno e ragnatele tra le travi a vista del soffitto; ma era pulita e conteneva lattine di cibo e caraffe d’acqua ordinatamente accatastate. C’era anche una pila di coperte nell’angolo, e un piccolo tavolo con due sedie traballanti.
Mox si fermò davanti al tavolo e cominciò a togliersi i sifoni. Quelli dei polsi per primi, poi la bocca, gli occhi e l’orecchio. Sotto, la pelle era pallida e sudata.
«Non sono la tua infermiera» disse Sloane.
«Non ti ho chiesto di esserlo» rispose Mox.
Ma ugualmente lei prese una delle brocche piene d’acqua e la posò sul tavolo, poi cercò tra le provviste un kit di pronto soccorso.
Quando ne trovò uno, lo posò accanto alla brocca, che poi stappò per bere con avidità. Mox si sedette su una sedia, abbastanza pesantemente da farla scricchiolare, e allungò la mano verso il kit con dita tremanti.
«Quel metallo è seghettato?» chiese lei, indicando con la testa il frammento nel suo fianco.
«No, il bordo sembra liscio.»
«Ha colpito qualche osso?»
Mox prese un paio di forbici dal kit e tagliò la camicia dall’orlo fino al frammento di metallo, poi staccò la stoffa dalla ferita. Aveva un brutto aspetto, il sangue gli striava la pelle pallida sotto il foro, la punta della lama – o qualunque cosa fosse – sbucava sulla schiena. Ma era stato fortunato; sembrava essere passata attraverso la carne, senza toccare organi né ossa.
«Sembra che tu possa tirarlo fuori senza rischi» disse Sloane.
Mox rispose con un grugnito.
«Immagino che potrei aiutarti» aggiunse lei. «In cambio di qualche risposta.»
«Non saprei da dove cominciare.»
«Che ne dici di partire dal perché mi hai seguito al centro culturale.» Sloane esitava ad avvicinarsi, ma si costrinse a farlo, poi cercò nel kit un disinfettante. Doveva sterilizzare la ferita meglio che poteva con il metallo ancora dentro, poi tirarlo fuori e premere per fermare il sangue. L’aveva già fatto in precedenza – Ines era stata ferita da un frammento di detrito durante un Gorgo una volta – ma questa volta la sensazione era diversa, con quel silenzio, senza nessuna battaglia che le infuriasse intorno.
«Ziva ha notato che c’era qualcosa in ballo al Caram. Tutto quel correre avanti e indietro. Per cui ho capito che avevano convocato qualcun altro. Si verifica una sorta di… esplosione di energia quando lo fanno.» La sua faccia si contorse in una mezza smorfia. «Se ci presti attenzione, la puoi sentire per chilometri in tutte le direzioni. Una specie di bolla di magia che scoppia. E io la stavo aspettando.»
«Hai detto che hai saputo che “avevano convocato qualcun altro”. Qualcun altro chi, esattamente?» Versò l’acqua della brocca sopra la ferita per pulirla dal sangue, poi tamponò il punto di ingresso e il punto di uscita del metallo con il disinfettante. Dovevano arrangiarsi così.
Mox stava aprendo una confezione di garza. «Portano qui guerrieri da altri posti per combattere contro di me. Tu – i tuoi amici – siete i quarti.»
Lui le porse la garza, e lei la prese e la strinse intorno al metallo in modo da avere una presa ferma, e pulita.
«Quarti» ripeté. «Nero ha detto che eravamo i quinti Prescelti portati qui.»
«Prescelti?» Mox aggrottò le sopracciglia.
«Ora tiro» disse lei. «A meno che non preferisca farlo tu, con la magia?»
Lui fece una risata nasale. «Probabilmente mi taglierei in due, se ci provassi.»
«Giusto. Preparati.»
Mox afferrò il bordo del tavolo mentre Sloane stringeva il frammento tra il pollice e l’indice di entrambe le mani, dalla parte piatta. Fece un respiro profondo e tirò con tutta la forza che aveva. Mox gridò, infilandosi un pugno in bocca per smorzare il suono. Il frammento si smosse, ma solo di poco. Senza aspettare, Sloane tirò di nuovo, e questa volta il metallo uscì. Lo mise da parte. Mox tremava, ma cercò di aprire un’altra confezione di garza. Lei gli allontanò la mano con un gesto brusco e la aprì per lui, poi premette la garza su entrambi i lati della ferita.
«Già» disse, riprendendo la conversazione da dove l’avevano interrotta. «Chi pensavi che stesse convocando? Mercenari a caso? Erano tutti Prescelti, gente che aveva sconfitto qualche tipo di figura malvagia nel proprio mondo.»
Lo sguardo di Mox era fuori fuoco quando lo sollevò su di lei sbattendo gli occhi, probabilmente per il dolore. «Non lo sapevo. All’inizio ho cercato di… parlarci. Però non si fermavano.» La sua faccia si fece inespressiva. «Per cui li ho uccisi.»
Sloane sentì la paura pizzicarle nel petto. Ma un momento dopo, Mox sbatté gli occhi e la sua espressione cambiò. Era quasi come se fosse riemerso in superficie nella propria mente.
«Potevi aggredirmi al centro culturale» disse lei. «E poi di nuovo al Boccale. Ma non l’hai fatto.»
«Non sapevo quanti eravate né chi avevo contro. Ho sempre desiderato sapere perché mi volevano morto, quei guerrieri di altri mondi. Che cosa ci guadagnavano.»
«Ma non è evidente il perché ti volevano morto?» Lei deglutì a fatica. Forse non era saggio insistere con lui su quella questione, ma doveva farlo. «I Gorghi. Volevano fermare i Gorghi.»
«Come ho già detto» rispose lui, guardandola. «Immagino dovrei sentirmi lusingato che tu pensi che io sia in grado di provocare quel livello di distruzione da solo. Ma non lo sono.»
«Per cui i Gorghi… non sei tu.»
Mox scosse la testa.
«Chi li controlla, allora?»
«Non lo sa nessuno. Ma la mia teoria è che siano un fenomeno naturale. Un… effetto collaterale, si potrebbe dire. Della connessione tra gli universi.»
«No, non lo sono. Tieni qui.» Sloane aspettò che lui la sostituisse nel premere la garza, poi andò a rovistare nel kit di pronto soccorso, in cerca di una benda. Trovò soltanto un pacchetto di plastica rigida. «L’Oscuro – la figura malvagia del mio mondo, quello che noi abbiamo sconfitto – provocava Gorghi in continuazione. Si sono fermati quando lui è sparito.»
La mano di Mox fermò la sua. Prese il pacchetto da lei e lo aprì con uno scatto del polso. Quello che ne uscì fu un lungo sifone piatto, come quello che il dottore le aveva applicato sulla caviglia rotta. Sembrava un braccialetto con anelli di metallo larghi e piatti. Semplice, non lucido, ma comunque elegante. Mox se lo avvicinò al fianco, tolse la garza che aveva usato per fermare il sangue, poi sistemò il sifone sopra le ferite, quella di entrata e quella di uscita.
«Ferma il sangue, previene le infezioni e accelera la guarigione» spiegò, come se stesse recitando un libro di testo o uno slogan pubblicitario.
Sloane guardò corrucciata la porzione di pelle pallida ancora visibile sopra la cintura dei pantaloni. «Non puoi dire che non era l’Oscuro a provocare i nostri Gorghi. Era sempre presente, ogni singola volta, e si sono fermati quando lui è sparito. Che cos’altro poteva essere?»
Mox la guardò altrettanto corrucciato. «Non conosco tutto quello che si può fare con la magia. Soprattutto in altri universi. In altre dimensioni. Ma so che cosa non posso fare io. E so che non ho mai incontrato nessuno qui che fosse potente quanto lo sono io. Forse il vostro Oscuro lo era.» Si strinse nelle spalle. «Improbabile.»
Lei ridacchiò. «Non soffriamo di scarsa autostima, vero?»
«No» rispose lui, ma non sembrava vantarsene, sembrava solo… triste. «Quando si parla di potere puro, non ne soffro. Ma ci sono cose più importanti. E questo tu lo sai. È come sei scappata, per esempio.» Fece un sorrisetto. «Brillante, a proposito.»
«Grazie» disse lei imbarazzata.
Mox si alzò, appoggiandosi al tavolo per aiutarsi, e andò verso un armadietto nell’angolo della stanza, dentro cui c’era una piccola pila di vestiti, tutti di colori scuri, ovviamente; d’altronde i presunti stregoni malvagi che comandavano eserciti di non morti non potevano andarsene in giro vestiti di un arancione acceso. Prese una camicia dalla pila e zoppicò verso il bagno dietro la mezza parete crollata per cambiarsi. «È il turno della mia domanda» disse.
Sloane si sedette sull’altra sedia e cominciò a raccogliere i pezzi di garza e gli involucri come se fosse un’infermiera, esattamente quello che gli aveva detto che non avrebbe fatto. Non un buon precedente da creare, lo sapeva, ma ormai non poteva tornare indietro.
«Quando eri prigioniera, hai detto che non hai deciso tu di venire qui.» Sopra il muro diroccato, lei vedeva solo la sua testa da dietro e una spalla, ma quel pezzo di pelle nuda la metteva a disagio.
«Vuoi dire quando mi hai rapito e mi hai trattenuto contro la mia volontà?» Sloane inclinò la testa. «Sì, prima di essere trascinata su Genetrix mi trovavo nel mezzo di un funerale e un istante dopo stavo per annegare nel Chicago.»
«E… non ti è stata data la possibilità di tornare.»
«No.» Sloane quasi sospirò di sollievo quando Mox tornò nella stanza con addosso una camicia, i capelli legati in un nodo sulla nuca. «Ci hanno detto che il fato del nostro mondo e quello di Genetrix erano intrecciati. E che era necessario sconfiggere il Resurrezionista – cioè te – se volevamo salvarli entrambi.»
Mox la fissò per un momento. Le sue spalle cominciarono a scuotersi. Per un terrificante momento Sloane pensò che stesse singhiozzando, ma poi capì che rideva, tenendosi una mano sulla ferita nel fianco.
«Oh mio Dio» disse, in tono quasi frivolo. «È questo che intendevo. Che cosa c’è di più importante del potere puro? Le bugie eleganti, ecco cosa.»
«Quindi…» Sloane socchiuse gli occhi. «Il fato della Terra e quello di Genetrix non sono intrecciati?»
Mox agitò una mano. «Non quella parte. La parte su di me. Combattermi. Uccidermi. Come se poteste. Come se potesse servire a qualcosa.»
«Tanto per cominciare, se prima avessi deciso di tagliarti la giugulare invece di parlare, sarei stata totalmente in grado di ucciderti» obiettò Sloane. «La magia è grandiosa e tutto, ma in fin dei conti sei comunque solo un sacco di carne.»
Mox allargò le mani, grandi anche senza i sifoni ad aggiungervi massa, in segno di ammissione.
«In secondo luogo: qual è lo scopo di tutto questo? Perché ti vogliono morto al punto da chiamare gente da altre dimensioni, ma loro non ti attaccano direttamente?» continuò lei.
«Non loro… lui» rispose Mox, agitandosi. Si mise a camminare avanti e indietro. «Nero.»
«Nero» ripeté Sloane. «Non che io dubiti di te, ma a me sembra piuttosto… poco pericoloso. Sei sicuro che sia…»
«Se ne sono sicuro?!» Mox ruotò su se stesso, e le lattine di una pila lungo la parete si sollevarono da terra tutte contemporaneamente. Andarono a sbattere contro il soffitto, e volarono in tutte le direzioni. Sloane si abbassò mentre una schizzava verso la sua testa, quindi colpì il muro dietro di lei e cominciò a perdere liquido giallognolo.
Erano entrambi senza fiato, Sloane per la paura, Mox, dedusse lei dai suoi occhi fiammeggianti, per la rabbia.
«Non c’è bisogno di andare in escandescenze» gli disse. «Quello che ho visto io di Nero è che passa quasi tutto il tempo a fare il lacchè di Aelia. Non esattamente materiale da genio del male. Soprattutto se paragonato a uno che ha appena attaccato un’innocente lattina di fagiolini.»
Raccolse la lattina e la sbatté sul tavolo, con la parte ammaccata rivolta verso di lui.
«Il potere puro non è tutto» disse Mox.
«Chiaramente» disse lei, stringendo le mani a pugno per nasconderne il tremore.
«Lui non solo… fa cose» disse Mox. Cominciò di nuovo a camminare avanti e indietro. «Spinge altra gente a farle per lui. È bravo in questo. È esattamente la persona che tu hai bisogno che sia, in qualunque momento ne hai bisogno. Finché all’improvviso… non lo è più. Vi ha portati qui – continua a portare qui gente, in continuazione – per uccidermi. E se falliscono, pazienza, intanto distrae l’attenzione di tutti da quello che sta facendo. In entrambi i casi, vince lui.»
Sloane andò a pescare nei ricordi che aveva lei di Nero, cercando una conferma alla descrizione che le stava facendo Mox. Ma l’unica volta in cui l’aveva visto deviare dalla sua immagine di affabilità era stata quando con Esther si era intrufolata nel suo laboratorio. La voce era stata molto fredda allora. Ma non era abbastanza.
«Che cosa sta facendo da cui vuole distogliere l’attenzione?»
«Non ne sono sicuro, ma la mia ipotesi è che sia un processo. Qualcosa che lo renderà più potente di me. Di chiunque. Che lo riempirà di magia.»
Quelle parole le ricordarono l’Oscuro, e come lei lo vedeva: una bocca che divorava tutto. Abile com’era, ciò che faceva orrore in lui era semplice da descrivere: niente, non la magia, non il dolore, non il potere sarebbero mai stati abbastanza per lui. Divorava per il semplice scopo di divorare. E non c’era ragionamento che si potesse fare con uno così per convincerlo a smettere di torturare Albie, a lasciarli andare, a fare qualunque cosa di diverso da quello che lui voleva.
Sloane si fissò gli stivali.
Piedi scalzi uguale passato. Stivali uguale presente.
Incrociò le braccia. «Hai qualche prova?»
Mox smise di camminare avanti e indietro per la stanza e si voltò verso di lei.
«Di sicuro puoi comprendere perché io non posso crederti semplicemente sulla parola» disse lei. «Ci deve essere qualcos’altro su cui io possa fare affidamento.»
«Non ti ho ancora ucciso» suggerì lui.
«Un sacco di gente non mi ha ancora ucciso. Questo non significa che stai dicendo la verità su Nero.»
«Allora, c’è Sibyl.»
«Sibyl?»
«La profetessa. Quella che ha preannunciato la fine di Genetrix.» Si sedette di nuovo, di fronte a lei. Non era diverso ora rispetto a quando lei lo conosceva solo come Mox. Allora era affascinante ed equilibrato, non aveva dato segno del caos che aveva dentro. Sloane si domandò come ci fosse riuscito, anche solo per pochi minuti alla volta. Non ne sembrava capace ora. «Lei sa chi sono» continuò. «Sa chi è Nero. E può dirti come avverrà la fine.»
«Dove si trova?»
«In una città-presidio. Dove la magia non può toccarla. Odia le sensazioni che trasmette la magia. Odia anche le sensazioni che trasmetto io. Ma le sopporterà per un’ora o due se glielo chiedo.» Si grattò la nuca e le dita lasciarono segni rossi sulla pelle pallida. «St. Louis. Nel tuo mondo esiste una St. Louis?»
Sloane annuì.
«Ti ci posso portare. Domani.»
«Okay. Ma niente… scie di distruzione, okay? Senza uccidere nessuno. Saremo discreti.»
«Non mi scuserò mai per aver difeso la mia vita» affermò lui, gli occhi scuri che cercarono quelli di lei con quell’intensità che faceva sentire Sloane come se fosse sotto una fiamma ossidrica.
«Non te lo chiederò mai» disse lei.
Lui la guardò in modo strano, come se non avesse mai ricevuto una risposta del genere prima.