38

Prima di allora, Sloane non aveva mai dovuto pianificare un’operazione come quella senza gli amici. La sua mente era un labirinto di strade e punti di entrata e uscita. Il suo talento era nell’osservazione, non nella strategia. A differenza di Matt, che aveva un istinto per capire esattamente come esercitare pressione sulle persone, o di Esther, che riusciva a pensare con cinque mosse di anticipo sugli avversari, chiunque fossero. Tutti insieme non erano stati grandi operatori di magia, ma erano come le dita di una mano che si muovevano a formare un pugno.

Ora lei era un dito solo. “Il medio, probabilmente” pensò con una sorta di debole risata isterica.

Era seduta insieme a Mox sopra il tavolo del salone che Ziva stava usando per ricucire il soldato quando erano tornati. Mox aveva terminato il lavoro per lei, suturando con destrezza, come se stesse rammendando una calza. Aveva chiesto al soldato se aveva avuto fortuna ai dadi, un gioco a cui lui giocava con i suoi commilitoni perdendo spesso, a quanto pareva. Scommettevano oggetti di scarto, aveva spiegato il soldato a Sloane quando aveva visto la sua espressione confusa. Pezzi di vetro di forma carina, vecchi tappi di bottiglia, bulloni e dadi trovati nei canali di scolo. Le aveva regalato un frammento di vetro azzurro arrotondato a cui aveva dato una forma ovale con la carta vetrata.

«Sai cucire?» le chiese Mox. Sloane guardò la stanza piena di corpi che si trascinavano gemendo, e sospirò.

«Sì.» E così finì con un ago in mano, deglutendo a fatica per non vomitare mentre stringeva tra due dita i lembi di pelle morta di una donna per chiuderle un taglio appena sopra il gomito. Mox le aveva procurato un paio di guanti per non sporcarsi le mani, ma il fluido scuro che sembrava sostituire il sangue nell’esercito dei non morti le aveva ricoperto tutte le dita dei guanti e le era colato sul dorso della mano. Puzzava di muffa.

Lei cercava di non pensare all’ultimo ago che aveva tenuto in mano, quello che aveva usato per aprire un buco delle dimensioni di una casa nella Cupola.

Almeno ricucire i soldati la distraeva. I suoi pensieri continuavano a tornare agli anfibi. Alle scaglie di fango secco della Terra cadute sul suolo di Genetrix. Nero voleva che lei sapesse chi era. Questo significava che avrebbe tenuto in vita i suoi amici finché non fosse andata da lui, o significava che li aveva già uccisi? Un po’ di fluido grigio le schizzò sulla guancia dopo un punto ricucito un po’ troppo di slancio, e si pulì con il dorso del polso, cercando di non fare smorfie. L’Oscuro che conosceva lei non improvvisava; tutto quello che aveva fatto era sempre stato ben ponderato.

Ziva e Mox parlavano liberamente davanti ai soldati. Mox le stava esponendo l’idea di Sloane sull’inversione dell’azione del sifone fortis nella Sala delle Convocazioni. Non si comportava come se i soldati non ci fossero; anzi, di tanto in tanto uno di loro interveniva nella conversazione, e Mox era felice di coinvolgerlo. «Sai come farlo con un sifone ordinario?» chiese una donna che si era appoggiata sui gomiti per guardare mentre le ricucivano una gamba. «Perché se non sai farlo a uno normale, probabilmente non riuscirai neanche con quello che è così grosso.»

«Ottima osservazione» disse Ziva. «Non possiamo semplicemente imbucarci lì dentro e aspettarci di capirlo al volo.»

«Che cosa suggerisci?» chiese Mox, parlando con l’ago tra i denti mentre controllava i punti che aveva appena eseguito. Sloane era passata a un altro taglio dall’odore pungente. I suoi guanti macchiarono di fluido la manica della camicia del non morto.

«Ehi» grugnì l’uomo. «Me l’ero appena pulita.»

«Scusa» disse Sloane, imbronciandosi. «È la prima volta che ricucio carne decomposta, per cui mi dovrai perdonare se sono un po’ maldestra.»

«Non è decomposta» obiettò l’uomo. «Si sta decomponendo.»

La risata di Ziva fischiava passando tra i denti. «Non offenderti, Pete. È un po’ nervosa in questo momento.»

Sloane strinse i denti e chiuse l’ultimo punto con un nodo. Non si preoccupò che fosse ben fatto. “Pete”, che nome ridicolo per uno zombie.

«Devi stare rilassata» le disse Pete, e si strappò il braccio dall’articolazione per scrollarlo un po’.

Sloane trattenne una risata. «Non fa male?» chiese.

«In realtà no. È più un ricordo del dolore, se capisci cosa intendo. Tutto per noi è così… solo echi.»

Sloane lanciò un’occhiata a Mox. Lui stava fingendo di non aver sentito.

«Ziva» disse invece lui. «Che cosa suggerisci di fare?»

Sloane fece scorrere un tratto del filo robusto attraverso la cruna dell’ago. Come aveva fatto a non capire chi era Nero già dal primo istante in cui aveva posato gli occhi su di lui? Il suo ciuffo di capelli senza pretese, il sorriso di cortesia, l’atteggiamento remissivo verso Aelia: tutto costruito per potersi muovere insospettato proprio sotto il suo naso. Ma a quale scopo? Tagliò il filo. Le mani le tremavano di nuovo.

«Quello che suggerisco» disse Ziva, «è che io e la tua nemesi-barra-amante laggiù…»

«Prego?»

«Sono morta, non stupida. Voi due siete…» Ziva agitò una mano tra Sloane e Mox. «Dunque, propongo che io e lei andiamo a fare una piccola missione di ricognizione per studiare le viscere del sifone fortis

«Tu e Sloane» disse Mox. «Senza di me?»

«Be’» rispose Ziva, addolcendo la voce, per quanto era possibile addolcire quella sua voce roca che ti scuoteva le ossa. «Il tuo sifone da schien…»

«D’accordo.» Mox abbassò lo sguardo corrucciato sulle sue mani mentre tirava l’ago con troppa forza, facendo sobbalzare il soldato davanti a lui. «Scusa, Fred.»

“Fred. Ma per favore” pensò divertita Sloane. «Conosci la portata di Nero?» chiese. Aveva bisogno di concentrarsi. Se Esther fosse stata lì, le avrebbe fatto schioccare le sue dita perfettamente curate davanti alla faccia. “Le emozioni dopo, ora devi pensare” le avrebbe detto, e così fece. «Quanto devi essere vicino perché lui possa controllare la tua magia?»

«Non l’ho verificato molto» sospirò Mox. «Un paio di isolati è la distanza minore a cui mi sono spinto.»

«Bene, allora, puoi sempre aiutarci ad arrivare là» propose Sloane. «Sono sicura che saranno in massima allerta. Potremmo aver bisogno di te. Io sono ancora inaffidabile con il sifone, e se al cadavere biondo cadesse la testa?»

«Inaffidabile? Penso che la parola che stavi cercando sia “inutile”. Tu sei inutile con il sifone» disse Ziva. «Ma questo solleva un’altra domanda: come facciamo a intrufolarci nel Caram? Non è che possiamo semplicemente entrare senza che nessuno ci noti.»

«Potremmo mettere del nastro adesivo sopra quel buco nella tua faccia» la punzecchiò Sloane.

«Attenta, sacco di carne, o ti rispondo per le rime» ribatté Ziva.

Mox tossì come per nascondere una risata. Scosse la testa. «Sarebbe meglio se potessimo entrare da sotto, ma…»

«Aspetta» disse Sloane. Quando l’Oscuro aveva ristretto l’area dei suoi attacchi al Midwest, Sloane aveva divorato più informazioni possibile su tutte le città principali della regione, e soprattutto su Chicago. Il che significava che ne conosceva bene le particolarità, i passaggi segreti e gli ingressi nascosti e… «Avete la Pedway qui?»

«La che?»

«È una rete di tunnel sotterranei pedonali nel Loop. Uno porta sotto il Thompson Center… scusate, in questo universo è il Caram. Hanno cominciato a costruirla prima della separazione dei nostri universi, ne sono abbastanza sicura. Potremmo sbucare nel bel mezzo dell’edificio.»

«I nostri universi… separazione» ripeté Mox.

«Voglio dire, a quanto pare stiamo viaggiando gli uni accanto agli altri, da qui il termine paralleli. Ma voi avete sviluppato la grande magia, e noi no.» Sloane si strinse nelle spalle. «Pensavo che fosse stato l’incidente della Tenebris a provocare la separazione, mentre ora penso che sia perché la Seconda guerra mondiale di Genetrix è stata combattuta principalmente per mare invece che per aria, per cui voi vi siete concentrati sulla sorveglianza sott’acqua, che è quello che ha portato all’incidente della Tenebris e… che c’è?»

La stavano guardando entrambi in modo strano.

«Dove diavolo l’hai trovata questa cazzo di nerd?» chiese Ziva a Mox.

Sloane divorò due lattine di zuppa per cena, la prima tiepida perché cominciò a infilarsela in bocca a cucchiaiate l’istante stesso in cui tolse il coperchio, e la seconda riscaldata sopra il sifone di Mox mentre lui fischiettava per alimentare una fiamma controllata. Erano tutti e due silenziosi. Mox sembrava quasi tetro mentre girava il suo cucchiaio in un barattolo di mais.

Lei si domandò come sarebbe stato lui quando non avesse più dovuto combattere per sopravvivere. Aveva passato così tanto tempo rinchiuso con i resti dei suoi amici, separato dal mondo. Avrebbe saputo tornare a una vita regolare?

Neanche lei era stata molto brava in quello. Aveva i suoi amici intorno, ma ancora saltava sui tetti per evitare i giornalisti e le loro domande, ancora storceva il naso durante gli eventi pubblici, mentiva alle persone a cui voleva bene, trascorreva le notti tra incubi ricorrenti e attacchi di panico. E ora Albie, che era stato la sua ancora, non c’era più. Era riuscita a rimandare il dolore perché non si trovava neanche nella stessa dimensione delle sue ceneri. Ma non sarebbe riuscita a rimandarlo per sempre.

«Che cosa c’è?» chiese a Mox vedendolo girare il cucchiaio per la ventesima volta.

Lui le lanciò un’occhiata. «È una cosa stupida» disse, come ad avvisarla.

«E allora?»

Con un sorrisetto, posò la lattina sul tavolo. Lei era seduta a gambe incrociate sul pavimento del deposito, sopra una coperta piegata. La lana le pizzicava le caviglie.

«Siamo più vicini a sconfiggerlo di quanto io non sia mai stato prima. E dovrei essere impaziente di farlo. Ma a vedere l’esercito in quel modo, io…» Scosse la testa. «Non avrò più scuse per tenermeli intorno quando lui non ci sarà più.»

«No» disse Sloane. «Immagino di no.»

«E se loro se ne vanno» si infilò una nocca nell’occhio come per scacciare una fitta di mal di testa, «io rimarrò di nuovo solo.»

Anche lei se ne sarebbe andata se il piano fosse riuscito. Una cosa che nessuno dei due stava dicendo, perché si conoscevano solo da poco tempo ed era assurdo attaccarsi a una persona così in fretta. Eppure lei l’aveva fatto. Era da tanto che qualcuno non le parlava come se avesse ancora diciotto anni.

Eppure, non era l’imminente perdita di lei che lo tormentava. Sloane aveva visto il modo in cui lui guardava quelle persone dagli occhi di marmo, che trasudavano liquido, mentre si facevano avanti per essere ricucite. Aveva sentito la tenerezza nella sua voce quando si rivolgeva a loro. Aveva notato che li conosceva tutti per nome e accoglieva con piacere ogni commento. «Loro non erano solo le persone che tu avresti dovuto comandare, vero?» chiese. «Eravate legati.»

«Non con tutti, ovviamente. Ma con alcuni sì. Ziva soprattutto. Per te e me era destino che entrassimo in questa battaglia. Ma per lei no. È stata una sua scelta. Voleva difendere il mondo. Non riesco a immaginarmi di assumersi un peso del genere volontariamente.» Sorrise. «A quanto pare attraggo la gente cronicamente scontrosa.»

A Sloane sembrò di riuscire a vedere la persona che era stata Mox un tempo dal modo in cui tormentava i polsini della camicia, si strappava le pellicine, si grattava un punto dell’avambraccio. Sempre in movimento, e sempre con la mente da un’altra parte, a guardare la luce della magia giocare nella stanza, forse, o a cercarne la fonte dentro di sé, il punto da cui partiva, le precise sfumature dei suoi desideri. Lui attraeva le persone con una certa durezza perché ne aveva bisogno, aveva bisogno che gli dessero uno schiaffo leggero e gli dicessero di concentrarsi.

«È la migliore amica che abbia mai avuto» disse sospirando. «Penserai che sono uno spostato del cazzo, a tenermi un gruppo di cadaveri come compagnia.»

Conoscere la magia era questione di conoscere se stessi, rifletté Sloane. Se sapevi essere onesto con te stesso, potevi predire meglio che cosa avrebbe potuto fare la tua magia. Ma come si supponeva che una persona arrivasse a conoscere se stessa fino a quel punto? Quasi trent’anni nel suo corpo e per metà del tempo lei non aveva ancora idea di dove si trovava né di come funzionava. Semmai stava diventando sempre di più un mistero, certo non meno.

«Io ho appena avuto un attacco di panico a causa di un paio di scarpe, non credo che vincerei una gara di equilibrio mentale in questo momento. Ma se sapessi come riportare indietro Albie, o mio fratello, anche solo per un istante, anche una pallida versione di loro…» Si strinse nelle spalle. «Lo farei, credo.»

«Davvero?»

Lei sorrise. «Non sei l’unico che è rimasto solo troppo a lungo.»

«Già.» Lui inclinò la testa. «Ti senti meglio ora, Sloane?»

A lei piaceva il modo in cui lui pronunciava il suo nome, calcando sulla vocale, come se volesse assaporarla prima di lasciarla andare.

«Non proprio. Sto solo cercando di capire come è stato possibile trovarmi accanto all’Oscuro senza rendermene conto.» Aveva pensato che l’avrebbe riconosciuto in qualunque universo. Che il suo cuore le avrebbe detto quel che i cuori sapevano. Ma il suo cuore non era mai stato così saggio, in effetti. C’erano alcune cose che proprio non sembrava sapere. «Però alcuni pezzi stanno andando insieme ora. Sibyl ha detto che secondo lei i Gorghi sono una reazione allergica alla presenza di qualcuno che non dovrebbe essere qui. Noi pensavamo che li provocasse lui perché era presente ogni volta che accadevano. Ma forse erano loro che accadevano ogni volta che lui era presente, forse era lui la presenza sbagliata nel nostro universo, e i Gorghi erano il modo della Terra di cercare di correggersi.»

«Ma poi lui è venuto qui» disse Mox, «e sono ricominciati.»

«È così? Cioè, quando si è verificato il primo?»

«Dopo che sono scappato. Tutti dicevano che stavo pianificando qualcosa di grosso, che ero pericoloso e poi…» Mox si fermò, aggrottando le sopracciglia. «E poi lui ha convocato il primo sfidante. Il primo Prescelto di un altro mondo, immagino.»

«Il che ha provocato un Gorgo» concluse Sloane con un sorriso soddisfatto.

«Era giovane, la prima.» Mox si era perso di nuovo, le sue dita si rincorrevano sopra il ginocchio, i capelli gli ricadevano sul viso. «Più intelligente che potente, direi. Arrivò a comprendere la magia di Genetrix molto rapidamente; era come una seconda natura per lei, ed era molto in gamba, sapeva scivolare da un processo all’altro con la facilità con cui si canta una canzone. Era la sua abilità contro la mia brutalità, e…» Si strinse nelle spalle. «Mi sento intrappolato in tutto questo. Come impantanato.»

«Vorrei avere delle risposte da darti» disse piano Sloane. «Ma tutte le cose in cui ero brava io venivano da prima. Brava a addormentarmi in fretta e a svegliarmi ancora più in fretta, a correre verso i Gorghi invece di scappare, a fare battute macabre dopo mettendo gli altri a disagio. Se sei brava in queste cose, come puoi essere brava ad andare al lavoro, sposarti, scodellare bambini? Sono vite opposte.» Scosse la testa. «Nessuno mi ha mai preparato a quello che veniva dopo. Hanno solo supposto che non l’avrei mai scoperto.»

Quando tornò a guardare Mox, fu sorpresa di scoprire che lui aveva un mezzo sorriso.

«È un falso dilemma quello che hai creato, sai» disse. «Non è che o dai la caccia agli Oscuri o rimani incinta, e in mezzo non c’è niente. Ci sono molte vite là fuori da vivere. Infinite possibilità da vagliare e scartare.»

Ovviamente lei non ci aveva mai pensato. Gli aveva chiesto perché non scappava, perché non lasciava lo stato, o il Paese. E il suo nemico era ancora lì, a dargli la caccia. Mentre il proprio… be’, ora sapeva che era ancora vivo, ma non lo sapeva prima. Avrebbe potuto andarsene da Chicago, lasciare Matt, lasciare tutta quella sua vita. Girare per l’Europa con lo zaino in spalla come una studentessa appena laureata con la voglia di viaggiare. Avrebbe potuto mangiare, pregare e amare in giro per l’India per trovare se stessa. Comprare un pezzo di terra nell’Idaho e costruirsi la propria baita. Ma non aveva cercato di fare niente. Il suo unico desiderio era stato essere lasciata sola.

Era ovvio che non poteva eseguire magie in modo affidabile; non sapeva affatto che cosa voleva davvero, nel profondo. «Hai ragione» concordò. «Ma come prima cosa dobbiamo sopravvivere a questa battaglia.»

«Giusto. E per farlo ora abbiamo bisogno di andare a letto.»

«Andare a letto? Noi? Chi ha mai detto che “noi” saremmo andati a letto?»

Gli occhi di lui sembravano danzare. «Nessuno. Ma, sai, potremmo morire domani.»

«Bella frase a effetto.» La sua faccia si aprì in un sorriso. Non poté farne a meno.

«Lo prendo come un sì.»