Mi tuffai dentro il vagone della metro appena qualche secondo prima che le porte mi stritolassero a morte.
Ok, forse è un tantino esagerato, ma se viveste a New York, allora capireste la sensazione che sto cercando di descrivere.
La metro non aspettava nessuno. Non le importava se eravate il prossimo grosso squalo di Wall Street. Se non arrivavate in tempo alle porte, allora fattaci vostri, belli .
Amavo il mio lavoro. Amavo lavorare al mio lavoro, non appena riuscivo a portare il mio culo perennemente in ritardo in ufficio. Era tutta la questione di dover uscire dal letto a crearmi dei problemi. Una persona mattutina, io non lo ero. Il mio corpo preferiva svegliarsi coi suoi tempi. Pertanto, il pulsante spegni della mia sveglia era molto ben oliato e collaudato.
Ogni giorno era una corsa contro il tempo, e oggi non faceva eccezione.
Trovai un posto a sedere davanti a un tipo sulla trentina, il cui naso rimase seppellito in un libro. Tutto in lui contribuiva a renderlo un gran figo: sguardo tenebroso, camicia di flanella rossa, capelli in stile “mi sono appena svegliato”, berretto in testa e zigomi che avrebbero fatto sembrare delicati quelli del David di Michelangelo.
Il suo libro: Sesso, droga e cereali : un manifesto di cultura bassa di Chuck Klosterman.
Conoscevo bene questa lettura. Mi ci ero gingillata un po’ durante il college, alla New York University. Era una bomba su carta di riferimenti alla cultura popolare e riflessioni praticamente su tutto quello che contava per i giovani. The Real World , il porno, gattini, Guerre Stellari: pensate a un argomento qualsiasi e scoprirete che Klosterman ne ha parlato. La sua arguta visione della cultura americana doveva avere, in teoria, una sorta di ironia esistenziale. Ma secondo me nessuno degli argomenti veniva esaminato in profondità, ed era stata probabilmente questa la ragione per cui il libro mi aveva lasciato in bocca lo stesso retrogusto di quando stavo troppo tempo su Tumblr.
Tradotto: Hipster al 100% . Anche se pazzescamente figo, il ragazzo sarebbe probabilmente finito per diventare un newyorchese trapiantato a Portland prima della fine dell’anno prossimo. Ma non escludevo la possibilità di vedere il suo bel musetto postato in uno dei miei account Instagram preferiti: Fighi che leggono .
Perché a chi non piace vedere una delizia per gli occhi con il naso sepolto fra le pagine di un libro?
Il mio momento per occhieggiarlo terminò quando saltai fuori dalla metro alla mia fermata. La sede della Brooks Media era situata sulla prestigiosa Fifth Avenue, proprio nel bel mezzo di Midtown. Questa parte di Manhattan era il quartiere centrale degli affari della città, diavolo forse persino del paese. Pensate a un’azienda di successo, una qualsiasi, e probabilmente aveva sede qui. E, per mia fortuna, il mio appartamento a Chelsea era distante solo un dieci-quindici minuti con la metro.
Il che non spiega perché sia venti minuti in ritardo.
Seguendo l’attività frenetica del traffico pedonale sul marciapiede, circumnavigai più turisti fermi a leggere la propria cartina. I venditori ambulanti ingombravano i marciapiedi. Un tipo in bicicletta evitò di essere investito solo per qualche centimetro e mostrò con eleganza il medio all’automobilista da sopra la spalla.
Era un giorno feriale a New York e cazzo, quanto era bello.
Amavo la mia città. Amavo il fluire e rifluire delle sue tante eccentricità. Tacchi alti ticchettavano sul cemento, diretti alle lussuose boutique della Fifth Avenue. Mocassini procedevano a suon di tip-tap verso il Financial District. I taxi suonavano il clacson. I furgoni delle consegne che venivano scaricati con tonfi sonori e rapide manovre. Erano la canzone e la danza di New York: tutti intenti a iniziare la loro giornata. E niente li avrebbe fermati.
Entrai di gran lena nel Winthrop Building, l’ampia lobby mi accolse con le sue magnifiche colonne di marmo e finestre che arrivavano al soffitto. Mozzava il fiato. L’ufficio vero e proprio era altrettanto raffinato: ampi corridoi, pavimenti in pietra grezza e una perfetta quantità di luce naturale che entrava dalle finestre e dai lucernari. La Brooks Media doveva aver davvero sborsato parecchio per questo immobile eccellente. Era stupendo sotto ogni punto di vista.
«Buongiorno, Paul. Buongiorno, Brian» salutai le guardie alla reception.
«Oh, salve bella signorina». Paul sorrise. «Vedo che qualcuno ha ancora problemi ad arrivare alle prime luci del mattino».
«Ma smettila Paul. Ad alcuni di noi serve qualche restauro per avere un aspetto bello come il tuo, la mattina». Sorrisi e sbattei le ciglia.
Brian rise. «Questa te la sei cercata».
«Vorrei fosse lei a cercare me» disse Paul, interrompendolo. «Dai, Georgia, permettimi di invitarti fuori a cena».
«Facciamo la stessa identica conversazione almeno una volta a settimana da due anni, Paul. La mia risposta non cambierà» risposi da sopra la spalla, mentre mi dirigevo verso l’ascensore.
«Cambierà!» gridò lui. «Un giorno, cambierà!».
L’ascensore arrivò con un ding e io entrai, salutando Paul con un cenno prima che le porte si chiudessero.
Era un uomo adorabile: sulla quarantina, gran lavoratore e più dolce del miele. Ma io tenevo piacere e dovere ben separati. E Paul la guardia di sicurezza non era il mio tipo. Un giorno, però, avrebbe incontrato la donna giusta per lui, che gli avrebbe lavato i calzini e preparato la salsa alla birra e formaggio da accompagnare alle partite di football del lunedì. Gli serviva una donna che fosse tanto brava in cucina quanto in camera da letto. Io ero tra le migliori nella posizione 69, ma ero una frana quando si trattava di pranzetti fatti in casa. Il mio curriculum non avrebbe mai contenuto la frase “chef di talento”. Il mio forno veniva usato come scarpiera ed era meglio così.
«Guarda un po’ chi ha portato il vento. Siamo in elegante ritardo, ti fai attendere come una diva?» mi salutò Dean con un occhiolino, quando mi incrociò nel corridoio.
Merda . I miei ritardi iniziavano a sembrare gli umilianti ritorni a casa della mattina dopo una notte di sesso occasionale. Dovevo davvero darmi una regolata.
«Volevo solo provare a far colpo su di te con la mia nuova gonna a trapezio» risposi da sopra la spalla, dimenando un poco i fianchi. «Vintage. Vera Wang. Cosa hai da dire, tesoro?». Avrei dovuto accennare che avevo trovato la gonna a un negozio di vestiti usati a SoHo? Le frecciatine con i nomi di stilisti famosi erano fantastiche, ma mi rifiutavo di pagare i prezzi che chiedevano.
«Qualcuna è bella inviperita stamattina. Non cambiare mai, piccola diva» mi prese in giro, con uno schiocco di dita. Dean era una delle persone che preferivo di più in ufficio: divertente, esageratamente gay, intelligente e sarcastico. Cos’altro avrebbe potuto volere una ragazza?
Lui si girò verso di me, arrestandosi di colpo. «Pranziamo insieme?».
Mi fermai sulla soglia del mio ufficio. «Ucciderei per mangiare un panino all’insalata di pollo della gastronomia dall’altra parte della strada».
Dean ghignò. «Non ci sarà bisogno di spargere sangue. Lo prenderemo da asporto».
«Mangiamo là. Nel mio ufficio, all’una meno un quarto?».
Lui mi lanciò un bacio. «Fatti bella, amore mio».
Un altro giorno, un altro dollaro e bla bla bla .
Era il mio mantra, anche se avrei preferito restare avvolta in una coperta e dormire fino all’una. A volte essere adulti era davvero una responsabilità eccessiva. Alzarsi per andare a lavorare. Pettinarsi. Pagare le bollette. Era una lista infinita di troppe cose e poco tempo. La vita era dura, amici.
Ma pagare un affitto a Chelsea non era una passeggiata domenicale a Central Park. Un appartamento con due camere da letto, ascensore e portiere costava caro. Alla fine dei conti, dovevo comportarmi da adulta. Senza se e senza ma al riguardo.
Diedi inizio alla mia giornata, controllando le email e richiamando alcuni potenziali futuri clienti. L’app TapNext aveva avuto un successo clamoroso l’anno scorso. Io avevo ideato una campagna pubblicitaria che aveva unito svariate aziende interessate ad avere la loro pubblicità nelle schermate della nostra app. E queste pubblicità a scorrimento erano diventate una buona fonte di guadagno per l’azienda. Altre compagnie ci pagavano non solo una sostanziosa tariffa pubblicitaria, ma avevano anche accettato di promuovere in vari modi la Brooks Media. La nostra mano lavava la loro e la loro ci faceva un bagno completo. Anche se ero completamente inutile in cucina, sapevo essere molto persuasiva in sala riunioni.
«Toc, toc». Leslie disse per annunciare il suo arrivo. Con la figura formosa entrò ancheggiando nel mio ufficio, apparentemente incurante del fatto che fossi nel mezzo di una conferenza telefonica con la Sure Romance.
«Uhm, Georgia, cioè, ci sono dei biglietti d’auguri che devi firmare, sono per dei colleghi dell’ufficio» proseguì, gettando i biglietti d’auguri sulla mia scrivania. Si sparsero sopra il mio portatile, impedendo alle mie dita indaffarate di fare progressi assolutamente necessari col contratto di cui stavo discutendo.
Alzai un dito, indicando l’auricolare Bluetooth nel mio orecchio.
«Georgia? Prontoooo, Georgia?» ripeté, sbattendo la suola delle scarpe coi tacchi per sei rapidi colpi impazienti.
Leslie era un orribile incubo di risposte vacue, terribili capacità organizzative e top rivelatori che lasciavano poco alla fantasia. Ed era l’ultima arrivata nell’azienda. Però, che cazzo , era tanto difficile capire che in quel momento ero impegnata?
«Chiedo scusa, potresti attendere un secondo?» chiesi cortesemente a Martin, il direttore del marketing della Sure Romance.
«Sai una cosa, Georgia? Tra tre minuti devo andare a un’altra riunione. Facciamo così, perché non fai le modifiche al contratto e lo mandi ai nostri avvocati? Diamoci appuntamento venerdì per sentirci al telefono e rivedere tutto e trovare un compromesso che vada bene a entrambi».
Dannazione .
Questo, amici miei, era un esempio perfetto di come perdere un preziosissimo vantaggio in un accordo d’affari.
«Ma certo, Martin. E dato che il signor Brooks vorrebbe partecipare alla chiamata, venerdì, organizziamo una video-conferenza». Il mio capo ignorava ogni dettaglio di quest’affare. Ma questa era la mia mossa per smascherare il bluff di Martin. Le mie capacità persuasive erano di prim’ordine, ma c’era un motivo se Kline Brooks era il Presidente e CEO della sua stessa azienda. Quell’uomo avrebbe potuto convincere un eschimese a comprare del ghiaccio.
«Oh. Ok». Martin si schiarì la gola. «Nel frattempo, proverò a far rivedere tutto ai nostri legali nelle prossime ventiquattro ore. Prima chiudiamo quest’accordo meglio è».
Tradotto: Vorrei evitare una video-conferenza con il tuo capo.
«Perfetto. Allora confido in una tua celere risposta». Terminai la chiamata e usai ogni briciolo di forza per dipingermi in volto un sorriso mentre alzavo lo sguardo su Leslie.
«Allora, come dicevo, devi firmare i biglietti» ripeté, continuando a non capire.
Cristo, neanche mi importava se le stessi mostrando la mia faccia da stronza inconsapevole. Diavolo, avrei così tanto voluto mostrarle quella da stronza consapevole. Questa tipa era nella compagnia da pochissimo e io già non la sopportavo più.
«Ok, Leslie. Dammi solo un secondo e li firmerò tutti, così puoi tornare al tuo lavoro» risposi con un sorriso falso. Avrei voluto darle una bella strigliata. Avrei voluto farle sapere che la sua interruzione aveva messo in pericolo un importante accordo d’affari. Ma sarebbe stato inutile. Le mie parole le sarebbero entrate in un orecchio e uscite dall’altro, dopo aver attraversato il vuoto tra loro.
Afferrai la penna, scribacchiando frettolosamente delle frasi fatte su festeggiamenti, felici compleanni e fantastiche giornate. Cinque biglietti più tardi, restituii tutto a Leslie e mandai le sue chiappe svampite fuori dal mio ufficio.
Venti email dopo, un’altra interruzione si affacciò alla porta del mio ufficio. Kline Brooks . Era il genere d’uomo su cui le donne fantasticavano. L’incarnazione del bad boy miliardario: capelli corti e scuri con un taglio alla moda, muscoli a non finire e un sorriso che ti faceva cascare le mutande. Solo che… non era un bad boy.
I suoi sorrisi erano genuini e i suoi ordini erano impartiti con cortesia. Se ne stava per i fatti suoi, da quel che sapevo io, e non sembrava essere il tipo che andava in giro a fare conquiste. Nonostante il suo aspetto fantastico, non l’avevo ancora visto apparire nella rubrica “I playboy di NYC” su Page Six . Non l’avevo mai visto rivolgere un’occhiata lasciva a nessun dipendente, maschio o femmina che fosse. Era un mistero, ben nascosto dietro una riservata conduzione aziendale e senza alcuna possibilità di essere svelato. In quanto sua impiegata, ero ben attenta a mantenere una metaforica rispettosa distanza. A dirla tutta, non ero sicura che sapesse avessi una vagina. Mi trattava da sua pari e sembrava avere grande stima della mia opinione su qualsiasi questione riguardasse gli affari e il marketing. I suoi occhi non erravano mai verso le mie tette. La sua bocca non aveva mai accennato un sorriso malizioso.
E io rimanevo fermamente convinta che piacere e dovere dovessero essere come acqua e olio. Kline era dovere, puro e semplice.
Inoltre, non aveva proprio le qualità che io cercavo in un uomo.
Sì, riesco praticamente a vedere la parola “miliardario” che brilla nei vostri occhi avidi di denaro e sento i giudizi sollevarsi da voi come dense nuvole cariche di disdegno. Ma la questione non riguarda lui, in realtà. Non del tutto, comunque.
Nonostante la mia inesperienza nelle relazioni, mi conoscevo abbastanza da sapere che mi piacevano le persone schiette e dirette, sia nella conversazione che sotto le lenzuola. E non avevo intenzione di scendere a compromessi su questo, nemmeno per uno che aveva miliardi di argomenti per convincermi del contrario.
Cristo, ci doveva pur essere una via di mezzo tra uomini pacati come Kline e i banditi delle foto di peni come Sporco_Ruck . Vero?
«Buongiorno, Georgia». Mi salutò con il suo sorriso professionale, ma affascinante. «Volevo solo chiederti se c’erano novità sull’accordo con la Sure Romance».
«Nonostante abbia dovuto minacciare Martin di tenere una video-conferenza con lei, credo che alla fine dell’accordo otterremo un milione in più di quanto avessimo previsto».
«Vedo che hai preso la situazione di petto. Aggiornami sui progressi e fammi sapere se vuoi una mano».
La mia mente si concentrò subito sulla parola petto . Sapevo che il mio capo non intendeva il mio petto o altri petti femminili in generale, ma non potei evitare di divagare con la mente in quella direzione. Dubitavo che Kline Brooks avesse mai pensato al mio petto. Sarebbe stato strano, vero?
Non era possibile che mi vedesse in quel modo. E, naturalmente, neanche io pensavo a lui in quel modo. Non era un male che lui fosse una delizia per gli occhi. Beh, non per i miei , ma per quelli delle altre donne. Ero sicura che lui fosse una delizia per i loro occhi. I miei sapevano bene di non doverlo guardare in quel modo. Non negherò che i miei occhi fossero grati del fatto che non avesse uno strano riporto o peli che uscivano dal naso o labbra piene di croste. Ma Kline Brooks era dovere, non piacere. Non mi avrebbe mai sfiorata e sicuramente non l’avrei fatto io.
«Georgia?» chiese, strappandomi al mio delirante monologo interiore.
Merda .
«Scusi». Scuotendo la testa, mi liberai dei miei pensieri imbarazzanti. «La terrò sicuramente aggiornata sul contratto con la Sure Romance, signor Brooks. Conto di averlo firmato e chiuso entro la fine della settimana».
«Mi fa piacere sentirlo». Tamburellò con le nocche contro la porta due volte, come sanno fare solo gli uomini. «Grazie».
Dopodiché, dalle pareti di vetro del mio ufficio, guardai Kline Brooks allontanarsi lungo il corridoio con un’espressione concentrata. Conoscevo bene quello sguardo: o qualcuno era pronto per andare a pranzo o era in ritardo di due minuti per una riunione.
Prima che potessi riprendere il compito di rispondere alle email mattutine, Dean entrò nel mio ufficio, con un sorriso da vero stronzo arrogante in volto. «Hai un minuto, tesoro?».
«Ma certo». Chiusi il portatile, rivolgendogli tutta la mia attenzione.
Lui accomodò le sue chiappe avvolte da un completo di Prada nella sedia in cuoio di fronte alla mia scrivania. Dean continuò a ghignare come il cavolo dello Stregatto, mentre faceva scivolare un biglietto d’auguri stucchevole sopra il mio portatile.
Io alzai un sopracciglio. «Perché sorridi così? È inquietante, bello».
«Allora, Tette-belle ha messo questo biglietto sulla mia scrivania» cantilenò. «Naturalmente, prima mi ha praticamente soffocato nella sua scollatura». Il suo largo sorriso si tramutò in una smorfia irritata. «Quella ragazza ha il peggior gaydar che abbia mai visto».
«Oh, povero Dean. Così bello che le donne single gli si gettano addosso» lo canzonai.
«Beh, tra un minuto sarai un bel po’ grata al povero Dean qui presente». Accennò con il mento al biglietto. «Forza, leggilo, spiritosona. Credo vorrai fare qualche cambiamento».
Che? Lanciai un’occhiata all’esterno del biglietto, per leggere la frase scritta sopra. Era senza nessun dubbio un biglietto di condoglianze. Qualcuno in ufficio doveva avere avuto un lutto in famiglia. L’aprii e iniziai a leggere le parole premurose degli altri.
Sentite condoglianze per la tua perdita, Mary. - Patty
Pregherò per te. - Meryl
Se ti serve qualcosa, qualsiasi cosa, non esitare a chiedere. - Gary
I miei colleghi erano davvero dolci. Questo era chiaro.
Un grande abbraccio, ti ricorderò nelle mie preghiere in questo momento difficile. - Laura
CHE BELLO! CHE BELLO! CHE GIOIA! CHE GIOIA! Divertiti e celebra questo giorno! - Georgia
Cazzo. Lo rilessi solo per assicurarmi che i miei occhi non mi stessero giocando uno scherzo.
Merda. Merda. Merda.
Il mio riferimento a Ren & Stimpy non era per niente divertente scritto nel mezzo di un biglietto di CONDOGLIANZE per la perdita di qualcuno.
«Cazzo, Leslie» sbottai. «Mi ha lanciato un mucchio di biglietti sulla scrivania dicendo che erano per dei compleanni ».
Dean esplose, le sue risate fragorose echeggiarono per il mio ufficio.
Lo fissai in cagnesco. «Non è così divertente».
«Diavolo, lo è. Hai scritto una citazione di Ren e Stimpy in un biglietto di condoglianze» disse tra una risata e l’altra, senza fiato.
Vaffanculo Leslie, davvero. Vaffanculissimo.
Ero convinta di poterla incolpare di tutto quello che non andava nella mia vita. Avevo perso le chiavi? Dannazione, Leslie!
Perso la metro? Vaffanculo e grazie, Leslie!
L’ennesima orribile foto di un pisello mi arrivava al cellulare? Sei proprio stronza, Leslie .
Sospirai. «Non ho idea di come potrei rimediare».
«Bianchetto?» suggerì, ridendo ancora come un pazzo.
«Continua pure» dissi, con un cenno della mano. «Goditi pure una sana risata a mie spese».
«È stata la cosa migliore della mia giornata, letteralmente. Quando l’ho letta, sono quasi caduto dalla sedia dalle risate. Sono sicuro che mi hanno sentito in tutto l’ufficio. Persino Meryl mi guardava male».
«Sono felice di sapere che ho rallegrato la giornata lavorativa di qualcuno».
Lui fece un ghigno, alzandosi e strappando il biglietto dalle mie mani da pasticciona. «Buttiamo via il biglietto e basta. Dirò a Meryl di mandare dei fiori da parte di tutto l’ufficio».
Feci un sospiro di sollievo. «Questo piano ha il mio pieno appoggio. Contribuirò persino con cinquanta dollari».
«Perfetto».
«Ehi, il biglietto lo butti davvero, giusto?» chiesi prima che lui uscisse dalla porta del mio ufficio.
Rispose con una semplice alzata di spalle e qualche altra risatina.
Dean era proprio una stronza. Se non gli avessi voluto tanto bene, avrei sicuramente rinnegato le sue chiappe fasciate da pantaloni firmati.
Mentre la sua risata spariva in lontananza, l’irritante segnale che annunciava un nuovo messaggio sul mio cellulare suonava sempre più forte. Lo afferrai di corsa, sapendo che se non l’avessi letto subito non me ne sarei ricordata fino a fine giornata.
Cassie: Ho appena visto la polizia arrestare due tizi perché scopavano contro un muro a Broadway.
Non sapendo bene come rispondere, scrissi la sola cosa che mi venisse in mente.
Io: Beh, è pur sempre il quartiere degli spettacoli.
Uscii dai messaggi e, prima di bloccare lo schermo, notai la piccola notifica rossa sulla mia app TapNext. Un messaggio da Sporco_Ruck di stamattina riprometteva una sessualità nella norma, nonostante la mancanza di tatto della sera prima. Era necessaria una tregua.
BottaDiRose (12:14): Scuse imbarazzate accettate.
La sua risposta arrivò due minuti dopo.
Sporco_Ruck (12:16): Grazie a Dio. Anche se il nome del tuo profilo non aiuta certo a scoraggiare un cattivo comportamento.