«Prendi». Kline tornò in macchina e mi passò un sacchetto di carta marrone il cui contenuto non poteva che essere Benadryl.
«Gazzie» sussurrai, rivolgendogli un piccolo sorriso.
Lui aggrottò le sopracciglia, mentre si sforzava di trattenere una smorfia.
Merda. Quanto ero conciata male?
Considerando che era il mio primo appuntamento con Kline, sapevo che non era una situazione ottimale. Nel giro di pochi minuti e di un bacio perfetto e sexy, ero passata dal sorridere ed elargire risposte affascinanti a parlare come se avessi un würstel in bocca.
Il succo di lime mi aveva sabotata. Non entravo in contatto da anni con quel demonio scatena-allergie. E l’ultima volta era stata molto peggio. La gola aveva iniziato a stringersi perché l’avevo ingerito, mentre stavolta era solo un gonfiore da contatto.
Deglutii un paio di volte per assicurarmi che la gola fosse libera e ventilata. Ma il modo in cui Kline stava cercando di non reagire di fronte al mio aspetto?
Beh, quello mi spinse a frugare nella borsetta e a tirare fuori il portacipria. Feci scattare la chiusura, aprii lo specchietto e mi trovai faccia a faccia con una scena che avrebbe fatto venire la nausea a un fanatico dell’horror. Labbra rosso vivo, gonfie quanto un pesce palla, mi prendevano quasi tutto il volto. La pelle era talmente tesa che temevo qualcosa potesse scoppiare.
Insomma: ero messa male. Malissimo, cazzo. Come se Kylie Jenner avesse esagerato con il botox.
«O ‘io Dio» esclamai, mentre la lingua continuava a gonfiarsi sempre più.
Lanciai un’altra occhiata nello specchietto, il che fu un grosso, enorme errore di proporzioni epiche. Il gonfiore sembrava decisissimo a consumarmi l’intero volto.
«’ome sono ‘idotta?». Afferrai il sacchetto di carta dal sedile e me lo misi in testa.
Su una scala d’imbarazzo da zero a Britney Spears, ero al proverbiale livello “ho mostrato la patata a milioni di persone”.
Per l’amore di Dio, l’infiammazione sta arrivando al cervello. Riesco solo a pensare per analogie con le celebrità. La mia reazione allergica mi aveva trasformata in Leslie.
«Georgia, per favore, non nascondere il tuo bel volto». Kline sollevò il sacchetto di carta, ricambiando il mio sguardo con sincera preoccupazione.
Sì, certo. Bello? Qualsiasi forma di bellezza era scappata a gambe levate non appena avevo contratto l’elefantiasi del volto.
Distolsi lo sguardo dal suo e mi concentrai a scartare il Benadryl dal suo involucro di plastica. «’ijo di ‘utana» imprecai, lottando contro il tappo a prova di bambino.
Lui prese con gentilezza la bottiglia dalle mie mani, ne svitò il tappo con facilità, e me la restituì. «Devi andare al pronto soccorso. Il St. Luke è proprio qui dietro l’angolo».
Oh, diavolo, no. Fosse anche stato l’ultimo pronto soccorso a New York, non sarei mai andata lì . Oddio, a meno che la mia reazione allergica non fosse peggiorata. In quel caso avrei accettato. Avrei affrontato l’imbarazzo e le prese in giro senza fine di mio fratello in cambio di una puntura di epinefrina, sempre meglio che non respirare. Non ero un’idiota totale.
Scossi la testa. «’io fatello. ‘ordatelo».
Lui aggrottò le sopracciglia, confuso.
«No. Niete ossedali».
Mio fratello Will stava terminando il suo internato al pronto soccorso del St. Luke e sapevo per certo che era nel bel mezzo di un turno di ventiquattro ore di reperibilità. Se fossi entrata al suo pronto soccorso conciata così, mi avrebbe preso in giro fino alla morte.
«Ma...».
«No, no. ‘Cordatelo». Lo interruppi, decisa. E per consolidare la mia decisione, portai la bottiglietta di Benadryl alle mie gargantuesche labbra e la inclinai, versandomene in bocca più che potevo.
«Cazzo! Georgia!» Kline mi strappò la bottiglietta dalle mani, spaventato. «Così esageri. Ne hai preso troppo».
Io alzai le spalle, allungandomi per prendere il sacchetto di carta per terra, e tirai fuori una penna dalla pochette.
Non serve andare in pronto soccorso. Sopravviverò , scrissi, mostrandogli poi il sacchetto.
Lui si accigliò. «Sono molto preoccupato».
Te lo giuro, mi è già successo. Benny mi salverà anche stavolta.
Lo rassicuravo perché odiavo vederlo tanto ansioso.
Sulla sua bocca spuntò un sorriso canzonatorio. «Benny?».
Annuii, col collo che voleva imitare a tutti i costi una di quelle figurine con la testa dondolante. Era evidente che l’antistaminico stava iniziando a fare effetto.
Sì, Benny e io ci conosciamo da tempo. Ti prometto che tra un paio d’ore tornerò come nuova.
Lui mi studiò il volto. «Credo proprio tu ne abbia bevuto troppo, di Benny».
Io scossi la testa, nascondendo le labbra dietro la mano libera.
Fammi un favore, smetti di guardarmi finché Benny non inizia a fare effetto. Mi dispiace, questo dev’essere il peggior primo appuntamento della storia.
Lui prese la penna dalla mia stretta e si mise il sacchetto in grembo. La sua mano viaggiava con movimenti fluidi mentre lui scribacchiava qualcosa, poi mi ripassò il sacchetto.
Fammi un favore smetti di guardarmi finché Benny non inizia a fare effetto. Mi dispiace, questo dev’essere il peggior primo appuntamento della storia.
Questo è il primo appuntamento MIGLIORE della storia.
«Grazie per avermi accompagnato, stasera». Mi rivolse un sorriso, un vero sorriso, non quello “sto cercando di sorridere, ma cazzo, hai davvero un aspetto orribile” che mi rivolgeva prima. «E, Georgia». Kline mi sfiorò la guancia. «Anche con la reazione allergica, hai comunque la capacità di mozzarmi il fiato. Sei bellissima, tesoro. Anche con le labbra gonfie e tutto il resto, sei comunque bellissima».
Io lo fissai di rimando, senza parole. Ignoravo ancora tante cose su Kline, ma il mio istinto mi diceva che era, fin nel profondo dell’anima, un brav’uomo. Dolce, gentile, innegabilmente un brav’uomo.
Nonostante la catastrofe con il lime, sono contenta anch’io di essere qui.
Le mie palpebre iniziarono a farsi pesanti, sbattei le ciglia rapidamente cercando di scacciare la nebbia che stava scendendo sulla mia mente. Appoggiai la testa di nuovo sul sedile.
«Stai bene?». Mi avvolse le spalle con un braccio, facendomi appoggiare al suo fianco.
Non stavo vomitando e riuscivo ancora a respirare, per cui biascicai un: «Mh-uh» mentre mi accoccolavo contro di lui. «Sholo un po’ di shonno».
La tentazione di sprofondare in un coma era forte. In un angolino della mia mente, c’era ancora una vocina razionale che si chiedeva: «Sto per andare in overdose di Benadryl? ».
Prima che il richiamo del sonno mi spedisse nel mondo dei sogni, recuperai il telefono dalla borsa. Aprii la chat con Will e cercai di mandargli un messaggio.
WELLY SONO BENNY. Cancella.
WELL O SFATTO Cancella.
Lentamente, ma con certezza, le mie dita si ripresero e il correttore automatico smise di cercare di sputtanarmi.
Io: WILL SI FARE BENNY CON UNA SUPERDOSE!*&
Fatto. Perfetto.
Se lui riterrà che sono nei guai, mi chiamerà. Altrimenti, no problem , fu l’ultima cosa che riuscii a pensare prima che Benny prendesse il sopravvento e mi salutasse con un: «Buonanotte, Georgia».
«Georgie. Georgie». Una mano mi scosse la spalla. «Svegliati, Georgie». «Meeeeeeeeerda » imprecò qualcuno sottovoce.
Aprii gli occhi, sbattendoli per schiarirmi la vista. Dopo aver scollato il volto dal sedile di pelle, mi misi a sedere, trovandomi davanti un preoccupato Kline che ricambiava il mio sguardo.
«Grazie a Dio. Stai bene?» Mi toccò la guancia.
Mmmmmmmmmm. Ma che bella sensazione.
Sentii il bisogno di fargli le fusa contro il palmo e implorarlo di grattarmi il pancino. All’improvviso, diventare un gatto mi sembrava la migliore idea che avessi mai avuto.
«Miao?» chiese lui, aggrottando le sue quattro sopracciglia.
«Eh?».
«Hai appena detto miao?».
«Miaoo … Miaooo... » testai le parole sulla lingua. Mi sentivo le labbra molto strane. «Sì, credo proprio di sì». Strofinai il volto contro il suo palmo. «Continua ad accarezzarmi, Kline. Potrei davvero iniziare a fare le fusa».
Una profonda risatina gli vibrò nel petto. La mia testa si mosse di volontà propria, allungandosi in avanti e appoggiandosi contro i suoi pettorali duri. Dico davvero, Kline Brooks aveva dei gran pettorali. Duri come la roccia, cavolo. Mmmh. Capezzoli. Mi chiesi che sapore avessero i suoi capezzoli.
Lui si sistemò sul sedile, la sua mano era appoggiata sulla mia nuca. «Georgie? Dobbiamo portarti in casa. Credo che tu abbia bevuto troppo Benadryl».
Lo fenso anche io.
Dose consigliata, mi fai un faffo.
«Ahahah. Faffo». Il mio corpo oscillò, come se lui stesse scuotendo la testa. «Mi sa che sono fatta».
Lui ridacchiò ancora, il vibromassaggio dei suoi pettorali mi accarezzava la guancia.
«Ora mi ricordo perché amavo tanto la Maria al liceo».
«Ora ti porto fuori dalla macchina, d’accordo?».
«Siamo in macchina?». Mi raddrizzai di scatto, liberando il suo petto perfetto dall’assalto della mia guancia. «E di chi?».
«Questa è la mia macchina, tesoro. Ci ha portati Frank. Sei pronta?».
Lanciai un’occhiata al suo pacco. «Oh, non avevo idea che fossimo già arrivati a questo punto. L’appuntamento dev’essere andato proprio bene, mi sa, vero? Siamo pronti per metterci nudi. Dev’essere una cosa buona». Gli accarezzai la coscia con la mano, godendomi la sensazione dei muscoli ricoperti da morbido tessuto. «Scommetto che sei fighissimo nudo».
Lui sorrise, prendendomi la mano e portandosela alle labbra per baciarmela dolcemente. «Perché intanto non usciamo dalla macchina e saliamo nel mio appartamento?».
Annuii. O almeno, credo che stessi annuendo. Decisi di annuire ancora un po’ per esserne sicura. Non si può mai sapere quando si ha annuito abbastanza. Annuire può essere una faccenda complicata.
«Ok, metti le braccia attorno al mio collo. Ora ti porto di sopra».
«Oh, sì. Portami Kline. Portami come si deve».
Grandi braccia avvolsero il mio corpo, tirandomi fuori dalla macchina. Quando mi ritrovai per aria, avvolta da forti muscoli e deliziosi ormoni maschili mescolati a un’acqua di colonia davvero sexy, la mia voce decise di debuttare. Se c’era un momento perfetto per una canzone era proprio ora, mentre Kline mi portava in braccio oltre il portiere e attraverso un atrio che non avevo mai visto prima.
«Wiki-wiki-wiki rap! Kline vuole fare del sex ed ha un gran bell’odore, signore! ». Ero sempre stata brava a rappare. «Wiki-wiki-wiki, wow! Brooks ce l’ho grosso is in da house! Mani al cielo! Tutti insieme! Wiki-wiki-wiki, mix! ».
«Georgia» sussurrò Kline, tra una risata e l’altra. «Ti metto giù un attimo, devo prendere le chiavi».
I miei piedi toccarono terra e il corridoio iniziò a vorticare come la gonna di un derviscio, in un ipnotico carosello di spessi tappeti di velluto e pareti color crema. «Uau, corridoio, diamoci una calmata! Sei fuori controllo, bello». Allungai la mano verso il muro, ma Kline fu più veloce e mi afferrò per i fianchi fermando il mio slancio frontale.
«Ora entriamo» mi istruì, guidandomi oltre la porta e all’interno del suo appartamento. «Adesso ti faccio accomodare sul divano e magari ti faccio assumere un po’ di liquidi non alcolici».
Io mi lanciai a peso morto sul divano di pelle, affondando il volto nei cuscini. «Oh, sì, tesoro. Questo sì che è un divano come dico io».
«Georgia». Il volto di Kline era a qualche centimetro dal mio, le sue lunghe dita sotto il mio mento.
«Ehi, e tu da dove spunti?» chiesi, sbirciando dal mio fortino di cuscini. «Pensavo fossi vicino alla porta. Cavolo, quanto sei veloce. Ti alleni spesso?».
Lui sorrise, i suoi occhi azzurri operavano la loro magia sulla mia libido. Lì-bii-dou . Che strana parola. Sembrava una cosa più appropriata a un’aula di tribunale che alla camera da letto. «Vorrei fosse messo a verbale che stava tormentando il mio testimone per una libido ». Capite cosa intendo?
«Georgia, tesoro». Kline evocò il mio sguardo con i suoi poteri. E, palle di buona donna, ecco di nuovo quei suoi occhi azzurri. Era certo, stavano cercando di ipnotizzarmi la vagina. E stava funzionando, tra l’altro.
A breve le mie mutandine avrebbero fatto puf! e sarebbero svanite nel nulla.
«Ti prego, pietà» sussurrai. «Il tuo sorriso, più i tuoi occhi, sono come un gelato variegato al gusto di sesso. Ne prendo due palline».
Una risatina gli sfuggì dalle labbra. «Perché non iniziamo bevendo qualcosa? Cosa vorresti adesso? Ho acqua, tè e caffè».
«Prenderei una vodka. Ma on the rocks, grazie».
Lui scosse la testa, divertito. «La vodka non era tra le opzioni».
«Ah no?». Piegai il capo di lato e realizzai che andava tutto molto meglio, ora che avevo appoggiato la testa sui cuscini.
«Facciamo così, perché non resti qui mentre io vado a prendere da bere?».
«Sì, signore». Gli feci un saluto militare.
«Aspetta!» strillai prima che facesse un solo passo. C’era una cosa che volevo dirgli, e dovevo dirgliela subito .
«Sì, piccola?» chiese, alla sua preoccupazione si era deliziosamente mescolata la punta di sorriso.
«Sei il miglior baciatore di questa sponda del Mississippi. NO! Sei il miglior baciatore del mondo intero». La mia voce si fece seria. «Ascolta, intendo a livello che non sono mai stata baciata meglio in tutta la mia vita ».
Ogni preoccupazione sparì dal suo viso, come se non fosse mai esistita.
«Davvero?». I suoi occhi azzurri luccicarono come se fossero fatti di brillantini. Come se fosse andato in cartoleria, ne avesse acquistato un barattolo e se li fosse appiccicati nelle iridi.
«Ooooh, sì» concordai, allungando un braccio per afferrargli la camicia in un pugno e tirarlo di nuovo a me.
Una risatina gli rimbombò nel petto mentre io gli incollavo addosso il mio e spingevo le labbra contro le sue senza chiedere permesso. Erano talmente soffici e carnose e mmm, ma che bel gemito ha appena fatto. Mi presi quello che desideravo, esplorando e saccheggiando la sua bocca anche se la mia faccia non voleva proprio collaborare. Lo spinsi via con delicatezza e gli lanciai un ordine pieno di bisogno di attenzioni: «Ho sete!». La voce stridula che uscì non sembrava la mia.
Lui scosse il capo e sorrise, ritirandosi senza dire una parola.
Il suono dei suoi passi si allontanò, verso la terra delle bibite, ne ero certa.
Mi portai le dita al volto, picchiettai sul naso e poi sulle guance e infine sulle labbra. Santo cielo, non me le ricordavo così grandi. Mi strinsi le tette, tanto per vedere se altre parti fossero raddoppiate di misura.
Cavolo, che sfortuna.
Se fossi stata Riccioli d’oro e questo l’appartamento dei tre orsi, allora questa stanza sarebbe stata troppo calda, cazzo.
Era necessario un cambio di location. I miei piedi atterrarono sul pavimento con un tonfo. I tacchi vennero scalciati dall’altra parte della stanza, sbattendo contro la parete. Una volta abituatami al rollio del pavimento, mi incamminai in punta di piedi nel corridoio.
Quando sbirciai nella stanza alla fine del corridoio, scovai un letto king-size che sembrava chiamarmi verso di sé.
«Oh, sì bello, vieni da mamma». Mi tuffai a palla di cannone nel letto, il piumino morbido e i cuscini rimbalzarono attorno a me.
Dopo essermi rotolata di qua e di là per un po’, capii che non era la temperatura della stanza la guastafeste termica: erano i miei vestiti. Avevo troppi vestiti addosso.
Come mai avevo così tanti vestiti addosso? Mi tirai su ai piedi del letto e con dita insensibili mi misi al lavoro sulla cerniera del vestito. Mi ci volle un po’ per capire che la cerniera era solo decorativa. Qualcuno mi aveva appiccicato addosso il vestito con la supercolla. Santa Louisa May Alcott, che prezzo paghiamo noi donne in nome della bellezza.
Iniziai a tirare il davanti del vestito a due mani finché il primo strap non echeggiò nella stanza.
«Ora sì che ci siamo».
Gli unici capi di vestiario che mi rimasero addosso erano quelli intimi e decisi che nemmeno quelli erano all’altezza del letto. Chiamatelo superpotere, ma percepivo chiaramente che quel letto mi voleva nuda. Il re della stanza aveva parlato e non avrebbe accettato che la nudità.
Nessuno poteva negare quanto fosse magnifico rotolarsi nudi sotto un morbido lenzuolo. La mia faccia trovò un cuscino e il mio naso decise che era il momento perfetto per inalare il delizioso profumo di Kline Brooks impregnato nel tessuto. Dio, aveva davvero un buon profumo. Tipo panni appena lavati e sapone da uomo e quest’uomo me lo scoperò.
Cavolo, le cose si stavano facendo bollenti in fretta.
Il Benadryl era diventato un siero della verità. Volevo sexarmelo . Volevo scrivergli un bigliettino di San Valentino con su scritto “Fa’ di me una donna” e allargare le gambe fin quanto le ragazze ci riuscissero. Sapevo che i biglietti di San Valentino si davano solo in occasione di una festa in particolare, ma mi sembrava di poter fare un’eccezione nel mio caso.
«Georgia?». La voce di Kline viaggiava per il corridoio.
«Sono qui!» risposi urlando.
La sua figura alta superò la soglia, per trovarmi intenta a godermi il letto.
«Comoda?» chiese.
«Oh, sì, baby». Battei la mano di fianco a me. «Unisciti a me. Non so di chi sia il letto, ma diavolo, è fantastico».
«Il letto è mio». Ridacchiò, posando due bicchieri sul comodino, e poi si sedette sul bordo del letto.
Io mi tirai su a sedere, coprendomi il petto con il piumino. «Questo è il tuo letto?».
Lui annuì, mentre il suo sguardo si spostava sulle mie spalle nude.
«Beh, che io sia dannata. Sono davvero un’ammiratrice del tuo letto. Sfegatata. La numero uno».
I suoi occhi vagarono per la stanza alla ricerca di qualcosa. La bocca gli si spalancò non appena trovò quello che cercava, qualunque cosa fosse. «Sei nuda?» chiese, deglutendo con tanto sforzo da far tremare il pomo d’Adamo.
«Il letto mi ha costretta a farlo».
«Il mio letto ti ha costretta a spogliarti?».
«È un vero bastardello pervertito, ma chi sono io per contraddirlo?». Alzai le spalle, lasciandomi cadere il piumino in grembo.
Kline irrigidì la schiena e distolse lo sguardo, puntandolo sul pavimento. Gli toccai la spalla. «Va tutto bene?».
«Uh, sì». Quasi si strozzò con una risata.
«Ne hai portato uno per me?». Accennai con il capo al comodino.
«Prego». Indicò i bicchieri. «Serviti pure».
«Solo se smetti di sembrare tanto a disagio».
Questo attirò la sua attenzione, i suoi occhi incuriositi incontrarono i miei: «A disagio?».
«Sì. Mi sembri proprio a disagio. Devo insistere, togliti le scarpe e stenditi sul letto».
Lui si passò una mano nei capelli. «Georgia, non credo sia una buona idea».
«Sì che lo è, sciocco e bellissimo pezzo di manzo!». Mi misi in ginocchio, costringendolo a stendersi col corpo sul letto. Allora mi misi a cavalcioni su di lui, e lo guardai dall’alto. «Te l’avevo detto, no? Si sta davvero comodi laggiù, no?».
«Messi così, non si sta davvero male». Il suo sguardo divorava il mio corpo completamente nudo, e si faceva sempre più scuro ogni secondo che passava.
Mentre lui si metteva a suo agio, io afferrai un bicchiere dal comodino e mi presi un bel sorso soddisfacente. «Questa vodka è deliziosa. Ma non è molto forte».
«Perché è acqua».
«Umpf. Ma senti».
Kline mi prese esitante alla vita. «Forse dovrei prenderti dei vestiti da metterti mentre sei a letto».
Piegai la bocca e misi il broncio «Non ti piace vedermi nuda, Kline? Si fanno cose divertenti, nudi».
Lui scosse la testa e mormorò a labbra strette: «Per tutti i diavoli infernali ». Si schiarì la gola. «Cazzo, Georgia. Non credo di aver mai visto niente di più bello di te nuda. E Dio quanto vorrei fare cose divertenti da nudi. Lo vorrei davvero, cazzo».
«E allora che fretta c’è? Inizio a capire perché la gente va nelle colonie nudiste. Stare nudi è davvero un’esperienza grandiosa, Kline. Dovresti provare anche tu, sai?». Spostai le mani alla sua cintura, facendo scivolare via il cuoio dalla fibbia.
«Non penso sia una buona idea». Fermò la mia avanzata prima che arrivassi alla sua cerniera.
Alzai lo sguardo nei suoi occhi, appoggiando il sedere sulla metà più interessante del corpo di Kline, la sua metà più grande e dura. Quella che sembrava dire cazzo sì , contraddicendo i no della metà superiore. «Secondo me, ti sbagli. Penso che tu pensi che questa sia un’ottima idea». Per rendere più convincente la mia argomentazione, iniziai a ondeggiare i fianchi, strusciandomi contro di lui.
Cristo. Il suo uccello.
No, un attimo. Così sembra un poco blasfemo.
Kline. Il suo uccello. Ecco, così andava meglio.
«Kline» gemetti di piacere, strofinando il clitoride contro di lui. «Quanto. È. Bello».
«Merda» gemette lui, con le dita che mi scavavano nei fianchi. «Non dovremmo farlo, ma cazzo . Sei bellissima, sei nuda e sei bagnata . Bagnatissima. Riesco a sentirti attraverso i vestiti».
«Mi stai facendo impazzire» dissi con un mezzo ringhio, come un animale. «Voglio baciarti, voglio leccarti, voglio succhiarti, voglio cavalcarti. Voglio fare tutto . Adesso. Subito». Mi piegai in avanti, per premere un capezzolo eretto sulle sue labbra.
Lui mi risucchiò nella sua bocca, la sua lingua giocherellava col mio capezzolo e sprigionava un calore che mi incendiava la pelle.
«Hai le migliori tette del mondo, Georgia. Le tette più belle del mondo, cazzo». Passò al mio altro seno, baciando e succhiando e leccando fino a farmi perdere la testa.
«Dio, sì. Continua a farlo» implorai.
Lui mi afferrò il mento, attirando il mio volto al suo. Le sue labbra si abbatterono sulle mie. Eravamo un caos delizioso di lingue e labbra e bacini che si strusciavano e mani che afferravano.
«Sei troppo perfetta» mi sussurrò contro la pelle. «Non riesco ad avere abbastanza di te».
«Prenditi tutto di me» lo incitai. «Ti voglio dentro di me, Kline. Dio, quanto ti voglio. Tu sei Cristoforo Colombo alla conquista delle terre inesplorate della mia fica».
«Cosa?» chiese, fermandosi.
Mi ripetei le parole in testa abbastanza da capire che, con la mia allusione, mi ero fregata con le mie mani.
«Cosa?» ripetei, cercando, e fallendo, di sembrare assolutamente noncurante.
Le sue dita strinsero e fermarono i miei fianchi. Occhi azzurri fissavano dritti nei miei, e poi si chiusero.
«Kline? Qualcosa non va?».
Il suo sguardo ritrovò il mio. «Non possiamo farlo, non così».
«Ma certo che possiamo» lo contraddissi. «Io sono nuda. Tu hai un’erezione. Mi sembra il momento perfetto per scopare. È come se Marvin Gaye in persona ci avesse messi in questo momento e sussurrato “Datevi da fare e dateci dentro”».
Un gran sorriso gli spuntò sulle labbra. «Dio, quanto sei adorabile» mi disse, cercando di trattenere una risata.
«No». Mi imbronciai. «Sono sexy, sono nuda e pronta per fornicare».
Lui alzò un sopracciglio. «Fornicare?».
«Per la penetrazione?» provai a ribattere, sperando di sembrare più allettante.
«Piccola, sei talmente sexy e talmente bella che sto perdendo la testa, ma sto anche cercando di comportarmi da gentiluomo. Non sei in te, ricordi?».
Mi accigliai, contando mentalmente i drink bevuti durante la serata. «Non ho poi bevuto così tanto».
«Non sto parlando dell’alcol».
Spalancai gli occhi. «Ci siamo drogati?».
Un sorriso gli occupò tutto il volto, con tanto di fossette che spuntarono per fare un saluto. «Tranquilla» disse, con una punta di divertimento nella voce. «Non ci siamo drogati. O almeno, non con cose illegali. Però tu hai preso una dose pazzesca di Benadryl».
«Oh, l’avevo dimenticato».
«Quindi, Benny-Girl , credo che dovremmo mettere in pausa questo magnifico momento, perché puoi scommettere il tuo sederino sexy che voglio riprendere da dove ci siamo interrotti, mettere addosso a te dei vestiti e trovare qualcos’altro di meno seducente da fare».
Riflettei sulla questione per un secondo. «Hai della pizza?».
Un sorrisetto sarcastico gli increspò le labbra. «Vuoi della pizza?».
Annuii. «Pizza e Netflix. Tanto hai detto che questo possiamo riprenderlo più avanti, no?».
Kline mi sollevò dal letto e mi mise in piedi, mentre lui si tirava su a sedere. «Perché non frughi nel mio armadio e trovi qualcosa che ti piaccia mentre io ordino la pizza?».
Premetti un dolce bacio sulle sue labbra. «Affare fatto».
Mentre mi giravo verso l’armadio, la sua mano piombò sul mio sedere per una sculacciata, strappandomi un gridolino acuto dalle labbra.
«Ehi!» urlai, voltandomi indietro.
Lui alzò le spalle, sogghignando come un diavolo. «Non puoi pretendere che un uomo ignori un sedere perfetto mentre gli si dimena davanti».
«Non stavo dimenando proprio niente ».
«Piccola, stai dimenando tutto. Ma non preoccuparti. Io di certo stavo guardando tutto e mi godevo lo spettacolo».
Lo ignorai, dirigendomi decisa - ok, dirigendomi sculettando - dentro la sua cabina armadio, dove mi concedetti qualche istante per andare in estasi su tutta la storia del “piccola” come vezzeggiativo.
Potrebbero anche esserci stati dei saltelli e gridolini muti. Chi lo sa? Forse avevo anche affondato il naso nelle sue camicie eleganti fino a entrare in un coma Kline-ologico, chissà.
Ma vi dirò una cosa di cui sono certa.
La pizza era buonissima, caspita.