17

Georgia

«Una Coca-Cola da un distributore automatico? Hot dog da un venditore di strada? Cosa farai ora, signor Spontaneità?». Gli diedi un colpetto con la spalla.

Lui alzò le spalle, finendo con un morso il suo hot dog ricoperto di senape e condimenti vari. «Non avevo in mente un piano vero e proprio. Volevo solo assicurarmi che passassi la giornata con me».

La notte iniziava a scendere sulla città, i lampioni facevano brillare l’asfalto con il loro bagliore soffuso. Avevamo passato la giornata sulla metropolitana, fermandoci in posti a caso. Kline mi faceva una domanda e la mia risposta decretava la fermata successiva. Il posto preferito per rilassarsi? Una camminata a Central Park. Il ricordo d’infanzia preferito? Dare da mangiare alle anatre allo zoo di Brooklyn. Cenammo fuori dal MoMa, dopo aver passato gran parte della serata curiosando tra le statue di Picasso e i magnifici paesaggi di Jackson Pollock. Mi aveva baciata a fondo, senza fretta, offuscandomi la mente con i ricordi della mattina. Kline aveva aspettato che andassi su di giri per bene, prima di staccarsi da me per chiedermi con noncuranza cosa volessi mangiare per cena. La parte iper-eccitata di me aveva risposto senza perdere tempo: «Beh, la colazione di stamattina mi è piaciuta davvero tanto».

«Vuoi mangiare di nuovo uova e bacon?».

«No» avevo risposto, alzandomi sulle punte dei piedi. Tracciai un sensuale percorso di baci sulla sua mascella. Tirandogli il lobo con i denti, avevo sussurrato: «Non è stata quella la mia parte preferita della colazione».

E così eravamo finiti da un venditore ambulante fuori dal MoMa a mangiare hot dog. Quel bastardo senza vergogna si era assicurato di ordinare il würstel jumbo, aggiungendo: «Voglio solo essere certo che la misura sia giusta». Aveva trovato una panchina e mi aveva messa a sedere in braccio a lui. «Mangiamo, Benny-girl» mi aveva esortata, baciandomi la fronte e piazzandomi in mano la cena.

Io mangiai il mio jumbo hot dog, e mi godetti ogni secondo passato in compagnia di Kline. I pedoni girovagavano intorno a noi. I taxi ci superavano veloci con la loro fretta abituale. Ma il mondo non esisteva per me in quel momento, ero troppo impegnata ad assaporare ogni dolce bacio sulla mia guancia e ogni affascinante sorriso sfoggiato nella mia direzione.

«Sai, forse questo era anche meglio della colazione». Mangiai l’ultimo boccone, gemendo di piacere.

Lui mi solleticò le costole con la mano libera. «Non credevo fossi una bugiarda, signorina Cummings».

«Chi ha detto che lo sono?» gli dissi con un occhiolino.

«Hai qualcosa qui». Pulì una goccia di ketchup dall’angolo della mia bocca. Se la succhiò via dal dito, alzando e abbassando le sopracciglia. «Come sempre, hai un sapore buonissimo, cazzo».

Risi e gli spinsi la spalla, scherzando. «Va bene, sporcaccione, qual è il prossimo punto all’ordine del giorno?».

Mi aiutò a rimettermi in piedi e mi rivolse un sorrisetto. «Avrei un’idea, ma devo sapere se sei pronta a scatenarti un po’».

«Scatenarmi, quanto?» chiesi, assumendo una posa sfrontata con la mano puntata sul fianco.

Lui gettò bottiglie vuote e tovaglioli nella spazzatura.

«Senza freni e senza controllo, ecco quanto». I suoi occhi si erano fatti seri. Mi prese i fianchi, guidandomi verso un vicolo deserto per poi premere piano la mia schiena contro un muro di mattoni. «Vuoi perdere un po’ la testa assieme a me? Saresti capace di gestirlo?».

Io annuii, sollevando il viso per sorridergli.

Lui premette un bacio sulle mie labbra. «Ne sei sicura, Benny-girl? Perché non posso permetterti di tirarti indietro all’ultimo minuto».

«Mi stai forse dando della codarda?».

«Hai forse troppa paura per accettare la sfida?».

Gli morsi il labbro inferiore, tirandoglielo scherzosamente tra i denti. «Accetterò ogni sfida che tu mi lancerai».

«Ma davvero?».

«Ci può scommettere il tuo bel culetto».

«Scommetto quindici dollari e uno strip-tease che ti tirerai indietro».

«Vedo la tua scommessa e rialzo di un orgasmo».

La sua bocca fu di nuovo sulla mia, la sua lingua scivolò oltre le mie labbra. Mi baciò appassionatamente, infilando le mani nei miei capelli e prendendo il controllo. Le sue labbra furono capaci di strapparmi un gemito dalla gola, solo per lasciarmi delusa quando si staccò, ghignando come un diavolo.

«Diamo inizio alle danze, piccola». Mi prese per mano, conducendomi nuovamente sul marciapiede. «Oh, e voglio che tu indossi dei tacchi. Dei tacchi fottutamente sexy che mi facciano impazzire».

Ridacchiai, scuotendo la testa. «Farai meglio a prepararti anche tu, perché io pretendo delle mosse alla Channing Tatum. Intendo parecchie spinte pelviche e un sacco di rotazione di bacino».

Prendemmo la metropolitana e Kline ci fece scendere a Midtown East. Dieci minuti dopo, eravamo di fronte al ONE UN, un prestigioso hotel che ospitava i ricchi e i famosi.

«Stasera ci tuffiamo nel mondo dei diplomatici?».

Lui ridacchiò. «No, ma di sicuro finiremo un poco bagnati».

Io alzai un sopracciglio, incuriosita, mentre Kline ci guidava attraverso l’atrio fino a una serie di ascensori nascosti sul lato est dell’edificio.

La salita fu rapida e una volta raggiunta quella che apparentemente era la nostra destinazione, uscimmo dall’ascensore e, mano nella mano, superammo una reception. Una ragazza sulla ventina alzò lo sguardo dal suo portatile, rivolgendoci un semplice: «Buon allenamento!» e ricominciò a scrivere. Non ci chiese perché fossimo lì, apparentemente ignara del fatto che ci stavamo praticamente introducendo illegalmente nella loro palestra.

Iniziai a sentirmi un poco nervosa mentre Kline mi conduceva attraverso uno spogliatoio. Mi tenne aperta una porta a vetri, e poi fece strada verso una piscina al coperto. L’acqua era invitante, le luci erano ancora accese e scintillavano sulla superficie dell’acqua cristallina.

«Eh?» chiesi, guardandomi attorno.

Eravamo gli unici presenti, ma un cartello bianco a grandi lettere rosse spiegava il perché.

La piscina è chiusa al pubblico dopo le 21. Erano le dieci e mezza. Il cartello ammoniva, inoltre: L’accesso alla piscina è riservato ai soli membri. In caso di infrazioni, verrà contattata la polizia.

Un avvertimento davvero severo per una piscina al coperto, no? Però dovevate tenere presente che quello non era un qualsiasi hotel. Era di fianco agli uffici delle Nazioni Unite. Quando avevo tirato in ballo i diplomatici, non stavo scherzando.

Kline si tolse le scarpe e le calze, e le sistemò su una sedia.

«Uhm, che stai facendo?».

«Mi preparo a entrare in piscina» rispose, sfilandosi anche la cintura. «Entri anche tu, vero?».

«Sono abbastanza certa di non avere il costume». Abbassai lo sguardo sulla mia mise: jeans, un top di cotone, una felpa leggera e ballerine marroni di cuoio.

«Pensavo avessi detto che volevi scatenarti un po’, no?» chiese, con una punta di divertimento nella voce.

«Sì, ma...». Mi interruppi quando si sbottonò i jeans e li fece scivolare lungo le gambe.

«Ma… cosa?». Alzò lo sguardo, nei suoi occhi brillava una luce giocosa.

«Non dovremmo nemmeno essere qui» sussurrai, anche se nessuno fuori dalla piscina poteva sentirmi. «E cosa vorresti che faccia? Che mi butti dentro in mutande e reggiseno?».

Lui si levò la maglia. «Potresti sempre levarteli».

Mi si spalancò la bocca. «Vuoi che faccia il bagno nuda? In una piscina in cui non dovremmo nemmeno stare?».

«Ti prepari a tirarti indietro?» mi provocò Kline. Il suo magnifico corpo era tutto in bella vista, solo i boxer coprivano le sue cosce muscolose.

«No» ribattei.

Lui alzò un sopracciglio. «Sicura? Perché mi sembra proprio che tu sia pronta a dartela a gambe levate».

Gli rivolsi un’occhiataccia.

«Preparati a spogliarti, piccola». Un sorrisetto gli salì alle labbra. «E non dimenticarti dei tacchi».

La sua arrogante spavalderia mi fece fare marcia indietro. Solitamente non ero una ragazza abituata a infrangere le regole, ma non ero neanche il tipo di ragazza che si tirava indietro di fronte a una scommessa.

Il mio lato più testardo ebbe la meglio e vinse la battaglia.

Scalciai via le ballerine e avanzai verso la piscina. Jeans, cardigan e top furono rimossi molto velocemente e abbandonati su una sedia vuota. «Preparati a pagare». Mi incamminai verso il lato più profondo della piscina, fissando un Kline dall’espressione divertita oltre la distesa d’acqua. Mi slacciai il reggiseno e, ancheggiando, scivolai fuori dalle mutandine, per poi lanciarle verso di lui. Con un piccolo sorrisetto dolce e malizioso, dissi: «Ricordati, le spinte di bacino non dovranno mancare», e poi mi tuffai in piscina.

Dopo aver assaporato con piacere il calore dell’acqua, riemersi in superficie, e appoggiai le braccia al bordo. Allora, ricambiai il sorriso divertito di Kline. «È il momento di sganciare, Brooks».

Lui rise, si tirò giù i boxer e si voltò. Iniziò a canticchiare una canzoncina da striptease, e nel frattempo mi lanciava occhiate da sopra una spalla e sorrideva scherzoso. Kline cominciò con le spinte del bacino, le mani incrociate dietro la testa. Il suo sorriso si faceva sempre più spavaldo a ogni rotazione pelvica. Il suo viso non mostrava la minima traccia di imbarazzo, si stava chiaramente divertendo, gli piaceva il sorriso che si allargava sempre più sulle mie labbra.

Sul serio, era follemente adorabile e al tempo stesso sexy da impazzire.

Osservavo il suo sedere sodo e le cosce muscolose flettersi a ogni rotazione. Non smise finché le mie risatine non si fecero troppo acute e incontrollate. Finalmente, Kline si tuffò in piscina, fendendo l’acqua con una manovra netta. Avanzava verso di me, le sue mani trovarono i miei fianchi, segnale che aveva raggiunto la sua destinazione.

Quando riemerse da sott’acqua, il viso era sospeso a solo qualche centimetro dal mio. L’acqua gli gocciolava dalle sopracciglia, lungo le guance e rimaneva impigliata nelle punte dei suoi capelli bagnati, tutti sparati. «Sei pronta a infilarmi bigliettoni da venti dollari nel perizoma?».

«Eh, forse biglietti da uno , che dici?» lo provocai.

«Biglietti da uno?» chiese. «Piccola, c’è stata parecchia rotazione pelvica lassù».

«Sì, ma... » sospirai, «non mi sono goduta la vista frontale e integrale».

Lui rise, scuotendo il capo. «Mi ricorderò che sei una fan del nudo integrale».

Io sorrisi, le mie guance erano sul punto di esplodere per il divertimento.

Lui mi avvolse le braccia attorno ai fianchi, spostandoci nell’acqua. Piccole onde si propagavano attorno ai nostri corpi. «Sai di cosa non sei una fan, invece?» chiese, inarcando un sopracciglio.

«I würstel piccoli?».

Il suo petto vibrò contro la mia pelle quando una risata gli sfuggì dalle labbra. «Oltre a quello. So benissimo che per soddisfare il tuo appetito ci vogliono come minimo würstel misura jumbo».

Io ridacchiai, mi godevo la vista del suo sorrisetto provocante. «Dimmi, Brooks, di cosa non sono fan?».

«Dei pronto soccorso».

Io inclinai il capo di lato, perplessa.

«Eri davvero adorabile, ieri sera, completamente stordita e strafatta di Benny, ma prima che si arrivasse a quel punto ero preoccupato». La sua fronte toccò la mia. «Volevo portarti al St. Luke, ma sai essere davvero terribilmente testarda».

Lo sguardo nei suoi occhi mi scaldò il petto. Non riuscivo a immaginare, non volevo immaginare in che stato mi trovassi ieri notte. I miei ricordi della serata erano dei frammenti sparsi e sconnessi, ma per lo più mi sembrava tutto un sogno confuso. Era stato il nostro primo vero appuntamento. All’infuori del lavoro, ci conoscevamo a malapena, ma Kline non aveva esitato a prendersi cura di me. Non aveva perso la testa o non si era imbarazzato che la sua accompagnatrice si stesse coprendo di ridicolo. Perché, siamo onesti, dovevo proprio avere un aspetto allucinante: tipo risultato di un intervento di chirurgia plastica mal riuscito, quel genere lì.

L’altra sera, Kline si era concentrato unicamente sull’assicurarsi che stessi bene. Ed era evidente che si era realmente preoccupato.

Un uomo con intenzioni men che oneste non si sarebbe comportato come lui. Kline era diverso da tutti quelli che avevo incontrato prima, e in senso positivo. Nel giro di quarantotto ore si era in qualche modo guadagnato in gran parte la mia fiducia. Non ero scettica o non analizzavo ogni sua parola: semplicemente mi godevo la sensazione di sentirmi coccolata e al sicuro che mi trasmetteva la sua presenza.

«Mio fratello fa l’internato al pronto soccorso del St. Luke. E per pura coincidenza, ieri notte era reperibile» spiegai.

«Oh » disse lui, con tono di chi aveva afferrato. «Ora ha senso».

«Già» feci io, alzando le spalle. «È il mio fratello maggiore. Il mio unico fratello. E anche se ero sul punto di diventare più labbra che faccia, non avevo la minima intenzione di farmi prendere in giro da lui». Will che tirava in ballo all’infinito il Campo Masturbazione era davvero tremendo, ma non sarebbe stato nulla in confronto a quanto mi avrebbe sfottuto se mi fossi presentata al pronto soccorso con l’aspetto di un pesce palla.

«Tu hai fratelli?» chiesi, curiosa di saperne di più sul suo conto. Il poco tempo che avevamo passato insieme fuori dall’ufficio mi aveva fatto capire quanto fossero errati tutti i miei preconcetti su Kline.

Diavolo, il suo piccolo, ma accogliente, appartamento ne era la prova. Non era proprio il genere di posto stravagante e appariscente in cui me l’ero immaginato a vivere. Certo, era una bella casa, ma sembrava più un posto in cui avrei potuto vivere io e non l’appartamento di chi aveva guadagnato quasi un miliardo di dollari l’anno prima grazie solo a TapNext, per non parlare del resto dei suoi affari.

Lui scosse la testa. «Figlio unico».

«Come sono i tuoi genitori?».

«La mia mamma è una gran ficcanaso, ma lo fa per il mio bene. Se Walter si trova nel mio appartamento, è solo grazie a lei».

«Non osare parlare male di Walter» lo stuzzicai, puntandogli contro l’indice.

«Prova tu a vivere un paio di settimane con quello stronzo e poi mi dirai».

«Non è uno stronzo. È un grosso, morbido coccolone» difesi il mio amico felino, lottando contro la voglia di sorridere.

Kline schioccò la lingua. «Sì che lo è. È il peggior gatto al mondo».

«Smettila di parlare male del mio amico Walter!».

«Sarei più che felice di fartene dono. Posso mettere tutta la sua roba in una borsa e recapitartelo stasera» mi sfidò lui.

«Parlami ancora dei tuoi genitori». Risi, preferendo cambiare argomento prima di finire con un nuovo coinquilino.

«Mio padre è il classico irlandese cattolico vecchio stampo, che ama la birra ed è una fonte inesauribile di pessime battute sulla paternità. Anche se mi fanno impazzire, a volte, Maureen e Bob sono davvero fantastici».

C’era una nota di tenera gentilezza nella sua voce che mostrava quanto amasse i suoi. «E i tuoi genitori, invece?».

«Mio padre è adorabile, ma è un gran rompicoglioni. Deve esserlo, se vuole tenere in campana la mia mamma pazza».

«Pazza?».

«Mia madre è una sessuologa. Ed è stramba proprio quanto immagini».

«Sessuologa?» chiese, sogghignando. «Questa non me l’aspettavo».

«Non è una professione molto comune».

«Aspetta… Il cognome della tua mamma è Cummings, giusto?».

«Sì». Annuii, sapendo già come sarebbe finita la conversazione. «La dottoressa Savannah Cummings è mia madre, l’impareggiabile sessuologa. Come se non fosse già abbastanza difficile crescere con un cognome come Cummings».

«Non mi stupisce che tu sia così brava a fare i pompini» mi stuzzicò.

Lo spinsi via, mormorando un: «Pervertito ».

«Solo con te». Ridacchiò, stringendomi di nuovo a lui. I nostri petti nudi erano premuti l’uno contro l’altro. Rivoli d’acqua mi scivolarono sulla pelle e i capezzoli mi si indurirono all’istante.

«Ma lo sai quanto sei sexy?». I suoi occhi scesero sulla curva del mio seno, che spuntava fuori dall’acqua. Mani forti scivolarono dai miei fianchi alle mie costole, finché non giunsero dietro la mia schiena e mi accarezzarono il sedere. «Piccola, tu mi fai impazzire, cazzo».

Il mio cuore saltò un battito. Mi aveva chiamata piccola .

Certo, mi aveva già chiamata così, ma questa volta gli era uscito dalle labbra con così tanta naturalezza. Era stato un riflesso, un istinto . Sentivo che ci stavamo davvero impegnando a dare una chance a questo, a noi due .

Sfiorai le sue labbra con le mie. Non ci stavamo ancora baciando, solo stuzzicando, solo respirando la stessa aria. Riuscivo a sentire l’odore di cloro sulla sua pelle, il lieve sapore di zucchero sulle sue labbra, della Coca-cola che avevamo condiviso prima. Vedevo il mio riflesso nelle sue pupille, il suo sguardo era lascivo e bramoso.

«Non credo che ne avrò mai abbastanza di te». Schiuse le labbra, premette la bocca sulla mia. «Non ne avrò mai abbastanza di queste perfette labbra rosse». Aprì la bocca, mi succhiò il labbro superiore, la lingua.

Il calore iniziò a pulsare nel mio basso ventre, il mio cuore impazziva in previsione di quello che sarebbe venuto dopo.

Kline abbassò la bocca lungo il mio collo, fino alla clavicola e lungo la curva del mio seno.

Avvertivo la sua lunghezza contro il mio fianco, dura e prominente. Abbassai un braccio per prenderlo in mano, ma lui fu troppo rapido: mi afferrò il sedere e mi sollevò fuori dall’acqua, per posarmi sul bordo della piscina.

Mi spalancò le cosce, alzando lo sguardo su di me con occhi pesanti, sotto le ciglia bagnate. «Quante dita servono alla mia ragazza scatenata?». La sua bocca trovò il mio fianco, e succhiò con una tale forza da far arrossare la mia pelle sensibile.

Non ero mai stata tanto eccitata in vita mia. Il mio corpo rombava, il sangue mi tuonava nelle vene, la nostra illecita presenza qui mi mandava fuori di testa.

E quanto soffrivo.

Dio, soffrivo per il bisogno disperato di avere più che solo le sue mani. Volevo sentire ancora la sua bocca su di me.

«O alla mia ragazza serve di più? Le servono le mie labbra e la mia lingua, per darle quello che vuole davvero?».

La testa mi ricadde all’indietro, mi aggrappai al bordo della piscina per tenermi su.

«Dimmelo . Dimmi di cosa hai bisogno».

«Della tua bocca» gemetti, passandogli le gambe sopra le spalle. «Ho bisogno della tua bocca su di me».

Lui leccò un sentiero giù lungo la mia pancia. «Tieniti forte, piccola. Farò in fretta e vedrai che esploderai , cazzo».

Mi divorò la fica finché il mio corpo non fu teso come una corda di violino per la necessità di venire. Cercai di resistere, cercai di lasciare che l’intensità crescesse piano piano, ma la bocca di Kline aveva troppo talento, era troppo maledettamente brava a sedurmi fino a strapparmi un orgasmo.

In lontananza, passi pesanti si facevano sempre più vicini a noi. Delle chiavi tintinnarono. Io non sapevo da dove venissero, cosa fossero, cosa significassero quei rumori, la mia mente era rimasta bloccata da qualche parte tra un succhia più forte e un fammi venire .

«Merda» borbottò lui, togliendo la sua deliziosa bocca dal posto dove mi serviva di più.

«N-n-no» balbettai per dar voce alla mia frustrazione, ma senza alcun effetto. Le mani di Kline erano avvolte attorno ai miei fianchi e mi stavano tirando in acqua.

Mi girava la testa, ero scombussolata dall’improvviso cambio di posizione.

«Sssh» mi zittì Kline, indicando l’ingresso con un cenno del capo.

Gli occhi mi si spalancarono dall’orrore quando la situazione mi divenne chiara. I passi, le chiavi, provenivano dall’altra parte della porta. Dalla porta la cui maniglia ora stava girando.

Cazzo. Sarei stata arrestata non solo per effrazione, ma anche per atti osceni in luogo pubblico. Avrebbero chiamato la polizia mentre il corpo ancora mi pulsava tra le gambe.

«Ti tengo io». Mi strinse ancora più forte. «Trattieni il fiato, piccola. Ora andiamo sotto» mi ordinò, appena prima di farci scivolare in un angolo buio e immergere sott’acqua.

Io chiusi gli occhi, trattenni il fiato e pregai Dio che non ci vedessero. Sicuramente non avrei mai voluto essere beccata così , nuda in una piscina col pisello del mio capo premuto contro la pancia.

Era davvero un pisello fantastico, ma non era quello il punto. Stavamo per finire nella merda fino al collo.

Le labbra di Kline trovarono le mie e io lo sentii sorridere contro la mia bocca. Bastardo infido.

Passando le dita in basso sul mio ventre, trovò il luogo in cui ero ancora bollente e scivolosa. Non perse tempo, due dita scivolarono dentro di me mentre il suo pollice mi strofinava il clitoride.

Faceva sul serio? Come poteva anche solo pensare a farmi venire in un momento del genere?

Lo fermai? Col cavolo . Il cuore mi rimbombava nelle orecchie, la parte di me più bramosa e bisognosa di un orgasmo era troppo focalizzata su quanto stesse facendo. Io avvolsi le gambe attorno ai suoi fianchi come la sgualdrina che ero. Se quella doveva essere la nostra notte da Bonnie e Clyde, allora tanto valeva godersi l’avventura.

Qualche secondo dopo ci fece riemergere, le nostre teste spuntarono giusto sopra il pelo dell’acqua, per risucchiare nei polmoni l’ossigeno tanto agognato. La via era libera, la persona misteriosa era sparita. Le luci erano spente, le porte chiuse e Kline mi stava ancora scopando con le dita: il nostro potenziale imminente arresto non lo preoccupava minimamente, a quanto pareva.

«La mia dolce, sporcacciona e scatenata ragazza» mi sussurrò nell’orecchio, aumentando il ritmo. «Anche quando siamo a un passo dall’essere arrestati, mi permetti lo stesso di infilarti dentro le dita. Ti piace, vero? Ti piace fare la cattiva ragazza solo per me». Leccò l’acqua dalla curva del mio seno.

Io gemetti, i miei denti trovarono la sua spalla e la morsero.

«Sì, così. Cristo, piccola, quando diventi tutta un fuoco, tu bruci cazzo».

Accidenti, Kline Brooks era un maestro certificato, di massima categoria, da primo premio del linguaggio osceno. Le sue parole servirono allo scopo, mi fecero precipitare oltre il ciglio del precipizio e mi strapparono una brillante risposta.

«Porc-c-a miseria ».