«Questo posto è incredibile. Vieni spesso qui?» chiese Will mentre entravamo nel The Raines Law Room e venivamo inghiottiti dalle luci soffuse e da soffici divanetti di foggia antica strapieni.
«No, quasi mai» risposi onestamente, sapendo che il problema non era il posto, ma l’andarci in sé . «È più nello stile di Thatch». L’atmosfera era piacevole, ma il vero fascino del posto era la teatralità. «Sai, la segretezza, l’accesso esclusivo».
Will rise e annuì in segno di comprensione.
Io tornai a voltarmi verso la stanza per finire quanto avevo iniziato. Avevo esaminato il bar affollato con lo sguardo non appena eravamo entrati, nonostante fossi conscio dell’inutilità e stupidità della cosa. La mia Georgie sarebbe arrivata tardi anche al nostro matrimonio, alla nascita dei nostri figli e persino al suo stesso funerale. Un attimo. Cosa?
Lanciai un’occhiata di soppiatto a suo fratello, temendo che mi avesse letto nella mente, ma lui doveva aver visto qualcos’altro nei miei occhi, invece del mio assoluto terrore.
«Non preoccuparti, bello. Georgia arriverà, prima o poi». Rise. «Ma se viene anche Cass, allora si saranno fermate al Barcelona Bar prima ancora di iniziare a considerare l’idea di venire qui. Quella ragazza se ne sbatte davvero di tutto e di tutti».
Io annuii con lui, come se avessi capito, ma lo stavo ascoltando a malapena. Voglio dire, la cosa del matrimonio era quasi comprensibile. Ero follemente preso da lei, senza se e senza ma, senza alcun dubbio. Ma i bambini?
Cristo . I miei pensieri stavano vorticosamente precipitando, dritti verso il suolo e una dura verità si avvicinava rapidamente, quando i miei occhi, che balzavano qua e là come una pallina da flipper, si posarono su una vista inaspettata e indesiderata. Rumoroso, vivace e impossibile da non notare, era in tutta probabilità l’unica persona che avrebbe potuto distogliermi dal corso dei miei pensieri in un momento simile.
Facendomi largo tra la folla con più pacatezza possibile, e controllando per vedere se Will mi stesse seguendo, cercai la conferma delle mie nuove, e molto più attuali, paure.
I corpi intorno a me si mossero senza fare resistenza e fui bombardato da parecchi sorrisi provocanti di labbra femminili. Io non le guardai neanche, però, e per la prima volta da settimane non fu a causa di Georgia.
Thatch si voltò mentre io mi avvicinavo a lui, con un merdoso sorrisetto compiaciuto a completare la sua figura della stazza di una sequoia non appena mi vide. «K-Man! Cazzo sì! Pronto a fare follie! Pensavo non sarebbe successo mai più!». Sputò le parole in rapida sequenza, l’effetto dei numerosi drink che si era scolato scioglieva la sua lingua già senza freni.
Will sorrise a sentire il suo saluto e io cercai di non morire dall’imbarazzo.
Non volevo proprio Thatch tra i piedi, quella sera. Avevo creduto, da vero idiota, di poter continuare a essere Ruck e me stesso senza che questo casino mi esplodesse in faccia. Mi ero sbagliato. Questo era quello che succede quando le persone giocano con situazioni che non sono abbastanza responsabili da gestire.
Le pareti cominciarono a crollare intorno a me, o almeno così mi sembrò, e la mia cravatta decise di iniziare a strangolarmi. Will sorrise e salutò Thatch con allegria.
Io analizzai velocemente le conseguenze della sua presenza qui e cercai di non vomitare. Dio, se non fossi riuscito a levarmelo in fretta di torno, sarei finito nei guai. Avevo usato la sua foto per il mio profilo. Il suo volto era quello che Georgia associava a Ruck.
Quello che era già un maledetto casino di disonestà si preparava a diventare una tempesta di merda.
Io mi sporsi in avanti e portai la bocca all’orecchio di Thatch, sfruttando la confusione della folla come scusa per tenere Will all’oscuro di tutto.
«Te ne devi andare» gli dissi senza tanti giri di parole, sapendo che se mai nella sua vita la mia ragazza fosse riuscita ad arrivare con meno di quarantacinque minuti di ritardo, sarebbe stata proprio quella sera.
Lui rise e mi diede una pacca sulla schiena.
«Fa piacere anche a me vederti, bello. Mi manchi. Ultimamente ti vedo solo agli allenamenti».
Io scossi la testa, frustrato.
Lui rise ancora.
«Devo andare un attimo in bagno, ragazzi» si scusò Will, e sparì in fretta tra la folla.
Thatch annuì e sorrise, approfittando dell’assenza di Will per sparlare un po’.
«Ma in fondo immagino non sia cambiato poi molto. Solo la motivazione, no? Invece del lavoro, ora è la mistica figa».
«Thatch».
«Lo capisco, bello. A volte l’uccello resta incastrato nella trappola di una magnifica passerina. Come in una morsa, ho ragione o no?».
«Thatch, ascolta».
«Come sta la signorina Georgia? Si è già stancata del tuo culo e ha iniziato a...»
Tenevo gli occhi incollati alla porta, quindi sentii solo la prima metà della sua frase, grazie a Dio; perché, proprio come sapevo sarebbe successo, l’oggetto dei miei desideri entrò con l’aspetto di puro sesso su due gambe, giusto in quel momento. Pelle, pizzo e così tanta bellezza da farmi pensare che l’idea di avere figli, che poco prima mi aveva gettato nel panico, fosse invece la migliore che avessi mai avuto. I suoi capelli biondi erano selvaggi, proprio come piacevano a me, e riuscivo a vedere l’azzurro topazio dei suoi occhi scintillare dall’altra parte della stanza, nonostante non avessero ancora incontrato i miei.
E a braccetto con lei? C’era il viso del suo profilo, quella che potevo solo supporre fosse la famigerata Cassie Phillips. Avevo sentito un’infinità di avventure e aneddoti sulla migliore amica di Georgia, ma non avevo ancora avuto il piacere di conoscerla.
Merda. Quella rete di bugie iniziava a sembrare sempre più un caos contorto: quante cazzo di probabilità c’erano che accadesse un casino simile? Avevamo entrambi usato come foto del profilo la foto di nostri amici - una possibilità che avrei dovuto prevedere, e invece non lo avevo assolutamente fatto - e mi ritrovavo a dover affrontare una serata in cui da un momento all’altro quel casino avrebbe potuto scoppiarmi in faccia alla grande.
A corto di tempo e di pazienza, mi voltai di scatto verso Thatch e lo feci mandando avanti prima un pugno.
«Ahia!» disse lui sorridendo e massaggiandosi la spalla per prendermi in giro.
«Maledizione, Thatch, mi devi ascoltare, cazzo».
Lui si prese gioco di me, spalancando gli occhi e mettendosi le mani dietro le orecchie.
Valutai se dargli un altro pugno, uno vero stavolta, ma lanciai un’occhiata in direzione delle ragazze e capii di non avere più tempo.
«La ragazza della foto del profilo di TapNext, quella che tu hai deciso di...».
«Traumatizzare».
Annuii. «Esatto. Beh, ho continuato a parlarle».
«Alle spalle dell’adorabile Georgie?» chiese lui, fingendosi scandalizzato. Nonostante la scenetta, vedevo che era anche incuriosito. Parlare con due donne alla volta non era da me e, quando si trattava di queste due in particolare, non immaginava neanche la metà della storia. E io non avevo tempo o modo di spiegarmi.
Un’altra veloce occhiata mi disse che Will era con le donne, si abbracciavano e ridevano ed erano pericolosamente sul punto di avviarsi verso di noi. Chiusi gli occhi per un momento, per raccogliere la mia pazienza. Thatch avrebbe dovuto aspettare per sentire quanto fosse contorta la mia versione della verità, perché quella chiacchierata richiedeva ben più di quindici secondi e parecchi bicchieri di scotch.
«Le ho continuato a parlare da allora, e adesso è qui. Sta venendo verso di noi, proprio ora, ed è insieme a Georgie».
Insieme a Georgie? Ah! Sarebbe meglio dire: lei è Georgie.
«Porca puttana!» esclamò sorridendo, mentre i suoi occhi scrutavano i miei, e si sforzava di capirmi.
«Uso la tua foto nel mio profilo. Devi fare finta di conoscerla» lo incalzai.
Lui rimase in silenzio per un secondo, ma non poteva non aver capito quanto fosse importante per me. Che fosse d’accordo oppure no, che avesse capito oppure no, che volesse reggermi il gioco oppure no, Thatch sarebbe sempre stato al mio fianco. In fondo, dietro tutti i suoi scherzi e le prese in giro, Thatch era senza dubbio una delle migliori persone al mondo. «Ho capito, ci penso io».
Per la prima volta in due minuti, i miei polmoni riuscirono a tirare un respiro profondo, e mi girai per salutare la mia ragazza.
Ma lei non c’era. Era scomparsa assieme alla sua amica, lasciandosi dietro solo il fratello Will.
Will stava tornando da noi, scuotendo la testa, e allora Thatch si espose in avanti e aggiunse, in un sussurro: «E tutto questo dopo averle mostrato il cazzo gargoyle?». Fischiò piano, ammirato. «Ci sai fare più di quanto pensassi».
«Che succede?» chiesi a Will, ignorando apertamente Thatch e sperando che l’espressione sul mio viso riuscisse a fare lo stesso.
«E chi lo sa, amico? Le donne… chi le capisce è bravo».
Quando non mi fornì ulteriori informazioni, io gli puntai addosso gli occhi, quasi nel tentativo di insinuarmi nella sua mente.
«Oh» disse, girandosi dal bar per trovarsi ad affrontare il mio sguardo stranamente intenso. «Sono in bagno».
Io annuii rigido, e Thatch mi diede una spintarella.
«Devi rilassarti un attimo» sussurrò, facendomi voltare verso il bar e chiamando il barista con un cenno. «Ordina da bere, che cazzo, e datti una calmata».
Io annuii di nuovo: sapevo che aveva ragione e sembrava l’unica azione che potessi portare a termine con successo in quel momento. «Macallan» borbottai, sapendo che lui si sarebbe assicurato di far giungere il mio ordine a qualcuno che preparasse per davvero da bere. Ordinare di persona era troppo complicato per me, in quel momento.
«D’accordo, bello» disse, con un ghigno. «Lo so che bevi Macallan. Macallan e lime, ogni giorno, ogni notte, da anni ormai».
I muscoli del collo mi si tesero tutti, in un riflesso dettato dal panico. «Niente lime».
«Niente lime?»
Scossi la testa, sentendo un po’ della tensione abbandonare le mie spalle al ricordo della mia dolce, drogata ragazza. «Georgie è allergica».
«Beh, cazzo, è un bel problema».
Risi. «Nessun problema» dissi, poi aggiunsi: «Almeno, non adesso che lo so».
«Ricordati di non prendere il lime» si intromise Will, mettendosi al mio fianco, dall’altra parte, per unirsi alla conversazione.
«Allora ti ha raccontato tutto?» chiesi ridendo.
«Alla fine, sì. Credo mi nasconda ancora qualcosa, ma ora che c’è Cass, scoprirò tutto».
«Cass?» chiese Thatch.
«Sì. Cassie Phillips. Sai, ti direi che per me è quasi una sorellina, ma non sono sicuro sia il genere di ragazza che si possa definire una sorellina».
Gli occhi di Thatch si accesero di eccitazione e il panico tornò a invadermi, dieci volte più potente. «Ragazza scatenata?».
Will rise e fece un cenno con la testa verso le donne in arrivo. «Vedrai».
Io mi dimenticai di tutto il resto non appena la vidi di nuovo. Gambe lunghissime, un accenno di stomaco abbronzato in bella vista e sorriso nervoso: era troppo bella cazzo, non riuscivo letteralmente a toglierle gli occhi di dosso.
La strinsi tra le braccia, portai le labbra al suo orecchio e respirai. «Benny».
Con un fiato buttai fuori le parole e con un altro inalai il suo odore, tenni il suo corpo contro il mio e la tenni così finché non iniziò a ridacchiare.
«Kline ». Fu una lotta riuscire a staccare il volto dai suoi capelli e le mani dai suoi fianchi, ma lei mi aiutò spostandosi, girando il suo corpo per includere la sua amica nella conversazione e lasciandosi scivolare la mano lungo la schiena. «Lei è Cassie, la pazza».
«Cassie la pazza?» starnazzò lei. «Adesso sarebbe questo il mio soprannome?».
«Sì» la sfidò Georgia, ma in modo simpaticissimo.
«Oooh, ok, allora» cedette Cass, con uno strano luccichio negli occhi. «Ora capisco. Sono un tantino lenta, ma ora capisco».
Mi offrì la mano e io la strinsi senza fare domande, dandole due strette veloci. «Ciao, piacere di conoscerti» disse.
Io sorrisi.
«Sono Cassie la pazza. Tu devi essere Brooks Ce l’ho Grosso».
Thatch sputò il suo drink ovunque, ricoprendoci tutti di schizzi di saliva per accompagnare il momento di shock gentilmente offerto da Cass. Georgia strillò, Cass rise e basta, e in mezzo al caos i miei occhi incrociarono quelli divertiti di Will. Lui alzò il bicchiere, a conferma delle sue parole di prima.
Scatenata.
E imprevedibile, divertente e completamente sfrontata.
Buon Dio, visto chi c’era nel nostro gruppetto, si prospettava una serata davvero interessante.
Sperai che saremmo sopravvissuti tutti.
Presi dei tovaglioli dal bancone e li porsi a Georgia, osservando attentamente mentre si ripuliva il whiskey del drink di Thatch dalla scollatura. Lei scosse appena la testa per segnalarmi di averlo notato e io avvertii un sorriso enorme sciogliermi il viso, prima di girarmi di nuovo verso Cass.
«Sono io in persona» le risposi, alla fine. «È un miracolo che la tua amica sia ancora viva».
Thatch e Cassie scoppiarono a ridere a crepapelle, Georgia mi diede una manata sul petto e Will si coprì le orecchie, per scherzo.
«Kline!» gridò Georgia.
«Andiamo, piccola. Sediamoci» le dissi, avvolgendola tra le braccia prima di sussurrarle nell’orecchio: «A portare in giro la bestia, mi si sono stancate le gambe».
«Kline!».
«È un vero problema, Benny».
«Kli...». Fece per colpirmi di nuovo ma non gliene diedi la possibilità. Sigillando insieme le nostre labbra, leccai, succhiai e mordicchiai il mio saluto come si deve. La notte era appena iniziata e le conseguenze delle mie bugie non avevano nemmeno iniziato a manifestarsi.
Ma Dio , quanto mi era mancata.
E, in quel momento, nella mia mente, non contava nient’altro.
«Ti ho aspettata per tutta la vita» dissi contro le sue labbra, mentre i nostri baci volgevano al termine.
Lei mi rivolse un sorriso solo per me, la lussuria, il piacere e forse una scintilla d’amore le illuminavano gli occhi e si riflettevano nei miei. Strofinò il naso contro il mio mentre si sistemava in braccio a me, avevo trovato per miracolo uno spazio su un divanetto. Diavolo, per quanto ne sapevo, qualcuno poteva averlo liberato all’ultimo momento proprio per evitare di finire con me in braccio. Non me ne sarei accorto in ogni caso.
«Sono stata… eeeeep!» strillò, mentre veniva strappata via dalle mie braccia.
Per un intero secondo e mezzo, temetti per la sicurezza di ogni singola persona del locale, perché una furia stile Hulk prese il controllo delle mie emozioni e sentii tendersi le cuciture dei miei vestiti.
«Rilassati, K» mi prese in giro Thatch, placando un po’ la mia rabbia, ma alimentando anche il mio malumore. «Faccio solo qualche modifica alla disposizione dei posti».
Il mio sguardo si fece tagliente come una lama mentre lui faceva sedere Georgie sul divanetto di fronte a me e mi costringeva a rimettermi seduto di fianco a lui.
I miei pensieri erano a sfondo omicida.
«Rinfodera gli artigli, amico» mi cinguettò nell’orecchio. «Dovrai mettere fine alla tua scenata, perché il vecchio Ruck qui presente ha bisogno di informazioni e non c’è nessun altro che può dargliele».
Dannazione, quanto odiavo quando Thatch aveva ragione. E lo odiavo ancora di più quando significava non poter avere il sedere di Georgia in braccio a me. La guardai di fronte a me, e vidi il suo sguardo stupefatto saltare tra me e Thatch. Per lei, entrambi eravamo una parte significativa nella sua vita. Era una cosa strana e mi sentii geloso, ma, soprattutto, mi sentivo male e basta. Perché le avevo mentito e perché per colpa mia si ritrovava ora ad affrontare la confusione che provava. La responsabilità di tutto ricadeva interamente sulle mie spalle e, credetemi, ne sentivo tutto il peso. Prima sarebbe finita, meglio sarebbe stato.
«Cassie, giusto?» sentii Thatch chiedere mentre le sue parole continuavano a risuonarmi nelle orecchie.
«Giusto».
«Sai» insistette, schiarendosi la gola. «Hai un’aria familiare».
«Anche tu a dire il vero. Hai la faccia da Ruckchard o qualcosa del genere».
Io scossi la testa e lanciai un’occhiata alla mia ragazza, in preda al panico. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo, era troppo nervosa. Era come guardare una brutta parodia delle vite di Ruck e Rose, con dei dilettanti allo sbaraglio per attori. Non avremmo mai reagito così al nostro primo incontro. Mai, nemmeno in un milione di anni.
La risata di Thatch fu sguaiata, il suo corpo quasi mi cadde in braccio mentre si gettava all’indietro nel gesto di ridere. Voltò il viso verso il mio, e mimò velocemente con le labbra: «Il nome?». Io dovetti lottare per resistere alla voglia di sospirare. Avrei detto a tutti la verità in quell’istante, ma poi Georgia si sarebbe sentita un fallimento, in più umiliata in modo spettacolare.
Per cui scrissi “Rose” sul cellulare e glielo mostrai rapidamente.
«Rose!» disse Thatch, praticamente urlando. Cassie annuì, assecondandolo, mentre le sopracciglia di Georgie si corrugarono spontaneamente. Era confusa, a ragione. «Ero quasi sicuro che fossi tu, Rose! Non riesco a credere a quanto tu sia bella di persona, Rose».
Io diedi una gomitata discreta nelle costole di Thatch. «Di’ il suo nome un’altra volta e ti ammazzo» sussurrai a denti stretti.
Lui fece una smorfia e chiuse la bocca.
«Che succede?» chiese Will: a quanto pareva lo spettacolo era poco chiaro anche per gli spettatori esterni.
«Me lo stavo chiedendo anch’io» dissi, recitando la mia parte.
«Ecco, uhm» balbettò Georgia. «Sembra che loro due si conoscano o qualcosa del genere».
«Thatch e Cass?» chiese Will, confuso.
«Già» confermò Cass. «Ci parliamo online da quando mi ha mandato una foto del suo grosso, orrendo e brutto uccello».
Will si girò di scatto dalla sorpresa. «Cosa?».
«Non era il suo» dissi, mettendomi in mezzo proprio mentre Thatch la provocava, sorridendo: «Beh, sul “grosso” hai proprio ragione».
Gli occhi di Georgia si spostarono su di me.
«O così mi hanno detto» aggiunsi io.
Lei sembrava sconvolta. «Lui te ne ha parlato? Cosa...», Si fermò e io deglutii. «Ti dice cosa si scrivono?».
Dio, era terribile. Odiavo la situazione e me stesso e ogni cazzo di persona, in quell’istante.
«No, piccola. Mi ha detto solo questo» la rassicurai, aggiungendo ancora qualche altro metro alla fossa che mi stavo scavando.
Avevo una voglia matta di darmela a gambe, ma eravamo appena arrivati, cazzo. All’inferno.
Il Raines Law Room era appropriato come posto: l’inferno era sicuramente così. Il diavolo, il fuoco e i fottuti ruggenti anni Venti.
Lei si era confidata con Ruck e si era sentita in colpa per quello che significava rispetto alla sua relazione con me. Lo vedevo a chiare lettere, ovunque sul suo magnifico volto mentre combatteva tra il desiderio che non venissi a sapere le cose che lei aveva scritto a Ruck e sentendosi una bugiarda e una traditrice per il fatto stesso di nascondermi qualcosa. La cosa mi faceva stare malissimo a livello viscerale, mi contorceva le pareti dello stomaco e anche l’intestino, e riuscii a malapena a impedirmi di scattare verso i bagni alla ricerca di un po’ di sollievo.
Ma il mio viso era il suo salvagente, in quella situazione, perché, nonostante il terrore di essere scoperta, ogni sorriso che le rivolgevo la rassicurava. Mi rifiutavo di abbandonarla in quel mare in tempesta ad annaspare e annegare. Alla fine dei conti, Rose avrebbe lasciato perdere Ruck tanto tempo fa, se io non avessi rigirato ogni conversazione a mio vantaggio. Ero io il colpevole della situazione.
Quando Thatch iniziò a flirtare, io strappai la mia attenzione da Georgia abbastanza a lungo da dirgli di darsi una cazzo di calmata. Sarebbe bastato un solo commento sulle tette di Cass per mandare a puttane il nostro inganno.
«Ruck e Rose sono amici . Ruck sta uscendo con un’altra e Rose è vergine, cazzo» lo informai. «Dacci un taglio, chiaro?».
Due occhi selvaggi trovarono i miei. Avrei voluto rificcarmi quelle parole in bocca, non appena mi erano sfuggite.
«Scusateci per un istante» disse Thatch sorridendo, e trascinandomi via dal divanetto fino al bar, come solo lui sarebbe stato in grado di fare.
Il mio sedere atterrò sullo sgabello di fronte a lui, e lui si piegò minaccioso su di me.
«Sarà meglio che inizi a parlare, amico mio, io mi sto ammazzando su quei divanetti, solo per salvare il tuo culo fedifrago e tu non riesci neanche a togliere gli occhi dalla tua ragazza mezzo secondo per venirmi in aiuto».
Scossi la testa.
«Che cazzo succede? Se quella donna è vergine, allora mi congelo le palle e me le stacco con uno di quei cosi per rimuovere le verruche».
Feci una smorfia.
«Sì». Annuì. «Non è una bella immagine. Allora dimmi, che succede davvero?».
Considerai la questione per un momento: quanto danno mi sarei procurato se gli avessi detto tutto e quanto danno avrebbe creato lui se non glielo avessi detto. Decisi che le mie ossa mi piacevano tutte al posto in cui si trovavano. E se gli avessi chiesto di non rivelare quanto stavo per dirgli, sapevo che l’avrebbe fatto.
«Rose è Georgie, non Cassie. Ma lei non sa che io lo so, e lei non sa che sono Ruck».
«Cristo». Si mise il volto tra le mani e iniziò a massaggiarsi le tempie. «Non mi paghi abbastanza per questo genere di complicazioni».
«Già, però tu non sei qui come impiegato. Sei qui come amico. E non ti ho invitato io, se ti ricordi. Ho cercato di farti andare via dai coglioni prima che arrivassero».
«Va bene, va bene, ho capito. Tu e Georgie dovete andarvene o qualcosa del genere. Io non posso continuare con questa farsa del cazzo, ma non posso neanche abbandonarti».
«Molto nobile da parte tua».
«È ovvio, amico. Io sono più unico che raro».
Scossi la testa e mi passai una mano sul volto. L’implicazione di quanto gli avevo appena detto lo investì come un’onda anomala.
«Aspetta un attimo. Significa che la dolce Georgia è vergine?».
Io cercai di non rivelare nulla, ma dal mio volto doveva essere trapelata una qualche conferma.
«Cristo santo, K».
«Thatch...».
«Ma non lo è più, vero, vecchio porco?».
«Thatch...».
«Kline?» chiese timidamente Georgia alle spalle di Thatch. La mia lingua cercò coraggiosamente di strozzarmi. Quella conversazione, tutta la situazione. Era tutto un fottuto casino e la timidezza di Georgia era l’ultima goccia, maledizione.
La mia ragazza era uno squalo, diamine, e io non potevo tollerare che nulla la facesse sentire diversamente.
«Ciao, piccola» la salutai da dietro Thatch, sporgendomi per assicurarmi che i nostri occhi si trovassero.
«Va tutto bene?».
Dopo un’ultima occhiata a Thatch per comunicargli quanto fosse importante che si portasse tutto nella tomba, mi alzai e andai verso la mia donna al ritmo lento della band che suonava nel locale. Non ne potevo più dei segreti, non ne potevo più della distanza, non ne potevo più di tutta quella serata e niente mi avrebbe fatto felice quanto trascinare quella donna sulla pista quando lei meno se l’aspettava.
«Un ballo, Benny?».
I suoi occhi esaminarono la stanza, ma io cominciai a farla camminare nel frattempo, tenendole affettuosamente il palmo in fondo alla sua schiena, lasciando che fosse lei ad andare avanti ma conducendola io.
«Ma non sta ballando nessuno».
«Mi piace essere il primo a fare qualcosa» la provocai, facendole fare una giravolta per averla di fronte a me e ben salda tra le mie braccia. Lei arrossì violentemente.
«Kline ».
«Sono un egoista», ammisi sorridendo. «Non ti voglio più dividere con nessuno».
Il colore sparì dal suo volto, lasciando il posto al bianco, la transizione tra rossore e pallore fu una delle più veloci che avessi mai visto. Mi pentii immediatamente delle mie parole, nonostante fossero vere. Nella sua mente, non le servivano altre prove per istruire un caso contro se stessa davanti al tribunale personale di Georgia.
Con le labbra sulle sue, le chiesi scusa nel solo modo che potessi, amandola con una ripetizione infinita di leccate, affondi e contatti lingua a lingua.
Lei mormorò nella mia bocca, la sensazione era troppo piacevole per essere confinata nel silenzio.
Con le dita tra i suoi capelli, le accarezzai la mascella con i pollici e affondai con ogni grammo di me dentro di lei. Non mi preoccupai di Thatch o di Cass o Will o chiunque altro e, per un paio di minuti, nemmeno lei.
Non mi ero mai sentito così consumato, in tutta la mia vita. Niente e nessuno aveva mai avuto su di me quell’effetto.
Piccole rughette affiorarono sul suo naso all’insù mentre si staccava da me, le sue mani delicate mi allentarono la cravatta quanto bastava a farmi tornare a respirare.
Rilassata forse dalla musica, forse da me, Georgia si sentì finalmente abbastanza a suo agio da commentare la serata.
«Il mondo è davvero piccolo, eh? Le persone si incontrano senza neanche rendersi conto che già si conoscono… o che forse avrebbero dovuto incontrarsi prima».
In modo complicato e perverso, parlava di lei e di me e di Rose e Ruck e di ogni altra persona al tempo stesso. Ma per me c’era una sola, semplice risposta.
«Il mondo è piccolo. Ma l’amore è grande. Grande abbastanza perché talvolta una coincidenza cammini fianco a fianco con un’opportunità».
«E questa dove l’hai sentita?» chiese. «Sempre Ernest Hemingway?».
Scossi la testa e premetti forte le labbra contro le sue, per un istante.
«Tutta farina del mio sacco».
Vivevo nei suoi occhi mentre lei scrutava nelle profondità dei miei, nuotavo in quelle pozze azzurre e lottavo per rimanerci. Ero immerso completamente in lei, sommerso da tutto questo, impantanato nel fango e nelle menzogne, e nonostante tutto ancora mi sentivo inebriato.
Inebriato da lei, da noi, e inebriato da tutto ciò che volevo che diventassimo. Il matrimonio, i bambini, il vissero per sempre felici e contenti. Prima lo avevo pensato, perché lo volevo. Ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, volevo che lei fosse mia.
Ero innamorato di lei, cazzo.
E dovevo dimostrarglielo.
«Andiamo via» la pregai dolcemente, passando la punta del mio pollice lungo il suo labbro perfetto.
Lei percepì la mia disperazione, un tremito la percorse dalla cima della testa alle dita dei piedi. Il suo sguardo scattò verso i divanetti e io lo seguii, trovando Thatch e Cass impegnati a flirtare e nessuna traccia di Will.
Esaminai la stanza ancor prima di lei e lo scovai seduto al bar, intento a parlare con una donna, così lo indicai a Georgia.
«Sono tutti impegnati, Benny» la persuasi. «Vieni a casa con me».
Mi aspettavo che li studiasse di nuovo, ma invece i suoi occhi trovarono i miei.
«Ok, Kline».
Ok.
Mi bastò solo fare l’amore con lei per trasformare quell’ok in una cantilena senza fine di sì .