27

Georgia

Ero al confine tra due mondi: quello dei sogni e della realtà. I miei occhi erano chiusi, ma il sole mattutino accarezzava il mio volto. Kline mi teneva stretta tra le braccia, con la mia schiena contro il suo petto. Eravamo perfetti l’una per l’altro anche nel modo in cui i nostri corpi si incastravano insieme.

Nella mia mente rivissi la notte precedente. Il bar. Scoprire che il migliore amico di Kline, Thatch, era in realtà il mio amico di TapNext, Ruck. Una vera e propria ironia perversa.

Quando avevo visto il riflesso di Thatch nello specchio, ero stata investita da un milione di emozioni, ma la più forte, la più palpabile, era stata la delusione. Solo quella bastava a farmi stringere lo stomaco dai sensi di colpa. Quell’emozione mi faceva sentire come se avessi commesso un torto contro Kline.

Non potevo negare che parlare con Ruck era uno dei momenti migliori della giornata. Era divertente e dolce e affascinante.

E più ci pensavo, più realizzavo che la cosa non aveva senso.

Thatch era un bravo ragazzo, ma era anche molto diverso dall’uomo che avevo immaginato fosse Ruck. Era chiassoso e sembrava avere la propensione a usare parolacce… davvero parecchie . A ben pensarci, era per Kline quel che Cassie era per me. Erano entrambi supponenti fino all’eccesso, un poco impulsivi e se ne uscivano spesso con battute spiritose durante conversazioni altrimenti serie. Non era per niente come il Ruck che avevo imparato a conoscere. D’altronde, era Internet e solo perché chattavamo spesso non significava che lo conoscessi davvero .

Ma conoscevo Kline. Nonostante l’imbarazzo della notte scorsa, era stata comunque una bella serata, grazie a lui. Stava diventando una specie di situazione ricorrente. Quando c’era lui, io ero contenta.

Il mio piccolo film di “Kline e Georgia” veniva proiettato dietro le mie palpebre. Mi accoccolai ancora più vicino a lui, tenendo gli occhi chiusi, e me lo godetti.

Ci vidi ballare durante il nostro primo appuntamento, vidi come non riuscivo a smettere di sorridere quando mi aveva baciata. Vidi i suoi occhi, preoccupati e allarmati, quando a me veniva la reazione allergica al succo di lime. Vidi il suo aspetto quella mattina, addormentato, attraente e mio .

Ci vidi camminare per New York, tenendoci per mano e ammirando tutto insieme. Lo vidi nella piscina, mentre si toglieva i boxer, pronto a stare al gioco, e si girava per mettersi a ballare solo per me.

Vidi noi due negli Hamptons e l’espressione che lui aveva mentre era dentro di me, che si muoveva, mi baciava e mi amava. E poi, lui che rideva la mattina dopo mentre cercavo di imboccarlo con dei toast bruciati e gli dicevo che i toast di solito hanno quell’aspetto.

Il modo in cui si infilava di nascosto nel mio ufficio, chiudeva la porta e mi stringeva tra le braccia. Tutte le battute che solo noi potevamo capire e i sorrisi segreti che ci eravamo scambiati. Non eravamo solo ragazzo e ragazza, non eravamo solo amanti, non eravamo una cosa sola. Eravamo tutto .

Tornai al presente e scacciai via il sonno sbattendo le palpebre. Mi girai tra le sue braccia e lo ammirai. Come si muoveva il suo petto a ogni calmo respiro. Come le sue ciglia si separavano in tante cime minuscole verso gli angoli dei suoi occhi. Gli accarezzai la guancia, le dita scivolarono oltre la piccola lentiggine vicino al suo orecchio.

La mia mente correva mentre il mio cuore accelerava, battendo in un ritmo erratico. E poi, cuore e mente si scontrarono, e divennero una cosa sola, uniti nel sentimento che provavo per lui.

La stanza da letto era silenziosa, i rumori della città arrivavano fino a noi attutiti, ma in quell’immobilità riuscii comunque a sentirlo, nel modo in cui il mio respiro accelerava. Riuscivo a vederlo steso di fianco a me, nella sua mascella rilassata e nelle ciglia adagiate contro le sue guance.

E potevo sentirlo. Dio, potevo sentirlo.

Ero innamorata. Ero innamorata di Kline.

Sporgendomi in avanti, premetti le labbra sull’angolo della sua bocca, confessando silenziosamente: «Ti amo» contro la sua pelle.

Lui biascicò qualcosa, ma, a parte quello, si mosse a malapena.

Osservando il suo bel viso, beatamente appagato nel sonno, capii cosa dovevo fare. No, anzi, capii cosa volevo fare.

Non volevo più avere tutta quella storia di Ruck sospesa sopra di me come una spada di Damocle. Volevo solo lasciarmela alle spalle, e, cosa più importante, volevo andare avanti con Kline al mio fianco.

Scivolando fuori dal letto nel modo più silenzioso e delicato possibile, mi misi una delle sue magliette e mi diressi verso la cucina per prendere il cellulare dalla borsa. Chiamai Cass e uscii in terrazza, chiudendomi la porta dietro di me.

Lei rispose al quarto squillo. «Che cazzo di ore sono?».

«Ho bisogno che tu prenda il controllo del mio account di TapNext».

«Georgia?» chiese, con la voce ancora roca per il sonno.

«Naturalmente sono io. Chi diavolo pensavi che fosse?».

«Qualche stronzo che aveva deciso di chiamarmi alle...». Si fermò e il fruscio delle lenzuola mi riempì le orecchie. «Otto di mattina. Gesù, Georgie, non potevi rimandare questa conversazione di quattro ore?».

«Non posso aspettare. Devo sistemare questa storia, Cass. Mi sento la persona peggiore del mondo».

«Cosa? Perché?».

«Dio, sono proprio una stronza. Perché l’ho fatto? Perché ho continuato a parlare con Ruck quando sapevo cosa poteva succedere con Kline? Mi sembra di averlo tradito sul piano emotivo tutto questo tempo».

«Georgia...» iniziò a rispondere, ma io l’avevo già interrotta: ero troppo agitata per fermarmi.

«In un certo, strano senso, penso che fossi interessata a Ruck. Certo, l’interesse che provavo per lui non è nemmeno paragonabile a quello che provo per Kline, ma comunque mi piaceva parlare con lui. Volevo parlare con lui. E sai qual è la cosa peggiore? Quando ho scoperto che Ruck è Thatch, è stata una cazzo di delusione. Mi sono sentita abbattuta».

«Chiudi. La. Bocca» gemette. «Non l’hai tradito. Parlavi e basta con qualcuno, con un amico . Non devi sentirti in colpa per questo».

Io rimasi in silenzio, castigandomi mentalmente per essere stata tanto stupida.

«Georgia. Hai mai proposto a Ruck di incontrarvi?».

«No» dissi, scuotendo la testa. «Mai».

«Gli hai mai detto che lo amavi o che volevi avere una relazione con lui?».

«Certo che no».

«Allora smettila di flagellarti per questa storia. Non serve a niente, e, sinceramente, non ne hai alcuna ragione. Non hai fatto niente di male, tesoro. Sei sempre stata completamente fedele al tuo ragazzo».

Feci un respiro per calmarmi. «Hai ragione. Gli sono sempre stata fedele, completamente».

«Ok, grande. Sono felice di aver chiarito la cosa. Ti chiamo dopo».

«Cass!» la ammonii. «Non osare buttare giù!».

«Sono stanca morta, Georgie» piagnucolò. «Perché non vuoi lasciarmi dormire?».

«Perché devi promettermi di prendere il controllo del mio profilo di TapNext».

Lei fece un sospiro esagerato. «Perché dovrei farlo?».

«Perché mi ami».

«Cancella quel maledetto account e basta» borbottò.

«Non voglio comportarmi da stronza totale con Ruck. E poi mi è sembrato che ieri sera aveste una buona intesa».

«Stai parlando di Thatch, giusto?».

«Sì, di Thatch. E comunque sul mio profilo c’è la tua faccia. Puoi semplicemente iniziare a usarlo e fare finta di averlo usato sempre tu».

«Sarebbe una cosa molto strana, G.».

«Lo so, ma non so davvero cos’altro fare».

Aveva ragione. Farle continuare a chattare con Ruck era quasi da pazzi, ma mi sembrava la scelta migliore. In quel modo, Ruck non sarebbe rimasto abbandonato come un cane e, che diavolo, magari Thatch e Cass si sarebbero rivelati una bella coppia.

Non avrei menzionato subito tutte le battute folli e i fatti molto personali che avevo rivelato a Ruck, ma l’avrei fatto più avanti. Tipo mai. Avevo il presentimento che, una volta iniziato a chattare con la mia bellissima, intelligente e pazza migliore amica, lei sarebbe diventata piano piano Rose per lui e non si sarebbe mai accorto della differenza.

Doveva funzionare per forza, no? Cass era ancora silenziosa e io mi chiedevo se si fosse riaddormentata o stesse valutando le sue opzioni.

«Cass?».

«Sì, ok» accettò. «Mandami i tuoi cazzo di login. Gli scriverò».

«Davvero? Oh mio Dio! Sei la migliore!» strillai di gioia.

«Non lo faccio per te, Sgualgiorgina. Quando ho detto che mi sarei fatta un Thatch, ero seria. Quell’uomo ha l’aria di essere un vero animale a letto».

«Dico davvero...» iniziai, ma mi rispose solo il silenzio.

Un consiglio: non chiamare mai Cassie prima di mezzogiorno. Io ero stata fortunata a essere riuscita a tenerla in linea per tutto quel tempo.

Non so quanto a lungo rimasi sulla terrazza di Kline, con i gomiti appoggiati alla balaustra, gli occhi persi nel vuoto. Guardai le nuvole incombere, coprire il sole e riempire il cielo di un presagio di sventura. In lontananza, balenavano i lampi.

Ma la città, la città si muoveva ancora sotto i miei piedi, continuava a pullulare di attività e non smetteva mai di mettere in mostra la sua personalità esuberante.

«Il letto era vuoto senza di te». Braccia calde mi avvolsero la vita. L’odore del suo sapone, di biancheria pulita e di Kline assaltarono i miei sensi.

Io sospirai, appagata, appoggiando la testa sulla sua spalla.

«Che fai qui fuori?».

«Dovevo parlare con Cassie» ammisi, tralasciando i dettagli della conversazione. Anche se mi sentivo ancora in colpa per la storia di Ruck, decisi fosse meglio lasciarsi tutto alle spalle. Tornarci sopra assieme a Kline non sarebbe servito a nessuno. Perché, a conti fatti, era lui quello che volevo.

Il solo uomo che volevo.

«E ora stai qui fuori e basta, a guardare il temporale avvicinarsi?».

«Qualcosa del genere».

«Dio, quanto profumi di buono». Il suo naso era sepolto nel mio collo, respirò per un breve istante e poi posò il mento sulla mia spalla.

Io mi girai tra le sue braccia, intrecciando le mani in alto, dietro il suo collo muscoloso.

Occhi azzurri e giocosi ricambiarono il mio sguardo. Lui mi liberò la spalla dai capelli, per portare le labbra sul mio collo, poi sul mio orecchio, la guancia, prima di tirarsi indietro e ammirare la mia mise… o piuttosto la sua assenza. Una mano mascalzona iniziò a scivolarmi lungo il lato del corpo, per afferrarmi la coscia. «E tu te ne stai qui fuori, con solo la mia maglietta addosso. Penso sia ora di rientrare, piccola».

Le mie labbra trovarono le sue, e posarono dolci baci contro la sua bocca sorridente. «Stai cercando di convincermi a fare delle cose perverse?».

Lui fece risalire le dita lungo la mia coscia, portandole a sfiorare il posto dove più di tutti mi struggevo per lui. «Non sono certo l’unico qui fuori». Mi morse il labbro inferiore, tirandolo finché non gemetti di piacere. Le sue mani passarono al mio sedere, sollevandomi e spronandomi a cingergli i fianchi con le gambe. Kline era duro, sotto i suoi boxer, e non appena fu saldamente premuto contro di me, io emisi un lungo gemito acuto contro la sua bocca. E poi iniziò a baciarmi sempre più a fondo, forzando le mie labbra e intrecciando la lingua con la mia.

Le candele si sciolgono quando le si accende.

Io mi scioglievo quando Kline Brooks mi baciava.

In. Una. Pozza. Di. Ineffabile. Estatico. Delirio.

La sua bocca era la mia versione personale della perfezione. Ogni dolce carezza delle sue labbra contro le mie me lo faceva solo desiderare di più. Dubitavo che mi sarei mai stancata di questo. Di lui. Di noi.

Il mio respiro accelerò, il suo toccò risvegliava ogni più piccola terminazione nervosa dentro di me. Le sue mani… Dio, ogni volta che mi toccavano io perdevo la testa.

Fremetti contro di lui.

Lui lo sentì e sorrise, continuando a baciarmi.

Un tuono riempì l’aria mentre il cielo si squarciava, e iniziò a diluviare sulla città. Il vento deviava le goccioline di pioggia facendole cadere sulla terrazza e su di noi.

Lui non interruppe il nostro bacio e sussurrò contro la mia bocca tutte le sconcezze che avrebbe voluto farmi.

I miei capelli erano bagnati e la sua maglietta era incollata a me come una seconda pelle, ma io lo notai a malapena, troppo assorbita da lui. Il mio bacino si muoveva di volontà propria, cercando disperatamente la durezza che lui gentilmente stava premendo contro me.

«Cazzo, sei perfetta» ringhiò. Sì, ringhiò davvero. Io avevo sempre pensato che questa storia del ringhio fosse una stronzata, un’invenzione fantastica messa nei romanzi rosa, ma il suono gutturale che gli uscì dalla gola mi provò il contrario.

Lui ci portò dentro l’appartamento, chiudendo la porta con un calcio. Il momento prima eravamo diretti verso la sua camera e quello dopo eravamo già aggrovigliati sul suo letto e le nostre bocche non si staccarono mai, nemmeno un istante.

Ridacchiai contro le sue labbra mentre il mio sedere rimbalzava sul materasso.

Kline si tirò indietro, mi fissava mentre spostava le ciocche di capelli bagnati incollate alle mie guance.

Tremai contro di lui. Non potevo farne a meno. Averlo così vicino, avvolto attorno a me, mi completava in qualche strano modo. Non avevo mai provato qualcosa del genere, prima, per nessuno. E mi spaventava pensare che avrei potuto non vivere mai tutto questo, se avessi rifiutato quel primo appuntamento o incontrato Ruck nel mondo reale. Avrei potuto vivere tutta una vita senza mai sentirmi così .

I suoi occhi si fecero preoccupati. «Qualcosa non va, piccola?».

«No, niente». Ricacciai indietro le emozioni e lo distrassi con le mie labbra. «Ti voglio», sussurrai contro la sua bocca.

Lui sogghignò, ammirando deliberatamente la mia tenuta bagnata. «È per questo che stai cercando di imitare una partecipante di un concorso Miss Maglietta Bagnata?».

Mi morsi il labbro. «Sto rivelando troppo?».

Le sue grandi mani accarezzarono i miei seni da sopra il cotone bagnato, i pollici che sfioravano i capezzoli.

«Non sono mai stata a un concorso del genere, ma è normale palpeggiare i partecipanti?».

Lui alzò le sopracciglia, malizioso. «Il giudice può farlo».

«Cos’altro può fare il giudice?».

Lui si sporse in avanti, succhiandomi il capezzolo e leccando attorno alla punta sensibile. Io sentii il calore della sua lingua e la freschezza bagnata della sua maglietta ovunque sul mio corpo e tra le mie gambe.

Le mie dita trovarono i suoi capelli, afferrando le ciocche con forza mentre lui passava all’altro mio seno.

«Credo che dovrei partecipare più spesso a questi concorsi» dissi, gemendo.

Lui alzò lo sguardo, scuotendo la testa. «Nessun altro poserà mai lo sguardo su questo corpo perfetto». Mi si aggrappò ai fianchi e premette il suo bacino contro di me, facendomi gemere ancora una volta. «Nessun altro potrà mai sentire i tuoi versi o guardare come le tue labbra si aprono quando stai per perdere il controllo». Mordicchiò il mio labbro inferiore e poi le sue labbra tracciarono un sentiero lungo la mia mascella fino al collo, finché il suo respiro non arrivò caldo e seducente contro il mio orecchio. «Ma se mi prometti che si svolgerà nella mia stanza, allora potrai farlo ogni dannata volta che vorrai».

«D’accordo» sussurrai. «Ora, meno parlare e più spogliarmi e scoparmi fino a farmi dimenticare il mio nome».

«Scoparti fino a farti dimenticare il tuo nome?». I suoi occhi si fecero infuocati, la bocca si inarcò in un sorrisetto malefico. «Penso di poterti aiutare in questo».

E, credetemi, lo fece. Avevo ringraziato Madre Teresa, Gesù, Buddha e avevo iniziato a chiamarmi Oprah quando ebbe terminato di farmi impazzire.