«Le ultime tre domande» chiese Kline, con voce roca e piena di sonno.
Avevamo giocato a quel gioco tutta la notte. Ci ponevamo l’un l’altra domande a caso, nel mezzo di sessioni di baci che finivano inevitabilmente in qualcosa di più. Qualcosa di più sexy e approfondito.
Era il miglior gioco del mondo.
Ma erano le tre e mezza di mattina e io avevo un volo da prendere alle sei e trentacinque. Una riunione per un contratto mi costringeva a tornare a casa oggi stesso, e, visto che lui aveva fissato un ulteriore riunione quella mattina con uno dei nostri investitori abituali, in nome dell’efficienza, oggi significava un giorno prima del ritorno di Kline. Inutile fare un altro viaggio, aveva detto. E ora dovevamo affrontare le conseguenze di quella decisione.
Io non avevo neanche iniziato a preparare la valigia e dovevo farmi una doccia. Anche se avrei davvero preferito restare a letto incollata a lui, dovevo muovere le chiappe.
Mi misi a sedere sul letto, le lenzuola mi ricaddero in grembo. «Hai detto la stessa cosa tre ore e due orgasmi fa».
«Due orgasmi? Pensavo fossero tre...». Era steso prono, il mento appoggiato al cuscino, gli occhi incollati al mio seno nudo. «Se non ti ricordi l’ultimo, allora bisogna rifare tutto da capo».
Da capo. Che bastardo.
Si leccò le labbra e spostò lo sguardo dai miei seni ai miei fianchi, finché non chiuse il suo lento giro sulle mie labbra.
Cristo . Gli sguardi infuocati che mi lanciava di nascosto durante le riunioni di lavoro erano già abbastanza pericolosi, ma quello? Quello sguardo. I suoi occhi azzurri in fiamme. I suoi capelli sexy dopo una notte a letto. E quel suo sedere sodo. Sarebbe dovuto essere illegale.
«Smettila di attizzarmi con quello sguardo!». Gli schiaffeggiai la spalla. «Devo fare la doccia. C’è un volo che mi aspetta, ricordi?».
Lui balzò su di me, avvolgendo le braccia attorno al mio corpo e sbattendomi di nuovo di schiena contro il letto prima che lo potessi fermare. «Non andare». La sua bocca trovò la mia, i suoi denti iniziarono a tirare il mio labbro inferiore.
«Resta qui con me. Lascia che ti faccia delle domande e ti baci queste labbra». Mi baciò con più trasporto. «Lascia che tocchi questo corpo perfetto». Le sue dita risalirono lungo i lati del mio corpo, fermandosi sotto la curva del seno. «E che la mia bocca ti adori». Sottolineò quella frase facendo volare le sue mani infide giù per il mio ventre, finché le sue dita non iniziarono a toccarmi là dove lo bramavo.
Non avevo mai fatto una maratona di sesso. Ok, prima di Kline, non avevo proprio fatto sesso. Ma non avevo mai provato quella sensazione. Non ero mai stata così attratta, così eccitata, così innegabilmente innamorata di qualcuno fino al punto che l’unica cosa che desideravo era passare ogni giorno per il resto dell’eternità a toccarlo, baciarlo, possederlo.
Era travolgente. E fantastico. E avrebbe dovuto farmi fuggire a gambe levate. Ma quando si trattava di Kline, non volevo scappare, a meno che non fosse per rifugiarmi tra le sue braccia aperte.
Mi fidavo di lui. Mi importava di lui. Lo Amavo. Volevo lui e soltanto lui. Era tutto ciò che avevo sempre sognato più un milione di cose che non avevo mai saputo di volere.
«Baciami, piccola» sussurrò contro le mie labbra.
«Ti sto baciando» replicai, con la bocca ancora premuta contro la sua.
«No. Baciami, cazzo» ringhiò, e la sua lingua scivolò oltre le mie labbra, facendomi gemere. «Non mi stancherò mai di questo. Non ci sarà mai un momento in cui non lo vorrò. Con te. Solo con te».
«Perderò il volo e sarà soltanto colpa tua» piagnucolai.
«Fanculo il volo. Fanculo la riunione. Resta qui e scopami fino a farmi perdere i sensi». La sua bocca infida si spostò sul mio collo e poi sulla clavicola, succhiando dolcemente mentre la sua lingua leccava lungo la pelle sensibile.
Le mie mani trovarono il suo sedere, e iniziarono ad attirarlo verso di me. «Così giochi sporco». Il bacino mi si inarcò contro il suo, il mio corpo lo implorava di renderci una cosa sola.
«Con te, giocherò sempre sporco». Si premette contro di me, la punta del suo uccello si muoveva attraverso la mia eccitazione bagnata. «Farò qualunque cosa serva affinché tu continui a fare questo con me. Per sempre, cazzo ».
«Scoperemo per sempre?». Lo provocai.
La sua risata fece vibrare la mia pelle. «Sì. Io e te. A scopare, baciarci, toccarci, fare l’amore, godere . Tutto il tempo. Per sempre».
«Questo lo devi mettere per iscritto».
Lui si scostò da me, prese a frugare dentro il comodino e pescò il set di penna e taccuino con il logo dell’hotel nell’intestazione. Lanciò il taccuino dall’altra parte della stanza e prese la penna in bocca, stappandola.
«Sono quasi sicura che serva la carta per scrivere un contratto...»
«Non questo». Si sistemò di nuovo tra le mie cosce, con gli occhi incollati al mio ventre. La punta della penna toccò la mia pelle e io rabbrividii. «Questo è un altro tipo di contratto, piccola». I suoi occhi azzurri si sollevarono su di me, maliziosi.
La penna si muoveva sulla mia pelle, ma io non vedevo cosa scrivesse, la massa selvaggia dei suoi capelli mi bloccava la visuale.
«Mi scusi, signore, ma che sta facendo? Mi sta marchiando?».
«Smettila di chiamarmi signore. Sto cercando di concentrarmi e tu me lo fai venire duro».
«Ce l’hai duro da otto ore. Non è una novità».
«Pensavo avresti cercato di aiutarmi in questo difficile frangente. Davvero, Georgia, sono deluso. Devi impegnarti di più per essere una brava fidanzata».
Io cercai di non sorridere. Era stupido che mi sentissi ancora così euforica quando lo sentivo chiamarmi la sua fidanzata. Ero ufficialmente tornata una liceale.
Ma non mi importava. Io amavo che mi facesse sentire una ragazzina euforica innamorata cotta.
«Oh, allora quella cosa in cui mi mettevo in bocca il tuo uccello e poi lo lasciavo lì finché non eri venuto, non è stata una cosa da brava fidanzata? Mi dispiace di averlo fatto, allora. Mi ricorderò di non farlo mai più . Non preoccuparti, piccolo, imparerò dai miei errori».
«Rallenta, aspetta un attimo. Non essere troppo precipitosa» fece marcia indietro, ancora concentrato a tatuare qualcosa sulla mia pelle. «Penso che tu debba provare quella cosa ancora qualche volta. Tipo ogni giorno, per i prossimi cinque anni o giù di lì prima che io possa davvero decidere se mi piace o no».
Gli afferrai i capelli, facendogli sollevare il volto perché mi guardasse. «Non ti è piaciuto?» chiesi, fulminandolo con lo sguardo.
«Non me lo ricordo proprio». Scrollò le spalle, lottando contro un sorriso. «Perché non lo rifai? Magari potrebbe aiutarmi a darti una risposta come si deve».
«Oh». Finsi di aver capito, ma feci la parte dell’ingenua. «Quindi, dovrei solo riprendere in bocca il tuo uccello? Sai, farlo scivolare dentro fino in fondo, finché non tocca il retro della mia gola e poi succhiare forte , mentre passo la lingua lungo tutto quanto te? Potrebbe aiutarti? O dovrei fare qualcos’altro?».
«No» disse, deglutendo tanto forte da far tremare il suo pomo d’Adamo. «Dovresti fare proprio queste cose qui». Si schiarì la gola, mentre la risposta del suo corpo si faceva sempre più dura e premeva contro la mia coscia. «Tutte quelle cose che hai appena elencato… Ecco, fai quelle».
Il viso mi si aprì in un sorriso, ero divertita dallo sforzo nella sua voce, e dal suo, uhm, ecco . Anche da quello. Quella reazione mi piaceva proprio.
«Ok, tutto pronto. Come da richiesta, il contratto è per iscritto». Gettò la penna dove l’aveva presa. Mi afferrò le cosce mentre si inginocchiava sul letto tra le mie gambe.
«Ora, torniamo a quello che stavi dicendo prima. Credo che tu abbia detto qualcosa sull’adorarmi con la tua bocca?». Lui fece un sorrisetto, alzando e abbassando le sopracciglia, scherzoso. «O preferisci che scivoli e basta dentro di te? Perché sono un gran fan di questa figa perfetta». Iniziò a strusciarsi contro di me. «Il fan numero uno, in realtà. Nessuno ama questa figa tanto quanto me. Ed è per questo che nessun altro al mondo la vedrà, toccherà o gusterà mai. Considerami il tuo donatore di orgasmi per il resto della vita. Quando vuoi, in ogni ora, e secondo di ogni giorno, in cui avrai bisogno di venire, chiamami».
Ridacchiai. «Tipo la mia anima gemella orgasmica?».
La battuta fu ricompensata da un sorriso. «Esattamente come la tua anima gemella orgasmica».
Mi sfiorò il ventre con le dita e passò all’osso del fianco, là dove le precedenti attenzioni della penna mi facevano ancora formicolare le terminazioni nervose. «È la cosa più sexy che abbia mai visto».
«Cos’hai scritto?» I miei occhi seguirono il suo sguardo, fino a dove la sua mano era appoggiata sulla mia pelle. «Sposta la mano» lo esortai. «Giuro su Dio, se hai disegnato un pisello o...» Non terminai la frase, il mio sguardo si incollò dritto sulle strette linee della sua calligrafia da uomo.
Il mio cuore nelle tue mani e tu tra le mie braccia, solo questo mi serve e nient’altro, per sempre.
«Ed è la verità» sussurrò. «Ogni singola parola, è quello che provo, Georgia».
Lo guardai, lo guardai per davvero , sospeso sopra di me, le sue mani orano appoggiate di fianco alla mia testa. Nei suoi occhi c’era tutto il suo cuore: tenero, amorevole, perfetto .
Quanto erano semplici le parole di una dichiarazione tanto profonda. Kline aveva appena messo tutto a nudo. Mi aveva appena detto che era nelle mie mani. Lui era mio. Il suo cuore era nelle mie mani. E lui non voleva altro che me . E gli sarebbe bastato.
«Ti amo» dissi, con la voce strozzata dall’emozione. «Ti amo così tanto, Kline».
«Ti amo anch’io». Mi baciò con ardore, fino in fondo, con disperazione. Le sue labbra, il suo tocco, il modo in cui faceva l’amore con me, mi diceva tutto quello che c’era da sapere.
Eravamo una cosa vera, io e lui. L’amore era arrivato. E la cosa migliore di quella rivelazione era che entrambi ne eravamo certi. Nessuno di noi due era nel limbo, in attesa che l’altro lo raggiungesse o decidesse se questa era la cosa giusta. Eravamo pronti ad andare fino in fondo, io e lui, entrambi innamorati.
Di quell’amore intenso che ti cambiava la vita, che rendeva per sempre l’uno una parte dell’altro.
Mostrai il mio biglietto e salii sull’aereo. Ero più che esausta, le braccia per poco non mi cedettero quando sollevai il bagaglio a mano per sistemarlo nella cappelliera. Kline aveva cambiato il mio posto senza avvisarmi. La sera prima aveva visto il mio biglietto sul comodino e mi aveva chiesto se viaggiassi in economica perché il volo era in overbooking. Quando gli avevo risposto che viaggiavo in economica perché non volevo approfittarmi dei rimborsi spese dell’azienda, lui mi aveva detto di non prenotare mai più un posto in economica.
Io avevo acconsentito con un insolente: «Sì, signore».
Doveva aver apprezzato la risposta, a quanto pareva, perché ero stata ricompensata con la sua bocca talentuosa tra le gambe.
Non appena arrivai in aeroporto e superai i controlli di sicurezza a tempo di record – grazie a Dio, considerando che ero già in ritardo di trenta minuti rispetto al mio programma – ero stata chiamata al gate, dove un assistente mi aveva informata che ero stata spostata in prima classe, al finestrino. Quando voleva, sapeva di certo essere un uomo subdolo, adorabile ed esigente. Agganciai e sistemai la cintura di sicurezza e presi il cellulare dalla borsa mentre i passeggeri continuavano a imbarcarsi e cercare i propri sedili. Anche se probabilmente dormiva profondamente, decisi di mandargli un breve messaggio.
Io: Qualcuno mi ha cambiato di posto. Ora mi rilasso in prima classe, godendomi la vista dal finestrino.
Kline: Penso che dovresti ringraziare chiunque sia stato con quella cosa fantastica che fai con la tua bocca.
E pensavo di essere io quella che aveva sempre in mente il sesso. Pervertito .
Io: Quando lo scoprirò, me ne ricorderò.
Kline: Se ti dicessi che sono stato io, mi ringrazieresti come hai detto?
Io: Non so… Sono più una ragazza che si fa prendere dal momento. Non sono tanto brava con le domande ipotetiche.
Kline: Sono stato io. Ti trovo un buco in agenda per domani notte, così potrai ringraziarmi come si deve.
Io: Anche ora che mi trovo nel momento, non mi sento tanto disposta a farlo…
Kline: Ho menzionato che si tratterebbe di uno scambio? Tu ringrazi me, io ringrazio te, una cosa del genere.
Io: Segnami per domani sera alle sette.
Kline: Hai cambiato idea all’improvviso?
Io: La sua offerta è molto interessante, signor Brooks.
Kline: È sempre un piacere fare affari con lei, signorina Cummings.
Io: Altrettanto… Mi manchi.
Dio, ero proprio andata. Era passata appena un’ora da quando l’avevo baciato per salutarlo mentre lui, ancora tutto assonnato e adorabile, mi implorava di restare e già il mio petto mi faceva male all’idea che non l’avrei rivisto fino a domani sera.
Kline: Non ho mai smesso di pensarti, da quando te ne sei andata. Penso che dovresti licenziarti. Dovresti essere ancora a letto con me e non su un cavolo di aereo diretto a casa.
Io: Informerò il mio capo il prima possibile.
Kline: Buona idea.
Il terzo gruppo di passeggeri iniziò a sfilare lungo il corridoio, dirigendosi oltre le tendine nella classe economica. Io toccai l’icona delle email, per buttare giù un messaggio veloce al mio “capo”.
Da: Georgia Cummings
A: Kline Brooks
Oggetto: Le richieste del mio ragazzo
Sig. Brooks,
Al mio ragazzo non piace che io sia su un volo invece che nella sua stanza d’albergo a scoparmelo fino a farlo impazzire.
Le presento una richiesta perché ciò non accada nuovamente. È su tutte le furie.
Cordiali saluti, Georgia Cummings
Direttrice del Marketing, TapNext - Brooks Media
Da: Kline Brooks
A: Georgia Cummings
Re: Le richieste del mio ragazzo
Sig.na Cummings,
Le sue preoccupazioni vengono prese in seria considerazione. D’ora in avanti, le garantisco che in ogni viaggio di lavoro in cui sarà richiesta la sua presenza, le sarà prenotata una stanza insieme al suo ragazzo. Mi assicurerò inoltre che ogni giorno preveda tempo più che sufficiente per scoparlo fino a fargli perdere la testa. E, solo perché mi sento terribilmente dispiaciuto al riguardo, le chiedo di uscire prima dal lavoro domani e recarsi al suo appartamento (la reception probabilmente ha una chiave di riserva) in modo da farsi trovare lì quando lui tornerà a casa. (Immagino inoltre lui preferisca trovarla nuda e nel suo letto).
Cordiali saluti, Kline Brooks
Presidente e CEO, Brooks Media
Da: Georgia Cummings
A: Kline Brooks
Oggetto: Credo che il mio ragazzo sarà molto contento…
Sig. Brooks,
La ringrazio della sua sincera considerazione. Mi assicurerò di uscire prima dal lavoro, domani, e di aspettare il mio ragazzo nel suo appartamento. Seguirò inoltre il suo consiglio riguardo all’abbigliamento. Ciononostante, credo che il mio ragazzo preferirebbe che mi mettessi i tacchi più sexy di cui dispongo mentre lo aspetto.
Cordiali saluti, Georgia Cummings
Direttrice del Marketing, TapNext - Brooks Media
PS: Sono follemente innamorata del mio ragazzo.
Da: Kline Brooks
A: Georgia Cummings
Re: Credo che il mio ragazzo sarà molto contento… (SÌ, lo sarà)
Sig.na Cummings
Credo che il suo ragazzo apprezzerà moltissimo. Anzi, scommetto che insisterebbe con lei in merito.
Cordiali saluti,
Kline Brooks
Presidente e CEO, Brooks Media
PS: Anche lui è follemente innamorato di te. In nome di tutto ciò che di giusto c’è al mondo, non dimentichi quei maledetti tacchi domani.
Con gli occhi stanchi, misi il cellulare in grembo e appoggiai la testa contro il sedile. Nella mia mente rividi la notte scorsa, concentrandomi su ogni particolare, da Kline che mi rubava baci tra una domanda sulle band preferite, film, luoghi dove andare in vacanza e l’altra, fino a quando aveva fatto l’amore con me, ancora e ancora e ancora. Le mie dita salirono a sfiorarmi le labbra, nascondendo il mio ridicolo sorriso.
«Conosco quell’espressione» sussurrò piano una donna di fianco a me.
Sbattei lentamente gli occhi fino ad aprirli, e mi trovai davanti una signora anziana con capelli sale e pepe e un volto tondo e sorridente seduta nel posto di fianco al mio. «Stai pensando a una persona speciale, non è vero?».
«Si vede tanto?». Risi, mentre le guance mi si arrossavano.
«Non c’è bisogno di imbarazzarsi. L’amore è una cosa bellissima, quando lo si trova. È una cosa di cui essere felici, da custodire, da mostrare in viso ogni singolo giorno» disse con una genuina felicità nella voce. «È un brav’uomo?».
Annuii. Il bel volto di Kline mi apparve brevemente in mente. In quel momento, riuscivo a vedere ogni suo singolo sorriso: felice, provocante, giocoso, amorevole. Era una lista senza fine e una che volevo memorizzare e portare per sempre con me. «Sì, lo è. È davvero uno dei migliori».
«È tuo marito?».
«No». Scossi la testa. «È il mio ragazzo».
Mi rivolse un ampio sorriso, che le riempì le guance di gioia. «A giudicare da quanto sei raggiante, direi che non manca molto al grande passo».
Davvero? La mia testa, razionale, voleva che schiacciassi a tavoletta il freno, ma il mio cuore stava già scegliendo la carta per gli inviti e i fiori. Anche se avevamo appena iniziato a scambiarci i “Ti amo” non potevo negare che fossi innamorata cotta di Kline. Ero talmente innamorata che non riuscivo davvero a immaginarmi senza di lui.
Mai. Prima di poter rispondere alla sua osservazione o chiederle qualcosa su di lei, la donna iniziò a mettersi comoda nel suo sedile, e si sistemò un cuscino intorno al collo. «Ti auguro tanta fortuna, cara. Spero che tu e il tuo meraviglioso ragazzo avrete uno splendido lieto fine. Ora, se non ti dispiace, chiuderò un poco gli occhi. Inizio a sentire lo Xanax fare effetto». Mi lanciò un sorriso di scuse. «Meglio così, però» aggiunse. «Mi agito sempre, quando volo».
Chiuse gli occhi e, pochi secondi dopo, dalle sue labbra proveniva un lieve russare.
Mi presi la nota mentale di dire al mio dottore che anche io mi agitavo quando volavo. I lunghi voli che ero spesso costretta a sopportare per lavoro sarebbero stati molto più tollerabili grazie alla magia dello Xanax. Avrei preferito di gran lunga dormire durante un volo di quattro ore, piuttosto che girarmi e rigirarmi senza potermi riposare.
«Siamo spiacenti per il ritardo» annunciò una voce di donna dagli altoparlanti. «Decolleremo a breve».
Il cellulare mi vibrò in grembo, attirando la mia attenzione.
Era un messaggio con foto da parte di Cassie.
Mi dispiace davvero tanto, Georgia .
Eh? Cliccai sulla foto e quella riempì il mio schermo. La ingrandii per capire a cosa si riferisse.
Era lo screenshot di una conversazione di TapNext.
BottaDiRose (19:00): Sei davvero un bravo ragazzo, ma non posso più continuare a parlare con te. Le cose con l’uomo che sto vedendo si sono fatte serie e scriverti non mi sembra giusto. Mi dispiace. In bocca al lupo per tutto, Ruck.
Sporco_Ruck (06:45): Lo capisco. Ma penso dovremmo incontrarci di persona, noi due da soli. Ti prego, Rose.
Strinsi il cellulare fino a far sbiancare le nocche, fissando lo schermo incredula.
Per un intero minuto, non respirai, ne ero certa. Mi sentivo come se qualcuno mi avesse infilato una mano direttamente in gola e strappato via il cuore dal petto.
Gli occhi mi si chiusero autonomamente, la mia mente entrò in uno stato di auto-conservazione. Il cuore mi ruggiva nelle orecchie, tirai un respiro profondissimo e trovai la forza di riaprire gli occhi, sperando, no pregando , di essermi persa qualcosa alla prima lettura.
Invece no. Invece no, cazzo . Quello screenshot, la risposta di Kline, era tutto vero. Al cento per cento.
Mi passai una mano sul volto, me la premetti contro le palpebre per impedire alle lacrime di riversarsi sulle mie guance. Un sospiro tremante mi scappò dalle labbra, mentre cercavo di concentrarmi in mezzo al groviglio di emozioni appannato di lacrime che provavo.
Il suo messaggio era di quella mattina, delle 03:45 orario del Pacifico.
La gola mi si strinse, le guance tese fino all’agonia per impedirmi del tutto il controllo di me stessa
Non piangerò. Non inizierò a singhiozzare nel bel mezzo di un aereo pieno di sconosciuti.
Quella mattina. Aveva mandato il messaggio tra una domanda giocosa e l’altra e nel frattempo faceva l’amore con me. O fingeva di fare l’amore con me? Perché ora mi sembrava così. Non mi ero mai sentita tanto tradita, tanto devastata in tutta la vita.
Il dolore iniziò a crescermi nel petto, bruciandomi come se avessi ingoiato carboni ardenti. La mia calma era appesa a un filo, la mia mano libera strinse il bracciolo nel patetico tentativo di non farmi crollare in mille pezzi.
«Signorina, stiamo per decollare. Deve spegnere il cellulare, ora».
Io staccai gli occhi dallo schermo, trovandomi davanti un’assistente di volo con lunghi capelli biondi e un sorriso sopra di me.
Non riuscii a far altro che fissarla. A dire il vero, non capivo nemmeno cosa mi stesse dicendo.
«Il suo cellulare». Accennò alle mie mani.
Io seguii il suo sguardo e realizzai di cosa parlasse. «Oh, mi scusi». Mormorai e lo spensi con mani tremanti.
Mi sentivo come il passeggero di uno di quei voli che si schiantavano al decollo: ero precipitata dalle sommità del cielo al più profondo abisso di disperazione.
I ricordi mi invasero la mente.
La notte negli Hamptons, quando mi ero data completamente a lui.
Mi strozzai con un singhiozzo mentre qualche lacrima mi sfuggiva, e scivolava lungo le guance. Ripulii quelle tracce di emozione, dicendomi che potevo farcela. Potevo sopravvivere a quel volo.
Un uomo dall’altra parte della fila lanciò un’occhiata verso di me, con la testa inclinata, preoccupato.
Oh, Dio, non mi guardare così! Avrei voluto urlargli. Non volevo pietà. Non avrei potuto sopportare che qualcuno vedesse che stavo per crollare. Quello sì che avrebbe reso impossibile tenermi tutto dentro finché non mi fossi trovata da sola.
Tirai lunghi e lenti respiri attraverso il naso, li esalai dai polmoni. Fissai un immaginario pelucchio sui miei pantaloni, presi a tirare il tessuto solo per avere qualcosa da fare, qualcosa su cui concentrarmi che non fosse il mio cuore che mi andava in pezzi nel petto.
Altri ricordi mi sommersero, annegandomi.
La notte scorsa, con ogni bacio, ogni tocco, ogni dolce carezza; mi aveva chiesto, senza parole, di abbandonarmi del tutto all’amore che sentivo per lui. E io l’avevo fatto. Io l’avevo seguito e mentre precipitavamo insieme in quell’abbandono, lui aveva fatto l’amore con me finché il mio cuore non aveva iniziato a battere al ritmo a cui lui voleva. Al ritmo a cui io volevo. Il mio mondo era cambiato. Dentro di me, le mura erano crollate e lui era tutto intorno a me. Era tutto ciò che conoscevo. Tutto ciò che volessi conoscere. Kline era passato dall’essere il mio capo all’essere il mio migliore amico, il mio amante e la mia droga, finché non aveva permesso che il suo ago si spezzasse nella mia pelle. Non era un taglietto sui cui si sarebbe formata la crosta e poi sarebbe sparito. No . Lui mi aveva ferita in profondità, al punto che non avevo nemmeno sanguinato.
Il dolore era talmente insopportabile che tutte le emozioni preferirono lasciare il campo. Ero passata dall’essere sconvolta, dal lottare contro i singhiozzi che minacciavano di montare dai miei polmoni al diventare robotica.
Non volevo parlargli. Non volevo chiedergli perché, dopo la notte che avevamo condiviso, lui voleva ancora incontrare una donna che non fossi io. All’inizio, quando avevo scoperto che Kline era Ruck e che parlava con BottaDiRose senza sapere che si trattava di me, ero rimasta indifferente. Avevo esaminato l’intera situazione con mente razionale e comprensiva. Perché anche io avevo fatto la stessa cosa.
Ma nel secondo stesso in cui avevo incontrato Thatch, l’uomo la cui foto era sul profilo TapNext di Sporco_Ruck , avevo capito di dover smettere. Avevo capito di volere Kline. Avevo capito che mi stavo innamorando di lui e non volevo che qualcosa mettesse in pericolo tutto quello. Per questo avevo detto a Cassie di prendere il mio profilo. Chi avrebbe mai pensato che per tutto il tempo in cui avevo chattato con Ruck, in realtà avevo scritto a Kline?
Era stata una cosa inimmaginabile, un’inculata celebrale.
Sfortunatamente per me, quell’inculata si era appena raddoppiata, alla grande.
Questo era diverso da una semplice risposta data a un’altra donna su un’app di appuntamenti. Aveva chiesto a una donna che non ero io di incontrarlo, una che lui sapeva essere la mia migliore amica.
Cosa diavolo avrebbe mai potuto ricavare dall’incontro? Aveva progettato di stare insieme a me e scoparsi Cassie di nascosto?
Dio, qualcosa non quadrava, non sembrava proprio il Kline che conoscevo, eppure la prova era proprio di fronte ai miei occhi.
Mi sentivo talmente devastata. Era consapevole di cosa avevamo condiviso e di tutto quello che avremmo potuto essere, perché Kline aveva messo tutto a rischio? Con poche frasi aveva rovinato tutto, completamente. Ci aveva distrutti. Mi aveva distrutta.
Mi sentii male. La nausea mi attanagliava lo stomaco, costante e spietata. Non appena il segnale delle cinture di sicurezza si spense, corsi nel bagno. La mia colazione riempì la piccola tazza in metallo in pochi secondi. Passarono cinque minuti buoni prima che mi passassero i conati. Mi aggrappai al lavandino, in piedi, fissando nello specchio una donna che non riconobbi neanche. Mi rinfrescai come potevo, bagnandomi il viso con acqua fredda e sciacquandomi la bocca, prima di tornare al mio posto.
Dio, non avevo mai sentito tanto freddo, e non mi ero mai sentita tanto sola.
Non volevo sentirmi così. Volevo che il pilota invertisse la rotta per poter andare a parlare con Kline. Volevo dimenticare che quella conversazione su TapNext fosse mai avvenuta.
Ma non avrei fatto la parte della donna che non riesce a fare un passo indietro e affrontare la realtà.
Anche se sapevo che mi avrebbe ucciso, avrei fatto la parte della donna che sa quando è il momento di scrivere la parola fine. La donna che sarebbe riuscita a concludere una relazione con un uomo, anche se lo amava, perché sapeva che non si meritava di essere trattata in quel modo.
Lui aveva detto che mi amava, mi aveva toccata e mi aveva baciata in modi che solo un uomo innamorato avrebbe potuto usare. Ma mentre lo faceva aveva anche trovato il tempo per chiedere a un’altra donna di vedersi. E queste non erano le azioni di un uomo con cui volevo una relazione.
Per l’intera durata del volo, cinque ore e mezza, la mia mente non smise di vorticare. Ogni ricordo era come una foto nella mia testa, il suo tradimento graffiava la superficie di ogni fotografia, corrompendola per sempre. Ero patetica, bloccata su un aereo senza Wi-Fi dopo aver scoperto che l’uomo con cui volevo passare il resto della mia vita agiva alle mie spalle e chiedeva ad altre donne di vedersi con lui.
Se aveva fatto una cosa così sapendo che l’altra era la mia migliore amica, cos’altro stava combinando alle mie spalle?
Sapevo che era una pazzia seguire quel flusso di pensieri, ma chi potrebbe farmene una colpa?
Cercare di risolvere la cosa parlandone con lui sarebbe stato inutile. C’era un limite a quanto potessi sopportare e una brutta rottura mi avrebbe spinto oltre quel limite. Avevo paura di cosa avrei potuto dirgli. Diavolo, avrei dovuto trattenere il fiato se mi fossi trovata nella stessa stanza assieme a lui, perché respirare la stessa aria avrebbe significato respirare lui. E il mio cuore non ce la faceva già più.
Scesi dall’aereo, con la mente annebbiata dal dolore e il cuore dalla rabbia. Volevo urlare. Volevo piangere. Volevo raggomitolarmi in posizione fetale e dormire per quarant’anni.
Prima dello screenshot che mi aveva cambiato la vita, avrei mandato un messaggio a Kline per fargli sapere che ero atterrata e invece non mi presi nemmeno la briga di riaccendere il cellulare. Perché cazzo avrei dovuto farlo? Non avevo niente da dire.
Alla fine, riuscii a trovare il nastro bagagli e prendere la mia valigia.
Avevo due opzioni. Potevo lasciare che tutto questo mi trascinasse a fondo e mi trasformasse in una persona che non volevo essere oppure trovare un modo per superarla. Avevo deciso, ormai, e non saremmo mai tornati a essere quello che eravamo prima. Lui non avrebbe mai potuto darmi una spiegazione che avrebbe rimediato a tutto questo, che ci avrebbe salvato.
Certa della mia decisione, fermai un taxi e gettai le borse nel bagagliaio prima ancora che il tassista riuscisse ad alzarsi dal sedile.
«Winthrop Building, Fifth Avenue» gli comunicai senza esitare.
Quando si fermò di fronte al palazzo, lanciai dei soldi sul sedile anteriore e saltai fuori, per prendere le mie valigie dal bagagliaio. Era pomeriggio, e avrei trovato tutti in ufficio. I miei colleghi sarebbero stati ovunque, in giro per i corridoi. Dean mi stava aspettando per andare alla riunione.
Cazzo.
Non sarei mai riuscita ad affrontare una riunione. Dovevo entrare, fare quello che dovevo e scappare a gambe levate, interagendo con meno persone possibile.
Pochi minuti dopo, stavo già uscendo a grandi passi dall’ascensore. Lanciai un cenno a Meryl e Cynthia mentre le superavo nel corridoio prima di rifugiarmi nel mio ufficio. Appoggiata contro la porta chiusa, strizzai gli occhi, mordendomi l’interno della guancia per non scoppiare a piangere.
Dio, non c’era tempo per un crollo emotivo. Avevo circa venti minuti prima che Dean irrompesse qui, pronto a condurmi alla sala riunioni.
Mi sedetti dietro la scrivania e accesi il mio computer. Le mani mi tremavano e il piede batteva contro il pavimento mentre un’energia nervosa si irradiava da me in ondate incontrollabili.
La lettera di dimissioni fu scritta a ritmo efficiente e veloce. Inviai lo screenshot della conversazione di TapNext alla mia email e stampai tutto. E poi m’incamminai per il corridoio, verso l’unico posto in cui non sarei voluta andare.
«Oh, ciao Georgia!». Leslie mi fermò mentre svoltavo l’angolo. «Il signor Brooks è tornato? La settimana scorsa mi sono scordata di dargli dei messaggi riguardo una qualche riunione...». Aggrottò le sopracciglia, il suo cervello di gallina cercava di ricordare. «Credo fosse importante, ma, cioè, non ne sono molto sicura».
«Non tornerà prima di domani».
«Oh». La sua grande bocca si spinse all’infuori, mettendo il broncio. «Tutto ok? Hai un aspetto, tipo, davvero orrendo oggi».
Wow. Come se la mia giornata non fosse già abbastanza fantastica.
Non avevo nemmeno le energie per pensare a una risposta sarcastica. Annuii e basta, perché aveva ragione: avevo un aspetto di merda.
«Ehi, ti dispiace andare nell’ufficio di Dean e dirgli che sono dovuta andare a casa? Digli che non mi sento bene e lo chiamo dopo».
Lui si sarebbe incazzato da matti con me, ma avrebbe capito. Inoltre, scommettevo sul fatto che Leslie avrebbe iniziato a blaterare senza fine sul mio aspetto smunto. Per la prima volta avrei potuto usare la sua ossessione di essere la ragazza più bella dell’ufficio a mio vantaggio.
«Uh… ok » accettò con riluttanza.
Si sarebbe detto che in quella situazione ero io la stagista che chiedeva un favore a un suo superiore.
Non appena misi piede nell’ufficio di Kline, il cuore mi si strinse. Mi guardai intorno, studiai l’ufficio familiare, osservando attentamente ogni dettaglio. Sapevo che non avrei resistito a lungo, per cui aprii un cassetto della sua scrivania alla ricerca di un foglio. Gli occhi si velarono di lacrime quando scorsi una foto di noi due negli Hamptons, appoggiata sopra tutto il resto. Eravamo seduti sul portico, il suo braccio era attorno alla mia spalla. Io guardavo nell’obiettivo, sorridendo, mentre lui teneva lo sguardo abbassato su di me, con un sorriso dolce e ammaliato sulle labbra.
Quello che avrebbe dovuto essere un ricordo felice mi faceva solo venire voglia di vomitare di nuovo.
Iniziai a chiedermi se avessi mai conosciuto davvero Kline Brooks. Dovevo uscire dal suo ufficio e tornare al mio appartamento. L’incombente crollo emotivo mi stava già serrando la gola.
Chiusi di scatto il cassetto, scrissi una breve nota sul margine superiore dello screenshot che Cassie mi aveva inviato, lo piazzai sopra la mia lettera di dimissioni.
Uscii dal suo ufficio e salii nell’ascensore, certa che non sarei mai più stata la stessa dopo questo. Sapevo che tornare a sentirmi anche solo in grado di sorridere sarebbe stata la cosa più difficile della mia vita. Sapevo che non mi sarei mai veramente lasciata alle spalle Kline.
Ma sapevo anche di meritarmi di meglio.
Mi sarei trovata un nuovo lavoro. Avrei trovato il modo di andare avanti.
E sarei stata bene, fingendo di stare bene.