Bussarono alla porta e i colpi furono come le staffilate di un punteruolo da ghiaccio per il mio mal di testa furioso. «Sì?» chiesi, con voce incrinata da giorni di struggimento amoroso e infelicità.
La porta si spalancò e si chiuse immediatamente dopo, Thatch con la sua figura la occupava completamente. «Buongiorno, mio vecchio e malinconico amico».
Strinsi gli occhi e lo fulminai all’istante. Lui lo notò immediatamente.
«Ah, già. Vedo che non è un buon momento».
Non lo era proprio. Scossi la testa.
«Non sai cosa ti stai perdendo, K. Ho del materiale nuovo e incredibile, che ho provato su Gwendolyn la notte scorsa».
Io mi strinsi il naso tra le dita e alzai la testa verso il soffitto.
Ti prego, Dio, concedimi la pazienza, in questo istante.
«Va bene, va bene» Thatch si arrese. «Non sei dell’umore nemmeno per Gwendolyn, vedo. Lo capisco».
Sospirai.
«Voglio dire, faccio davvero fatica a capirlo , sai? Io sono quasi sempre dell’umore per un po’ di Gwendolyn. O di Amber. O Yvette».
«Thatch».
«Dell’umore per Yvette di sicuro. Lei sa usare la lingua meglio di tutte».
In tutta la mia vita, non c’era mai stato un altro momento in cui fossi meno in vena per le battute di Thatch di questo istante. Non riuscivo a dormire, a malapena mangiavo. Mi mancava la mia Benny, cazzo.
Non volevo sentire parlare di nessuno e non volevo ascoltare nessuna battuta divertente. Esaurita la mia inesistente pazienza, frugai qua e là nel casino sulla mia scrivania e feci scivolare verso di lui la mia proposta per punti. Avevo fatto del mio meglio per schematizzare quello che volevo fosse il contenuto, ma non ero proprio un cazzo di avvocato. Nemmeno lui, ma avrebbe saputo cosa fare.
Le sopracciglia gli si corrucciarono mentre si concentrava e leggeva. «Non è uno scherzo, vero?» chiese Thatch, agitando il foglio davanti a sé e guardandomi dritto negli occhi. Non mi aveva mai guardato con tanta serietà prima.
L’avevo chiaramente spaventato.
«Sono serio come un infarto» confermai.
«K...».
«Fallo e basta!» sbottai. Feci roteare il collo a destra e sinistra e buttai fuori un respiro profondo per calmarmi.
Cazzo , ero tesissimo. Più di quanto non lo fossi mai stato in tutta la mia maledetta vita e avevo i nervi a pezzi. Se le persone non avessero iniziato a fare quel che dicevo loro di fare, esattamente quando gli dicevo di farlo, correvo il rischio di perdere la testa del tutto.
Lui scosse la testa sdegnato ma, o la mia mente completamente partita mi faceva vedere cose che non esistevano o le sue labbra si stavano incurvando all’insù sempre di più a ogni scossa della testa. «Sei un figlio di puttana bello pazzo, lo sai?» chiese, con le labbra dispiegate in un vero e proprio sorriso.
Ora sapevo che non me l’ero immaginato. Io annuii un paio di volte, ma poi l’intensità della sua felicità mi fece passare a scuotere la testa. «Perché hai quel sorriso da pazzo?».
«Perché» disse, mostrando ancora una volta un’inusuale serietà, «sono maledettamente contento di vederti tanto felice».
Felice? Ma era fatto? Non ero mai stato tanto miserabile, cazzo.
«Bello, non sono mai stato tanto miserabile».
Quasi si strozzò con una risata. «Sì, ma vedi, questo è il rovescio della medaglia. Essere follemente innamorati può significare solo due cose». Indicò ciascuna delle due opzioni sulle dita. «O essere follemente felici o essere totalmente annientati. O è l’una o è l’altra, e dipende tutto da un solo dettaglio: se l’altra persona ti ricambia oppure no».
Agitò il foglio che aveva in mano. «Ti ammiro. Hai fatto una cazzata, ma almeno stai cercando di rimediare. Questo fa di te un uomo. E un vero uomo, quando si trova nella merda fino al collo, prende una pala e inizia a scavare».
Mi spuntò un sorriso per la prima volta in due giorni. «Cerca solo di assicurarti che non mi ci vorranno quattro anni a uscire da questa pila di merda, ok?».
«Avrò il contratto pronto per venerdì, al più tardi. Ci sarà un po’ di burocrazia da sbrigare, ma puoi ringraziarmi ancora una volta per averti convinto a non cedere e creare un’azienda con un consiglio di amministrazione. Saresti fottuto alla grande, altrimenti».
Scossi la testa.
Lui si voltò per tendere l’orecchio verso di me, inarcò un sopracciglio e mi spronò con la mano.
Alzai gli occhi al cielo, ma stetti al gioco. «Grazie, Thatch, per avere avuto tale lungimiranza e avermi reso possibile compiere un ultimo disperato plateale gesto romantico in nome dell’amore senza ritrovarmi completamente fottuto».
Lui accennò un inchino, portandosi una mano sul petto e l’altra dietro la schiena. «Non c’è di che».
Squillò il telefono dell’ufficio, così feci il giro attorno alla scrivania e incontrai interrogativo il suo sguardo. Lui mi indicò di rispondere con un cenno.
«Brooks» risposi brusco.
«Kline, Kline, Kline» disse Wes con disappunto nella voce.
Cristo . Non sapevo se avevo abbastanza energia per sopportarli entrambi.
«Non è davvero un buon momento, Wes».
«Non lo è mai...».
Vero.
«Ma c’è una cosa che credo tu voglia sapere» mi provocò.
Come un pesce affamato, abboccai all’amo senza pensarci due volte.
«Cosa?».
«Abbiamo appena tenuto un colloquio con una potenziale nuova impiegata...».
Dannazione , quel giorno avevano tutti deciso di rompermi i coglioni: uno con le sue nuove conquiste e l’altro con le sue nuove impiegate. Io non volevo sapere né delle une né dell’altre.
«Wes...».
«Una ragazza davvero carina. Un metro e cinquantacinque, cinquantasette al massimo, ma Dio che bel corpo che aveva».
Il mio stomaco ebbe un sobbalzo d’euforia e si rivoltò per la nausea contemporaneamente. Wes rimase in silenzio all’altro capo, in attesa.
«L’hai vista?».
«No, io no. In questo momento è in ufficio con il direttore. Lui mi ha chiesto di chiamarti e controllare le sue referenze durante il colloquio però, visto che la ragazza gli è piaciuta immediatamente e vuole farle un’offerta senza perdere tempo».
Le parole mi bruciarono in gola mentre le pronunciavo. «Saresti un fottuto idiota a non assumerla».
«Proprio vero».
Io non avevo mai provato la voglia di tagliare la gola a un amico, ma immagino ci fossero un tempo e una circostanza adeguati per tutto.
Thatch continuò a guardarmi mentre io lottavo per mantenere la calma. Certo, avevo un piano, ma non avevo idea di come lei avrebbe reagito. Avrei potuto benissimo finire con una fregatura magistrale.
Anche se così fosse stato, volevo comunque il meglio per lei.
«Solo… prenditi cura di lei, ok?». La mia voce non sembrava neanche la mia e Thatch distolse lo sguardo. Nemmeno quel fottuto bue riusciva a sopportarla.
«Sai che lo farò, amico».
Io annuii alla cornetta, la gola stretta dal pianto e quando il mio stesso gesto mi fece pensare a lei, una singola lacrima sfondò la mia maledetta barriera.