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Georgia

«Tesoro, qui è un manicomio! Dove diavolo sei stata? Hai la più pallida idea di cosa stia succedendo?» mi urlò Dean nell’orecchio, senza nemmeno un semplice “Ciao” o “Come stai?”

Io allontanai di scatto il cellulare dell’orecchio, una smorfia di dolore mi torse la bocca.

Gesù, c’era qualcosa che doveva averlo sovreccitato davvero. Me lo immaginavo camminare avanti e indietro, con il corpo tremante dalla necessità di riferire a qualcuno il gossip che aveva appena sentito. Se c’era una cosa per cui Dean era grandioso quando ero… sì, in quel posto di cui non vorrei mai più parlare , era tenere le orecchie ben aperte e captare scoop e segreti su tutto e tutti .

«Dammi un minuto, Dean. Sto cercando di starti a sentire, ma mi hai sfondato un timpano». Mi sedetti alla mia nuova scrivania, nel mio nuovo ufficio.

Anche se il lavoro era fantastico, offriva benefit incredibili e solo il salario mi aveva fatto strabuzzare gli occhi quando avevo esaminato il contratto, ancora non mi sentivo a casa. Non provavo quel senso di sollievo in cui avevo sperato. Mi sentivo semplicemente… intorpidita. Come se qualcuno mi avesse prelevata dal mio appartamento e lasciata cadere in mezzo al nulla, senza la minima istruzione o rassicurazione.

Ma io sapevo di poter affrontare la sfida e sfondare in questo lavoro. Avevo imparato dal migliore, un uomo che aveva iniziato a costruire il suo impero multimiliardario quando era solo uno studente diciannovenne di Harvard. Vaffanculo a te, Kline Brooks.

«Georgia» mi richiamò, ignorando la mia frecciatina. «Ascoltami. Bene. Qua è un casino. Alla Brooks Media stanno tutti perdendo la testa!».

Ok, quello attirò la mia attenzione.

«Cosa? Perché?».

«L’umore di Kline passa unicamente da totalmente pessimo a gigantesco cazzone. E non nel senso buono».

Sbattei le palpebre parecchie volte, cercando di elaborare quell’informazione.

«Georgie? Pronto-o? Ci sei?».

Deglutii lo shock. «Sì, sono qui».

«Non è incredibile? Kline Brooks, l’uomo che non alzava quasi mai la voce, il gentiluomo a tutti costi, è diventato il genere di capo che i suoi impiegati fanno qualsiasi cosa per evitare. Quando si dice...».

Non potevo sopportare altro. Non volevo proprio sapere di Kline e del suo pessimo umore.

«Dean, non ce la faccio» lo interruppi, prima che potesse proseguire. Il solo pensiero di Kline mi aveva fatto guadagnare maledizioni dal mio stomaco per aver mangiato un panino alla salsiccia da McDonald’s per colazione. «Non posso sentire queste cose. Ti voglio bene. Mi manchi. Ma non ce la faccio a sentire parlare di niente che riguardi Kline Brooks».

«Oh. Mio. Dio!». Esclamò. «Il mio senso di ragno mi diceva che c’era qualcosa di strano nel tuo licenziamento improvviso, ma l’avevo ignorato, pensavo che volessi solo guardare bei culetti nello spandex tutto il giorno. E, ragazza mia, non te ne facevo davvero una colpa. Diamine, avrei fatto un sacco di cose, e sottolineo cose sporche, da far arrossire quei maschioni del football per ottenere un lavoro del genere».

«Non ho accettato questo lavoro per guardare bei culetti nello spandex, Dean» mugugnai.

«Beh, adesso lo so! È incredibile che non me ne sia accorto prima».

«Accorto prima di cosa?».

«Ti sei fatta il capo!». Sospirò teatralmente. «Sono così geloso».

«Non esserlo». Sbuffai, irritata. «Kline Brooks sarà anche bravo a letto, ma è ancora più bravo a spezzarti il cuore in mille pezzi».

«Oh, no, eh!». Sentii dalla cornetta che aveva veramente schioccato le dita per tre volte. «Cos’è successo?».

«Un giorno, quando non mi verrà voglia di vomitare e piangere solo a sentire il suo nome, ti racconterò tutti i dettagli più crudi. Ma in questo momento non ce la faccio proprio a parlarne».

«Dannazione, tesoro. Mi dispiace tantissimo. È finita così male?».

«Moltiplicalo per mille volte e sì, è finita così male».

«Se non avessi addosso il mio tre pezzi di Gucci, porterei il mio culetto dritto nel suo ufficio e gli darei un bel cazzotto».

L’immagine mi fece ridere. «Non hai mai dato un cazzotto in vita tua».

«Solo perché io sto sotto, tesoro. Gli uomini della mia vita mi preferiscono ben curato e con una perfetta manicure. I cazzotti rovinerebbero le mie mani delicate».

«Aspetta... stai sotto?».

«Beh… non sempre sempre , però sì, preferisco essere cavalcato».

Feci una smorfia. «Gesù. Sono ancora le nove di mattina, è troppo da digerire».

«Me l’hai chiesto tu, sai, bambola» disse ridendo. «Mi manca avere la mia diva qui in ufficio. Dimmi che ci vediamo presto per un drink».

«Contaci».

«E se ti viene la curiosità di sapere cosa un certo qualcuno...».

Lo interruppi prima che potesse riprendere l’argomento. «No. Non succederà mai. Ma troverò del tempo per te. Chiamami questo fine settimana e organizziamo qualcosa».

«Ok, amore mio. Ci sentiamo».

Conclusa la chiamata, mi dedicai completamente alle cento pagine di fogli di Excel che la direzione mi aveva inviato. Divenne immediatamente chiaro che lo stronzo che aveva ricoperto questa carica prima di me se ne fregava completamente di registrare le spese. La squadra si sarebbe potuta ritenere già fortunata se gli investimenti nel marketing fossero andati in pari alla fine del trimestre fiscale.

Non c’era da stupirsi che gli avessero mostrato la porta e dato a me il lavoro in un batter d’occhio. Tre leggeri colpi sulla porta attirarono la mia attenzione. «Avanti» risposi, alzando lo sguardo dal computer.

Un giovanotto sui vent’anni, dall’aria troppo tenera per descriverla a parole, entrò titubante. Il logo di un corriere era stampato sulla sua polo blu. Tra le mani stringeva una busta spessa.

«Georgia Cummings?» chiese, fermandosi davanti alla mia scrivania.

«In persona». Mi alzai dalla sedia. «Come posso aiutarti?».

«Consegna urgente per lei». Estrasse un piccolo tablet nero dallo zaino. «Potrebbe mettere una firma qui?».

«Uh, certo...» risposi, leggermente confusa. «Ma sei sicuro che è per me? Non aspettavo niente, oggi».

«È sicuramente per lei. Mi hanno ordinato di venire immediatamente qui».

Mi si alzò un sopracciglio. «Davvero?».

Annuì, tenendo il tablet verso di me perché firmassi.

«Ti hanno detto chi lo manda?» domandai ancora, firmando per poi prendere la busta dalle sue mani.

Lui scosse la testa e alzò le spalle. «Non ne ho idea, ma, a quanto sembra, è davvero importante».

«Ok, allora, grazie».

Io esaminai il fronte della busta in carta marrone, alla ricerca di qualche indizio. Trovai solo il mio nome e l’indirizzo dell’ufficio scritti al centro alla busta, assieme alle parole: «Urgente. Da aprire e leggere immediatamente ».

«Buona giornata, signorina Cummings».

«Grazie. Anche a te» mormorai.

Feci scivolare le dita sotto la linguetta della busta, rompendo il sigillo. Ancora confusa, estrassi una spessa pila di documenti legali e diedi una scorsa alla prima pagina.

Contratto di compravendita di azienda
Questo contratto viene stipulato nel giorno lunedì 15 ottobre.

Tra

1. Kline Matthew Brooks, Brooks Media (il “Venditore”) e

2. Georgia Rose Cummings (“l’Acquirente”).

Il presente contratto di compravendita aziendale (il “Contratto”) è redatto e stipulato lunedì 15 ottobre, da e tra, Kline Matthew Brooks, la cui sede principale degli affari è situata presso Brooks Media, Fifth Avenue 15, New York, stato di New York (il “Venditore”) da una parte e Georgia Rose Cummings (“Acquirente”) dall’altra. Il Venditore e l’Acquirente sono collettivamente denominati (le “Parti”) e viene fatto loro riferimento individualmente come (“Parte”).

PREMESSO CHE:

Il Venditore è il proprietario dell’azienda Brooks Media, con sede al 15 di Fifth Avenue, New York, stato di New York (“Azienda”).

Ciò premesso, per e in considerazione degli accordi reciproci e dei benefici derivati e che saranno derivati in futuro dal Contratto per le due Parti e in considerazioni degli altri beni e valori, la cui ricezione e adeguatezza sono ivi riconosciute, Venditore e Acquirente concordano quanto segue:

Contratto di compravendita

Soggetto e in accordo ai termini e condizioni del presente Contratto.

L’Acquirente si impegna ad acquistare l’Azienda dal Venditore, e il Venditore accetta di vendere l’Azienda all’Acquirente. Il Venditore dichiara e garantisce all’Acquirente che ha (e l’Acquirente otterrà) titolo valido e commercializzabile per disporre dell’Azienda, e che la suddetta è libera da qualsiasi onere e gravame.

Prezzo di acquisto e Metodo di pagamento

La Brooks Media, tutte le azioni e investimenti, nonché le corporazioni di proprietà della stessa, sono valutati al netto per 3,5 miliardi di dollari, a questi si aggiunge la proprietà di un (1) gatto morbidoso, Walter Brooks.

Il prezzo di acquisto è fissato a un appuntamento alle ore 10:00 presso gli uffici della Brooks Media nella giornata odierna, ovvero 15 ottobre. L’Acquirente concederà al Venditore quindici (15) minuti di tempo, ininterrotti, per dare al Venditore la possibilità di spiegarsi. Una volta terminato il periodo di tempo di quindici (15) minuti di tempo, l’Acquirente potrà decidere di firmare il presente contratto e assumere il titolo di CEO e Presidente della Brooks Media senza alcun gravame.

Smisi di leggere, rimasi a fissare le parole completamente sgomenta.

Mi stava vendendo, macché , mi stava donando la sua azienda? Così, come niente? Kline Brooks mi cedeva la sua azienda e la sua fortuna in cambio di quindici minuti del mio tempo?

Ah, e mi cedeva anche Walter, come ciliegina sulla torta?

Ma che cazzo voleva dire?

Le ginocchia mi crollarono e fui contenta che il mio sedere si trovasse vicino al bordo della scrivania. Mi aggrappai alla superficie di mogano e cercai di respirare nonostante il peso che si faceva sempre più opprimente sul mio petto.

Aveva davvero, davvero perso la testa. Cosa diavolo pensava che avrebbe risolto in questo modo? Pensava che gli sarei svenuta tra le braccia solo perché valeva oltre tre miliardi di dollari? Pensava di potermi comprare con i suoi soldi?

Fanculo. Non mi sarei mai fatta comprare. Mai.

Aveva mandato tutto in malora. Ci aveva rovinati. La fine della nostra storia era interamente colpa sua e io ero più che pronta a gettargli quello stupido e oltraggioso contratto in faccia. Di. Persona.

Afferrai la borsa dalla mia scrivania ma, quando raggiunsi la porta del mio ufficio, mi bloccai di scatto.

«Oh, buongiorno» mi salutò Frankie Hart. Al suo fianco si trovava un uomo molto attraente, che fece suonare dei campanelli d’allarme nella mia mente. Avevo già visto la sua faccia da qualche parte…

«Georgia, permettimi di presentarti Wes Lancaster, proprietario dei Mavericks. Non vede l’ora di iniziare...».

«Wes Lancaster? » lo interruppi, mentre la mascella mi cascava praticamente fin nella borsa.

E immediatamente i campanelli d’allarme diventarono pezzi di un puzzle che si incastrarono a formare un’immagine molto chiara. Conoscevo quel volto perché l’avevo visto in foto, nell’appartamento di Kline.

Era il Wes che completava il trio Kline, Thatch e Wes. Insomma, ma davvero ? Dovevano per forza essere tutti e tre bellissimi?

«In persona». Annuì, un sorriso attraente gli incurvò le sue perfette e stupide labbra. «Frankie mi ha parlato benissimo di te. Sono davvero contento di averti in squadra con noi».

Io mi limitai a fissarlo. Senza parole. Tutto quello che pensavo di essermi sudata durante il colloquio andò in fumo. Ebbi la sensazione di trovarmi là solo grazie a Kline. Come potevo essere stata tanto stupida? Nessuno viene richiamato tanto in fretta dopo un colloquio, cazzo, per quanto l’azienda abbia bisogno di trovare in fretta qualcuno per coprire una posizione.

«Dimmi, Wes , ti sei consultato con Kline prima o dopo il mio colloquio?» sbottai.

Naturalmente avevo perso la testa. Ero lì, in piedi, ad attaccare il proprietario dei Mavericks.

Il mio capo. Ero lì ad attaccare il mio capo il primo giorno di lavoro.

«Ecco...» si schiarì la gola, visibilmente a disagio. «Mi ha detto che sarei stato un idiota se non ti avessi assunta».

Guardai storto. Il. Mio. Nuovo. Capo.

«Non ti abbiamo offerto il lavoro solo grazie a lui. Frankie mi ha mostrato la presentazione delle tue vecchie campagne di marketing. Mi ha parlato delle tue idee. E mi sono piaciute tantissimo».

Per qualche motivo ignoto, sembrava più preoccupato di calmarmi che offeso dal mio comportamento poco professionale. Perché, diciamoci la verità, non mi stavo decisamente comportando come una professionista: fino a quel momento gli avevo sbottato contro, lo avevo guardato storto e mi ero anche data il permesso di dargli del tu e chiamarlo per nome.

E io conoscevo il motivo per cui non si sentiva insultato.

Kline figlio-di-puttana Brooks.

Wes scorse con la coda dell’occhio il contratto appallottolato nella mia mano. «Chiaramente non è un buon momento e mi sono appena ricordato di avere una riunione telefonica alle nove e mezza». Guardò platealmente il suo orologio. «E sono già le nove e trentadue. Sarà meglio che vada».

La testa di Frankie si piegò di lato, in confusione. «Ma… pensavo non fosse prima di mezzogiorno?».

«Ti sbagli, l’hanno spostata». Wes scosse la testa. «È stato un piacere conoscerti, Georgia» si congedò, spingendo via il confuso Frankie dalla mia soglia. Guardò chiaramente il contratto prima di tornare a ricambiare il mio sguardo. «Sono suo amico da anni, perché so che è una brava persona. Non essere troppo dura con lui» aggiunse, prima di incamminarsi nella direzione opposta.

Prima Kline Brooks mi faceva innamorare di lui, poi mi spezzava il cuore.

Ora chiedeva un favore al suo migliore amico per farmi avere un nuovo lavoro, prima di mandarmi per corriere un contratto in cui mi cedeva il suo intero patrimonio.

Ma ci trovavamo nella vita reale? O era tutto un maledetto scherzo grandioso di Kline? Lo shock dell’incontro con Wes fu presto sostituito dalla rabbia. Uscii di gran carriera dal mio ufficio e non mi presi nemmeno la briga di dire alla mia segretaria che stavo uscendo. Diamine, dopo lo spettacolino che avevo dato di fronte al capo, sarei stata scioccata se avessi avuto ancora un lavoro ad aspettarmi al mio ritorno.

Ma non mi interessava ripensare a quell’orribile e imbarazzante incontro nella mia testa. Ero completamente focalizzata sul raggiungere l’ufficio di Kline e fargli sapere cosa pensavo della sua offerta.

Non appena misi piede giù in strada, chiamai un taxi e sentii un’ondata di adrenalina fluirmi per le vene perché, di lì a meno di dieci minuti, gli avrei infilato quell’offerta ridicola su per il didietro.