6.
Anton
Cannes, 8 febbraio 2019
Arriviamo al porticciolo turistico dove Bruno ci attende sulla banchina assieme a Lefebvre di fronte all’attracco del suo yacht.
«Michelle non voglio litigare ma è meglio…», inizio a dirle con un certo timore, perché non voglio farla arrabbiare, ma lei mi sorprende mettendomi una mano sulla spalla e sorridendomi.
«Sì, è meglio se io rimango con il cliente mentre Bruno viene con voi. Lo so, tranquillo, resterai sempre il mio pilota preferito, anche se sei uno zuccone.»
La guardo nello specchietto retrovisore e mi perdo nei suoi occhi castani caldi come la cioccolata e mi imbambolo a fissarla, almeno finché scende dall’auto e va incontro a Bruno.
Sento che dice all’Orso: «Resto io con René, tu sali in auto e recupera Isabel. È lei l’obiettivo adesso, non più il cliente, quindi ha bisogno di tutta la copertura possibile.»
Sono fiero di lei!
Bruno non se lo fa ripetere due volte e appena sale in auto metto la prima ed esco dal porto. L’Orso mi indica la strada e in pochi minuti arriviamo al La Guarida
, il locale di René che è andato a fuoco il mese scorso e che ha messo in vendita.
La porta è accostata e Andres si preoccupa.
«Meglio se state indietro.»
Bruno lo tranquillizza dicendo che la porta non si può più chiudere a causa dei danni dell’incendio e che era aperta anche prima.
«Capitano, con tutto il rispetto, vado avanti io, sei ancora convalescente e se ti capitasse qualcosa Isabel mi staccherebbe la testa.»
L’Orso lo supera e io e Andres lo seguiamo all’interno.
Di certo questo posto doveva essere stupendo prima dell’incendio, ci sono colonne annerite, quel che resta di un bancone di legno intarsiato, doveva essere davvero splendido, che peccato!
La puzza di bruciato mi pizzica il naso e mi entra dentro la testa, mi ferma le sinapsi e manda in corto circuito tutti i miei pensieri. Una vampata di calore mi avvolge e il sudore inizia a scendermi lungo la schiena, boccheggio. Poi un brivido mi attraversa e tremo, come se non avessi mai sentito tanto freddo in vita mia. Vengo investito dai ricordi con la forza di un treno, mi schiacciano a terra e mi bloccano le gambe, non riesco a muovere un muscolo. Sono congelato dall’orrore e mi manca l’aria. Una voce dentro di me mi urla di scappare, di darmela a gambe levate, ma non riesco a muovermi. Bruno mi supera e lo spostamento d’aria porta con sé una zaffata di puzza di rivestimenti marci che si sovrappone all’odore di fumo. È quello che mi serve per tornare in me.
L’acqua, l’acqua ha spento il fuoco, non c’è nessun incendio.
Stringo forte le dita e inspiro il rancido che mi penetra nel cervello e mi schiaffeggia con il suo tanfo. Il cuore ritorna a battere con calma.
Sono a Cannes, non a Grasse. Sono qui perché Isabel ha bisogno di me.
Devo muovermi, porto avanti un piede e mi faccio violenza per avanzare. Sono passati anni ma questo odore mi ha ributtato nella buca della mia paura più nera.
Ho ancora i brividi, ma stringo i denti e nascondo il ragazzino tremante in un angolo della mia mente. Fisso le spalle possenti di Bruno e lo seguo lungo un corridoio.
«Isabel voleva fare delle foto del punto d’innesco dell’incendio», ci spiega mentre iniziamo a scendere la scala con prudenza.
Abbiamo tutti le nostre armi, io chiudo la fila perché alla fine Andres è riuscito ad andare avanti. Nessuno di loro due si è accorto del minuto di panico che mi ha assalito, la loro determinazione mi aiuta a restare qui e ora. Stiamo cercando Isabel, lei ha bisogno di noi. Fisso la mia mente su un unico obiettivo: trovarla.
Illumino con la torcia del mio telefono la tromba delle scale e quando arriviamo in fondo Bruno esclama: «Laggiù, c’è qualcosa.»
Punto la luce nella direzione che mi indica e a terra c’è un’arma, non una qualsiasi, la Sig Sauer di Isabel, la riconosco subito perché è l’unica della squadra ad avere quell’arma, retaggio del suo passato nella gendarmeria.
«Ha lasciato qui la pistola di Isabel, Gastone è un’idiota, lo è sempre stato, ma l’ha disarmata», dice Andres che si è chinato a raccoglierla. La sua voce è così tesa che temo stia per crollare.
«Coraggio, torniamo in auto, la troveremo», gli dico, sul Range Rover ho quello che mi serve per rintracciarla.
Bruno e Andres non fanno domande e mi seguono all’esterno, via da quella puzza nauseabonda, via dalla paura strisciante che mi blocca la mente. Inspiro a fondo l’aria pulita e apro il portellone posteriore, tiro fuori il portatile e mi siedo sul lato passeggero mentre mi rivolgo ad Andres: «Io cerco di rintracciarla, tu guida.»
Mentre il laptop si avvia, i miei amici salgono in auto.
«Dove andiamo?», chiede Bruno con una voce che mette i brividi per quanto è arrabbiato. Isabel è la sua migliore amica, quei due sono fratelli di anima e so che l’idea che sia in pericolo non lo fa ragionare, lo so perché anche le mie dita, di solito così agili sulla tastiera si inceppano per quanto sono nervoso.
Con la visione periferica noto le nocche bianche di Andres, sta stritolando il volante, nessuno di loro due ha la freddezza necessaria per aiutare Isabel in questo momento. Devo farlo io, e lo farò con l’aiuto di questo favoloso Lenovo che ho assemblato personalmente.
«Dimmi che ce l’hai», sbuffa Bruno e… cazzo, sì!
«Eccola! Qui c’è il suo telefono, vanno a est.»
Andres mette in moto mentre io poso il portatile sul cruscotto così che veda lo schermo e la direzione che ha preso il rapitore di Isabel.
«Sembra stia andando al porto», gli spiego mentre gli indico il puntino luminoso che corrisponde al telefono di Isabel.
«Forse ha una barca, magari è lì che la sta portando», ipotizza Valerj e credo proprio che abbia ragione.
Ritorniamo da dove siamo venuti, ma quando siamo quasi arrivati la luce si spegne.
«Merda! Il segnale è cessato, avrà capito di doversi disfare del telefono», sbotto mentre Andres accosta.
«Dove esattamente è sparito il segnale?»
«Darsena 32», gli rispondo.
«Bene, andiamo lì!»
Ripartiamo e il suo cellulare inizia a squillare dentro il portaoggetti dove l’ha posato, lo prendo e rispondo al posto di Andres mettendo
il viva voce perché, mi spiace per la sua privacy, ma Valerj è così agitato che non può guidare e telefonare allo stesso tempo.
«Valerj, ci sei?», domanda una voce di donna.
«Sì, Marinon, dammi buone notizie perché ne ho bisogno.»
«Che succede?»
«Gastone Debert ha rapito Isabel, abbiamo trovato la sua arma abbandonata, stiamo andando in una darsena al porto di Cannes, dove è scomparso il segnale del suo telefono. Mandami rinforzi, forse dovremo perquisire tutta l’area.»
«Porto? Aspetta, dopo la tua telefonata ho cercato informazioni e ho scoperto che Fournier ha, oltre a un paio di case sulla costa, anche una barca a vela, ho pensato di avvisarti perché è ormeggiata nel porto di Cannes.»
«Hai fatto bene e dimmi come si chiama la barca?», chiede con impazienza Andres.
«Aspetta che controllo, ah sì, Elodie
, si chiama Elodie
.»
Il capitano diventa pallido come un morto mentre saluta la gendarme e io riaggancio. Mi riprendo il Lenovo e comincio a cercare l’attracco di questa Elodie
.
Andres freme di rabbia mentre mi dice: «Cerca nel registro del porto dove è attraccata la Elodie
.»
«Per chi mi hai preso? Lo sto già facendo. Un minuto e lo sapremo», rispondo e lui sembra un po’ rilassarsi ma poi spiega a me e Bruno perché era così teso.
«Lo stronzo ha chiamato la barca con il nome che usava Isabel durante l’operazione in cui ha finto di essere la sua donna. Abbiamo inscenato la nostra morte a fine missione e lui non poteva sapere di Isabel, ha chiamato la sua barca Elodie
in memoria di una morta.»
«Merda! È da malati. Dopo tutti questi anni ha scoperto che in realtà era viva e che era lei ad averlo fregato, figurati quanto sarà incazzato, se l’è legata al dito», considera Bruno.
«Già, temo sia proprio una cosa personale. Marcel è uscito di prigione per buona condotta e Gastone è sempre stato il suo tirapiedi.»
Ci sono delinquenti che non si scordano mai dei torti subiti, lo so per esperienza, e il fatto che questo Marcel ce l’abbia con Isabel mi rende nervoso, capisco perché Andres sembri completamente fuori
di testa.
«Nel registro dicono che nella Darsena 20 c’è un’imbarcazione che si chiama Elodie
.»
Andres in pochi minuti ci porta il più vicino possibile al numero venti.
Scendiamo dall’auto e devo stare attaccato ad Andres, Bruno non mi è d’aiuto, sono entrambi troppo agitati. Scommetto che stanno pensando di salire su quella barca sparando come dei pistoleri del Far West, cazzo!
Non è necessario dire loro di calmarsi perché un uomo esce sul pozzetto dell’imbarcazione e percorre con serenità la passerella fino a scendere sul molo.
Valerj gli corre incontro e l’uomo alza le mani.
«Salve capitano, o dovrei dire Nick? Quanto tempo! Stai proprio bene considerato che dovresti essere morto da cinque anni.»
«Zitto, dimmi dov’è!», ringhia il capitano.
«Chi? Non so di cosa tu stia parlando.»
Bruno lo prende per il collo e Gastone sogghigna.
«Non puoi picchiarmi, sono un cittadino disarmato che non ti sta minacciando in alcun modo e ho anche dei testimoni» e indica una coppia di anziani che ci guardano dalla barca ormeggiata accanto.
Questo deficiente non ha davvero idea dell’uomo con cui ha a che fare e resto a godermi la scena.
«Allora è una fortuna che non sia un gendarme», dice Bruno e poi gli dà un pugno nello stomaco che lo piega a metà. «Dove l’hai rinchiusa? Dimmelo, bastardo, o non ti resterà neanche un dente in bocca!»
Ora è il caso che mi muova, fine dello spettacolo. Fermo Bruno prima che lo ammazzi di botte. Andres afferra il mento di Gastone.
«Parla, il rapimento è un reato grave, molto più grave del furto d’auto.»
Lo stronzo gli sputa addosso e Andres fa un passo indietro mentre io libero le braccia di Bruno che si fa avanti e, neanche a dirlo, l’idiota finisce per sputare sangue e un dente.
«Non la troverete, non la rivedrete più. Puoi anche spaccarmi la faccia ma quella troia non la rivedrai più», bofonchia Gastone.
Andres va fuori di testa, lo afferra per il bavero della giacca e lo
scrolla ma l’uomo ha gli occhi vuoti, come se fosse stordito.
«Parla, ora!»
Devo fermarlo, è un capitano della gendarmeria, un conto è Bruno, un altro è Andres.
«Non ci serve, io so come trovarla, quest’uomo ci fa solo perdere tempo. Fidati.»
Andres mi fissa come se non mi credesse, lancia uno sguardo a Bruno che annuisce. Solo allora molla la presa su Gastone che crolla a terra come il sacco di merda che è e rimane giù.
«La gendarmeria ti prenderà in consegna e avrai quello che meriti.»
Con il cellulare chiama il capitano Marinon, ma io sono già in auto e sto aprendo un programma che ho creato per entrare nei circuiti dei sistemi di vigilanza.
Quando Andres arriva con Bruno gli spiego.
«Guarda in alto, vedi quella meravigliosa telecamera del porto, ora vediamo chi se n’è andato da qui. Et voilà!»
Giro lo schermo così che veda anche lui una berlina nera, una BMW, arrivare fino alla Elodie
, l’uomo che scende lo riconosce subito.
«È lui! Quel bastardo di Marcel Fournier.»
Le immagini sono molto preoccupanti, si vede Gastone scendere dalla barca con Isabel in braccio. Marcel apre la portiera del passeggero e Gastone la posa con cura all’interno dell’abitacolo. Marcel sale in auto e va via, dopo poco arriviamo noi.
«Dannazione! Per due minuti, due fottutissimi minuti!», sbotta Bruno.
«Dimmi che hai qualche idea, genio del computer, perché Isa ha davvero bisogno di noi.»
Il tono di voce di Andres e tutto il suo viso sono quasi una supplica e, merda, nel video Isa pareva morta. Un brivido mi scende lungo la schiena, no, non può essere morta. Inspiro e penso, devo pensare. Devo concentrarmi.
Ho la targa dell’auto ma fuori dal porto ci vorrebbe troppo tempo per agganciarsi alle altre telecamere. Come posso seguire quel bastardo?
Ma certo!
Mi volto verso Andres: «Come hai detto che si chiama lo stronzo?»
«Marcel Fournier.»
«Scommettiamo che ha il telefono acceso?», chiedo divertito. Quelli come il tizio che ho visto non pensano mai che ci sia qualcuno di più furbo di loro, ma indovina Marcel?
Io sono più furbo e più cattivo di te.
Mentre entro nel database dei principali gestori telefonici e lancio la ricerca, sentiamo il suono delle sirene e Andres torna con Bruno sulla banchina dove Gastone è riverso a terra.
Mentre parlano con la gendarmeria io trovo una corrispondenza con un contratto sottoscritto questo mese con Iliad.
È una fortuna che sia proprio la Iliad perché ho già hackerato i loro sistemi assieme a Michelle. Ed ecco fatto, in pochi attimi sono dentro.
Riapro il programma di prima e un nuovo puntino luminoso si accende sulla mappa.
«Beccato!», dico a voce alta per attirare l’attenzione dei miei amici. «Sta tornando verso Nizza. Venite, ho il segnale, possiamo seguirlo.»
Andres viene trattenuto un attimo dalla gendarme, poi torna al Range Rover e mi propone di guidare perché la sua amica, il capitano Marinon, gli sta mandando la posizione della casa che Fournier ha nel paesino di Cagnes sur Mer.
«Scommettiamo che stanno andando lì?»
Gli affido il portatile e vado al posto di guida. Partiamo sgommando, tra le indicazioni della gendarmeria e il segnale che ho agganciato, riusciremo a prendere quel bastardo.
Isabel, tieni duro!