27.
Michelle
Sono contenta che tra me e Anton ci sia stata una specie di intesa, senza recriminazioni. Caroline è rimasta con René e Bruno, dopo che la Marinon è uscita con Anton.
Noi due siamo tornati alla DBM per controllare i filmati delle videocamere e ora averlo così vicino mi fa stare bene.
Siamo rimasti in silenzio per venti minuti ma alla fine mi giro e lo guardo. È concentrato e il riflesso dello schermo gioca con il suo viso.
«Devo scusarmi con te.»
Lui si volta, poi torna a guardare lo schermo e blocca il video.
«Michelle, non so se questo sia il momento…»
Mi alzo e vado vicino a lui, mi ero messa lontana, ma voglio toccarlo mentre gli parlo.
Gli passo una mano tra i capelli e lui si piega verso di me, come un gatto che vuole le coccole.
«Michelle…»
«Ti voglio bene, e non mi importa se ti chiami Nikolay, Anton o Jonathan, io ho perso la testa per te.»
Lui mi prende la mano, si alza e mi attira a sé. Le sue dita mi accarezzano le guance.
«Non avrei mai voluto farti soffrire, volevo proteggerti, l’unica cosa a cui pensavo era proteggere tutti voi. Mi hai colto di sorpresa e ho detto cose assurde. Tu e i ragazzi, la DBM, siete l’unica famiglia che mi rimane e farei di tutto per tenervi al sicuro, anche mentirvi.»
Ora sono io a piegare la testa come un gatto.
«Lo so, l’ho capito.»
Occhi negli occhi mi perdo nel mare ghiacciato e pure così caldo del suo sguardo.
Le sue labbra si posano leggere sulle mie, io però non ho bisogno di dolcezza, ho bisogno che scacci ogni dubbio, ogni remora e gli accarezzo le labbra con la lingua. Lui mi risponde come sa, bruciando di desiderio e invadendo la mia bocca.
Lo stringo a me, voglio sentire il suo corpo, essergli di nuovo vicina, trasmettere tutto quello che provo con i gesti.
Quando si stacca da me è senza fiato.
«Michelle…»
Lo bacio sulle labbra e lui sorride.
«Troviamo chi sta facendo del male a René e poi torniamo a Parigi, voglio parlare con tuo padre, perché non posso perderti, ora che ti ho trovata non ti lascerò più andare.»
Mi aggrappo al suo collo e lo bacio, lui mi accarezza la schiena e mi stringe il sedere, spingendomi contro di lui e sento tutta la sua eccitazione.
Un colpo di tosse ci fa sussultare.
Andres ci osserva divertito.
«Immagino di essere arrivato al momento sbagliato.»
«No», dico io in imbarazzo, mentre in contemporanea Anton risponde: «Sì, il momento peggiore.»
Il capitano ride.
«Esco e rientro, ok?»
Mentre si volta per uscire, do un colpo sul braccio ad Anton e gli dico seria: «Io, te e un letto, il prima possibile, ma ora si lavora.»
Mi bacia e poi dice: «Ok, chiama Andres, un paio d’occhi in più ci faranno comodo.»
Passiamo l’ora successiva a guardare le riprese delle videocamere ma non vediamo né Fabienne né nessun altro, perché si interrompono intorno alle due.
«Chiunque fosse, conosceva bene la posizione delle videocamere e le ha evitate. Ora però entro nel programma che ho installato per controllare il computer nell’ufficio di René», dice Anton.
«René lo sa?» gli chiedo, ma conosco già la risposta. Andres mi guarda perplesso e io gli spiego.
«Si possono installare dei programmi spia, diciamo così, in modo che nei computer, negli smarthphone o comunque in tutti gli apparecchi in cui c’è una videocamera questa si possa attivare a distanza, anche senza che la persona che utilizza il device lo sappia. L’abbiamo fatto anche nella casa di René per implementare la sicurezza.»
«Per lo stesso motivo l’ho fatto nell’ufficio e nel bancone del bar», aggiunge Anton.
«Del bar?», chiedo, stupita ma non sorpresa.
«Quel barista non mi piace e sai che si dice, che il sesto senso bisogna seguirlo.»
Sbuffo, perché ha ragione, visto come si è comportato Ignace.
Mentre Anton controlla, Andres fa un caffè per me e mi sorride indicando con il mento Anton.
«Pace fatta?»
Annuisco e sto per bere, quando Anton esulta.
«Beccato! Lo sapevo, lo sapevo che era uno stronzo bugiardo! Andres, vieni qui.»
Andiamo tutti e due vicino a lui e nello schermo del portatile di Anton c’è il viso di Ignace.
«Che ci fa nello studio di René?»
Vediamo la faccia del barista e alle sue spalle una donna entra nell’inquadratura, si vede solo il bacino, ha una cintura appariscente, quando si piega a baciare la guancia di Ignace capisco che è Nina.
«Nina? È una delle cameriere.»
Questa proprio non me l’aspettavo. I due si stanno baciando e lei si siede sopra di lui, distolgo lo sguardo mentre i gemiti risuonano nella stanza.
«Ma che cazzo?!», sbotta Anton.
«Dopo tutto non era così interessato a me, sembrerebbe, dai spegni l’audio.»
Lui lo fa, mentre Andres domanda: «Fatemi capire: il barman e la cameriera fanno sesso nell’ufficio di Lefebvre, alle… che ore sono?»
«L’una», dico ripensando alla sua scenata di neanche un’ora dopo. «Avevano detto che dovevano sistemare il magazzino, lo ricordo perché io ho coperto i tavoli di Nina e Claude il posto di Ignace.»
«Che siano stati loro?», chiede Andres.
«Lo scopriremo presto, mi pare di capire che hanno già finito.»
«Per fortuna è stata una cosa veloce», sbuffa il capitano, mentre Nina si sposta dandoci una perfetta visione del suo fondoschiena.
Loro non dicono nulla però intuisco che sono imbarazzati, Anton rimette l’audio e si sente Ignace sospirare.
«Mi sei mancata piccola, ma non ti perdono di esserti sbattuta uno di loro
.»
«Per forza, mi è toccato, tu con la moretta non ci sei riuscito
.»
«Neanche tu ci saresti riuscita con il suo uomo che la sorvegliava come un falco. Quei due sono troppo legati, comunque questa sera esce con noi, lui è con Lefebvre e la via è libera, manda un messaggio al capo
.»
«Certo e io tornerò qui appena ve ne sarete andati e metterò fuori uso l’antincendio. Hai sistemato tutto?
»
«Tutto è in ordine, questa volta il lavoro sarà pulito, nessun ferito.»
Andres si irrigidisce, poi i due escono e la telecamera mostra il niente fino alle due e mezza, quando il viso di Fabienne viene inquadrato, nonostante abbia il cappuccio della felpa che le copra in parte il volto.
Si morde il labbro e guarda con attenzione il computer, sembra infili una chiavetta, poi accade qualcosa che non ci aspettiamo: inizia a piangere.
«Mi dispiace, mi dispiace davvero, tantissimo.»
Dice tra le lacrime, poi si alza e se ne va e lo schermo diventa nero. La trasmissione si interrompe, nessun altro deve essersi messo davanti al computer fino a questa mattina. Anton manda avanti e infatti l’ultima inquadratura è proprio quella del suo viso, registrata questa mattina mentre controllava con Marinon che il computer funzionasse ancora.
«Qui la faccenda è confusa. Ignace e Nina potrebbero aver messo un ordigno a tempo così che l’incendio divampasse mentre loro erano in un locale con molta gente che fornisse loro un alibi solido. Non capisco però che cosa abbia combinato Fabienne. Capitano hai qualche idea?», considera Anton.
«Intanto chiamo Marinon e le dico che le manderai tutte queste registrazioni, poi andremo da quei due e ci diranno diverse cose. Sembra siano stati loro gli autori materiali dell’incendio, anche se non mi è chiaro come abbiano fatto. La tua ipotesi di una bomba con un timer però è molto realistica.»
«E Fabienne?», chiedo io.
«Durante l’interrogatorio ha dichiarato di essere tornata per prendere dei documenti personali dal computer, e sembra così abbia fatto. Non c’è contraddizione tra le sue parole e le sue azioni. Quei due però parlano di un capo, ma potrebbe essere chiunque, persino lei, e questa sceneggiata il suo alibi.»
Andres se ne va e noi rimaniamo soli.
«Sei distrutta, perché non vai a letto, questa sera non dovrai lavorare e neanche io. Che ne dici se usciamo assieme a cena?»
«Mi stai proponendo un appuntamento?»
«Esatto. Non siamo riusciti a prendere quel caffè in Place Messenà a causa delle indagini sull’incendio, ma non ho cambiato idea. Voglio fare tutto per bene con te» e mi accarezza il viso. Io lo bacio, il mio corpo si risveglia al contatto con il suo e il bacio si fa audace.
«Che ne dici di salire con me a riposare?»
Lui mi guarda intensamente mentre con voce maliziosa mi dice: «Se salissi con te non ti lascerei di certo dormire. Andiamo con calma, Michelle, finora è stata una corsa, ma voglio rallentare e fare le cose per bene.»
Poso la testa sul suo petto e so che ha ragione, eppure mi costa lo stesso staccarmi e salire da sola nell’appartamento.
Ma è giusto, è stato così strano finora, ci serve un po’ di normalità.