28.
Anton
Dopo che Michelle è andata a riposare io ho lasciato la DBM Security e ho raggiunto Bruno e Charles nella villa di René.
Quando arrivo Bruno mi apre la porta e mi fa segno di fare piano indicando Lefebvre e Caroline che dormono sul divano. Povero René, ci mancava solo questo incendio, penso mentre seguo l’Orso dentro la fantastica cucina dove mi dice che sta preparando un risotto ai frutti di mare.
«Quei due là, si piacciono», afferma Bruno con un tono molto allegro, quasi compiaciuto.
«Allora non sei geloso», insinuo, mentre Charles che è stravaccato su una sedia si raddrizza.
«Come?»
«Niente, solo una serie di battute tra noi. No, non sono geloso, lo sai che sono etero, anche perché se fossi gay avrei preso lui, ti pare?», e indica Charlie.
«Appunto!», concorda Medorì molto soddisfatto.
Scuoto la testa divertito.
«Sono distrutto, vorrei buttarmi anche io a letto. Tutta questa faccenda non mi torna.»
«Neanche a me», conferma Bruno.
Gli racconto quanto abbiamo scoperto e Charlie fa un po’ di domande a cui non so rispondere.
«Perché Fabienne avrebbe dovuto tornare dentro il locale sapendo che stava per scoppiare tutto? Non ha senso.»
«Perché piangeva? Lo ha trattato di merda!», afferma Bruno.
«Sei troppo protettivo con René, ti ha mai sfiorato il dubbio che possa essere stato lui, per l’assicurazione?», insinua Charles ma Bruno annuisce.
«Certo, ma poi l’ho visto dentro a La Guarida e l’ho ascoltato mentre parlava del suo amico morto, non può essere stato lui.»
«Chi allora? Quell’idiota di un barman non ha certo la testa per fare una cosa simile e Nina, be’ Bruno, voi siete stati intimi, che ne pensi?», gli domando.
«Che è brava con la lingua, ma non ha un cervello sottile, scommetterei su Fabienne, è scaltra e infida al punto giusto.»
«Sì, lei sembra la più quotata, ma ce la vedi a uccidere un gatto? Più ci penso, più credo ci sia un uomo dietro a tutto questo», osservo e Bruno corruga la fronte.
«Io ho indagato sulle ex di René e sui loro fidanzati», interviene Charles e sgrano gli occhi mentre lui scrolla le spalle.
«Sì, sono stato arguto, lo so.»
«E allora, arguto, scoperto qualcosa?», chiede Bruno.
«L’unico che potrebbe avercela con René è suo fratello, sembra che Fabienne stesse con lui finché non ha conosciuto René.»
Bruno sta mescolando il riso e si ferma.
«Suo fratello? Quale dei due: Jacques o Albert?», domanda l’Orso.
«Jacques, quello più vecchio.»
Scopro che non so nulla delle relazioni che corrono nella famiglia di René, conosco solo i flussi finanziari che i Lefebvre maneggiano. So che Jacques è uno squalo delle operazioni immobiliari e che la sua società possiede metà della Costa Azzurra, inoltre so che non conosce i gusti per i liquori di suo fratello visto che gli ha regalato whiskey e non cognac. Mentre Bruno sembra avere una discreta dimestichezza con l’aspetto più intimo delle relazioni tra René e Jacques. Ci informa che i due hanno avuto un litigio importante quando René ha avviato la sua attività, per la quale ha chiesto aiuto a Fabienne. Poi da cosa nasce cosa e Fabienne, che era legata sentimentalmente o sessualmente con Jacques, lo ha mollato per René.
«Insomma, suo fratello avrebbe i soldi, la possibilità e il movente per avercela con lui», conclude Charles.
Bruno alza le spalle.
«Un fratello non ucciderebbe mai un fratello», afferma convinto l’Orso.
Mi mordo la lingua prima di dire che non è vero, ma Charles mi precede.
«Caino e Abele ti dicono niente? Dai, Bruno tu hai una famiglia fantastica, ma ti posso assicurare che fratelli coltelli non è solo un modo di dire.»
«La penso come Charles, noi due abbiamo avuto pessime famiglie, anche Isabel è stata minacciata dai suoi fratelli, ricordi? Se ci sono soldi di mezzo, le cose si complicano, specie se hai madri e padri assenti.»
Bruno riprende a mescolare e mormora amaro.
«Immagino sia per questo che René è spesso triste, si sente solo.»
Guardo Charles e lui ricambia lo sguardo perplesso.
«Orso, ma stai bene?»
«René mi ricorda molto mio fratello più piccolo. Gli assomiglia in tante cose.»
Credo sia la volta in cui Bruno si è aperto di più con me e sono senza parole.
Bruno ha quattro fratelli, cioè tre, due femmine e due maschi, uno è morto in un incidente alcuni anni fa e lui non ne parla mai, immagino che sia quello che gli ricorda René.
«Assaggia», mi dice e mi porge un piatto con un po’ di riso.
Una delizia!
«Da quando sai cucinare?»
«Da sempre.»
Ci sediamo sull’isola e Bruno ci mette i piatti davanti.
«Che pensi di fare con Michelle?», mi chiede Charles.
«Usciamo questa sera.»
Bruno annuisce serio.
«Sei consapevole che con lei si tratta di un impegno importante?»
«Sì, quando terminerà il lavoro andrò a Parigi a parlare con Dom.»
«Cazzo! Tu sì che ce le hai le palle, almeno finché non avrai parlato con lui, dopo non so…», insinua Charles.
«Ma che cazzone! Invece di difendere il tuo amico!» e gli do uno scappellotto sulla nuca.
Ridiamo e poco dopo Charles si fa serio e si rivolge a Bruno.
«Devi dire quello che sai ad Andres, se il fratello di René cova rancori profondi potrebbe essere indiziato per i reati.»
«Hai ragione, ne ho fatto cenno alla detective, quella sexy da morire, e mi ha detto di andare in gendarmeria oggi», ammicca alzando le sopracciglia.
Io scuoto la testa.
«Stai attento a quella donna, maneggia bene la pistola.»
«La mia speranza è proprio che maneggi bene anche la mia di pistola.»
Charles gli dà un pugno sulla spalla. «Incorreggibile.»
Lui fa l’innocente.
«Che ho detto di male?»
Mangiamo finalmente il nostro pranzo, e quando René e Caroline si svegliano, Bruno parte all’attacco, si rinchiude da solo nello studio di René e hanno una discussione silenziosa ma non indolore, visto che quando escono sembrano entrambi cani bastonati. Vanno insieme in gendarmeria, mentre io riaccompagno Caroline alla DBM.
Charles resta alla villa, come d’accordo.
Salgo con Caroline, che sembra piuttosto silenziosa, ma quando entriamo nell’appartamento ogni parola che avrei voluto pronunciare mi resta in gola.
L’appartamento ha la porta spalancata e tutti i miei sensi entrano in allarme.
«Resta qui», ordino a Caroline, che si blocca sul pianerottolo.
Prendo la pistola e mi metto accanto allo stipite, entro con prudenza, ispeziono tutte le stanze e non trovo nessuno. In compenso chi è passato di qui ha rovesciato ogni cassetto, ogni armadio e ogni stipetto.
Dopo aver detto a Caroline di rimanere nel pianerottolo e non muoversi finché non la chiamerò, corro giù dalla DBM ma la porta per fortuna è chiusa. Prima di andare alla villa ho inserito l’allarme e chiunque abbia messo a soqquadro l’appartamento non è riuscito a violare la combinazione a tre controlli della porta.
Provo a telefonare a Michelle ma non mi risponde, le mando un messaggio e poi chiamo Isabel.
«Ciao Isa, Michelle è con te?»
«No, era a casa a dormire.»
«Merda! Isa qui hanno rovistato tutto l’appartamento e lei non c’è!»
«Stai calmo, e dentro la DBM? Hai guardato se è lì?»
«No, entro ora, era tutto chiuso.»
Vado verso la sala server, ma appena apro la porta un dolore lancinante mi attraversa la testa e tutto diventa nero. Sento il rumore del telefono che cade a terra e poi più niente.
Una carezza gentile mi tocca la guancia e una voce meravigliosa mi chiama: «Anton, Anton ti prego, svegliati.»
Con estrema fatica apro le palpebre e riesco a mettere a fuoco il viso di Michelle, è pallida e scarmigliata, appena i suoi occhi incrociano i miei si riempiono di lacrime.
«Oh Dio, ti ringrazio, come stai? Pensavo ti avesse mandato in coma.»
Provo ad alzarmi ma il mondo gira e torno giù. Sono a terra in un magazzino?
Ci sono scatole, non capisco dove sono, la puzza di fumo però mi fa sospettare di essere al Twelve .
«Stai giù, ti hanno colpito alla testa, vedo il sangue, ma siamo legati e non posso aiutarti.»
Giro il viso e vedo che Caroline è seduta di fronte a me, ha la testa reclinata di lato ed è priva di conoscenza.
«Sta bene?»
«Devono aver dato un colpo in testa anche a lei, non ha ancora ripreso conoscenza. Potrebbe avere un trauma cranico e anche tu potresti averne uno. Oh Dio, Anton, pensavo saresti morto.»
«Dove siamo? Al Twelve
Cerco di alzarmi, rendendomi conto che sono legato, ho delle manette che mi tengono le braccia costrette dietro la schiena. Anche Michelle e Caroline sono ammanettate, ma le loro mani sono legate davanti al corpo. Michelle in qualche modo mi aiuta a mettermi seduto appoggiato al muro.
«Sì, è un magazzino del Twelve , quello di riserva, dove tenevano le scorte di bibite analcoliche.»
Ci sono scatoloni di Coca Cola e Fanta. Ecco perché non lo riconoscevo, ricordo bene il locale dove conservano gli alcolici, anche con una commozione cerebrale non scorderei mai il posto dove ho fatto l’amore per la prima volta con Michelle.
«Chi è stato? Chi?», sospiro, guardandomi intorno.
«Non lo so, stavo dormendo e poi mi sono svegliata qui. Ho la bocca impastata e capogiri, probabilmente mi hanno drogata, perché all’inizio era tutto confuso.»
«Ricordo di aver percepito dei passi, aver visto una sagoma che posava prima Caroline e poi te qui accanto. Poi è tutto confuso. Poco fa mi sono svegliata sul serio e ho capito che non stavo sognando. Ero rinchiusa in questo magazzino con voi due.»
Ci guardiamo e avrei molto da dirle, ma mi sposto verso di lei, voglio starle vicino.
Sentiamo dei passi che ci mettono in allerta.
Un uomo entra nel magazzino e nell’istante in cui i nostri occhi si incontrano ricordo le parole di Charles.
Caino e Abele ti dicono niente?
«Vi siete svegliati?», chiede con un ghigno cattivo, poi infila la mano nella tasca interna di un abito da mille euro e prende una Beretta, puntandocela addosso.
«Come si dice? Se vuoi un lavoro fatto bene, meglio farlo da solo.»
In due passi è da noi e strattona Michelle.
«Alzati. Tu verrai con me.»
«Lasciala subito, Jacques!»
Ho la sua attenzione mentre Michelle pare sorpresa mentre esclama: «Sei il fratello di René!»
«Ignace mi ha detto che quello sfigurato era la sua spina nel fianco, ma pensavo esagerasse come fa sempre, invece sei sveglio più di quel che pensassi.»
Piega la testa e la somiglianza con René diventa ancora più lampante; stesso fisico snello, stesso mento, labbra carnose e naso aquilino. Ma gli occhi sono molto diversi da quelli di René.
In quelli di Jacques brilla una luce spietata che ho già visto nello sguardo di mio zio Anatolj.
Mi appoggio con la schiena al muro e faccio forza per alzarmi ma non ci riesco, la testa mi gira e devo tornare a terra.
«Sei un uomo d’affari, non un rapitore. Lascia andare Michelle.»
«Vedi, non dovremmo essere qui, ma a causa tua le cose si sono complicate, avrei voluto coinvolgere solo voi due», indica me e Caroline stesa a terra. «Eravate tu e l’architetto il mio obiettivo», poi muove la testa verso Michelle e si rivolge a lei. «Tu non eri prevista, ragazzina, non sapevo abitaste assieme. Ma io so improvvisare, e ho usato il narcotico con te mentre per i tuoi amici è andata benissimo la cara vecchia botta in testa. Andiamo, tesoro, ora noi due faremo una bella gita.»
«Ti rendi conto che rapire tre persone è molto più grave di incendiare un locale?»
«Purtroppo a causa delle tue indagini non mi lasciate scelta, devo fare i complimenti alla signorina» e accarezza il viso di Michelle, che si scosta.
«Tu sei stata la più brava, mi hai proprio fregato.» Considera serio. «Se non fosse stato per Ignace che continuava a dirmi che viso d’angelo qui» e mi indica, «non ti perdeva d’occhio, non avrei mai capito che facevi parte del team di rompiscatole.»
Quel barista di merda!
«Cosa pensi di fare ora? I nostri colleghi e la gendarmeria ci cercheranno, prima di perdere conoscenza ero al telefono con una collega.»
Lui stringe a sé Michelle che geme, le sta facendo male, e io mi sporgo in avanti ma lui mi punta contro la pistola.
«Ho distrutto il tuo telefono, che è rimasto nell’appartamento. Ammesso che capiscano dove siete, non faranno in tempo ad arrivare» e strattonando verso sinistra Michelle si avvicina a delle scatole.
Le lascia il braccio ed estrae da un cartone aperto un oggetto che subito non riconosco.
«Hai quindici minuti per pensare alla tua insulsa vita. Io e la tua bella andremo a fare un giro in auto mentre tu e Caroline purtroppo rimarrete qui.»
E posa quella che ora capisco essere una bomba sopra un ripiano della scaffalatura su cui c’era la scatola.
Poi si avvicina a Michelle e la afferra di nuovo, mentre lei gli urla contro: «Sei tu, sei tu che hai creato tutte le bombe incendiarie? Hai pagato Ignace e Nina per incendiare i locali!»
«Per forza, quei due non sarebbero in grado di creare neanche un oggetto con il didò, ma erano abbastanza avidi da fare quello che gli dicevo.»
«Quindi Fabienne non c’entra?»
Avrei creduto che ci fosse stata lei dietro.
Scuote la testa.
«Non nominarla!»
La sua reazione è interessante, decido di proseguire.
«Quindi è vero, ieri sera è venuta qui solo per riprendersi delle foto di lei e René, solo perché temeva che lasciando foto osé a un suo ex amante, lui avrebbe potuto ricattarla.»
Le sue dita stringono con forza l’arma e vedo che serra la mascella.
«Fabienne ha lasciato René.»
«Tu le vuoi ancora bene», afferma Michelle, la mia ragazza è sveglia e sta giocando al mio gioco di farlo infuriare.
Jacques la stringe più forte.
«Fabienne si è lasciata imbrogliare, lui è bravissimo a fregare le persone», ringhia. «Ci siete caduti anche voi. René è sempre stato un incantatore, ti parla e ti senti al centro del mondo.»
Incasso il colpo e lui prosegue.
«Gentile, ammiccante, le donne sono sempre impazzite per lui. Il cocco di casa, papà e mamma lo adoravano e lui che fa? Lascia tutto per fare il playboy smidollato. L’anima delle feste, un parassita.»
«Chissà quanto ti dà fastidio che uno così poco intelligente rispetto a te abbia tanto successo», insinuo.
È allora che riconosco la luce crudele dell’invidia lampeggiare nel suo sguardo.
«Non si merita tutto quello che ha ricevuto dalla vita. Io ho seguito papà negli affari, ho creato un impero e René? Lui non solo non ha fatto nulla, si è pure opposto al mio lavoro.»
La società immobiliare…
Ricordo le parole di René, lui non ama il whiskey ma quello gliel’aveva regalato suo fratello quando era tornato a casa dopo la degenza in ospedale, un Jameson. Ieri sera aveva detto con amarezza:
«Sai io e lui non andiamo molto d’accordo e Jacques non sa che odio il whiskey e preferisco il cognac.»
Che idiota sono!
Mio zio quando uccideva uno dei suoi nemici mandava sempre un regalo alla famiglia del morto con il marchio degli Ivanov, così che sapessero a chi era dovuto il loro dolore. Jacques ha fatto la stessa cosa.
«Sei tu! Tu sei l’Harrold Jameson, l’uomo che sta truffando René.»
Il suo viso si illumina di soddisfazione e ora la sua somiglianza con René è inquietante.
«Brillante, molto brillante. Mi dispiace doverti uccidere, sei l’unico che ci sia arrivato, neanche Fabienne l’aveva capito. Ma ora ti saluto, il tempo delle chiacchiere è finito.»
«Aspetta! Dimmi, lo stavi truffando, vero? Volevi farlo fallire, ma visto che non è lo sciocco che credi, hai dovuto metterlo in difficoltà più serie appiccando gli incendi. Ma perché provare a ucciderlo?»
«Proprio tu dovresti capirlo meglio di altri, perché tu e lei state insieme e questo non ha impedito a René di provarci con lei. René non è capace di non giocare con i giocattoli degli altri, lo faceva anche da piccolo, prendeva quello che non era suo.»
Michelle sussulta.
«Tu ami Fabienne.»
«Ieri sera quando voi l’avete scacciata era così distrutta, tanto che si è scusata con me. Ora devo solo far sparire una volta per tutte René dalla sua vita. Credo che perdere qualcuno a cui tiene» e con il mento indica Caroline stesa a terra «gli farà capire cosa si prova quando ti portano via una persona a cui tieni molto.»
Ripenso alla povera gattina uccisa e messa dentro la scatola in modo che René la trovasse subito. Jacques voleva far soffrire suo fratello perché sapeva quanto ci tenesse a quella bestiola.
«Caroline non sta con lui, sono solo amici», protesta Michelle.
«Non secondo Fabienne, dice che è sempre con lui», si avvicina alla bomba e l’attiva. Vedo una luce rossa accendersi.
«Basta chiacchiere, ora devo andare, come si dice, il tempo vola. Il tuo volerà per altri quindici minuti. Io e la tua Giulietta andremo via, mentre tu e Caroline purtroppo rimarrete qui. Chissà come si tormenterà René pensando di essere stato imbrogliato da te e lei. Il dubbio di essere stato tradito lo divorerà assieme al senso di colpa.»
Michelle si sporge verso di me, mentre lui la trascina verso la porta.
«Ti amo, ti amo da quando ti conosco e voglio che tu lo sappia. Non mi importa come ti chiami, so chi sei davvero e io amo te, non il tuo nome.»
Sono così sconvolto che il mio cervello va in tilt ma riesco a mormorare un “ti amo, anch’io”, prima che Jacques la strattoni fuori dal locale.
Il display è attivo e i secondi hanno iniziato a scorrere.
Quindici minuti, novecento secondi.
Una vita intera.
Ce la devo fare.