Tarquinia, 620 a.C.
Tanaquil ordinò alla sua scorta di accamparsi a un miglio dalla città. I migliori soldati di Vulci, da poco concessi e inviati da Tarnas, erano stati messi sotto il comando di Kagrantos, che aveva assunto anche il compito di addestrare i più giovani e inesperti. Mostrò loro una radura adatta allo scopo, alla giusta distanza dalle mura, in modo che fossero pronti a intervenire in caso di bisogno. Non che in quei luoghi ci fosse un effettivo pericolo: i rischi maggiori risiedevano nel viaggio, durante il quale poteva capitare di imbattersi in gruppi di sbandati, fuorilegge o persino pattuglie sabine in cerca di facili bottini.
Li lasciò a montare le tende nel terreno fangoso, già saturo delle prime piogge d’autunno, in una giornata resa spiacevole dal vento teso che sferzava la campagna.
Richiamò Kyros e, con lui seduto a cassetta, si mosse alla guida del proprio carro in direzione di Tarquinia.
Prima di entrare in città alzò il cappuccio del mantello, subito imitata dal greco. Il volto celato le avrebbe risparmiato domande scomode, inutili convenevoli e pure le occhiate dei curiosi.
Per prima cosa si recò da Ekphantos.
Il vecchio filosofo abitava nella dimora che era stata di Demarato, rimasta a disposizione dei tanti artisti che ne avevano allietato la vecchiaia dopo la scomparsa della moglie. Con la certezza di compiere la volontà del padre, Luchmon alla fine vi aveva fondato una scuola d’arte. Ci si insegnavano pittura funeraria, decorazione della ceramica, aruspicina, lingua e filosofia greca, le discipline care al defunto. Il tutto, ovviamente, sotto la sapiente guida dell’anziano maestro.
Tanaquil consegnò le redini a un servo, lasciò Kyros a parlare con un vecchio amico, uno dei tanti artisti provenienti da Corinto, e andò alla ricerca del filosofo con passo veloce. Come aveva immaginato lo trovò nella sua stanza, impegnato a impartire la classica lezione sui colori a due ragazzini vicini al tuffo nell’adolescenza.
Il primo dei due le corse subito incontro. «Zia!»
«Egerio!» esclamò lei sorpresa.
Tanaquil si abbassò ad abbracciare il nipote, tornato a Tarquinia dopo la breve esperienza romana, durante la quale sua madre non aveva nemmeno fatto lo sforzo di imparare la lingua. Il ritorno in patria era stato inevitabile. Lo sollevò e lo strinse contro il petto, quasi soffocandolo. Solo dopo si concesse di osservarlo bene. «Sei cresciuto» disse con orgoglio.
Lui raddrizzò il busto e gonfiò il petto. «Hai visto? Mamma dice che sono uguale a mio padre.»
«Sei il suo ritratto» mentì per non ferirlo. In realtà somigliava molto a Ramtha. Solo gli occhi dal taglio obliquo ricordavano quelli di Arunte.
Anche Ekphantos si alzò. Le rughe del viso si contrassero in un sorriso aperto, sincero. «Mia cara!»
Tanaquil si voltò per abbracciarlo.
Il filosofo ricambiò, ma facendo attenzione a non toccarla con le mani sporche di cinque o sei tinte differenti. Poi fece scorrere lo sguardo sul suo corpo a valutarne l’aspetto.
«Ti trovo splendida» la lusingò. «Ti fa bene viaggiare senza marito. A proposito, dove hai lasciato Luchmon?»
«Sta cavalcando verso Volterra. Indomito e motivato come non mai.»
Il filosofo approvò annuendo. «I Tharnies hanno buonsenso, non avrà problemi a convincerli.»
«Già. Quelli che mi preoccupano sono gli Spurinna.»
Ekphantos afferrò un cencio e prese a strofinarselo sui polpastrelli. «Ti attende un compito difficile» sospirò. «Axile si comporta da dittatore. Crede di essere il padrone incontrastato della città.»
«E lo è?»
«In questo momento direi di sì. Nulla accade senza che lui lo voglia. Ma» abbassò la voce per non farsi udire dai ragazzi, che intanto avevano ripreso a colorare «so per certo che le altre famiglie si stanno organizzando. Ceisus è vecchio, ma sta facendo di tutto per aiutare Aker a prendere il potere. Non si darà pace finché non raggiungerà il suo scopo.»
Tanaquil si voltò verso i fanciulli, che però si erano disinteressati a loro. Avevano impugnato i pennelli a mo’ di spade e stavano combattendo ai lati opposti del tavolo. «Credi che accetterà di darci i soldati?» chiese.
«È più probabile che uno di loro torni a casa pulito» rispose Ekphantos indicando i ragazzini con una smorfia ironica. «D’altronde si tratta di una richiesta che deve essere fatta ufficialmente. Simpatia o antipatia, onori e disonori, vecchie ruggini e rivalità, tutto deve passare in secondo piano quando in ballo c’è un’impresa di tale entità. State agendo per il bene dell’intera Etruria!»
«Però ritieni che stia perdendo tempo» comprese lei, senza preoccuparsi di nascondere la titubanza che le gravava sullo spirito.
«Ma no. Stai solo compiendo ciò che è necessario. Ciò che gli dei hanno previsto per te. Animo, mia cara,» proseguì Ekphantos «non rimandare oltre questa prova. Affrontala con determinazione, usa il cervello e vedrai che ne uscirai comunque vincitrice.»
Tanaquil sorrise. Quelle parole le infusero un minimo di coraggio. «E sia.»
Abbracciò Ekphantos, poi strinse a sé Egerio e lo baciò sulla guancia. Concesse un buffetto anche all’altro ragazzino, che arrossì d’imbarazzo. «Mi raccomando, studiate!» li esortò.
Sul punto di andarsene, ormai oltre la soglia, udì il bonario rimprovero del filosofo. «Chiudete quelle bocche, che ci entrano le mosche!»
Mentre camminava decisa per le vie di Tarquinia, Tanaquil rifletteva sui molteplici effetti che provocava sugli uomini. La consapevolezza del suo potere era aumentata con la maturità, e nel corso degli anni aveva provato a capire quale ne fosse l’origine, in modo da poterlo sfruttare al meglio a proprio beneficio o nasconderlo, qualora le mire del pretendente diventassero fastidiose. Ormai adulta, aveva imparato ad accettare il fatto che i maschi fossero irrimediabilmente attratti da lei. Se da ragazzina ricevere tante attenzioni, specie dai più grandi, costituiva una stuzzicante fonte di orgoglio, con il passare degli anni la cosa si era rivelata addirittura controproducente. La sua bellezza le aveva procurato una miriade di proposte che aveva rifiutato. Ma rifiutare un uomo significava in qualche modo ferirne l’orgoglio, e spesso era successo che il respinto di turno avesse cercato qualche forma di vendetta.
Per questo, quando si trovò all’ingresso del palazzo degli Spurinna, dopo aver inviato un servo a farsi annunciare, checché ne dicesse Ekphantos ebbe l’assoluta certezza di sprecare il suo tempo. Fin da ragazzo Axile era sempre stato vendicativo. Da uomo, e per giunta nelle vesti di zilath, poteva essere solo peggiorato. Non avrebbe mai dato il suo appoggio a Luchmon, nemmeno se glielo avesse ordinato Tinia in persona.
Come se non bastasse, le gambe iniziarono a tremarle. Fu tentata di voltarsi e tornare indietro, ma incappò negli occhi di Kyros. Sbucato da dietro un angolo, il musico dai mille talenti rispose annuendo, lo sguardo neutro ma sicuro. «Vuoi che ti accompagni?» le domandò in un sussurro.
«Gli dei mi proteggono» rispose lei, anche per infondersi coraggio.
«Gli dei non proteggono nessuno» replicò Kyros scuotendo la testa. «Loro non si curano degli uomini. O meglio, se ne curano nella misura in cui ciò serve ai loro scopi. I loro obiettivi sono spesso imperscrutabili, anche per chi dedica l’intera vita alla loro interpretazione. Prendi Tyche, la vostra Northia. La dea del fato è capricciosa come una bambina. È impossibile capire cos’abbia in serbo per noi, però dobbiamo ugualmente omaggiarla con sacrifici, altrimenti…»
«Io credo che Tages cammini con me» insisté Tanaquil, stringendo la mano in un pugno.
Credeva davvero che fosse così, ciononostante in quel momento si sentiva preda di uno strano e insolito pessimismo, priva della fede che spesso l’aveva animata.
«Non hai bisogno di nessuno» la incoraggiò Kyros. Sollevò il mantello a rivelare un lungo pugnale. «Ma se avrai dei problemi sarò pronto a intervenire.»
Tanaquil lo guardò ammirata. Kyros era uno dei pochi che non la desiderasse come donna, o quanto meno non lo manifestava in alcun modo. Nessuna occhiata furtiva, nessuno sguardo caduto sul seno: il loro rapporto non aveva mai travalicato la semplice amicizia, perciò sentiva di poter contare su di lui.
Forte di quella presenza, quando poco dopo il servo fece ritorno, lo seguirono all’interno del grande palazzo di proprietà degli Spurinna. L’ultima volta che vi era entrata risaliva ad almeno quindici anni prima, e notò con una certa tristezza che nulla era cambiato. La grande struttura squadrata, spoglia per quanto maestosa all’esterno, lasciava spazio, una volta superato l’ingresso, allo sfarzo di un tempo, senza però nessun abbellimento, nessun nuovo fregio, l’esatto contrario della dimora che era stata di Demarato che, come un cantiere sempre aperto, era soggetta a modifiche e ristrutturazioni continue. Anzi, osservate da vicino, le pitture murali mostravano evidenti tracce di trascuratezza. L’intonaco era macchiato di sporcizia all’altezza delle mani, mentre più in alto si notava più di una crepa.
Con indosso una lunga tunica stracolma di fibule ornamentali, che tintinnavano a ogni suo movimento, Axile la accolse in giardino convinto di riscuotere un abbraccio, ma Tanaquil si fermò a distanza di sicurezza.
Costretto a rinunciare, fece ricadere le braccia lungo i fianchi. Gli arti erano sempre possenti, ma la muscolatura mancava della definizione di qualche anno prima. Anche i capelli, lucidi e profumati d’olio, sembravano più simili a stoppie che agli antichi filamenti d’oro.
«Vorrei poter dire “che sorpresa”,» attaccò Axile senza premurarsi di nascondere il tono beffardo della voce «ma non sarei sincero. Mi aspettavo la tua visita già da un po’.»
Tanaquil notò che Kyros si era posizionato in un angolo, fintamente distratto a osservare fiori o chissà cosa. «Le notizie corrono veloci» commentò in tono neutro.
«Le persone sono certo più lente, e spesso intraprendono lunghi viaggi per nulla. Ma la tua visita, per quanto inutile, è comunque un piacere.»
«Dunque sai già perché sono qui.»
Axile assentì. «Per recare un nuovo dispiacere ai Velcha, che altro? Stai per aggiungere disonore al disonore. Solo il tuo aspetto ti salva dalla totale disfatta: sei sempre bellissima, devo dire, ma, ahimè, non altrettanto intelligente.»
«Piantala con questi discorsi» rispose lei, secca e decisa come la bastonata di un maestro. «Sono qui per parlare con il magistrato di Tarquinia, non con un ex fidanzato. Comportati come si confà al tuo ruolo, per favore.»
«E tu evita di essere troppo suscettibile» replicò Axile alzando le mani.
«Non lo sono affatto. Ma non ho tempo da perdere!»
Con un cenno svogliato Axile fece avvicinare il servo, rimasto fino ad allora a mani giunte in attesa di un comando. «Portami del vino» ordinò. Quindi prese posto su una panca circondata da giovani ulivi e la invitò a sedersi con un imperioso movimento del braccio, troppo simile a un comando. «Forza, dimmi perché sei tornata.»
A Tanaquil vennero in mente le angherie perpetrate nel corso degli anni, l’arroganza che troppo spesso sfociava in violenza gratuita e inutile, la prepotenza che tanto aveva detestato e che l’aveva spinta a lasciarlo. Dopo un attimo di esitazione si sedette, per pura cortesia. Quell’uomo, di cui un tempo credeva di essere innamorata, adesso le causava un profondo senso di disgusto, che accantonò con il solo obiettivo di portare a termine la missione che si era prefissata. «Hai appena detto che le voci corrono. Di certo i molti informatori sparsi per tutta l’Etruria ti avranno fornito ragguagli.»
Lui si strinse nelle spalle. «Forse sì. Ma desidero sentirlo dalla tua voce.»
Il momento dell’umiliazione era arrivato. Consapevole dell’inevitabilità del rifiuto, qualunque parola avesse adoperato, Tanaquil lo affrontò con il maggior distacco possibile, come se fosse spettatrice esterna di quell’anomalo teatrino del quale Axile era assoluto padrone.
«E sia. Luchmon intende riunire sotto di sé un esercito con i migliori soldati delle dodici città per condurlo a sud, a combattere Roma. In questo momento sta viaggiando verso Volterra e ha affidato a me il compito di parlare in sua vece qui a Tarquinia.»
Fece una pausa. Cercò negli occhi di Axile un qualsiasi cenno di reazione, ma non ne trovò. «Sono qui per reclutare giovani soldati. Saranno addestrati dai migliori opliti e avranno un ottimo stipendio. Però ho bisogno del tuo supporto, altrimenti nessuno mi ascolterà.»
«Hai davvero un bel coraggio» sibilò lui, soffiando come una vipera. «Presentarti da me a chiedere aiuto per tuo marito. Dopo che mi hai rifiutato e hai scelto di sposare lui, un vigliacco straniero.»
«Un uomo vero.»
«Un uomo ricco!» sbottò lui, scattando in piedi. «L’hai sposato per questo e adesso sei diventata la sua puttana!»
Anche Tanaquil si alzò e, impaurita, indietreggiò di qualche passo.
Axile avanzò verso di lei, poi spalancò gli occhi e si bloccò abbassando lo sguardo: il piccolo pugnale di Tanaquil, estratto con un movimento fulmineo, puntava dritto verso il suo ventre.
Nello stesso istante Kyros le si materializzò accanto, l’arma salda in pugno ma diretta verso terra. «Io ti avrei già infilzato» disse pacato, come se stesse conversando amabilmente. «Ma ammetto che poi avrei avuto qualche difficoltà a uscire vivo da qui. In ogni caso» aggiunse, la bocca distesa in un sorriso «è meglio che ce ne andiamo. Tanaquil?»
«Sì, è meglio» annuì lei, sollevata.
Si allontanarono di qualche passo e tutti tornarono a respirare.
La dignità appena riconquistata portò in dote ad Axile la consueta spavalderia. Tese il braccio in avanti e puntò l’indice contro di loro. «Nessun soldato di Tarquinia ti seguirà» minacciò. «Non ti permetterò di parlare ai miei uomini, né di portarli via. Luchmon potrà convincere gli stolti signori delle altre città, ma non il sovrano di Tarquinia.»
«Mio marito conquisterà Roma, con o senza il tuo supporto» gridò lei di rimando.
Il servo fece ritorno con una piccola anfora. Kyros lo intercettò e afferrò al volo il recipiente, bevendo d’un fiato l’intero contenuto. Si pulì la bocca con il dorso della mano, quindi, sempre tenendo d’occhio Axile, condusse Tanaquil fuori.
Mentre camminavano nelle animate vie della città, sotto il sole che scaldava a malapena, Tanaquil si sentì sollevata. Si strinse al braccio del greco in un istintivo gesto di affetto che la sorprese. «Non ho bisogno di Tages, se mi accompagni tu.»
«Ho soltanto evitato che la conversazione degenerasse» fece lui, minimizzando il suo ruolo.
«E te ne sono grata» disse lei staccandosi. «Però abbiamo rischiato troppo. Avrebbe potuto chiamare le sue guardie e farci arrestare. O uccidere. Lo conosco, so che potrebbe farlo.»
«È solo un codardo» replicò Kyros aggiustandosi meglio il chitone. «Ha paura di Luchmon, ne è terrorizzato. Gliel’ho letto negli occhi quando lo hai nominato. Se solo si azzardasse a torcerti un capello, tuo marito farebbe marciare il suo esercito contro Tarquinia. E allora per lui sarebbe la fine. Codardo, sì, ma non del tutto stupido.»
Tanaquil si limitò ad annuire. Forse la vera stupida era stata lei a credere di poterlo convincere. Il rammarico più grosso però era quello di non avere nell’esercito una rappresentanza ufficiale di Tarquinia. Pazienza. La miopia umana era una malattia senza rimedio, un morbo del quale i tarquiniesi erano in gran parte vittime. Luchmon avrebbe dovuto accontentarsi di Kalaturus e degli altri, il primo nucleo che aveva addestrato e che adesso formava la sua guardia personale.
Si bloccò a un bivio. A sinistra c’era l’abitazione di Demarato, a destra la strada in discesa che conduceva alla casa dei suoi genitori.
Kyros imboccò la seconda via. Poi, accortosi di non essere seguito, si fermò.
«Non dovevi andare a salutare i tuoi?» le domandò. Negli occhi allegri solo una punta di stupore.
«Non so se ho voglia di vederli» gli confidò lei. «Abbiamo interrotto i nostri rapporti quando ho deciso di sposarmi. È come se mi avessero abbandonata.»
«Potresti non tornare più a Tarquinia per molto tempo» le fece notare il musico.
Tanaquil ripensò alle infinite discussioni dei giorni antecedenti al matrimonio, alle quali erano seguiti silenzi sempre più carichi di risentimento e ostilità per colpa delle ottuse posizioni di suo padre. In quel preciso momento aveva stabilito di non volerlo più vedere. Una decisione difficile e dolorosa. Ne avrebbe fatto le spese sua madre, ma anche lei non aveva mai tentato di ricucire lo strappo.
«Discutere con Axile è stato sufficiente, per oggi» concluse. «Non me la sento di farlo anche con la mia famiglia.»
Kyros si strinse nelle spalle. «Come desideri.»
Tanaquil restò a guardare la discesa ancora per un istante, poi, a testa alta e senza esitare, si incamminò verso la casa che era stata di Demarato.