AVVERTENZA

Questa Italia dei secoli d’oro segue a L’Italia dei Comuni, che a sua volta seguiva L’Italia dei secoli bui. Si tratta cioè della terza puntata di una ricostruzione della nostra civiltà che, almeno nell’intenzione degli autori, dovrebbe arrivare sino ai giorni nostri.

Il periodo che questo volume abbraccia è quello compreso fra la morte di Federico II (1250) e la scoperta dell’America (1492). È un periodo splendido, forse il più splendido del nostro passato, ma che tuttavia prepara la miseria di quelli successivi. Noi abbiamo appunto cercato di chiarire per quali motivi ciò che fece lì per lì la grandezza dell’Italia ne propiziò anche la decadenza. E perciò, invece di correre dietro alle vicende dei singoli staterelli italiani, alla loro complicata diplomazia e alle loro guerricciòle, che mai o quasi mai superarono i limiti della piccola cronaca, e spesso del pettegolezzo, abbiamo preferito seguire le grandi linee dello sviluppo civile del nostro popolo, l’evoluzione del suo costume, del suo pensiero, della sua arte: che furono le grandi palestre in cui gl’italiani sfogarono le loro energie, purtroppo dispensate dall’impegno di costruire una Nazione e uno Stato.

Non abbiamo avuto di mira nessuna tesi preconcetta. Abbiamo solo accettato e registrato le lezioni che i fatti c’impartiscono, cercando di non farci influenzare dai soliti miti e luoghi comuni. Come al solito ci diranno che abbiamo esagerato l’importanza di certi avvenimenti e personaggi a scapito di altri. E come al solito noi rispondiamo che non c’è libro di storia che non si presti a queste critiche. Ci diranno anche che il nostro modo di raccontare non rispetta abbastanza i canoni della storiografia ufficiale e accademica. E noi rispondiamo che non li rispetta affatto perché di proposito non intendiamo rispettarli. Noi ci rivolgiamo a quella grande massa di lettori che solo ora si svegliano alla coscienza della propria storia appunto perché la storiografia ufficiale e accademica li ha sempre da essa esclusi. E in che misura siamo riusciti a raggiungerli lo dimostrano le tirature di questi libri, tutti al di là delle centomila copie e qualcuno (la Storia di Roma, per esempio) delle duecentomila. Il successo, siamo d’accordo, non è l’unico metro su cui si debba misurare il valore di un’opera; ma la sua efficacia, sì.

A questo volume seguirà L’Italia della controriforma, cioè il Cinquecento. Ma non sappiamo se riusciremo ad approntarlo per il Natale dell’anno venturo. La Controriforma è l’avvenimento che decise la nostra sorte di Nazione, cioè che la fece abortire. E grazie alla nuova atmosfera introdotta dal Concilio, crediamo che sia finalmente suonata l’ora di ricostruire quel grande dramma della coscienza cristiana non più in termini di ortodossia ed eresia, ma di storia pura e semplice, un’impresa in cui siamo impegnati già da un anno, ma che forse ce ne richiederà altri due per condurla a termine.

Ringraziamo il lettore di averci accompagnato fin qui. È lui non solo il destinatario, ma anche il vero ispiratore di quest’opera. Se ci avesse abbandonato, noi avremmo già smesso di scriverla.

I.M.

R.G.

Ottobre 1967