Giuseppe Sabatelli, Farinata degli Uberti alla battaglia di Montaperti, XIX secolo, Galleria d’Arte Moderna, Firenze

1. Giuseppe Sabatelli, Farinata degli Uberti alla battaglia di Montaperti, XIX secolo, Galleria d’Arte Moderna, Firenze.

Il 4 settembre 1260 i ghibellini senesi, con l’appoggio dei fuoriusciti fiorentini e delle truppe accordate dal re di Sicilia Manfredi di Svevia, sconfissero le forze guelfe fiorentine nella battaglia di Montaperti. Nei seguenti sei anni i ghibellini ebbero il sopravvento nell’Italia centrale fino alla battaglia di Tagliacozzo (1266), quando la loro fortuna e quella degli Svevi tramontò definitivamente a beneficio della fazione guelfa appoggiata dagli Angioini. Per Firenze, l’esito della battaglia di Montaperti significò il rientro delle famiglie ghibelline allontanate dalla città verso il 1250, all’indomani della morte dell’imperatore Federico II. A guidare il loro ritorno vi era Farinata degli Uberti, che si oppose risolutamente alla proposta avanzata dagli altri esponenti ghibellini di distruggere Firenze per vendicarsi dei torti subiti durante l’esilio. Una difesa ricordata da Dante nel X canto dell’Inferno, dove incontrò Farinata tra le anime degli eretici epicurei.

Battaglia di Campaldino, stampa del XIX secolo da miniatura della Cronica di Giovanni Villani

2. Battaglia di Campaldino, stampa del XIX secolo da miniatura della Cronica di Giovanni Villani.

La battaglia, che contrappose l’11 giugno 1289 l’esercito guelfo fiorentino, da una parte, e quello aretino, dall’altra, appoggiato dalle forze ghibelline provenienti da tutta la Toscana centromeridionale, fu uno dei pochi scontri campali avvenuti in Italia centrale durante il Medio Evo. La decisiva vittoria conseguita dai Fiorentini, guidati da Aymeric de Narbonne, Guglielmo di Durfort e Corso Donati, decretò la fine delle speranze dei fuoriusciti ghibellini di assicurarsi il ritorno sulla scena politica toscana. Il netto trionfo della fazione guelfa permise inoltre a Firenze, che già «capeggiava la Lega Guelfa delle città toscane su cui aveva affermato la sua leadership», di poter esercitare un ruolo egemone nell’ambito di tutta la regione, mentre a partire dal secolo seguente si impose quale centro europeo di primo piano, grazie alla crescita economica e culturale che la caratterizzò.

Filippo IV il Bello brucia la bolla pontificia, 1890 ca., Francia

3. Filippo IV il Bello brucia la bolla pontificia, 1890 ca., Francia.

A causa dei problemi di natura politica ed economica che investivano il Regno di Francia, Filippo IV il Bello impose una tassa sul Clero francese. Una decisione che tuttavia suscitò la ferma reazione di Bonifacio VIII, che rispose al provvedimento regio con la bolla Clericis laicos del 1296, con la quale scomunicava chiunque avesse riscosso imposte dal Clero. Si apriva in questo modo un lungo braccio di ferro tra il Re di Francia e il Papa, che si collocava nel quadro del processo di rafforzamento del potere monarchico, inteso come indipendente da ogni altra autorità, anche quella pontificia, cui faceva eco la posizione di Bonifacio VIII, tendente invece a esaltare la supremazia papale a cui i sovrani dovevano sottostare e contenuta nella bolla Unam Sanctam, emanata nel 1302.

Battaglia della Meloria, miniatura dalla Cronica di Giovanni Villani, XIV secolo

4. Battaglia della Meloria, miniatura dalla Cronica di Giovanni Villani, XIV secolo.

La battaglia navale, combattuta nel 1284 tra Pisani e Genovesi, arrise a Genova che si impose come potenza marittima di primo piano nel Mediterraneo occidentale e come temibile rivale per Venezia. Lo scontro fu il risultato di una scaltra decisione adottata dai Genovesi. Dopo diverse schermaglie tra le due flotte che non avevano portato a nessuna concreta conseguenza, l’ammiraglio Oberto Doria decise di affrontare i Pisani presentandosi a Porto Pisano, l’antico porto di Pisa situato a Nord dell’attuale città di Livorno, tenendo delle galee celate dietro gli scogli della Meloria. I Pisani, guidati da Andrea Saraceno sul fianco destro, dal conte Ugolino della Gherardesca su quello sinistro, e al centro dal veneziano Alberto Morosini, ingaggiarono senza esitazione la lotta che si protrasse per diverse ore, fino a quando il Doria reputò giunto il momento di chiamare in causa la riserva, che ebbe facilmente ragione dei Pisani. Il bilancio finale della battaglia fu pesante per Pisa: la città non solo perse quasi una quarantina di galee ma soprattutto vide del tutto compromesso il suo ruolo egemone sul mare.

Bonifacio VIII apre il primo Giubileo dalla Loggia delle Benedizioni del Palazzo Laterano, Biblioteca Ambrosiana, Milano

5. Bonifacio VIII apre il primo Giubileo dalla Loggia delle Benedizioni del Palazzo Laterano, Biblioteca Ambrosiana, Milano.

Tra il 16 o il 17 febbraio 1300 dal Laterano venne promulgata la bolla del Giubileo; il 22 dello stesso mese, sull’ambone marmoreo nella basilica di San Pietro, Bonifacio VIII si rivolse ai fedeli, annunziando loro che nell’anno appena iniziato (allora ritenuto l’ultimo del secolo) sarebbe stata proclamata l’indulgenza plenaria per la remissione dei peccati. Il «lancio pubblicitario fu perfetto. Per mesi e mesi, dai pulpiti di tutta Europa, i predicatori bandirono il pellegrinaggio vantando i benefici che c’era da aspettarsene: la salvezza dell’anima e i diletti turistici». L’afflusso di un altissimo numero di pellegrini ebbe un impatto positivo su Roma, che «finalmente […] tornò a sentirsi caput mundi, la capitale del mondo, e ad assaporare il gusto delle folle poliglotte e multicolori, dell’abbondanza e della gozzoviglia».

Il palazzo dei Papi ad Avignone, miniatura da un codice del XIV secolo

6. Il palazzo dei Papi ad Avignone, miniatura da un codice del XIV secolo.

La città di Avignone, scelta da Clemente V «col fatto che Roma non forniva garanzie di sicurezza e moralità», era situata a ridosso del Contado Venassino, di proprietà della Chiesa dal 1274, e in un feudo appartenente agli Angiò, in quel momento alleati della Chiesa. Il borgo era difeso da una cinta muraria lunga cinque chilometri circa, e dal momento che divenne sede della Curia pontificia vide aumentare la propria prosperità, divenendo un florido centro culturale e finanziario. All’interno della cinta si trovava il Palazzo dei Papi, costituito da un corpo di fabbrica che presentava un Palazzo Vecchio, fatto edificare da Benedetto XII sul precedente palazzo vescovile all’architetto Pierre Poisson, dal carattere austero e ispirato a concetti architettonici romanici. Con Clemente VI, l’architetto Jean de Loubière fu incaricato di edificare un secondo edificio, caratterizzato dalle ampie stanze della Corte pontificia che si aprono sui cortili, dando vita al Palazzo Nuovo, dal carattere gotico e riccamente decorato da Matteo Giovannetti da Viterbo.

Cola di Rienzo proclama la Repubblica romana dal Campidoglio, stampa del XIX secolo

7. Cola di Rienzo proclama la Repubblica romana dal Campidoglio, stampa del XIX secolo.

Fallito ogni tentativo per far tornare i papi a Roma, un colto popolano imbevuto di letture classiche, Cola di Rienzo, attuò d’accordo con Clemente VI il piano per liberare l’Urbe dalle diverse consorterie nobiliari che vi spadroneggiavano. Il 21 maggio 1347, il lunedì di Pentecoste, egli riunì il popolo in Campidoglio e alla presenza del Vicario pontificio proclamò la Repubblica romana, facendosi eleggere «tribuno delle libertà, della pace e della giustizia e liberatore della sacra Repubblica romana» e quindi cacciò i nobili dalla città, costringendoli nei loro castelli. Cola ristabilì l’ordine in Roma e nel territorio circostante, sempre con l’approvazione di Clemente VI, ma il suo progetto di unire l’Italia in uno Stato con Roma capitale, proposta che fu accolta in modo favorevole da molte città italiane che inviarono nell’agosto 1347 i loro rappresentanti in Laterano, suscitò l’inquietudine del Pontefice che «si rese conto […] che si trattava di uno squilibrato» e lo lasciò al suo destino.

Raffigurazione della peste, metà del XIV secolo

8. Raffigurazione della peste, metà del XIV secolo.

Dalla regione del Kazakistan, seguendo la via carovaniera della seta fino a Samarcanda, e da qui in Crimea, la peste fece la sua comparsa nella colonia genovese di Caffa, assediata nel 1345 dai Tartari che vi catapultarono dei cadaveri appestati. Dal fondaco genovese, la peste apparve poi a Costantinopoli, nel quartiere genovese, e quindi a Messina, sempre al seguito delle galee genovesi. Nel 1348 si diffuse gradualmente in tutta l’Europa, dalla Spagna alla Scandinavia, restando in forma endemica fino a Settecento inoltrato, e causando vuoti tremendi tra le fila delle popolazioni europee, in particolare quelle dei ceti medio-bassi urbani. È proprio sugli abitanti della città, indeboliti dalle carestie dovute ai cattivi raccolti verificatisi all’inizio del secolo, nonché dalle condizioni igieniche precarie conseguenti all’alto flusso di contadini che cercavano sostentamento nei borghi, che incise maggiormente l’epidemia.

Giorgio Vasari e aiuti, Ritorno di Gregorio XI da Avignone, XVI secolo, Sala Regia, Città del Vaticano

9. Giorgio Vasari e aiuti, Ritorno di Gregorio XI da Avignone, XVI secolo, Sala Regia, Città del Vaticano.

Nonostante l’opposizione del Re di Francia e della maggior parte dei Cardinali, Gregorio XI si decise a riportare la sede pontificia a Roma dopo più di sessant’anni di assenza dei Pontefici dall’Urbe. La decisione del Papa scaturiva dalla rivolta che interessava gli Stati della Chiesa contro le angherie commesse dai Legati francesi, lo scontro con Firenze che guidava la rivolta e che Gregorio XI scomunicò, e infine per gli appelli insistenti di Santa Caterina da Siena e del Petrarca. Il rientro a Roma, avvenuto il 17 gennaio 1377, non fu però trionfale e gioioso, «anzi [il Papa] vi si sentì così poco sicuro che dopo poche settimane si ritirò ad Anagni e di lì cercò di riportare la pace nei suoi Stati».

Martino V eletto Papa, xilografia tratta da Cronaca del Concilio, 1483, Sorg, Augusta

10. Martino V eletto Papa, xilografia tratta da Cronaca del Concilio, 1483, Sorg, Augusta.

Oddone Colonna, uomo pio e colto oltre che estraneo a ogni intrigo, durante le sessioni del Concilio di Costanza, indetto dall’imperatore Sigismondo e finalizzato a porre fine al grande scisma che dilaniava l’Europa cristiana, aderì in un primo tempo alla linea conciliare, che rivendicava la centralità del Concilio nell’ambito della Chiesa e la sua supremazia rispetto al Papa. Appena eletto al Soglio pontificio assunse un atteggiamento del tutto opposto: ribadì con fermezza la superiorità del Pontefice sul Concilio. Tenne testa quindi abilmente alle teorie conciliari, «giuocando ogni gruppo nazionale [di Padri Conciliari] contro l’altro. Così sbriciolò quella che avrebbe dovuto essere la grande riforma della Chiesa».

Pontormo (1494-1556), Ritratto di Cosimo il Vecchio, Galleria degli Uffizi, Firenze

11. Pontormo (1494-1556), Ritratto di Cosimo il Vecchio, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Abile banchiere, incrementò le notevoli fortune ereditate dal padre con oculati investimenti; nel contempo si rivelò un altrettanto accorto politico, che senza esporsi in prima persona, ma con un fare discreto, manovrò sapientemente le magistrature fiorentine, ponendovi uomini di provata fedeltà. Diresse così la vita politica di Firenze da «dittatore moderato e benevolo», rispettando formalmente le istituzioni repubblicane. Con le sue ricchezze contribuì inoltre ad abbellire Firenze al punto d’essere chiamato «Padre della Patria» dal popolo che lo rispettava e lo amava. Chiamò artisti di primo piano del panorama culturale, come Brunelleschi, Michelozzo, Donatello e Filippo Lippi, mentre da buon mecenate chiamò alla sua Corte umanisti del calibro di Marsilio Ficino, Bruni e Pico della Mirandola, facendo di Firenze il principale centro rinascimentale della Penisola.

Giorgio Vasari (1511-1574), Ritratto di Lorenzo il Magnifico, Galleria degli Uffizi, Firenze

12. Giorgio Vasari (1511-1574), Ritratto di Lorenzo il Magnifico, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Incarnazione ideale del Principe rinascimentale, Lorenzo protesse gli uomini di cultura, di cui amò circondarsi. Prudente e lungimirante, non diversamente dal padre operò in politica estera cercando innanzitutto di creare un sistema di equilibrio tra gli Stati italiani, e per questo motivo diede vita alla Lega italica finalizzata a preservare la pace nella Penisola, alla quale aderirono Napoli, il Papa, Milano, e Venezia. L’altra sua grande fonte di attenzione «erano le arti, le lettere e la vita sociale di Firenze, cui dettava il costume. E fu questo a valergli il titolo con cui la Storia doveva adottarlo. Di Magnifico, a quei tempi, si dava a ogni Signore. Ma Lorenzo lo fu per eccellenza e antonomasia».

Bonifacio Bembo (1420-1482), Francesco Sforza Duca di Milano, Pinacoteca di Brera, Milano

13. Bonifacio Bembo (1420-1482), Francesco Sforza Duca di Milano, Pinacoteca di Brera, Milano.

Francesco Sforza fu «il più grande generale del suo tempo. Era alto, possente, bello e coraggioso […] era sempre il primo a cacciarsi nelle mischie e l’ultimo ad uscirne». Nel 1450 divenne Signore di Milano, facendone «una splendida metropoli», e del Ducato, che consolidò attraverso un sistema di alleanze con Firenze e Napoli in funzione antiveneziana, divenendo in breve l’arbitro delle vicende politiche italiane.

L’assedio di Costantinopoli ad opera dei turchi ottomani di Maometto II, miniatura tratta dal manoscritto Passages d’Outremer di Jean Mielot, XV secolo

14. L’assedio di Costantinopoli ad opera dei turchi ottomani di Maometto II, miniatura tratta dal manoscritto Passages d’Outremer di Jean Mielot, XV secolo.

Rimasta ormai una città-stato, isolata in un territorio controllato da tempo dai Turchi, Costantinopoli subì l’assalto decisivo ottomano con Maometto II, senza che l’Europa intervenisse in suo soccorso. Le esigue difese, dirette dal genovese Giovanni Giustiniani, dovettero misurarsi con un avversario numericamente soverchiante, dotato di una potente artiglieria e appoggiato da una flotta di quattrocento galee. Dopo un bombardamento durato diverse settimane, che mise a dura prova la resistenza delle possenti mura difensive, l’apertura di una breccia presso porta San Romano permise a un contingente di giannizzeri di dilagare verso il centro di Costantinopoli e sopraffare così ogni resistenza. All’ingresso di Maometto «i massacri e le rapine cessarono, anche perché da uccidere e da svaligiare c’era rimasto ben poco e le strade e le piazze della città erano lastricate di cadaveri». La perdita di Costantinopoli e quindi delle vie di comunicazione verso l’Estremo Oriente spinsero gli europei a cercare una rotta alternativa a Ovest, che permettesse loro di poter raggiungere l’Oriente.

Melozzo da Forlì, Inaugurazione della Biblioteca Vaticana, 1477, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano

15. Melozzo da Forlì, Inaugurazione della Biblioteca Vaticana, 1477, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano.

L’idea di costituire una biblioteca dove raccogliere i codici e i testi antichi posseduti sino ad allora dai Papi fu di Niccolò V e risaliva al 1451; Sisto IV ne ufficializzò l’esistenza nel 1475 con la bolla Ad decorem militantis Ecclesiae. In essa confluirono manoscritti e codici il cui numero ammontava, al momento della sua istituzione, a oltre duemila pezzi, che sarebbero andati via via aumentando nei secoli seguenti, e la cui consistenza è stata poi ulteriormente incrementata dall’affluire in tempi diversi di numerose collezioni bibliografiche (dalla Palatina, 1622, alla Borghesiana, 1891, dalla Barberiniana, 1902, alla De Luca, 1975). Le stanze che accoglievano la Biblioteca furono riccamente decorate da pittori quali Antoniazzo Romano, Domenico e Davide Ghirlandaio e Melozzo da Forlì. Quest’ultimo ebbe anche l’incarico di rappresentare l’inaugurazione della Biblioteca e la nomina del suo primo Prefetto, l’umanista Bartolomeo Sacchi, detto il Plàtina, che è riconoscibile al centro dell’affresco inginocchiato ai piedi di Sisto IV.

Theodor de Bry (1528-1598), Re Ferdinando e la regina Isabella di Spagna salutano Cristoforo Colombo che salpa per le Indie, stampa da Americae, Kunstbibliothek, Berlino

16. Theodor de Bry (1528-1598), Re Ferdinando e la regina Isabella di Spagna salutano Cristoforo Colombo che salpa per le Indie, stampa da Americae, Kunstbibliothek, Berlino.

La caduta di Costantinopoli e la chiusura delle vie per l’Estremo Oriente spinsero gli europei a cercare a Ovest, al di là della superficie marina che si distendeva a perdita d’occhio dalle Colonne d’Ercole, la via per raggiungere l’Oriente e assicurare i rifornimenti di spezie e seta. Un genovese, Cristoforo Colombo, dopo otto lunghi anni di attese e tentativi riuscì a convincere la regina Isabella di Castiglia della bontà del suo progetto di navigare verso Ovest e raggiungere le Indie. Con l’approvazione dei sovrani di Spagna approntò tre caravelle e dopo oltre sessanta giorni di navigazione toccò terra il 12 ottobre 1492 all’isola Guanahani; poi scoprì Cuba e Haiti. Una scoperta, quella compiuta dal genovese, che rese consapevoli gli europei dell’esistenza di altre popolazioni che esulavano del tutto dai valori e dalle mentalità comuni, così come esulavano dal professare la religione cristiana, e dunque andavano educate ed evangelizzate. L’incontro con il nuovo si trasformò ben presto in un processo di assoggettamento e conversione forzata; lo stesso Colombo, colpito dalla «docilità degli indigeni» annotava che «“Devono essere buoni servi. […] Se i sovrani lo desiderano possono farli venire in Castiglia o chiuderli prigionieri nell’isola, perché con cinquanta uomini armati li tengono tutti in loro dominio.” Come esempio di carità cristiana non c’era male».