1 Cfr. per esempio il lessico delle scienze sociali di A. Beitone et al., Lexique de sociologie, Dalloz, Paris 1995. C’è ormai un lemma decrescita nel Dictionnaire des sciences humaines, a cura di P. Savidan e S. Mesure, PUF, Paris 2006; nel dizionario di ATTAC, Le Petit Alter. Dictionnaire altermondialiste, Mille et Une Nuits, Paris 2006; in G. d’Alisa, F. Demaria e G. Kallia, Degrowth. A Vocabulary for a New Era, Routledge, London 2014; e ovviamente nel Dictionnaire de la pensée écologique, a cura di D. Bourg e A. Papaux, PUF, Paris 2015.
2 S. Latouche et al., La décroissance, in «Silence», 280, febbraio 2002.
3 Atti pubblicati con il titolo Défaire le développement, refaire le monde, Paragon, Lyon 2002.
4 François Partant (1926-1987), banchiere ed esperto di sviluppo che rompe con il sistema negli anni sessanta e diventa una sorta di guru degli alternativi francesi e un precursore della decrescita.
5 Cfr. per esempio E. Zaccai (a cura di), Sustainable Consumption, Ecology and Fair Trade, Routledge, London 2007.
6 Cfr. M. Bonaiuti (a cura di), Roegen. La sfida dell’entropia, Jaca Book, Milano 2017.
7 T. Jackson, Prosperità senza crescita. I fondamenti dell’economia di domani, nuova ed. it. a cura di G. Bologna, Edizioni Ambiente, Milano 2017.
8 N. Georgescu-Roegen, La Décroissance. Entropie, écologie, économie, trad. fr. di J. Grinevald e I. Rens, Sang de la Terre, Paris 1994.
9 Gorz lo avrebbe utilizzato in un’intervista del 13 giugno 1972 e in seguito a due o tre riprese.
10 B. Charbonneau, Coûts de la croissance, gains de la décroissance, in «Foi & vie», 1974.
11 M. Pallante, La Decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal PIL, Edizioni per la Decrescita Felice, Rimini 2001.
12 La distinzione tra merci che sono beni e merci che non lo sono pone un problema sia teorico che pratico. A partire da Adam Smith, la teoria economica ha cercato di cancellare sempre di più qualsiasi riferimento etico relativo al contenuto dell’utilità. Walras sostiene che dal momento che esiste una domanda, l’utilità della merce è verificata. Dunque per la teoria economica tutte le merci sono beni. Pareto arriva addirittura a proscrivere il termine utilità, che propone di sostituire con ofelimità. Nella letteratura economica, merci (commodities) e beni (goods) sono termini praticamente interscambiabili. D’altra parte, per la sociologia e l’antropologia (Jean Baudrillard, Marshall Salhins), non è possibile, dato che i bisogni sono sempre culturali, distinguere merci e beni sulla base di una distinzione tra veri e falsi bisogni. Questa distinzione morale può essere utile nella controversia retorica, ma è una base fragile per costruire una teoria che pretenda di essere rigorosa. Sembra invece perfettamente difendibile l’idea sviluppata da Paul Ariès, secondo la quale per limitare il sovraconsumo e nell’ottica di una politica del bene comune, bisognerebbe tassare il cattivo uso, definito come il consumo di beni (acqua, gas, elettricità ecc.) superiore alla quantità disponibile per tutti, mentre il minimo considerato necessario sarebbe fornito gratuitamente. Cfr. P. Ariès, Le Mésusage. Essai sur l’hypercapitalisme, Paragon/Vs, Lyon 2017.
13 P. Rabhi, La sobrietà felice, trad. it. di A. Maestrini, ADD, Torino 2013.
14 Questa posizione è stata sostenuta da Europe-Écologie-Les Verts, Jean-Marie Harribey, Alain Lipietz, ATTAC e altri ancora: non una decrescita globale ma una decrescita selettiva (e dunque una crescita selettiva). Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato che la produzione immateriale ha sempre un effetto materiale, diretto o indiretto, non trascurabile e che la separazione tra crescita economica e pressione sugli ecosistemi è più un mito che una realtà.
15 Cfr. S. Latouche, L’invenzione dell’economia, trad. it. di F. Grillenzoni, Bollati Boringhieri, Torino 2010.
16 Alcune delle quali sono state comunque elaborate, come ricorda Thierry Paquot, da autentici precursori della decrescita. Cfr. T. Paquot, Utopie et utopistes, La Découverte, Paris 2007.
17 G. Rist, M. Rahnema e G. Esteva, Le Nord perdu. Repères pour l’après-développement, Éditions d’en bas, Lousanne 1992.
18 Queste due opere chiave sono state precedute, nel 1962, da Rachel Carson, Primavera silenziosa, trad. it. di C.A. Gastecchi, Feltrinelli, Milano 2016 e da Murray Bookchin, Our Synthetic Environment, Martino Fine Books, Eastford 2018 e poi da Jean Dorst, Prima che la natura muoia. Verso una riconciliazione dell’uomo e della natura, Muzzio, Padova 1988. Nello stesso periodo compare Una sola terra. Cura e mantenimento di un piccolo pianeta del biologo René Dubos e dell’economista Barbara Ward, trad. it. di G. Barnabé Bosisio ed E. Capriolo, Mondadori, Milano 1972, rapporto preparato in vista del primo Summit della Terra (Stoccolma 1972).
19 Y. Cochet, Pétrole apocalypse, Fayard, Paris 2005, p. 147. Cochet riassume così il suo messaggio: «Una pepita d’oro contiene più energia libera dello stesso numero di atomi d’oro diluiti uno a uno nell’acqua di mare» (p. 153). Per una piccola storia della decrescita, cfr. J. Grinevald, Histoire d’un mot. Sur l’origine de l’emploi du mot «décroissance», in «Entropia», 1, ottobre 2006.
20 «Non possiamo – scrive Nicholas Georgescu-Roegen – produrre frigoriferi, automobili e aerei a reazione “migliori e più grandi” senza produrre anche rifiuti “migliori e più grandi”».
21 Georgescu-Roegen esplicita le implicazioni bioeconomiche della legge dell’entropia, già intraviste negli anni quaranta-cinquanta da Alfred James Lotka (1880-1949), Erwin Schrödinger (1887-1961), Norbert Wiener (1894-1964) o Léon Brillouin (1889-1969).
22 Citato da D. Clerc, in «Cosmopolitique», 13, p. 17.
23 Tra i pionieri dell’applicazione delle leggi della termodinamica all’economia va segnalato Sergej Podolinsky (1850-1891), sostenitore di un’economia dell’energia, che tentò di conciliare il socialismo e l’ecologia. Aristocratico ucraino esiliato in Francia, tentò senza successo di sensibilizzare Marx alla critica ecologica. È stato riscoperto dall’ecologista ed economista catalano Joan Martinez Alier. Cfr. J. Martinez Alier e J.S. Naredo, A Marxist Precursor to Energy Economics: Podolinsky, in «Peasant Studies», 9, 1982.
24 Decrescita (italiano) decrecimiento (spagnolo), decreiscment (catalano), decrescimento (portoghese), decrestere (rumeno).
25 I neologismi ungrowth o dedevelopment proposti da alcuni non sono più convincenti di shrinking, decreasing o declining utilizzati da altri. L’inglese downshifting (spostamento verso il basso) è il termine utilizzato da quelli che scelgono la semplicità volontaria, e forse rende bene il versante soggettivo del progetto della decrescita. Counter-growth proposto da altri rende invece abbastanza bene il lato oggettivo. Nei paesi anglosassoni si parla anche di uneconomic growth, cioè crescita a effetto negativo. Si è proposto ancora way down, powerdown (titolo di un libro di Richard Heinberg il cui messaggio è abbastanza vicino a quello della decrescita e che prospetta una società postcarbone), o contraction e downscaling. In tedesco Schrumpfung o Minuswachstum sono altrettanto problematici.
26 Questo riferimento musicale fa eco al titolo del libro di Jean-Claude Besson-Girard, Decrescendo cantabile. Piccolo manuale per una decrescita armonica, trad. it. di E. Emaldi, Jaca Book, Milano 2007. Alla fine sembra sia stato scelto datsu-seicho («liberarsi dalla crescita»). Cfr. G. Rist, La Tragédie de la croissance, Les Presses de Sciences Po, Paris 2018.
27 Il problema se l’assenza di parole significa l’assenza della cosa è un vecchio problema discusso a lungo da Leibniz a proposito della religione, e a cui il teologo indo-catalano Raimon Panikkar, un altro precursore della decrescita, ha proposto una soluzione elegante con il suo concetto degli equivalenti omeomorfici. Cfr. R. Panikkar, Religion, philosophie et culture, in «Interculture», 135, 1998.
28 Nel mondo ortodosso il rifiuto è stato ancora più netto: la Chiesa ha proibito gli orologi sui campanili e l’organo nei luoghi di culto in quanto invenzioni diaboliche!
29 O. Spengler, Il tramonto dell’occidente (1918), trad. it. di J. Evola, Longanesi, Milano 2008; Arnold Toynbee, Civiltà al paragone (1948), trad. it. di G. Paganelli e A. Pandolfi, Bompiani, Milano 2003; Joseph Tainter, Collapse of Complex Societies, Cambridge University Press, Cambridge 1988; Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, trad. it. di F. Leardini, Einaudi, Torino 2014.
30 È chiaro che dietro il problema della traduzione della parola decrescita si nascondono questioni che dividono i filosofi da secoli, almeno dal tempo della querelle degli universali tra nominalisti e realisti, che fece scorrere tanto inchiostro (e sangue), e più fondamentalmente tra universalismo e relativismo. Le basi filosofiche più coerenti con il progetto della decrescita propendono per il relativismo (contro l’occidentalocentrismo) e il nominalismo. Comunque sia, non ha senso opporre una vera decrescita latina ai progetti anglosassoni e germanici, tutti altrettanto necessari e rispettabili, delle transition towns di Rob Hopkins, delle società post-carbonio di Richard Heinberg o della post-crescita del tedesco Niko Paech, della prosperità senza crescita di Tim Jackson, o della semplicità volontaria dell’australiano Samuel Alexander.
31 L’obiettivo può prendere il nome di umran (realizzazione) come in Ibn Kaldûn, di swadeshi-sarvodaya (miglioramento delle condizioni sociali di tutti) come in Gandhi, di Fidnaa/Gabbina (dispiegamento di una persona ben nutrita e libera da ogni preoccupazione) come tra i Borana di Etiopia, o ancora di bamtaare (stare bene insieme) come tra i Peul. Cfr. G. Dahl e G. Megerssa, The Spiral of the Ram’s Horn. Boran Concepts of Development, in M. Rahnema e V. Bawtree (a cura di), The Post-Development Reader, Zed Books, London 1997.