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I servizi segreti russi e i vescovi di Mostar

Un reportage israeliano denuncia: calunnia o verità?

Dopo trentasei anni di apparizioni i misteri di Medjugorje si arricchiscono di una nuova e sconcertante vicenda che ha fatto scatenare le ire del vescovo di Mostar Ratko Peric, noto per la sua proverbiale e sistematica avversione contro la Madonna che appare a Medjugorje, i veggenti, i frati e tutti i pellegrini che a ondate di milioni affluiscono e cambiano vita sul Podbrdo.

Il vescovo di Mostar-Duvno non ha mai esercitato di fatto la sua funzione di pastore per questo immenso gregge che viene a cercare la misericordia di Dio tra il Krizevac, la collina e la chiesa di San Giacomo.

Monsignor Peric, infatti, si è limitato dal 1993 a svolgere il suo ministero per esempio in occasione delle cresime dei residenti cattolici croati e non perdendo mai una sola occasione per sparare a zero contro la “Apparsa”, come chiama lui la Vergine Regina della Pace.

Detto ciò ci sembra opportuno alzare il coperchio di un pentolone dai condimenti assai maleodoranti che rischiano di intossicare tutto e tutti.

Ma veniamo ai fatti. Nel mese di maggio 2017 consulto i vari siti che riguardano Medjugorje e tra questi mi cade l’occhio sulla home page ufficiale della diocesi di Mostar: www.md-tm.ba, e vedo che campeggia a colori, in bella vista, una sorta di promo o spot di un film dal titolo From Fatima to Medjugorje [foto 10] e, proprio al di sotto, leggo cinque righe inferocite a firma niente meno di monsignor Peric, il quale lancia questa volta i suoi strali non contro i veggenti, i frati, i pellegrini, i giornalisti che seguono favorevolmente Medjugorje o la presunta “Apparsa” di Medjugorje, bensì nei confronti, addirittura, di un presunto alto ufficiale del KGB, niente meno che il colonnello generale Alexander Maksimov dei servizi segreti per la sicurezza interna dell’ex Unione Sovietica.

Caspita! Mi incuriosisco e vado subito a vedere su internet e trovo questo testo che faccio tradurre dal croato: «Se il generale colonnello Maksimov è una persona reale, non sarà un problema organizzare un dibattito pubblico. Prima di tutto, il generale del KGB deve mettere davanti agli occhi dell’opinione pubblica tutti i documenti compromettenti che ha a sua disposizione, come anche i contenuti! Che dimostri la loro autenticità, e poi lasciamo che tutti, compreso il vescovo, moralmente e legalmente, rispondano per le loro azioni e si assumano la propria responsabilità morale e legale!».

In poche parole, il vescovo sostiene che, se le dichiarazioni del generale Maksimov non vengono supportate da prove documentali inoppugnabili o da altre testimonianze probatorie e se il generale non rivela la sua vera identità e il suo ruolo reale nella gerarchia del KGB degli anni ’80-’90, allora il film è destituito di qualunque fondamento e assume le caratteristiche del reato di calunnia.

Monsignor Peric si dichiara disponibile a un confronto pubblico col generale Maksimov, al termine del quale ciascuno si assumerà le sue responsabilità morali e legali [foto 11].

Appena terminata la lettura di queste frasi capisco immediatamente che il film contiene delle informazioni ad alto contenuto accusatorio nei confronti del vescovo Peric. Per quale motivo? Non riesco a capirlo bene e, in attesa di avere la traduzione completa del post pubblicato sul sito ufficiale della diocesi, vado a scaricare il film.

Prima di entrare nel vivo di questo documentario che ha fatto infiammare la diocesi di Mostar, torniamo indietro di qualche anno per vedere che cosa già conosciamo di dossier e polizia segreta, di verbali, di libri e film precedenti a quest’ultimo.

Partiamo dal libro Misterij Medjugorja, pubblicato nel 2011. È un volume importante, scritto dai colleghi croati Zarko Ivkovic, caporedattore degli Interni del giornale «Vecernji List», Robert Bubalo, editorialista dello stesso quotidiano di Zagabria, Zvonimir Despot, altro giornalista della stessa testata ed esperto della storia sacra della cultura croata e infine Sinisa Hancic, fotoreporter di grande esperienza [foto 12].

Prima ancora della pubblicazione di Misterij Medjugorja era uscito nelle sale cinematografiche un film del 1995 dal titolo Gospa, del regista di Zagabria Jakov Sedlar [foto 13], con attori importanti del calibro di Martin Sheen e Michael York.

Sia nel libro che nel film si evidenziano fatti riconducibili ai verbali della polizia segreta e dei funzionari del Partito comunista di Citluk e di Mostar agli ordini di Sarajevo e Belgrado nel periodo dei primi dieci anni delle apparizioni dove la terribile UDBA, i servizi segreti del ministero degli Interni, aveva attivato una poderosa macchina del fango per screditare, distruggere e annientare le apparizioni mariane con il pugno di ferro e un occhio particolare di indagini, arbitrarie, illegali con particolare riferimento ai francescani della provincia di Mostar e quindi della Chiesa di Medjugorje e le parrocchie circostanti.

Nel 1966 la UDBA viene ribattezzata SDB (il Servizio sicurezza statale) ma il termine UDBA, che incuteva in quegli anni terribili paure e terrore fra la popolazione, venne comunque ancora e spesso utilizzato [foto 14].

Perché? È presto detto, leggete quanto sto per scrivere e capirete che cosa hanno passato i frati e i veggenti, e stiamo parlando non di chiacchiere e aria fritta, ma di arresti arbitrari, perquisizioni illegali, accuse costruite tramite calunnie e diffamazioni gravissime, torture in carcere come nel caso di padre Jozo che, insieme a diversi altri frati, è stato privato della libertà personale e sottoposto a sevizie psicologiche e fisiche. Tutto questo nella diocesi di Mostar sempre a carico dei frati, mentre nei confronti del primo vescovo della diocesi locale non scattò mai nessun provvedimento restrittivo della libertà personale se non “normali” attività, per quei tempi di spionaggio e di controlli esasperati, di intercettazione e pedinamento come avveniva per quasi tutti i cittadini che avessero un ruolo di interesse per la stabilità delle istituzioni iugoslave e del Partito comunista.

La UDBA non era autonoma ma dipendeva direttamente da Belgrado che aveva regolato la sicurezza dello stato federale con una normativa supersegreta che legittimava le temute “operazioni speciali”. Ad esempio, le perquisizioni all’interno delle case di notte a sorpresa, le intercettazioni con microspie nelle pareti degli edifici, le intercettazioni ambientali e sugli apparecchi di telecomunicazione, la sorveglianza occulta a carico di persone, lettere o sui pacchi postali.

Nulla poteva sfuggire. L’obiettivo principale della SDB-UDBA era l’identificazione e la persecuzione dei “nemici della nazione” all’interno dello stato. Per esempio, tutte le correnti politiche e culturali di destra, il clero, soprattutto frati, sacerdoti, congregazioni maschili e femminili, e poi naturalmente i vescovi come nel caso drammatico del cardinale Stepinac.

Non potevano sfuggire nemmeno i laici cattolici, i membri dello stesso apparato comunista Cominform, e ovviamente i nazionalisti e i separatisti. Questo arcivescovo di Zagabria, Viktor Stepinac, vox populi considerato martire, uomo santo che mai ha ricusato la fede cattolica (e poteva farlo per salvarsi la vita scendendo a patti con Tito), è stato beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1998.

Fu accusato, in estrema sintesi, di collusione con gli ustascia e i fascisti filonazisti. La sua storia è emblematica per comprendere il contesto ambientale, storico, culturale e politico nel quale si svilupparono gli eventi, dal 1981 in poi, di Medjugorje. Venne arrestato con prove false e costruite dolosamente per incastrarlo, il processo durò pochi giorni e dei trentacinque testimoni proposti dalla difesa, tra cui c’erano alcuni serbi ed ebrei, ne vennero ascoltati solo otto.

L’11 ottobre 1946 l’arcivescovo Stepinac veniva condannato. Questa la sentenza e la pena inflitta: privazione della libertà con lavori forzati per la durata di sedici anni e privazione dei diritti politici e civili per la durata di cinque anni.

Durante la prigionia, trasformata in seguito negli arresti domiciliari, Stepinac avrebbe sviluppato i sintomi di una malattia genetica rara e morì nel 1960. Tuttavia, esiste una testimonianza di un carceriere di Stepinac che riferisce di avergli somministrato veleno. Fu proprio la UDBA a incastrare questo vescovo, santo e martire, proprio perché questa famigerata polizia aveva un potere praticamente illimitato e poteva far scattare arresti, fabbricare prove false ed eliminare in qualunque modo persone ritenute “scomode” per la sicurezza dello stato. Emerge chiaramente dai verbali della UDBA, trovati dai giornalisti del «Vecernji List», che i frati francescani minori dell’Erzegovina erano il pericolo pubblico numero uno perché sostenevano a spada tratta le apparizioni mariane del 1981 che rappresentavano per lo stato ateo una vera e propria spina nel fianco, come una breccia nella fortezza comunista che rifiutava o al massimo tollerava a stento, con limiti severissimi, qualunque credo o religione.

Di tutto questo, nello stesso anno della pubblicazione di questo libro, cioè nel 2011, siamo riusciti ad avere copia dei verbali della UDBA, a tradurli in italiano dal croato, e leggendo attentamente il libro Misterij Medjugorja, abbiamo sintetizzato una serie di notizie che ci fanno capire a quale bestiale persecuzione sono stati sottoposti per quindici anni i francescani della provincia di Mostar.

Alla fine di questo capitolo ricostruiremo le parti più drammatiche ed emozionanti di questa vera e propria “caccia al frate”, mentre adesso vi proponiamo in esclusiva tutte le accuse che vengono formulate nel film From Fatima to Medjugorje e, subito dopo, punto per punto, tutta la linea difensiva della diocesi di Mostar che smonterebbe le accuse definendole calunniose e diffamatorie.

Da qui in poi vediamo chi e che cosa mostra e racconta e quali notizie diffonde questo documentario che ha suscitato la violenta risposta da parte della diocesi di Mostar. Prima con una dichiarazione di Ratko Peric, subito dopo con una lunga replica, argomento per argomento, affidata al vicario della diocesi don Zeljko Majic che racconteremo più avanti. E, come vedremo, persino il 5 di agosto ci sarà una nuova e ultima, per ora, precisazione difensiva del vicario generale della diocesi di Mostar alle accuse del generale del KGB Alexander Maksimov. Ma andiamo per ordine.

Le accuse del KGB ai vescovi di Mostar

Dal 1981 in poi, anno delle prime apparizioni della Vergine della Pace, nella diocesi di Mostar sono stati nominati due vescovi: il primo, Pavao Zanic, è rimasto in carica fino al 24 luglio del 1993; il secondo, l’attuale, monsignor Ratko Peric, è diventato pastore della diocesi a partire dalle dimissioni di Zanic [foto 15].

Peric ha 73 anni, è nato nel 1944 a Tuk, un piccolo villaggio del comune di Rovisce, in Croazia. Dopo gli studi a Zagabria e Roma, viene ordinato sacerdote il 29 giugno 1969 a Prisoje. Conseguito il dottorato presso la Pontificia università urbaniana nel 1971, si dedica all’insegnamento nei seminari cattolici di Sarajevo e di Zagabria e, per parecchi anni, alla Pontificia università gregoriana di Roma. Dal 1980 al 1992 è rettore dell’istituto universitario pontificio croato di San Girolamo a Roma, quindi tutto il periodo storico delle apparizioni lo ha vissuto dalla visuale italiana.

Queste premesse cronologiche sono importanti per comprendere i capitoli accusa e difesa fra gli autori del film e i vescovi della diocesi di Mostar, i quali non si limitano a una difesa passiva ma, come vedremo, contrattaccano, perché accusano a loro volta la coproduzione israeliano-americana Nazareth Production di un reato gravissimo e cioè la calunnia.

Ma chi sono gli autori di questo documentario che ha infiammato di polemiche la diocesi di Mostar e fatto impazzire i commenti sui blog e sui siti di tutto il mondo? Eccoli nei titoli di testa del film From Fatima to Medjugorje: Ami Drozd (regista) [foto 16], Slomo Belzael (scritto da), Alan Sklar (voce fuori campo), Roy Edelmann (montaggio), Emma Halevi (consulenza musicale), Maya Agmon (fonica), Jonah Padwa (assistente alla regia), CityVox New York (registrazione audio), Egg Studio, Tel Aviv (studio di registrazione), Nicholas Schultz (produttore associato), Joseph Danza e Tibor Kahalani (produttori esecutivi), Golda Romah e Mateo Giacometti (produzione), © Nazareth Production 2017.

La prima parte del documentario racconta la storia delle apparizioni di Fatima e degli stretti legami con quelle di Medjugorje e, in particolare, l’attenzione si posa fra i tanti messaggi lasciati dalla Madonna sul Podbrdo su uno in particolare, dal quale anche noi partiremo per spiegare questa relazione. Si tratta del messaggio del 25 agosto 1991:

«Cari figli, anche oggi vi invito alla preghiera, ora come non mai, da quando il mio piano ha cominciato a realizzarsi. Satana è forte e vuole disturbare i miei progetti di pace e di gioia e farvi pensare che mio Figlio non sia forte in ciò che ha deciso. Perciò vi invito, cari figli, a pregare e a digiunare ancora più intensamente.

Vi invito a qualche rinuncia per la durata di nove giorni, affinché con il vostro aiuto si realizzi tutto ciò che voglio realizzare secondo i segreti iniziati a Fatima. Vi invito, cari figli, a comprendere l’importanza della mia venuta e la serietà della situazione.

Voglio salvare tutte le anime e presentarle a Dio. Perciò preghiamo affinché tutto quello che ho cominciato si realizzi completamente. Grazie per aver risposto alla mia chiamata».

A mio giudizio la citazione di Fatima, queste parole di Maria e le altre lasciate ai veggenti sulla collina il 14 aprile 1982, ci fanno chiaramente capire cose davvero importanti.

La prima: la Madonna, in Portogallo a Cova da Iria, non è riuscita a realizzare ciò che voleva.

La seconda: Satana ha ricevuto da Dio il permesso di sottoporre l’umanità, e quindi la Chiesa, a una prova terribile per cento anni e, aggiungo, anche per tutto il tempo in cui non si esauriranno completamente i segreti che verranno dati uno per uno con un intervallo di tempo secondo la volontà di Dio.

La terza: le prove che dovremo affrontare saranno in parte mitigate dalla preghiera e dalla conversione di chi ancora, in questi tempi, non riconosce Dio come nostro Padre. Come accadrà questo lo sanno solo la Madre di Dio e suo Figlio.

Queste argomentazioni le tratteremo in modo particolare nel quarto capitolo, Da Cova de Iria alla collina del Podbordo, cioè da Fatima a Medjugorje attraverso le apparizioni mariane in Europa e nel mondo.

Qui, invece si scopre che il giallo Medjugorje pare al centro di un nuovo dibattito infuocato che coinvolge per l’ennesima volta apparizioni e veggenti, frati e vescovi, e soprattutto presunti verbali di agenti segreti venuti dalla Russia a collaborare e coordinare il lavoro di spionaggio, arresti, calunnie e depistaggi insieme ai colleghi iugoslavi.

Ce n’è abbastanza per film e romanzi: verità o calunnie? Quando si muovono i servizi segreti, parte una poderosa macchina del fango per alterare la verità e distruggere le persone. Noi ci limitiamo a fare il nostro lavoro, partendo proprio dal sito ufficiale della diocesi di Mostar che cita il film che accusa pesantemente ed è, a sua volta, sotto accusa da parte del vescovo di Mostar.

Andiamo per gradi e cominciamo con l’intervista al parroco di Medjugorje, padre Jozo, che nel film è uno dei passaggi chiave per comprendere i misteri di Medjugorje perché, inizialmente, non credeva alle prime apparizioni del 24 e del 25 giugno.

Non solo, non era neppure presente, perché si trovava in Croazia, a Zagabria, per gli esercizi spirituali, ma poi cambiò idea dopo aver parlato con i ragazzi e aver visto, lui stesso, la Madonna in chiesa e in altre occasioni.

Il frate sentì distintamente la voce di Maria che lo avvertiva di aprire le porte della chiesa ai ragazzi che fuggivano trafelati e spaventati dalla polizia che li voleva arrestare.

Il 25 luglio 1981, per la prima volta, a un mese esatto dall’apparizione arrivò, in occasione delle cresime, il vescovo Pavao Zanic che celebrò la messa.

In un’omelia rimasta nella memoria di centinaia di persone e registrata in un nastro della parrocchia salvato dalla distruzione della polizia segreta che lo cercava in tutti modi, tessé le lodi delle apparizioni di Medjugorje e dice in sostanza che i ragazzi non potevano mentire perché avevano cuori puri e innocenti e che, nonostante la repressione violenta, difendevano con forza la loro verità.

Non solo, Zanic, aggiunge in quel giorno memorabile che i giornali di Belgrado attaccarono Medjugorje come se fosse una rivoluzione politica per distruggere la repubblica iugoslava e che i sei veggenti ripetevano in maniera sistematica la stessa storia perché gli era stata raccontata dai frati francescani da padre Jozo che sarebbe stato legato ai movimenti sovversivi di estrema destra degli ustascia.

Il vescovo quel giorno difese strenuamente i frati e tutti i religiosi della sua diocesi perché era sicuro che nessuno di loro, né tanto meno lui stesso, avesse inculcato direttamente o indirettamente versioni false o artefatte ai sei ragazzi.

Quindi, tutto bene? No, per nulla! Perché il vescovo diocesano che aveva il potere di riconoscere le apparizioni come vere, dopo ventitré giorni, esattamente il 17 agosto 1981, quando la UDBA e la polizia antisommossa circondarono la chiesa di Medjugorje e arrestarono tutti i frati, cambiò improvvisamente versione, dichiarò che era tutto falso, che i ragazzi mentivano e si improvvisò come vedremo dai verbali della polizia detective e persecutore dei francescani su vicende oscure e calunniatorie verso fra Tomislav e fra Jozo.

Ma vediamo ora, fatte queste premesse, la trascrizione dell’intervista a padre Jozo tratta dal documentario From Fatima to Medjugorje di Ami Drozd e alternata alla voce fuori campo dello speaker del film.

PADRE JOZO – Nel momento in cui la Madonna arrivava sull’altare, abbiamo smesso di pregare. Nello stesso momento con la preghiera per le intenzioni, e semplicemente si aprono… il cuore… e gli occhi dell’anima, il cuore.

La Madonna ringrazia per la preghiera e dice: «Cari figli, ogni giorno pregate insieme il rosario, pregate con il cuore».

SPEAKER DEL FILM – Gli stessi comunisti che dopo la fine della Seconda guerra mondiale hanno ucciso sessantasei frati di Erzegovina, di nuovo perseguitano i frati di Medjugorje. La prima vittima fu il parroco, padre Jozo Zovko. È stato catturato e condannato per la propaganda nemica contro il regime.

PADRE JOZO – La polizia, il 17 agosto alle ore 6, si trova davanti l’ufficio della parrocchia. Tutta la notte hanno preso le posizioni intorno alla zona di Tromedja [l’attuale nuova rotonda che è stata costruita all’ingresso di Medjugorje, dove c’è l’incrocio con le tre strade per tre diverse direzioni: la via per Citluk, l’altra per Siroki Brijeg e la classica strada che percorrevano tutti i pellegrini per ritornare in Italia quando si prendeva l’autostrada a Ljubusky. N.d.A.].

Hanno bloccato tutte le strade, i boschi e aspettavano nascosti… Perché?!

Mi hanno chiuso in macchina. Io ho protestato: «Questa è la mia veste,» ho detto «il mio saio francescano. Non posso allontanarmi da qui, questo sono io». Si è fatto vedere un uomo che mi ha mostrato il suo distintivo, un certo Milorad Capljinac… mi ha detto che è un croato. Mi mettono dentro un’auto Golf Volkswagen….Quando stiamo per arrivare a Tromedja, vedo la polizia. Mi fanno uscire e mi portano dall’altra parte della strada.

Lì c’era il furgone della polizia, mi sono avvicinato pian piano. Non c’era nessuno.

L’autista dormiva… L’ho aspettato, mi si è avvicinato e ha aperto la porta buttandomi dentro. Loro forse pensavano che istintivamente mi sarei messo a scappare, ma io ero calmo [molto probabilmente il destino di padre Jozo era già stato stabilito da questo piano: la polizia era nascosta intorno e aspettava solo che lui scappasse per ucciderlo. N.d.A.]. Mi ricordo il viaggio, tutte quelle curve…

Lì dentro c’erano quattro o cinque pneumatici con i cerchi che sbattevano e volavano da tutte le parti. Io ero legato e non potevo proteggermi. Non so dove mi hanno portato, mi ricordo solo della stanza numero 84.

SPEAKER DEL FILM – L’accusa non era direttamente collegata con le apparizioni. Padre Jozo Zovko era accusato per le sue omelie durante l’estate di quell’anno.

Il pubblico ministero accertava che Zovko, parlando di quarant’anni di schiavitù, le tenebre, le catene e sofferenze, si riferiva al quarantesimo anniversario della resistenza dei nostri popoli, contro l’occupazione nemica e i traditori nazionali.

Il difensore di padre Zovko era il dottor Milan Vukovic, il quale richiedeva uno specifico rapporto teologico per comprovare che padre Zovko usava solo i termini biblici, dove il numero 40 ha solo un significato simbolico [l’esodo del popolo ebraico. N.d.A.].

Il sacerdote è stato condannato a diversi anni di galera [tre anni e sei mesi ridotti poi a sedici mesi nel carcere di Foca, una detenzione durissima. N.d.A.]. Però, è stato rilasciato prima nel febbraio del 1983 e subito è stato trasferito a un’altra parrocchia.

I servizi segreti iugoslavi pensavano che, eliminando padre Zovko e intimidendo altri francescani, finalmente avrebbero fermato Medjugorje, invece è successo proprio il contrario.

Sempre più pellegrini hanno cominciato a visitare la collina delle apparizioni e tutti i tentativi per fermare la gente diretta a Medjugorje sono stati vani.

PADRE JOZO – Hanno cominciato a perseguitare i genitori dei frati, dei veggenti. Hanno cominciato a perseguitare i pellegrini. Alla fine hanno capito che la cosa migliore era chiudere la collina… e così hanno chiuso sia la collina, sia il Krizevac [la montagna della grande croce bianca. N.d.A.]. Io ero tornato dal carcere il 17 marzo 1983 e il giorno dopo, il 18 marzo 1983, volevo andare sul Krizevac, dopo che avevo avvisato i miei superiori. Non si poteva passare da nessuna parte, c’erano soldati ovunque, tutto era pieno di soldati e polizia, notte e giorno. Facevano la guardia.

SPEAKER DEL FILM – La stampa comunista, specialmente i giornali di Belgrado, hanno stampato molti articoli offensivi riguardo le apparizioni. La Madonna della Pace l’avevano chiamata la Madonna degli ustascia (Madonna dei fascisti).

I bambini veggenti venivano descritti come persone mentalmente ritardate.

Ma tutto fu inutile. Le visite mediche specialistiche hanno confermato che i bambini erano normali e intelligenti. Niente e nulla poteva dissuaderli a negare quello che avevano visto e vissuto.

A questo punto, cari lettori, il film continua narrando la storia del primo giorno delle apparizioni secondo il racconto dei sei ragazzi. Emozioni, paura, sconcerto e sorpresa caratterizzano i primi momenti dei veggenti al cospetto della Vergine che, peraltro, non sapevano neppure che potesse scendere sulla Terra. Infatti le autorità iugoslave avevano da tempo proibito tutti i libri che diffondevano le storie delle altre apparizioni in Europa e nel mondo e quindi in quel piccolo paesino sperduto nessuno poteva nemmeno immaginare una cosa del genere. La polizia, spiega poi lo speaker del film, vietò ai pellegrini di salire sul Podbrdo e sulla montagna del Krizevac e così i veggenti cominciarono ad avere le apparizioni nella chiesa di San Giacomo perché il fenomeno dell’apparizione a Medjugorje non è legato al luogo ma alla presenza fisica del veggente che si trova in quel momento a quell’ora in un dato posto.

SPEAKER DEL FILM – La Madonna ha lasciato messaggi di pace, preghiera, digiuno e fede. Ha detto che Lei è la Regina della Pace. Però, i comunisti, vedendo che stavano perdendo il controllo, sono diventati nervosi, compresi i funzionari locali come l’agente della UDBA Lasic, il quale mantenendo la dura linea bolscevica, pretendeva di arrestare tutti i frati perché secondo lui erano fascisti.

L’ansia e la preoccupazione si era allargata anche tra gli alti ranghi della guardia comunista sia in Iugoslavia che in Unione Sovietica. Tutto ciò è dimostrato dalle più recenti indagini. Infatti, gli eventi di Medjugorje hanno da subito suscitato l’interesse dei servizi segreti iugoslavi e del generale Alexander Maksimov, ufficiale d’alto rango del KGB. Il generale è arrivato molto presto in Iugoslavia, insieme a lui c’era il compagno Malahkov. Si erano incontrati con l’agente Lasic e gli altri due agenti Milos e Predojevic [foto 17].

ALEXANDER MAKSIMOV – Ho sentito parlare di Medjugorje per la prima volta all’inizio del giugno del 1981.

Quella volta siamo stati informati dal nostro capo che in Iugoslavia era successo qualcosa che poteva essere pericoloso per il comunismo. Abbiamo ricevuto le informazioni dalle varie fonti e dopo qualche giorno a Mosca è stato deciso che compagno Malahkov e io saremmo andati a Belgrado per consultarci con i compagni dei servizi segreti iugoslavi.

Tutto è stato deciso molto velocemente e questo era il segno che stava succedendo qualcosa di importante.

Il tema era Medjugorje e il problema causato dalle “apparizioni” ed eventuali problemi che potevano sorgere da queste apparizioni.

Le informazioni che avevamo a Mosca si riferivano alle attività di certi servizi segreti occidentali e del Vaticano riguardo la distruzione del comunismo.

Questi erano tempi molto pericolosi per il destino del comunismo.

Noi prendevamo seriamente tutte le notizie, e così anche questa. Sapevamo che il Vaticano aveva un grande ruolo nella vita della gente di una gran parte della Iugoslavia e per questo motivo abbiamo deciso di reagire subito.

Ho rivelato agli sbalorditi agenti iugoslavi che il KGB era presente a Medjugorje dal primo giorno [foto 18].

PADRE JOZO – Perché Mosca dice che Medjugorje non deve sopravvivere? Perché lo dice Varsavia? Perché dicono che non deve rimanere in piedi e che si deve distruggere dalle fondamenta? Perché Belgrado dice: «Distruggete e bruciate questo villaggio?». Perché parlano così?

Loro hanno sentito la forza e la Grazia che proveniva da lì e a loro faceva paura e dava insicurezza, sentivano che se quello che dicevano i bambini fosse stato vero… E in più c’era la situazione difficile del Kosovo… Sarà la fine, non c’è più niente, Tito non c’è più… Chi potrà allora mantenere tutto questo? E per questi motivi avevano interesse e facevano di tutto per preservare l’unità della Iugoslavia.

SPEAKER DEL FILM – Maksimov voleva sapere che cosa pensasse il vescovo di Mostar-Duvno, monsignor Pavao Zanic, riguardo a Medjugorje.

Gli agenti iugoslavi gli avevano detto che il vescovo era molto incline a credere nelle apparizioni.

Cari amici lettori, è arrivato il momento di affrontare – dopo il capitolo scottante dedicato all’arresto di padre Jozo, primo crocevia per illuminare questi misteri – l’ultimo punto cruciale della vicenda Medjugorje e cioè l’omelia pubblica del 25 luglio 1981 del vescovo Zanic.

Di questa omelia, per protezione celeste e per l’intuito di padre Jozo che ne occultò una copia, esiste una registrazione audio che il regista Ami Drozd ha usato solo parzialmente nel film e della quale, invece, vi vogliamo dare, per la prima volta, la versione integrale dove il vescovo Zanic parla in modo chiaramente favorevole delle apparizioni e sui veggenti, all’epoca poco più che ragazzini.

Da notare che, oltre alla prova documentale dell’audio, ci sono ancora oggi molte prove testimoniali, cioè molti testimoni ancora in vita perché quel giorno la chiesa era stracolma di fedeli sia per le cresime dei giovani del paese ma anche e soprattutto perché tutti si aspettavano una parola ufficiale del vescovo su quell’incredibile mese delle apparizioni.

Personalmente conosco molti testimoni, poi diventati miei amici e ancora residenti a Medjugorje o nei paesi vicini, che sono pronti a dichiarare che questo audio e quelle parole sono pura verità!

Ecco il testo completo relativo alla vicenda apparizioni tratto dall’omelia del vescovo Pavao Zanic del 25 luglio 1981 nella chiesa di San Giacomo a Medjugorje [foto 19]:

«So che oggi qui ci sono molti che non sono di Medjugorje, della parrocchia di Medjugorje, e che essi si sono riuniti qui non solo per la festa di san Giacomo e per la festa della cresima, ma anche a causa dei più recenti avvenimenti accaduti in questa parrocchia [chiaro riferimento alle apparizioni mariane del 24 e 25 giugno che avevano sconvolto la vita di quello sperduto e povero villaggio. N.d.A.]. Sicuramente ognuno si aspetta di sentire ciò che dirà il vescovo, perché il vescovo è responsabile di ciò che avviene nella chiesa, come ha detto anche il vostro parroco [padre Jozo, N.d.A.]. Quando, all’inizio, mi ha salutato, mi ha detto di pregare per voi e che sono responsabile per la vostra comunità.

Io lo farò per quanto posso farlo ora. Devo dire subito che siamo tutti addolorati dal modo in cui la stampa statale [i quotidiani di regime di Belgrado parlavano di apparizioni di “Madonna ustascia”, cioè fascista. N.d.A.] ne ha scritto, con disprezzo e offesa nei confronti della nostra fede. Noi perdoniamo: noi siamo per l’amore, noi siamo contro l’odio, ma ci dispiace. Anche noi abbiamo la nostra dignità e le nostre convinzioni e, se parlassimo e scrivessimo in questo modo dell’ateismo e degli atei, ci direbbero che siamo contro la fraternità, contro l’amore. Non è giusto agire così, ma perdoniamo!

La seconda cosa che vorrei dire è che in quei giornali è scritto che le autorità ecclesiastiche competenti di Mostar avrebbero detto che tutto ciò è una superstizione: a me nessuno ha domandato nulla, non ho detto nulla e quella parola è falsa. Sono anche profondamente convinto che nessuno abbia istigato i bambini che dicono di aver visto la Madonna, che nessuno ha istigato quei bambini. Se si trattasse di un bambino solo, si potrebbe dire: “Ma questo ha una testa dura e neppure la polizia può cavar fuori nulla da lui”. Qui ci sono sei bambini innocenti e semplici, se qualcuno li avesse istigati, nel giro di mezz’ora avrebbero detto tutto! Nessuno dei sacerdoti – lo assicuro io e lo garantisco – ha avuto alcuna intenzione né ha fatto nulla per istigare i bambini a fare qualcosa, e perciò anche queste parole sono offensive e devono essere rigettate.

Sono altresì convinto del fatto che i bambini non mentono, ne sono profondamente convinto! I bambini non mentono, i bambini dicono precisamente quello che c’è nel loro cuore! Se poi quella sia in effetti una loro propria esperienza o qualcosa di natura superiore, è difficile dirlo. È però sicuro: i bambini non mentono! Coloro che hanno scritto di questa questione [il riferimento è sempre ai giornali di regime. N.d.A.] non sanno scrivere né dibattere in modo teologico o filosofico, per cui dicono che non possono più esserci miracoli dopo Gesù, che questo sacerdote ha detto questa cosa e quell’altro quell’altra.

Vanno dai sacerdoti, li interrogano e poi, quando se ne vanno, scrivono in modo indegno.

Riguardo al soprannaturale, la Chiesa è sempre stata prudente nell’esprimere il suo giudizio: anche quando è apparsa la Madonna a Lourdes, posso dire che il primo nemico di Bernadette è stato il parroco, che in seguito – visto di cosa si trattava insieme al vescovo che, a sua volta, vide di cosa si trattava – furono veramente dei difensori di ciò che era avvenuto.

Io sono stato a Lourdes sette volte, ho guidato sei pellegrinaggi e sono davvero profondamente convinto che Lourdes è una forte apologia della nostra fede, una difesa della nostra fede.

La Madonna non ha detto nulla di nuovo, Lei non ha nulla di nuovo da dire: dovunque appaia nel mondo, Lei ci riporta e ci ammonisce di tornare a Suo Figlio Gesù Cristo, al Suo Vangelo e alla Sua Chiesa.

Nessuno – né dei sacerdoti né dei bambini né dei fedeli – ha creato disordini di alcun tipo. Qui tutto è sempre accaduto spontaneamente. Penso che la più grande propaganda sia stata fatta dalla stampa statale con un siffatto modo di scrivere. Da parte dei fedeli non è stato compiuto nulla che si opponga alle leggi di questo stato e, se qualcuno ha fatto qualcosa, lo stato è libero di punirlo.

Ma non è accaduto nulla di tutto questo. Una cosa è sicura: qualcosa si è messo in movimento nelle anime, questo è sicuro! Questo è sicuro! Le confessioni, le preghiere, e certamente anche i perdoni e le riconciliazioni tra di voi, sono la cosa più positiva che ci possa essere e che si può constatare con sicurezza. Tutto il resto lasciamolo alla Madonna, lasciamolo a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, che sicuramente un giorno potrà dire qualcosa su tutto».

Cari amici lettori, e soprattutto mi rivolgo a te caro Santo Padre, ma ti rendi conto di quale enorme rilevanza e portata siano state le parole del vescovo in quella giornata, a quell’ora e in quel luogo, davanti a migliaia di testimoni, parole tutte registrate e verificabili? Non solo tradotte e pubblicate su questo libro, ma possediamo anche un file audio copia identica dell’originale e lo farò sentire in tutte le testimonianze.

Praticamente, monsignor Zanic, quel giorno fatidico, sottolineò i frutti spirituali di Medjugorje in quei primi trenta giorni, facendo addirittura il paragone con le apparizioni di Lourdes dove era stato sette volte, e lasciando chiaramente capire che la dinamica era stata identica: la Madonna sceglie persone umili, semplici e ignoranti non perché stupide ma perché l’accesso alla scuola, a parte Mirjana persona istruita e laureata, era difficile per tutti perché impegnati nel massacrante lavoro dei campi.

Altro elemento che emerge dal racconto di Zanic, come comune denominatore con Lourdes: il parroco che contrasta, che non crede e che riferisce al vescovo di una vicenda poco chiara. Così accadde a Marie-Dominique Peyramale, il parroco di Lourdes, il quale come è noto si convinse della bontà delle visioni solo quando Bernadette su sollecitazione del curato chiese a «quella Signora vestita di bianco con la fascia blu» chi fosse e che cosa rappresentasse.

La risposta che fece sobbalzare don Peyramale fu questa: «Que soy era Immaculada Councepciou» e cioè: Io sono l’Immacolata Concezione.

Il dogma della Madonna senza peccato originale è un dogma cattolico, proclamato da papa Pio IX l’8 dicembre 1854 con la bolla Ineffabilis Deus, che sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento. Come poteva la figlia del mugnaio, senza istruzione e parlando solo il dialetto occitano, sapere tutto ciò? Quella risposta fu decisiva per sancire la veridicità di Lourdes.

E Medjugorje? Nel momento in cui il villaggio di Medjugorje si apprestava a vivere la pagina più straordinaria della sua sconosciuta storia, si festeggiava, il 24 giugno, l’anniversario di san Giovanni Battista e tutto il paese era riunito per vedere un’importante partita di basket.

Due bimbe di sedici e diciassette anni, Ivanka e Mirjana, vedono la Madonna per la prima volta e per lo spavento fuggono.

E il parroco? Padre Jozo non si trovava più perché era partito una settimana prima delle apparizioni per Klostar Ivanic, un paese vicino a Zagabria, per partecipare agli esercizi spirituali.

Il programma terminò proprio il 24 giugno, ma padre Jozo si trattenne fuori sede ancora un altro giorno per discutere del programma di preparazione di un suo progetto, quello delle Olimpiadi del catechismo, una gara nazionale da lui ideata per divulgare la Parola di Dio in maniera semplice per i giovani della Iugoslavia. I ragazzini si dovevano sfidare sui temi della religione e della dottrina cattolica.

In quei giorni venne informato che un fulmine aveva colpito l’ufficio postale e la sede della cooperativa Medjugorje, oltre a un negozio e un deposito di cavi elettrici. Tutto questo gli aveva impedito di contattare i confratelli e sapere cosa era successo di straordinario sulla collina del Podbrdo.

Padre Jozo tornò in Erzegovina solo il 27 giugno, ma prima di andare a Medjugorje si fermò all’ospedale di Mostar dove era ricoverata la mamma. Solo qui, da Dragica Ivankovic, una sua paesana, venne a sapere, per la prima volta, delle clamorose novità capitate ai sei ragazzini della sua parrocchia.

Il frate rientrò di corsa in paese e convocò subito i bimbi e, pensando a tutto ciò che gli avevano detto, immediatamente ritenne che dovesse trattarsi di una «macchinazione comunista», perché già nella grande parrocchia di Posusje, dove prima era parroco, aveva sperimentato l’ostracismo della dittatura.

Infatti, spesso, durante le omelie, citava l’esempio dei martiri di Sirokj Brijeg, trentatré frati trucidati dai partigiani di Tito perché si erano rifiutati di rinnegare la fede cattolica per salvare la loro vita. Questo continuo riferimento all’eccidio dei trentatré gli aveva attirato le ire e il sospetto continuo delle autorità titine.

Molti giovani seguivano le appassionate omelie di padre Jozo e così si rifiutavano di iscriversi nelle liste del Partito comunista.

La UDBA fece sul frate una relazione molto pesante, e alla fine venne trasferito in quel piccolo e sperduto villaggio fra i due monti.

Quando il frate seppe che fra i sei presunti veggenti c’era Mirjana Dragicevic, una ragazza di Sarajevo, ebbe la certezza che quelle visioni non erano altro che una trappola ordita dalla polizia segreta per screditare il lavoro e la vita dei frati.

Padre Jozo tempo fa, proprio così ricordava il primo incontro con i ragazzi: «I veggenti sono venuti da me e mi hanno detto: “Padre, noi vediamo la Madonna”. Ma io non ho creduto. Chi poteva credere a una cosa simile? Però non li ho rifiutati. Ho detto: “Bene, andiamo a parlare”. Ho parlato tutto il sabato pomeriggio con ciascuno di loro, a quattrocchi e ho registrato tutto quanto ci siamo detti. E poi, ho riascoltato la registrazione per tutta la notte. Ma che cosa ho ascoltato? Niente, perché non ero aperto ad ascoltare. I veggenti, pieni di entusiasmo, mi hanno raccontato la loro esperienza, ma io ero sempre più triste e non vedevo, perché pensavo che fossero stati i comunisti a organizzare tutto per screditare la Chiesa».

Padre Jozo all’inizio riteneva che i ragazzi non fossero a posto, oppure che qualcuno di loro avesse fatto uso di droghe o addirittura fossero d’accordo con le autorità comuniste per organizzare un complotto al fine di screditare padre Jozo. Poi, una volta resosi conto dei fatti e dopo aver visto i risultati della visita medica ordinata dalla polizia nell’ospedale di Mostar (i ragazzi furono trattenuti, visitati, sottoposti a perizie mediche per quarantott’ore), si convinse che erano assolutamente sani come pesci.

Tuttavia, fra Jozo era ancora molto dubbioso e scettico sulle visioni della Madonna.

E così, dopo il suo rientro a Medjugorje dal Nord della Croazia, cominciò a cambiare idea solo al compimento del decimo giorno, il venerdì 3 luglio 1981, quando ebbe il dono, per la prima volta, di una fortissima e chiara locuzione percepita sia interiormente che come voce ben udibile: «Esci, e proteggi i tuoi figli».

Padre Jozo, scioccato da questa illuminazione soprannaturale, lasciò cadere la Bibbia che stava consultando per chiedere aiuto a Dio aprendo a caso una pagina sull’esodo degli ebrei, e, uscendo dalla chiesa, vide improvvisamente i ragazzi che rientravano dalla montagna circondata dalle truppe speciali antisommossa correre a perdifiato inseguiti dalla polizia.

Padre Jozo li accolse, li protesse, conducendoli nella sua dimora, dove li chiuse a chiave in uno stanzino. E poi, vedendo ogni sera la chiesa sempre più piena di fedeli, che si confessavano ogni giorno con grandi storie di conversioni, si convinse della bontà delle apparizioni e quindi anche della sincerità dei ragazzi.

E adesso, cari amici lettori e mio caro amato papa Francesco, è molto importante capire che cosa accadde nei giorni successivi alla festa del patrono del paese, san Giacomo, esattamente il 25 luglio 1981.

Come abbiamo letto, il vescovo aveva speso parole di veridicità assoluta riguardo i bambini che non possono mentire e arrivò persino a pubblicare un comunicato stampa dell’ordinariato diocesano di Mostar il 16 agosto 1981 su «Glas Koncila».

Punto primo

«Quando i fatti vengono riportati dai giornalisti atei essi negano ogni fondamento di verità riguardo le apparizioni e i veggenti perché loro partono dal presupposto che Dio e la Madonna non esistono. Noi credenti, invece, consideriamo inaccettabile e offensivo questo modo di scrivere e respingiamo con fermezza la tesi di manipolazione della volontà dei sei ragazzi sostenuta senza prova alcuna.»

Punto secondo

«Questi articoli giornalistici sono scritti da persone che sanno trattare di fede solo in modo irriverente, da posizione di forza con accuse prive di fondamento. Vogliono colpire il clero imputando ai sacerdoti di convincere l’opinione pubblica reclutando minorenni, indottrinandoli all’insaputa dei genitori per inculcare loro la veridicità delle apparizioni.»

Punto terzo

«È falso che la Chiesa locale abbia preso le distanze dai fatti avvenuti a Bijakovici definendoli superstizione. Inoltre siamo dispiaciuti di constatare che in Erzegovina la Chiesa cattolica venga ingiustamente accusata in pubblico di svolgere un’azione politica sovversiva.»

Punto quarto

«Parlando di apparizioni e miracoli dobbiamo dire che per chi crede sono assolutamente possibili. Se dicessimo il contrario rinnegheremmo Gesù Cristo e la storia dei santi. Infine la Chiesa esprime giudizio con cautela come è accaduto a Lourdes e Fatima.»

Punto quinto

«Può succedere che persone devote abbiano avuto allucinazioni, dicano menzogna o abbiano avuto un’esperienza psichica personale.»

Punto sesto

«Riguardo le apparizioni di Bijakovici nessuno, tanto meno la Chiesa, ha spinto i ragazzi a sostenere il falso. Non solo ma tutto fa pensare a oggi che essi non mentano. Dunque rimane da capire se è una sensazione soggettiva o qualcosa di soprannaturale.»

Punto settimo

«Ricordatevi di Gamaliele il dottore della legge stimato tra tutti i sacerdoti del tempio il quale rivolgendosi al sinedrio, che voleva chiudere la bocca per sempre agli apostoli, disse: “Siate cauti e prudenti e lasciateli perdere perché se questo progetto o opera viene dall’uomo sarà distrutta, ma se viene da Dio, voi non solo non potete distruggerla, ma vi troverete a combattere contro Dio”.»

Cari amici, questa è un’ulteriore prova che fino al 16 agosto e poi, come fra poco vedremo, addirittura fino al 13 settembre, il vescovo era chiaramente favorevole alla veridicità di queste apparizioni schierandosi dalla parte dei veggenti, dei frati francescani e rispondendo colpo su colpo alla stampa di regime orchestrata a Belgrado.

Fatte queste importanti premesse e mostrati testi e documenti con tanto di registrazione audio delle parole pronunciate dal vescovo Pavao Zanic, torniamo al film ricordando un fatto importantissimo, cioè che il vescovo, da strenuo difensore dei cuori puri e innocenti dei ragazzini e del comportamento al di sopra di ogni sospetto dei frati dell’Erzegovina, girò la barra del timone, virò di centottanta gradi con una spericolata manovra e invertì la rotta dimenticandosi del povero padre Jozo che – sempre fedele a Dio e alla Madonna – il giorno dopo la pubblicazione di questo articolo diocesano sul settimanale «Glas Koncila» venne sorpreso dal blitz della famigerata UDBA.

Quando accadde questo? Dai documenti che abbiamo potuto consultare risulterebbe che l’ultima difesa per le vicende Medjugorje di frati, veggenti e apparizioni risalga al 13 settembre 1981, quindi esattamente ventisette giorni dopo l’arresto di padre Jozo. Difatti l’ultimo articolo pro Medjugorje e spedito alle più alte cariche della federazione iugoslava, ai giornali, radio, televisioni, organi consiliari delle città più importanti e alla Santa Sede è datato 13 settembre 1981. Dopo queste vibranti proteste ci fu la famosa virata di centottanta gradi e il vescovo diventò uno dei più grandi accusatori di Medjugorje.

Ricordiamo come andò il blitz contro i frati e il parroco della chiesa di San Giacomo. Alle sei del mattino scattò una trappola che poteva essere mortale per il parroco Zovko. Quel giorno, il 17 agosto 1981, fra Jozo venne arrestato vicino alla chiesa, trasportato da un’auto all’altra e, come abbiamo visto prima, se non avesse avuto un’ulteriore illuminazione divina che gli suggerì di non scappare, sarebbe stato ucciso senza pietà.

Continuiamo ora a seguire il documentario del regista Ami Drozd riannodando le fila al punto dove eravamo rimasti, e cioè a quando il colonnello generale del KGB Alexander Maksimov chiese insistentemente agli agenti UDBA quale fosse la posizione del vescovo Zanic riguardo alle apparizioni. Questo, per i servizi segreti, era un tassello molto importante perché, se ritenevano che le apparizioni rappresentavano un grave pericolo addirittura per la sovranità e l’unità dello stato ateo iugoslavo, punto di riferimento per l’Unione Sovietica, allora era chiaro quanto fosse fondamentale verificare, saggiare, tastare la posizione del vescovo della diocesi e infatti… il film prosegue così:

SPEAKER DEL FILM – I servizi segreti della ex Iugoslavia (UDBA) erano convinti che il problema vescovo Zanic [il quale credeva alle apparizioni. N.d.A.] avrebbe potuto essere risolto facilmente.

L’agente UDBA Lasic era in possesso di un documento compromettente che sarebbe stato in grado, da solo, di far cambiare l’opinione di monsignor Pavao Zanic sul miracolo Medjugorje.

VESCOVO ZANIC – Queste loro fantasie e allucinazioni [qui si fa riferimento alle presunte visioni dei veggenti che come si può vedere, per il vescovo, non sono più verosimili ma addirittura fantasie e allucinazioni. N.d.A.] possono screditare l’immagine di Fatima e Lourdes e Gesù Cristo… e ci potranno dire «Ecco vedete come avete creduto male»… se si proverà che non erano vere, potrebbe anche succedere che, tra quelli che oggi dicono di “vedere”, qualcuno fra dieci anni potrebbe dire di non aver visto.

ALEXANDER MAKSIMOV – Il compagno Milos mi ha avvisato telefonicamente che le cose potranno essere messe sotto controllo e questo perché il compagno Lasic ha trovato certi documenti compromettenti sul vescovo Zanic. Gli ho fatto le mie congratulazioni. Io colonnello generale Maksimov consideravo molto importante questo ritrovamento di documenti compromettenti contro il vescovo di Mostar, in relazione ai contatti che avevamo con il Vaticano [Infatti se il vescovo dopo il 13 settembre cominciava a denigrare le apparizioni cambiando repentinamente idea è chiaro che in Vaticano devono ascoltare il vescovo, perché è la prima voce che autentica o meno le apparizioni. N.d.A.].

SPEAKER DEL FILM – Per la natura del suo mestiere l’agente dei servizi sovietici Maksimov aveva ottimi contatti dentro il Vaticano. A Roma [primo incontro. N.d.A.] si era incontrato con il segretario di stato cardinale Casaroli e con il diplomatico vaticano monsignor Pietro Sambi [Pietro Sambi, nato a Ponte Uso di Sogliano il 27 giugno 1938 e morto a Baltimora il 27 luglio 2011. Fu ordinato sacerdote il 14 marzo 1964 nella chiesa di San Paolo dell’Uso. Suoi mentori furono i cardinali Agostino Casaroli e Achille Silvestrini. Ottenuta anche la licenza in diplomazia ecclesiastica, nel 1969 entrò nel servizio diplomatico della Santa Sede. Successivamente ricoprì incarichi di rappresentanza in numerosi paesi di diversi continenti. Prestò servizio dapprima in Camerun, quindi venne destinato alla delegazione apostolica di Gerusalemme (1971) e alle nunziature apostoliche di Cuba (1974), Algeria (1978), Nicaragua (1979), Belgio (1981) e India (1984). Dal 17 dicembre 2005 fu nunzio apostolico per gli Stati Uniti d’America e osservatore permanente presso l’Organizzazione degli stati americani. N.d.A.].

Cari amici, una breve annotazione che può essere utile per capire qualcosa di più su questi dossier segreti. L’arcivescovo Sambi ha ricoperto il ruolo di nunzio apostolico, e cioè di ambasciatore della Santa Sede, a Gerusalemme nel 1971, a Cuba nel 1974 e negli Stati Uniti d’America.

Essere “ambasciatore” del Vaticano in questi luoghi di grande importanza internazionale significava per lui venire a contatto con tutti i capi di stato, i ministri e naturalmente i capi dei servizi di sicurezza dei paesi più potenti del mondo. Non c’è dunque da meravigliarsi degli eventuali stretti rapporti col KGB di Maksimov.

SPEAKER DEL FILM – Maksimov ha espresso la sua preoccupazione per gli eventi a Medjugorje. Non riguardo la fede, ma riguardo la credibilità del comunismo e le conseguenze che potrebbe avere Medjugorje. All’inizio dell’ottobre 1981 Maksimov si è di nuovo incontrato [secondo incontro. N.d.A.] con Pietro Sambi all’hotel Columbus a Roma. Ha preteso che il Vaticano facesse pressioni sul ministro generale dei francescani oppure i servizi segreti iugoslavi sarebbero stati costretti a usare la forza.

ALEXANDER MAKSIMOV – Lì abbiamo conosciuto la posizione del compagno Lasic e degli altri nostri compagni iugoslavi, i quali ci avevano parlato del fascismo e dei francescani e del fatto che erano fortemente legati alla estrema emigrazione croata e che adesso usavano i bambini come mezzo per distruggere il sistema socialista in Iugoslavia. Secondo le loro fonti, non sono interessati alla fede ma alla politica, e questo è pericoloso e inaccettabile. Specialmente ho sottolineato che è pericoloso che il vescovo sostenga pubblicamente tutto quello che sta succedendo, perché secondo i nostri colleghi iugoslavi era come l’inizio di una controrivoluzione [contro il regime comunista di Tito. N.d.A.]. Dopo questo, il 4 ottobre 1981 [terzo incontro. N.d.A.] sono andato a Roma per incontrarmi con il cardinale Casaroli [all’epoca dei fatti era il segretario di stato con papa Giovanni Paolo II. N.d.A.].

Gli ho portato il documento che abbiamo ricevuto e che riguardava il vescovo Zanic. Si trattava della storia di un rapporto intimo che aveva avuto con un suo collega quando era molto giovane e altri dettagli che in nessun modo erano conformi con quello che lui doveva rappresentare. Devo dire che anche io ero sorpreso dai dettagli che erano esposti nei documenti, che comprendevano anche la firma del vescovo Zanic.

Loro due sono stati molto sorpresi quando hanno visto che cosa avevo con me. Gli ho detto che abbiamo contatti molto buoni con i nostri colleghi iugoslavi, che sono molto precisi e possiedono tante cose. Hanno avuto tanti informatori tra i sacerdoti cattolici e ortodossi e sanno tante cose.

Maksimov gli inoltrò i cordiali saluti dal suo capo Jurij Andropov.

Come segno di buona volontà lasciò un regalo personale per il papa [papa Wojtyla. N.d.A.]: la lista dei sacerdoti che hanno collaborato con i servizi segreti russi e quelli in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Iugoslavia e Ucraina.

Durante il processo a padre Jozo Zovko, la Chiesa cominciò a cercare il sostituto per il vescovo Zanic, e Ratko Peric, rettore del seminario croato San Girolamo a Roma, fu chiamato per un colloquio.

Mentre l’agente Lasic cercava di ricattare il vescovo Zanic a Mostar, Ratko Peric dichiarava a Roma che avrebbe accettato ogni compito che gli venisse affidato dalla Chiesa.

ALEXANDER MAKSIMOV – Sì, io ho conosciuto Ratko Peric nel dicembre 1982. Da lì al 1989, ci siamo incontrati sette volte.

Peric detestava i francescani di Erzegovina per la divisione delle parrocchie. Molto presto la sua avversione è diventata quasi irrazionale.

Ci siamo accordati in modo che lui avrebbe fatto di tutto purché noi potessimo impedire la diffusione delle idee contro lo stato e la Iugoslavia, presenti a Medjugorje.

Io gli ho detto che la parte religiosa non mi interessava, ma che nessuna attività anticomunista sarebbe stata tollerata! Lui mi ha risposto che avrebbe collaborato, in cambio del nostro coinvolgimento, con i servizi segreti iugoslavi che dovranno fare il massimo per fermare le attività francescane in Erzegovina. Ha detto che, se questo gli sarà promesso, lui farà di tutto per vendicarsi dei francescani per quello che fanno. Ha detto che i francescani sono disposti a fare di tutto per togliere al vescovo quello che spetta loro secondo il diritto ecclesiastico.

Ha ripetuto che bisogna agire tutti insieme, perché i frati sono molto tenaci, forti finanziariamente, che si tratta di una grande truffa e che lui farà di tutto per dissuaderli in questo. Ha detto che se ci sarà anche un po’ di verità in queste “apparizioni”, lui saprà cosa fare con quel poco e saprà come distruggerlo. Con i francescani bisogna saper essere perspicaci e anche brutali, in tutti i modi. Ha detto che ha fiducia in noi, che sa quanto siamo bravi come agenzia e questo lo ha ribadito anche il collega italiano che ci ha messo in contatto. Ha anche detto che noi dobbiamo coordinare e concordare tutto con i nostri colleghi iugoslavi e che non si deve mai capire che lui ha a che fare con le persecuzioni dei frati. Puntualizzava sempre che con loro si doveva essere molto duri, altrimenti non ci sarebbe stato nulla da fare.

SPEAKER DEL FILM – In Russia sono stati scoperti recentemente documenti che dimostrano che i servizi segreti iugoslavi stavano ricattando il vescovo Zanic. E infatti poco dopo il vescovo ha accettato di collaborare e, su esplicita richiesta dei servizi segreti, ha cambiato radicalmente opinione sulle apparizioni a Medjugorje. Tra l’altro, con grande soddisfazione dei servizi segreti, ha mandato tantissime lettere ai vescovi chiedendo di fermare il flusso dei pellegrini in Erzegovina.

I servizi segreti iugoslavi erano molto contenti perché il vescovo metteva in pratica quello che avevano chiesto. A Roma si sono incontrati il vescovo Zanic e Ratko Peric. Però lui non era ancora pronto per lasciare il vescovado di Mostar, come già prima pianificato. Ribadiva, infatti, che non bisognava accelerare le cose perché gli era stato assicurato che il documento compromettente contro di lui era stato distrutto.

È passato qualche anno, e Medjugorje attirava sempre più fedeli. Nulla poteva ostacolare i pellegrini che arrivavano da tutte le parti del mondo.

I servizi segreti iugoslavi avevano problemi tecnici con le intercettazioni. Il vescovo Zanic fu costretto a discutere animatamente con il cardinale Kuharic alla riunione della conferenza episcopale iugoslava.

Non solo, il cardinale di Zagabria rimproverava Zanic di denigrare Medjugorje nonostante la Chiesa non avesse ancora tratto le sue conclusioni.

Queste informazioni sono ampiamente confermate dalla testimonianza dell’arcivescovo Kuharic, scomparso nel 2002, uno dei religiosi più importanti dell’epoca essendo stato il vescovo titolare di Meta, l’arcivescovo metropolita di Zagabria, primate di Croazia e presidente della conferenza episcopale della Croazia. Continuiamo l’analisi del film di Ami Drozd proprio con l’intervista di monsignor Kuharic.

ARCIVESCOVO KUHARIC – Dall’inizio delle apparizioni a Medjugorje tanti francescani sono stati costretti a sopportare dure condanne, carcere, trasferimenti in parrocchie lontane o addirittura espulsioni dall’ordine francescano.

I documenti a disposizione confermanoche queste azioni erano la conseguenza da una parte della paura dei servizi segreti iugoslavi degli effetti di Medjugorje sul sistema comunista che cominciava a cadere a pezzi, dall’altra della irrazionale intolleranza che i vescovi Zanic e Peric mostravano riguardo ai frati e alle apparizioni.

SPEAKER DEL FILM – Papa Giovanni Paolo II ha seguito con grande interesse tutto quello che succedeva a Medjugorje e si asteneva dalle dichiarazioni che potevano essere interpretate come contrarie al fenomeno medjugoriano.

Ancora di più, il papa, che è stato canonizzato subito dopo la sua morte, ha dichiarato che se non fosse diventato papa sarebbe andato di corsa a confessare a Medjugorje già da tanto tempo. Il papato di Wojtyla ha molto contribuito alla caduta del comunismo ed egli era particolarmente cosciente del fattore distruttivo che Medjugorje avrebbe potuto esercitare sul sistema totalitario e ateo.

ALEXANDER MAKSIMOV – Il 7 dicembre 1986 mi sono incontrato a Roma con il vescovo monsignor Alberto Tricarico [Alberto Tricarico è nato a Gallipoli il 10 agosto 1927 e ha ricevuto la consacrazione episcopale il 27 aprile 1987 per l’imposizione delle mani del cardinale Agostino Casaroli. È stato pro-nunzio apostolico in Thailandia (1987-1990), delegato apostolico in Laos e in Malesia (1987-1990), in Myanmar (1990-1993) e officiale della Segreteria di stato della Santa Sede (1993-2003). Attualmente è arcivescovo titolare della sede titolare di Sistroniana, nell’odierna Algeria, che è un’antica sede episcopale della provincia romana di Numidia. N.d.A.], che non conoscevo bene però mi è stato mandato dal Vaticano. Mi ha detto che riguardo a Medjugorje ha un problema con il papa che vuole continuamente essere informato sulla situazione. Papa Wojtyla, secondo Tricarico, era molto interessato a Medjugorje. Gli ho risposto che essendo lui polacco era un grande anticomunista e che era favorevole su tutto quello che era contro il comunismo. Lui però non era d’accordo con me e mi ha detto che il Vaticano segue attentamente Medjugorje e che non è interessato alla politica.

Ho risposto che abbiamo suggerito ai colleghi iugoslavi di essere molto duri con chiunque cerchi di infangare il comunismo e la repubblica iugoslava, al di là della provenienza.

Poi, circa un mese dopo, il 6 febbraio 1987, ho consegnato a Ratko Peric un testo intitolato Crnica [il nome del complesso montuoso di Medjugorje che comprende la collina del Podbrdo. N.d.A.], che abbiamo ricevuto dai colleghi iugoslavi.

Era molto soddisfatto, però mi ha pregato di continuare ad aumentare la repressione contro i francescani e Medjugorje, perché la situazione non era per niente calma. Specialmente si è lamentato del rapporto dei francescani con il vescovo.

Voleva che i servizi segreti e la polizia fossero molto più severi perché questa era l’unica via per combattere i francescani, che erano diventati ancora più pericolosi.

SPEAKER DEL FILM – Verso la fine degli anni ’80 si poteva percepire chiaramente l’inevitabile disfatta della Iugoslavia e la prossima caduta del comunismo.

Nella riunione del 1989, dove erano presenti Maksimov, Aleksic, Lasic e il capo della KGB Cebrikov, regnava un’atmosfera di insicurezza e preoccupazione e Lasic disse: «Manca poco alla disfatta della Iugoslavia».

I croati volevano l’indipendenza e tutto questo stava succedendo perché le autorità iugoslave non lo avevano ascoltato e non hanno usato la forza bruta quando dovevano. Alla fine della riunione Cebrikov ha mandato i saluti al compagno Milosevic.

Il nuovo capo della Serbia comunista Slobodan Milosevic si stava preparando per la guerra e la creazione della Grande Serbia aggredendo brutalmente le regioni della ex Iugoslavia che rivendicavano l’autonomia: Croazia, Bosnia ed Erzegovina.

Questo spiega la perseveranza della Madonna della Pace e le Sue apparizioni in questa parte d’Europa, crocevia di diverse religioni, etnie e culture.

Nel 1991, all’alba della guerra, si è svolta a Zara la conferenza episcopale iugoslava che ha adottato la famosa dichiarazione, sulla base delle indagini, che non si poteva affermare che si trattasse di apparizioni soprannaturali e rivelazioni.

La commissione tuttavia avrebbe continuato a seguire e indagare il fenomeno di Medjugorje.

Quelli che ancora continuano a credere nelle apparizioni hanno trovato la consolazione nelle parole del grande legislatore ebreo Gamaliele, uno dei più importanti dottori della legge del tempio di Gerusalemme.

Gamaliele si alzò, prese la parola davanti al grande consiglio ebraico durante le persecuzioni dei cristiani e disse: «Se il piano degli apostoli di Cristo sono l’opera dell’uomo, fallirà… se invece tutto ciò proviene da Dio, non potrete fermarlo. Se il piano proviene da Dio è conveniente per tutti noi rinunciare per non ritrovarsi a combattere contro Dio».

La Iugoslavia si è disfatta nel sangue, la Bosnia e l’Erzegovina hanno sofferto tragedie immani ma Medjugorje è stata risparmiata anche se il fiume dei pellegrini, durante gli anni della guerra, era sensibilmente calato, ma con i primi segnali di pace è tornato a essere un fiume in piena.

Sono stati scritti tantissimi libri in tutte le lingue che parlano di Medjugorje. Sono state registrate migliaia di trasmissioni televisive. Dopo il lungometraggio Nel mezzo dei miei giorni, Jakov Sedlar ha girato il film Gospa, dove recitava anche il famoso attore americano Martin Sheen e che è stato visto nei cinema di tutto il mondo.

SPEAKER DEL FILM – Il vescovo Zanic ha mantenuto la sua funzione a Mostar fino al 1993. Prima dell’inizio della guerra è stato per due anni il rettore apostolico della parrocchia di Dubrovnik. I documenti scoperti a Mosca dimostrano che era ricattato per alcune presunte debolezze della sua vita privata, dopodichè ha accettato di collaborare con i servizi segreti iugoslavi continuando a infangare Medjugorje.

Nel 1993, mentre infuriava la guerra, al posto di Zanic si è insediato il vescovo Ratko Peric, che non aveva rapporti diretti con i servizi segreti iugoslavi perché temeva i funzionari locali ed era molto diffidente nei loro confronti, però era rimasto in buoni rapporti con il generale colonnello Maksimov, l’agente del KGB che aveva conosciuto a Roma.

ALEXANDER MAKSIMOV – È molto intelligente… [il vescovo Ratko Peric. N.d.A.], istruito e narcisista, ama se stesso più di ogni altra cosa al mondo. È anche molto pragmatico e fa tutto quello che promette. È l’uomo degli accordi.

Considerava i francescani come il pericolo più grande per la sua attività di vescovo. Era letteralmente ossessionato dai francescani. Li considerava anche responsabili per aver squalificato e compromesso il suo predecessore, il vescovo Zanic.

Pensava che i francescani dovessero essere tutti incarcerati e terrorizzati, altrimenti non si poteva fare niente e che bisognasse screditarli tra la popolazione perché erano interessati solo ai soldi e non alla fede in Dio.

Addirittura mi disse che i frati erano i primi responsabili della disgregazione della Iugoslavia. Diceva che i francescani non vogliono ascoltare nessuno, con loro si può ragionare solo con la forza.

SPEAKER DEL FILM – Peric ha accettato di collaborare con il KGB a condizione che il KGB facesse pressione sui servizi segreti iugoslavi per fermare le attività dei francescani in Erzegovina. Il KGB ha preso nelle mani il coordinamento dei colleghi iugoslavi per non fare scoprire che Peric era collegato alle brutali persecuzioni dei francescani.

Peric ha continuato a mantenere questi contatti e a fare le riunioni anche dopo la caduta dell’Unione Sovietica, e agenti del KGB da tutto il mondo lo hanno sempre continuato a informare sui fatti di Medjugorje con notizie sulle loro attività, i piani e le opinioni dei vescovi.

Ha chiesto a loro di influenzare questi vescovi per spingerli a negare e contrastare il fenomeno di Medjugorje dissuadendo in modo particolare i pellegrini.

Era molto soddisfatto quando il KGB consegnò il fascicolo Crnica, che era il nome in codice per l’operazione dei servizi segreti iugoslavi contro la situazione a Medjugorje.

Rimane il fatto inspiegabile che Ratko Peric, che era sul punto di riconoscere la soprannaturalità degli eventi a Medjugorje, abbia insistito sul fatto che il fenomeno dovesse essere soffocato.

Il vescovo Peric disse a Maksimov che se ci fosse stata anche solo una piccola parte di verità in queste apparizioni, ne avrebbe distrutto ogni minima traccia e che sapeva come farlo. Il vescovo Peric non cambiò mai più parere riguardo le apparizioni e il ruolo dei francescani.

Ornamento di separazione

Fin qui, cari amici lettori, abbiamo seguito il film di Ami Drozd che accusa pesantemente i due vescovi di collusione con i servizi segreti iugoslavi e russi.

Come abbiamo già detto, l’attuale vescovo di Mostar ha respinto al mittente ogni accusa contrattaccando e definendo questo documentario una vera e propria calunnia.

Sul sito della diocesi di Mostar-Duvno, il vicario generale don Zeljko Majic ha commentato l’intervista del generale Maksimov punto per punto, cercando di demolire ogni singolo attacco.

Misterij Medjugorja: lo scoop dei giornalisti croati

Il vescovo Peric, dopo aver pubblicato il trailer del film, ha detto di esser pronto in qualunque momento a sfidare in un dibattito pubblico il presunto agente del KGB, ammesso che sia un «personaggio reale». Ma adesso, per completezza di informazione, rendiamo pubblico, per la seconda volta, il lavoro dei giornalisti di «Vecernji List», il quotidiano di Zagabria, che hanno dato alle stampe il libro Misterij Medjugorja, frutto di un lavoro di investigazione durato anni, che avevamo già pubblicato in anteprima italiana traducendo decine di pagine dal croato sul mio terzo libro del 2011 Viaggio a Medjugorje.

Da questo straordinario lavoro si evince che la persecuzione subita dai frati, dai veggenti e dai loro familiari è frutto di una attività di repressione da parte delle autorità politiche e anche di un atteggiamento intransigente, vessatorio da parte del primo vescovo di Mostar che, come già scritto, a parte i primi tre mesi in cui si era manifestato pubblicamente favorevole alle apparizioni, poi era partito a delegittimare, indagare su presunte notizie diffamatorie e quindi a perseguitare i poveri frati.

Ecco dunque i retroscena oscuri, svelati dai verbali della UDBA, che riguardano personaggi di primo piano come il vescovo Pavao Zanic, frate Jozo e l’altro frate Tomislav Vlasic, che è stato sospeso dall’ordine francescano e sciolto dal papa da ogni incarico sacerdotale. Ci sono anche tante altre notizie che riguardano i veggenti, i cittadini di Medjugorje, i sacerdoti e i giornalisti stranieri. Tutti furono schedati e spiati. Il titolo del capitolo più importante è Il fascicolo segreto. Come quelli dell’UDBA soffocavano Medjugorje.

Vorrei spedire questo libro e, in particolare questo capitolo a Giulietto Chiesa, giornalista professionista e corrispondente da Mosca per «L’Unità» e «La Stampa», oltre che per tutte le tre reti Rai e poi per il TG5, il quale ha definito le apparizioni di Medjugorje boicottate dai servizi segreti «una cialtronata che va a minare il buon rapporto instaurato con la Russia dalle recenti iniziative del papa che ha anche traslato una reliquia di san Nicola a Mosca».

Per Giulietto Chiesa questa vicenda è priva di fondamento e un altro errore grave lo ha fatto il papa, invitando esponenti ucraini in Vaticano. «Altro gravissimo errore perché queste cose non sono viste di buon occhio dal Cremlino.» Tenete presente quello che ha detto il collega Chiesa e leggete adesso cosa faceva la UDBA, che non muoveva passo senza informare Mosca, come sanno anche le pietre.

Come ho fatto a scoprire Misterij Medjugorja? È stata una coincidenza.

Una mattina, mentre facevo colazione all’hotel Grace di Medjugorje dopo la santa messa in lingua croata, quella celebrata alle 7.30, ho incontrato nella veranda all’aperto dell’albergo una mia cara amica, una guida, molto preparata, che si chiama Silvana Pivac, prima cugina di Michele Vasilij, l’altro interprete e accompagnatore di mia grande fiducia.

Mi ha detto: «Paolo, sei al corrente dell’uscita del libro Misterij Medjugorja? Devi assolutamente leggerlo, lì si capiscono tante cose, e si capisce anche chi è padre Jozo, un uomo vero, un frate straordinario innamorato di Cristo e della Madonna che ha offerto la sua vita per non rinnegare la Croce. Tu capirai anche la sofferenza di padre Tomislav Vlasic».

Vediamo, intanto, di dare il giusto rilievo ai giornalisti di Zagabria, autori di questo testo, di fare un breve profilo del loro curriculum professionale.

Cominciamo da Zarko Ivkovic, che è l’autore di questo capitolo sui documenti segreti. È nato in Bosnia, a Livno, ha 50 anni e si è laureato in Letteratura croata alla facoltà di Filosofia di Zagabria. È entrato al «Vecernji List» nel 1990 e si è sempre occupato di cronaca politica. Oggi è caporedattore degli Interni. Da quindici anni indaga sul fenomeno Medjugorje, dal 2001 al 2010 ha scritto diversi libri sulle apparizioni mariane in Erzegovina. Ha scritto un libro su Giovanni Paolo II, è sposato e padre di tre figli.

Robert Bubalo, 42 anni, nato a Zagabria, è originario di Siroki Brijeg dove vive tutt’ora. È laureato in giornalismo e scrive editoriali di politica estera su «Vecernij List». Si occupa anche di cinema, documentari e programmi radiofonici. Attualmente sta realizzando un lungometraggio sulla vita dell’ultima regina bosniaca Caterina Kosac. È produttore del Mediteran Film Festival.

Zvonimir Despot, 41 anni, giornalista a «Vecernij List» ed esperto della sacralità nella cultura croata, titolo della sua tesi. È esperto in storia della Chiesa.

Sinisa Hancic, 46 anni, nato a Zagabria, è fotoreporter di grande esperienza. Ha lavorato per tanti anni a «Vecernij List», oggi dirige la Pixell, la più importante agenzia fotografica dei Balcani. Ha fotografato tantissimi eventi, dalla guerra alle Olimpiadi, ottenendo molti premi e riconoscimenti professionali. Da quindici anni indaga sul fenomeno Medjugorje. Leggendo il suo curriculum mi ha colpito questa frase: «Il più grande successo è la mia famiglia, mia moglie e i miei cinque figli».

Vediamo ora di entrare nel vivo delle notizie. A partire dal 12 luglio 1981, a Medjugorje entra in funzione, oltre alla polizia e all’esercito, anche la terribile UDBA, la polizia segreta che si infiltra fra i cittadini. Da quel momento Medjugorje è in stato di assedio.

Arrivano forze speciali e cani antisommossa tenuti al guinzaglio dagli agenti con una lunga catena e in grado di terrorizzare sacerdoti e pellegrini che salivano sulla collina. Andiamo a scoprire il contenuto dell’Informazione speciale della SDB del 17 novembre 1987 classificato come “segreto di stato”.

«In questo documento i servizi segreti» spiega il giornalista Zarko Ivkovic «informano il ministero degli Interni della repubblica della Bosnia Erzegovina dei risultati dell’azione operativa che ha nome in codice Crnica.» [Scopo dell’operazione era quello di compromettere nel senso di infangare, distruggere psicologicamente anche di fronte agli occhi dell’opinione pubblica. N.d.A.]

L’attività di contrasto era esercitata sia nei confronti di fra Tomislav Vlasic, il quale aveva il nome in codice di “Oto”, sia verso il parroco di Medjugorje, padre Jozo, al quale fu dato il nome in codice “Luio”. Perché questi due frati? Perché erano i più legati ai veggenti e agli eventi di Medjugorje.

Ecco il testo integrale [pagina 126 nel testo originale del libro Misterij Medjugorja. N.d.A.]:

«Nella realizzazione delle misure progettate per l’operazione combinata “Crnica” e finora realizzate, sono stati ottenuti significativi risultati per compromettere “Oto” [Tomislav Vlasic. N.d.A.]. Infatti, dopo la nostra attività di indagine è stato isolato e completamente escluso nel suo ruolo di religioso e propagatore delle “apparizioni di Medjugorje”.

Con la messa in atto della nostra prima misura il vescovo Zanic, “OO” era il suo codice segreto, è andato nella DDR [Repubblica Democratica Tedesca, la Germania orientale. N.d.T.] con lo scopo di verificare la relazione extraconiugale di Oto con l’ex suora Kozul Manda e il vescovo ha accertato la verità dell’informazione ricevuta e subito dopo si è impegnato per compromettere e delegittimare Oto.

Cioè la ex suora Kozul Manda, in quel tempo, aveva avuto un figlio fuori dal matrimonio che, all’epoca, aveva nove anni e viveva a Starnberg vicino a Monaco, dove era al servizio di una persona anziana di nome Marija Alojzije.

Oto [fra Tomislav. N.d.A.] ha avuto i primi contatti con Kozul già quando era di servizio come suora a Zagabria.

In questa faccenda è stata decisiva la testimonianza di Marija Alojzije che ha raccolto la corrispondenza trovata fra la ex suora Manda e Oto e l’ha spedita a Roma al cardinale Ratzinger e anche, fra gli altri, a René Laurentin, il famoso scrittore e mariologo francese che già allora aveva pubblicato due libri sulle “apparizioni di Medjugorje”.

Dopodiché il cardinale Ratzinger in persona ha inviato copia di questi documenti al vescovo Zanic, in occasione della sua visita a Roma e lo ha ufficialmente incaricato di informare la commissione vescovile per le indagini sulle apparizioni a Medjugorje della relazione extraconiugale di Oto con Manda e del loro figlio Toni.

[Da Misterij Medjugorja: Il vescovo Zanic nel 1983 ha formato una commissione per indagare sulle “apparizioni di Medjugorje”, la quale agli inizi del 1986 ha emesso un parere negativo a riguardo le “apparizioni di Medjugorje”, dopodiché su iniziativa della BKJ (Conferenza episcopale iugoslava) questa commissione ha smesso di operare agli inizi del 1987.

Su iniziativa della Santa Sede, al vescovo Zanic sono state tolte le competenze di indagare sulle “apparizioni di Medjugorje”, ed è stata ridata la competenza alla BKJ di occuparsi delle indagini riguardanti tali eventi. Così verso l’inizio del 1987 la BKJ ha formato una nuova commissione, il cui lavoro è indipendente dal vescovo locale. N.d.A.]

Oto era una delle guide principali dei veggenti della Madonna a Medjugorje e propagatore “dell’autenticità delle apparizioni”. Siccome Zanic, ancora prima di sapere i fatti sopra descritti riguardanti Oto, tentava di opporsi alle “apparizioni di Medjugorje” e ufficialmente impediva l’attività dei principali attori delle apparizioni (Oto e fra Jozo Zovko, in codice “Luio”), era soddisfatto della richiesta ufficiale del cardinale Ratzinger. Infatti, già nel novembre 1985, aveva convocato i sacerdoti e le suore della parrocchia di Medjugorje presso l’ordinariato vescovile di Mostar, compresi i veggenti, dove, mostrando loro certi documenti (lettere e corrispondenza fra Oto e l’ex suora Manda), li informò ufficialmente che Oto aveva un figlio illegittimo con l’ex suora Manda.

Altrettanto velocemente, in seguito, ha informato la commissione vescovile per le indagini sulle apparizioni a Medjugorje e un certo numero di sacerdoti diocesani di Mostar che erano in missione pastorale presso alcuni paesi europei e di oltremare. Di questo abbiamo ampiamente scritto nella nostra informativa operativa del numero in allegato.

Tutto quello che Zanic ha ufficialmente messo in luce sul caso di Oto, alla fine, ha colpito Oto, ma ancor di più ha psicologicamente distrutto Oto il fatto che Zanic abbia reso noto ai veggenti il suo legame extraconiugale e la nascita di questo suo figlio.

Per questo motivo si è ritrovato in uno stato di shock e per circa un mese non è riuscito ad alzarsi dal letto. Dopodiché, per gradi, gli è arrivata l’eco delle informazioni che Zanic aveva spedito all’estero, al punto che Oto è caduto in un grave stato di prostrazione psicologica, e per questo ha dovuto recarsi diverse volte a Zagabria per controlli medici, e in due occasioni è stato trattenuto in ospedale per cure durate diciotto giorni.

Alla fine del 1986, Oto chiede alla direzione della HFP [Provincia francescana dell’Erzegovina. N.d.A.] di essere sollevato da tutti gli incarichi e gli impegni sacerdotali, sostenendo, fra l’altro, che le sue condizioni di salute erano diventate «insopportabili» e pregando che gli fosse concesso un periodo di aspettativa della durata di un anno che, come diceva, avrebbe trascorso in Italia.

All’inizio del 1987, la direzione della HFP ha risposto positivamente alla richiesta di Oto, dopodiché è andato in Italia e, sulla collina Alverna, vicino a Roma, ha trascorso le sue vacanze, fino alla fine di quell’anno.

L’attività del vescovo Zanic sopra descritta, in merito al “caso Oto”, determinata dai nostri piani, non solo ha portato a compromettere e rendere passivo Oto, nostro primo obiettivo in questa prima fase dell’operazione, ma siamo arrivati anche a compromettere lo stesso vescovo Zanic, sia nei confronti dei sacerdoti, sia nei confronti della gerarchia ecclesiastica vaticana, a causa della posizione che lo stesso ha assunto nel “caso Oto” e nei confronti delle “apparizioni di Medjugorje”.

Riguardo a quanto sopra, ogni giorno siamo a conoscenza di dati confermati dalle reazioni dei francescani sia dall’interno sia dall’estero contro il vescovo locale, nelle quali gli sono indirizzate feroci offese e accuse in merito alle sue dichiarazioni su Oto e la sua presa di posizione contraria alle “apparizioni”.

Questo da un lato, mentre dall’altro vengono rivolte al vescovo di Mostar una serie di obiezioni dai suoi stessi sacerdoti diocesani che lo accusano di essere impotente nei confronti dei francescani, favorendoli con il suo comportamento, e di aver messo in difficoltà la Chiesa in Erzegovina, per cui sarebbe meglio, nell’attuale situazione, che desse le dimissioni. Alcuni invece propongono il suo trasferimento in un’altra diocesi (Dubrovnik o Spalato).

Che Zanic avesse perso la sua autorità verso i propri sacerdoti diocesani si vede anche dal fatto che, nell’agosto del 1987, aveva ordinato la sostituzione di dieci sacerdoti, ma nessuno di loro ha messo in pratica quest’ordine. Tutte queste reazioni e i comportamenti dei sacerdoti nella diocesi pesano molto a Zanic, per cui il vescovo si impegna in particolare nel raccogliere documentazione riguardante le “apparizioni di Medjugorje” e i rapporti dei francescani in Erzegovina con il vescovo locale, portando in più occasioni il materiale raccolto a Roma con lo scopo di far adottare delle misure sia nei confronti dei francescani che propagano le “apparizioni”, sia nei confronti dei loro sostenitori.

Così Zanic, solamente nel corso del 1986, è andato quattordici volte a Roma per ottenere il sostegno della Santa Sede per intraprendere misure drastiche contro i francescani impegnati nel caso delle “apparizioni” in Erzegovina, in modo particolare sottolineando il “caso Oto”, il quale, come Zanic dice, ha tentato di far vedere la propria “santità”, ma in tal modo nascondendo la sua vergogna e la sua immoralità. Nello stesso tempo i francescani coinvolti nell’interpretazione delle “apparizioni di Medjugorje”, come anche alcuni altri sacerdoti che sostenevano questi eventi (Zivko Kustic, il principale redattore di «Glas Koncila» [mensile cattolico croato. N.d.A.], Frane Franic, cardinale di Spalato; René Laurentin, mariologo francese), riferiscono di proteste scritte alla Santa Sede e alla Congregazione per l’insegnamento della fede a Roma, dove si sottolinea che la Chiesa cattolica in Erzegovina non è mai stata in una situazione così difficile. Per questo, come unico colpevole si indica il vescovo Zanic, il quale, ogni giorno, dà dei colpi alla Chiesa cattolica in Erzegovina, specialmente ai frati.

Oltre a questo, nelle loro proteste, sottolineano che Zanic non usa mezze misure nella lotta contro l’ordine francescano, ma che utilizza anche le più feroci “fantasie” come nel “caso Oto”.

I frati si sono difesi dagli attacchi di Zanic facendo affluire nella zona di Medjugorje e di Mostar tutti i francescani più duri e meno inclini a obbedire ai diktat del regime e del vescovo (fra Viktor Nuic, fra Jozo Zovko, fra Slavko Barbaric, fra Ljudevit Rupcic, fra Svetozar Kraljevic, fra Leonardo Orec e altri) i quali, per la situazione sopra descritta nel clero francescano adesso, incolpano anche la direzione della provincia francescana dell’Erzegovina.

Infatti mettono sotto accusa addirittura il loro padre provinciale, che è troppo accondiscendente verso il vescovo locale, e quindi esigono dal ministro generale dell’ordine dei francescani a Roma il cambio dell’attuale direzione della provincia francescana dell’Erzegovina.

Osservando in generale la situazione nel clero francescano in Erzegovina e i rapporti con il vescovo locale dopo la pubblicazione del “caso Oto”, Zanic, verso la fine del 1986, ha chiesto alla Santa Sede di riattuare il trasferimento di alcune parrocchie dei francescani ai sacerdoti diocesani in Erzegovina, che era conosciuto in precedenza come “il caso erzegoviniano” (scontro fra clero dell’ordine e clero sacerdotale).

Il generale dell’ordine francescano a Roma, assieme al suo consiglio, ha analizzato i materiali e le richieste inoltrate dai francescani facenti parte dell’opposizione alla direzione della Provincia francescana dell’Erzegovina (HFP), come anche le accuse ai francescani da parte del vescovo locale e ha preso la decisione di effettuare una visita straordinaria in Erzegovina nel marzo del 1987 per accertarsi su quale fosse la situazione reale nell’attuale direzione.

Questa decisione ha colpito la direzione della Provincia francescana dell’Erzegovina: in seguito a ciò il suo padre provinciale, attraverso la conferenza dei provinciali di Iugoslavia, ha richiesto che non avvenisse l’annunciata visita, e in ciò coinvolse anche il vescovo Zanic.

Il vescovo Zanic, invece, si era in parte impegnato per impedire che all’epoca ci fossero cambiamenti nella direzione della HFP, l’annunciata visita e ulteriori indagini della direzione generale dell’ordine a Roma.

Oltre a questo, denunce da parte dei francescani hanno continuato ad arrivare alla Santa Sede, in cui c’era l’attacco al vescovo per le sue «inopportune» dichiarazioni sulle “apparizioni” a Medjugorje e allora il cardinale Ratzinger ha ufficialmente informato Zanic di non effettuare «affrettate e imprudenti» dichiarazioni.

Le nostre fonti dei servizi segreti stimano che la Santa Sede sul caso degli accadimenti a Medjugorje metta in atto mosse tattiche e intenzionalmente non prenda posizione ufficiale sulle “apparizioni”. La tattica è la solita: lasciare che il tempo passi senza prendere decisioni definitive.

Dopo tutto questo, Zanic, dalla Congregazione per la propaganda della Santa Sede, riceve la notizia di una denuncia di una pellegrina italiana, Augusta Croci da Cavalese [Val di Fiemme, Trentino. N.d.A.], in cui si evidenzia che fra Jozo Zovko ha «baciato morbosamente» la pellegrina stessa, in chiesa, durante il suo soggiorno in Iugoslavia, nella seconda metà del 1986.

Queste informazioni hanno fatto felice il vescovo Zanic e le ha verificate attraverso l’arcivescovo di Trento nell’Italia del Nord. Dunque nella risposta scritta a Zanic, l’arcivescovo, fra l’altro, dice che su quello che la pellegrina ha denunciato su padre Zovko «non ci sono motivi per pensare che la stessa se lo sia inventato». Subito dopo Zanic ha informato i suoi più vicini collaboratori al vescovado e alcuni preti in missione pastorale all’estero di quello che Zovko ha fatto, e nel febbraio 1987 ha inviato a fra Ivo Sivric che si trovava a St.Louis, USA, la documentazione completa sul “caso Oto” e anche le nuove rivelazioni scandalose di padre Jozo.

Assieme alle fotocopie delle lettere di Oto e Manda, ha inviato anche la fotocopia di un opuscolo di carattere religioso pubblicato nella DDR, nel quale è riportata la lettera di Alojzije Marija dedicata a Toni, il figlio dell’ex suora Manda.

Zanic invia questa documentazione a Sivric con l’intenzione che Sivric la trasmetta a Louis Belanger negli USA, il quale già da tre anni sta preparando un libro il cui contenuto «competente e argomentato» negherà «l’autenticità delle apparizioni» a Medjugorje e mostrerà i francescani in Erzegovina come i più intriganti manipolatori della Chiesa cattolica.

Questo libro deve essere pubblicato in lingua francese alla fine di novembre o inizio dicembre del 1987. All’inizio di ottobre 1987, secondo la fonte “Slaven”, siamo arrivati ad alcune altre interessanti informazioni sul comportamento di fra Jozo Zovko. Una pellegrina austriaca (Hermina Koppler, da Salisburgo, Austria) alla fine di settembre ha inviato una lettera a Zovko, nella quale, fra l’altro, gli fa sapere di aver paura che qualcuno possa averli visti quando erano stati insieme una certa sera fuori dalla chiesa.

Lo prega di risponderle e avverte Zovko che, appena letta la lettera, la distrugga.

È importante ricordare che la parte reazionaria del clero francescano e del clero diocesano in Erzegovina è del parere che le opinioni di Zanic e il suo operato vadano a favore dei comunisti e delle autorità statali, mentre alcuni lo accusano di lavorare secondo le direttive dell’SDB; per questo negli ultimi tempi contro Zanic si registra anche l’opposizione del cardinale Kuharic [che, viceversa, guarda con favore ai frutti di Medjugorje. N.d.A.].

Il cardinale Kuharic, il 16 settembre 1987, in merito agli accadimenti a Medjugorje ha tenuto una seduta straordinaria della BKJ (Conferenza episcopale iugoslava) alla quale ha partecipato anche il vescovo Zanic.

In quell’occasione il cardinale Kuharic, nella sua esposizione, ha attaccato Zanic per le sue opinioni sul caso delle “apparizioni”. Zanic si è offeso e in maniera plateale ha lasciato la seduta.

Tenendo conto delle descritte opinioni della Santa Sede, della BKJ e del cardinale Kuharic verso il vescovo Zanic, come anche delle affermazioni di alcuni sacerdoti, e inoltre delle accuse di alcuni cleronazionalisti che il suo comportamento fosse a favore dei comunisti e delle autorità statali, nella attuale situazione sarebbe stato meglio che Zanic avesse dato le dimissioni; pensiamo che con questa intelaiatura si siano create circostanze favorevoli per prendere ulteriori misure operative nei confronti di Zanic.

L’obiettivo di queste misure, al primo posto, era di creare nuovi dissidi e renderli più profondi di quelli esistenti fra la parte reazionaria del clero francescano e del clero diocesano in Erzegovina, e soprattutto provocare ulteriore sfiducia verso il vescovo Zanic.

In merito a questo abbiamo proposto di realizzare questo piano per accentuare i contrasti nella diocesi: inviare una lettera il cui contenuto dica che Zanic non ha un rapporto corretto nei confronti dei sacerdoti diocesani, che ha abbandonato la fede e la Chiesa in Erzegovina e che è incapace e impotente di essere un ordinario competente.

La lettera è stata scritta a nome di un anonimo sacerdote della diocesi di Mostar e abbiamo consigliato di inviarla al cardinale Franjo Kuharic a Zagabria, all’arcivescovo Fran Franic a Spalato e a Ratko Peric, rettore dell’istituto San Girolamo a Roma.

Abbiamo deciso di indirizzare la lettera al cardinale Kuharic perché già abbiamo conoscenza che in lui da tempo esiste sfiducia nei confronti di Zanic, iniziata ancora al tempo del processo dei cleronazionalisti fra Jozo Zovko, fra Jozo Krizic e fra Ferdo Vlasic nel 1981, quando da parte del clero nazionalista RKC [Chiesa romana cattolica. N.d.A.] di questo territorio è stato messo in vista l’insufficiente impegno di Zanic nella difesa dei suoi sacerdoti.

Questa mancanza di fiducia si è attualizzata con le dichiarazioni e le posizioni di Zanic sugli accadimenti di Medjugorje. Pensiamo che il contenuto stimolerà il cardinale Kuharic nell’intraprendere alcune misure nei confronti di Zanic; per questo utilizzerà probabilmente la BKJ e anche alcuni rappresentanti della Santa Sede.

Perciò c’è da attendersi che anche Zanic, dalla sua posizione, prenda adeguate misure nei confronti di alcuni suoi sacerdoti, dove in maniera particolare avrebbe perseguitato alcuni reazionari francescani (fra Jozo Zovko, Oto e altri) per sfruttare al massimo la sua posizione.

Vorremmo mandare la lettera anche a don Ratko Peric perché mettendo in atto le nostre misure siamo venuti a conoscenza che Peric è l’intermediario fra Zanic e la Santa Sede, che lo informa di tutto e che lo avvertirà anche del contenuto di questa lettera, ma allo stesso tempo porterà a conoscenza di ciò anche alcuni rappresentanti della Santa Sede, il che in ogni caso diminuirà la reputazione e l’autorità di Zanic e contribuirà a creare le condizioni per intraprendere misure concrete nei suoi confronti da parte della Santa Sede.

Vorremmo spedire la lettera anche all’arcivescovo di Spalato, Franic, perché lo stesso già da prima si lamentava con alcuni nostri collaboratori di fiducia [“Donat”, nome in codice. N.d.T.] che Zanic al tempo in cui serviva nel territorio di Spalato era a capo dell’opposizione contro Franic, come anche per il fatto di essere più volte stati in contrasto su diverse opinioni in merito alle “apparizioni di Medjugorje”, quindi riteniamo che Franic si attiverà particolarmente nel compromettere Zanic ai livelli più alti della gerarchia ecclesiastica della RKC.

Considerando che nel territorio del comune di Chaplina e in alcuni comuni limitrofi (Stolac e Ljubuski) si trova un certo numero di sacerdoti diocesani che hanno fatto apertamente conoscere la loro insoddisfazione nei confronti di Zanic e del suo rapporto nei loro confronti, vorremmo che la lettera fosse spedita da Chaplina. D’altra parte si sono create alcune condizioni per attuare delle misure per compromettere fra Jozo Zovko che, insieme all’azione combinata col piano “Crnica” contro il frate, darebbero sicuramente buoni risultati per renderlo inoffensivo e innocuo, come anche per altri clero-nazionalisti che sostengono Zovko.

Proponiamo di usare il dato più recente riguardante il comportamento di Zovko verso la già descritta pellegrina austriaca, la quale nella sua lettera parla del timore che qualcuno li abbia potuti vedere insieme nelle vicinanze della chiesa.

In merito a ciò proponiamo che si invii la lettera (manoscritta) da Tihaljina vicino a Grude, dove Zovko è parroco. Il contenuto dovrebbe dire che una coppia di sposi – abitanti di Tihaljina – ha notato Zovko in un incontro romantico e che non possono capire come lui possa compiere i servizi sacerdotali.

Vorremmo che la lettera fosse spedita al vescovo Zanic e al provinciale fra Jozo Pejic a nome di un fedele anonimo.

Al vescovo Zanic vorremmo mandare la lettera perché è già esasperato da fra Jozo Zovko non solo come iniziatore delle “apparizioni” di Medjugorje, ma anche a causa dell’accusa che il frate abbia «baciato morbosamente» una pellegrina di Cavalese in Val di Fiemme, nel Nord Italia. Questo fatto lo aveva verificato lui stesso e riferito interamente al provinciale Pejic. Poi ha chiesto a Pejic che Zovko venisse rimosso dall’incarico di parroco e subito spedito in ospedale per cure mediche, cosa di cui Zanic aveva informato anche alcuni sacerdoti nella diocesi e in missione pastorale all’estero.

Vorremmo mandare la lettera al provinciale Pejic, in quanto lui è il “superiore” di Zovko, perciò nel caso di una reazione di Zanic nei confronti di Zovko, ci aspettiamo, grazie a questa lettera, che Pejic sostenga l’azione di Zanic contro Zovko.

Dopo la realizzazione delle misure proposte, attraverso le nostre fonti potremo seguire le reazioni, analizzare i risultati ottenuti e valutare cosa fare in seguito in questa azione combinata.

Proponiamo che il vescovo don Pavao Zanic, nel periodo successivo a questa azione combinata, porti il nome in codice “Pio”, e fra Jozo Zovko il nome in codice “Luio”. In allegato alla presente informativa vi inviamo anche il contenuto delle lettere sopra descritte. Vi preghiamo di trasmetterci le vostre opinioni e suggerimenti in merito».

Ornamento di separazione

Qui, cari amici lettori, finisce il documento riservato trovato dai giornalisti croati e che io vi ho riproposto tradotto parola per parola. Il collega di Zagabria, autore dello scoop Zarco Ivkovic, a questo punto tira fuori altre carte segrete dal suo cilindro. Prima di tutto nota come la SDB, la famigerata polizia segreta UDBA, che aveva azionato questa potente macchina del fango, era perfettamente a conoscenza del lavoro e delle strategie del vescovo Pavao Zanic. Come era possibile?

Zarko Ivkovic fa tre ipotesi: a) il vescovo era spiato ventiquattr’ore al giorno; b) Zanic era un collaboratore diretto della SDB; c) c’era una talpa al suo fianco.

Certo, oggi, dopo le rivelazioni del generale Maksimov del KGB russo, fortemente contrastate e ritenute calunniatorie dal vescovo Ratko Peric, tutto potrebbe essere più chiaro.

Noi ci limitiamo a fornire il quadro con tutti i vari tasselli e a dare la parola a chi accusa, a chi si difende e poi contrattacca ventilando l’ipotesi della calunnia, reato gravissimo peraltro difficilmente dimostrabile. D’altra parte sul sito ufficiale della diocesi si parla di tutto e si cita in prima pagina il film del regista Ami Drozd.

Ma ritorniamo alle vicende raccontate nel libro Misterij Medjugorja. Il giornalista di Zagabria intervista padre Tomislav Pervan, che noi abbiamo incontrato nel primo capitolo di Viaggio a Medjugorje.

Padre Pervan affronta lo spinoso caso di fra Tomislav Vlasic, il frate sospeso, e dice: «Mi chiedo: quello che ha fatto il vescovo Pavao Zanic, quando ha frugato nella vita dei frati e li ha accusati, è un atteggiamento nello spirito del Vangelo di Cristo? Oppure una forma di ricatto per mettere in difficoltà le apparizioni? Si comporta così un vescovo, un padre con un figlio che sbaglia?».

Riguardo alle presunte colpe commesse da padre Tomislav Vlasic, nel libro Misterij Medjugorja si rimanda a un’altra intervista al provinciale dell’Erzegovina fra Ivan Sesar, che dice: «La nostra provincia non ha indagato su questo caso e non ha mai attivato procedimenti disciplinari contro Vlasic e in più, non è ufficialmente documentato che siano esatte le notizie relative alla sua relazione extramatrimoniale. Se fosse vero perché comprovato, i suoi superiori avrebbero dovuto iniziare un procedimento contro di lui».

Rimane il fatto che, anche secondo Ivan Sesar, la SDB e la UDBA hanno fatto ricorso a metodi illegali per diffamare e compromettere gli attori principali delle apparizioni mariane per arrivare a un solo scopo: soffocare Medjugorje.

C’è poi una scrittrice, che si chiama Darija Skunca-Klanac, che ha rivelato al giornalista Zarko Ivkovic nuovi particolari sulla vicenda di fra Tomislav Vlasic. Secondo questa scrittrice bisogna risalire al 1976, quando il vescovo dice di aver ricevuto due lettere da suor Manda che sono completamente diverse l’una dall’altra e non possono essere state scritte dalla stessa persona.

La scrittrice dice di averle viste personalmente. Il vescovo con queste lettere andò in Germania dalla persona interessata, ma lei disse che quelle lettere non erano sue. Eppure Pavao Zanic continuò per la sua strada per andare contro padre Tomislav. Allora la suora smentì il vescovo scrivendo una lettera a fra Ivan Dugandzic che era membro della commissione vescovile per Medjugorje.

Fra Ivan andò dal vescovo con la lettera di Manda e gli chiese spiegazioni. Per tutta risposta il vescovo disse al frate della commissione: «Qualcuno deve morire, o io o Medjugorje. Io non voglio morire e devo avere qualcosa con cui difendermi». La scrittrice Darija Skunca-Klanac ha confermato tutto questo nel libro dei quattro giornalisti croati.

A questo punto, nonostante tutti questi dubbi, la storia ha fatto il suo corso e nell’estate del 2009 padre Vlasic è stato sospeso e ridotto allo stato laicale.

Io stesso nel libro Profumo di Lavanda ho riportato questa notizia a pagina 59, parlando dei provvedimenti disciplinari del Vaticano nei confronti di padre Tomislav, senza essere al corrente di tutti questi intrighi, calunnie, macchinazioni e fango che erano abilmente provocati dagli agenti infiltrati della polizia segreta comunista. Padre Tomislav Vlasic, in seguito a questa persecuzione poliziesca, ha sofferto molto dal punto di vista mentale e può anche darsi che in seguito abbia commesso altri errori.

Ma io mi chiedo: chi avrebbe potuto sopportare tali accuse dinnanzi ai confratelli, ai fedeli della parrocchia e a quei sei bambini che si erano tanto affezionati a quel frate? D’altra parte lo dice la Madonna nei suoi messaggi: «Non giudicate e se i sacerdoti sbagliano pregate per loro».

In questo caso è ancora da vedere che cosa questo frate abbia sbagliato. Talvolta il mio mestiere è proprio difficile perché devi scrivere e dare notizie di provvedimenti disciplinari, sentenze, avvisi di garanzia, arresti o quant’altro e poi magari dopo un po’ di tempo la storia porta a galla una verità diversa.

Dai referti della SDB e della polizia segreta UDBA si evidenzia una continua attività di spionaggio e monitoraggio nei confronti di padre Jozo che, dai primi giorni delle apparizioni fino alla fine di luglio, è stato sottoposto a un vero e proprio martellante controllo da parte degli agenti infiltrati.

Padre Jozo sapeva ma non ha mai indietreggiato di un centimetro né coi fatti né con le parole. È stata persino rispolverata tutta la documentazione a suo carico di quando era parroco a Posusje: così spunta fuori un rapporto informativo della polizia segreta del 5 giugno 1977, ben prima delle apparizioni, quando, celebrando la messa a Rastovaca, disse: «I lavoratori a Zenica hanno costruito la chiesa nonostante i comunisti glielo impedissero. Nemmeno i loro cannoni sono riusciti ad abbattere la chiesa così come non hanno potuto vietare che essa fosse costruita».

Il giornalista Zarko Ivkovic è riuscito poi a trovare un documento dei servizi segreti che risale alla metà del 1978. La polizia segreta voleva dimostrare che fra Jozo teneva contatti con elementi dell’emigrazione estremista ustascia (fascisti) e che era stato invitato a una grande giornata a Toronto, in Canada, il 19 agosto 1978, per celebrare “la giornata di Posusje”. I servizi segreti non hanno permesso il rinnovo dei documenti per l’espatrio e così padre Jozo non è partito.

Tornando agli eventi del 1981, i giornalisti di «Vecernji List» hanno poi potuto verificare che la situazione per padre Jozo è andata precipitando in seguito alle omelie che fece il 7 e il 17 luglio 1981 davanti a migliaia di pellegrini. La polizia segreta raccolse le testimonianze di tredici cittadini.

Ecco alcuni brani dell’omelia che fu alla base delle motivazioni dell’ordine di arresto del parroco:

«Noi che già da quarant’anni viviamo in catene, nella sofferenza, nell’oscurità, nella tensione e nella paura, supplicando l’aiuto di Dio di lasciare liberi gli schiavi e che i cristiani possano governare, e non quelli che sono contro Dio, che la forza dei fedeli è nell’essere in ginocchio e nelle mani che si ribellano, che il futuro appartiene a quelli che credono nella Chiesa cattolica, che la religione non è una cosa privata, ma che per essa bisogna soffrire e difenderla con il sangue e il sudore, che le madri devono partorire nonostante le paure che i loro figli resteranno affamati in questa società, chiedendosi se questo è il tempo del Venerdì Santo o della Pasqua per la Chiesa cattolica in Erzegovina, la quale trema perché i bambini attendono il testimone [come nella staffetta. N.d.T.] anziché venire alla messa, che quello che la stampa scrive sulle apparizioni della Madonna sono solamente bugie, e che bisogna credere solo alla stampa religiosa, che la popolazione di Citluk è costituita in maggior parte da fedeli, e che soltanto un piccolo numero di essi per varie ragioni ha venduto la propria fede, che i fedeli non devono aver paura di quelli che minacciano di ridurre gli stipendi a quelli che vanno in chiesa».

Dai documenti fotocopiati dai colleghi croati a Belgrado al ministero degli Interni emerge anche questa frase: «Rivolgendosi a Dio fra Jozo ha detto: “Dio siamo infelici senza di te, la discordia è nello stato, nella Chiesa, fra la gente, Signore vieni e infondici sicurezza”».

La polizia segreta ha annotato anche queste frasi e questi fatti:

«I bambini che hanno parlato con la Madonna sono stati divisi con la forza e adesso hanno colloqui separati con Lei, ma nonostante ciò “un uomo conosciuto” [fra Jozo. N.d.T.] è di nuovo tornato alla Chiesa. Siccome era venuto a sapere che alcune persone avevano avuto colloqui informativi riguardo alla sua attività nemica, fra Jozo rivolgendosi ai fedeli cercava di dissuaderli dal fornire eventuali dichiarazioni sottolineando che “l’uomo non è grande se può testimoniare e far rinchiudere il proprio vicino”, e dopo di ciò “oggi per l’uomo è impossibile essere perseverante nella fede per la presenza di Satana, il quale per ascoltare e testimoniare falsità affitta l’orecchio del fedele”. Coerente con tale atteggiamento Zovko nella riunione del SSRN [Consiglio socialista del popolo operaio. N.d.T.] ha espresso la sua arroganza dicendo che chi non conosce la fede non ha il diritto di intromettersi nelle sue questioni e che lui non accetta né i titoli e né le informazioni che la stampa dà su questo argomento».

Ecco ora le conclusioni della polizia segreta da inviare ai magistrati, secondo la ricostruzione fatta dai giornalisti del «Vecernji List» in Misterij Medjugorja:

«Tenendo conto che l’attività nemica di fra Jozo Zovko cresce in continuazione, nonostante le misure finora adottate da parte dei soggetti sociopolitici, valutiamo che la stessa debba essere recisa denunciando le sue violazioni, e dopodiché perseguitarlo anche penalmente.

Prima di condurre Zovko in tribunale per le violazioni si dovrebbe perquisire la sua abitazione e gli uffici parrocchiali. La condanna che il giudice gli infliggerà per le violazioni dovrebbe essere attuata subito, senza aspettare la conferma dell’intero iter giudiziario, perché altrimenti Zovko, essendo in libertà, potrebbe continuare a influenzare i fedeli ed eventualmente organizzarli e incoraggiarli in azioni specifiche atte alla propria difesa.

La documentazione che sarà utilizzata nel processo civile ed eventualmente in quello penale potrebbe essere utilizzata anche per la contemporanea azione sociopolitica che, senza dubbio, contribuirebbe a prevenire controazioni dei clero-nazionalisti che sono da attendersi».

Mijo Jurisic, capo del consiglio socialista, disse: «Il caso di padre Jozo rappresenta un’attività nemica».

La polizia comincia a stringere la morsa con pressioni, interrogatori, telefonate anche nei riguardi del vescovo Pavao Zanic, che fino al 16 agosto 1981 (e poi per l’ultima volta il 13 settembre, come dimostrano i documenti di «Glas Koncila») ha continuato a dire che le apparizioni erano vere e che i bambini non potevano mentire.

Il capo del comitato socialista di Citluk, Zora Miletic, convocò padre Jozo e gli fece vedere le raccomandate di servizio che arrivavano dai ministeri e dagli organismi politici comunisti di Mosca, Varsavia e Belgrado e disse: «Loro mi scrivono che la Madonna non ci deve essere». Quel dirigente era in difficoltà e disse a padre Jozo: «Lei deve fermare tutto ciò».

Erano le ultime avvisaglie. Ogni giorno Zora Miletic avvertiva padre Jozo di smetterla di incoraggiare le apparizioni.

All’alba del 17 agosto 1981 scattano l’arresto e la perquisizione di padre Jozo, fra Stanko Vasilj, fra Ferdo Vlasic e altri tre sacerdoti. Padre Jozo, come noto, uscì di prigione all’inizio del 1983 ma non fu reintegrato a Medjugorje: venne mandato in altre parrocchie dell’Erzegovina.

Nel 1989 il vescovo di Mostar Pavao Zanic gli tolse ogni giurisdizione nella sua diocesi. La decisione fu motivata così: «Nell’azione di padre Jozo ci sono elementi di condotta antiecclesiastica».

Fra Jozo si è appellato alla Santa Sede ma gli è stato risposto che la sospensione resterà finché non si trasferirà in un monastero lontano da Medjugorje.

Nel 1991 padre Jozo si trasferisce a Siroki Brijeg e vi rimane fino al febbraio 2009 quando, con decreto del provinciale francescano di Mostar, viene mandato a servire fuori dalla diocesi.

Che cosa ha fatto padre Jozo in questi diciotto anni? Ha fondato a Puringaj, vicino a Siroki Brijeg, insieme ad amici profondamente cattolici sinceramente dediti al volontariato, come la presidente Vesna Cuzic, l’istituto della Sacra Famiglia, una casa di accoglienza per educare le ragazze abbandonate. Successivamente, nel 2001, a questo programma si uniscono i bambini orfani o di famiglie in gravi difficoltà sociali.

Per aiutare padre Jozo dovete contattare Vesna Cuzic e mandare aiuti a questi conti correnti:

Associazione: Medunarodno Kumstvo Djetetu Hb

Indirizzo: Majke Tereze 1, 88 220 Siroki Brijeg,

Bosnia e Herzegovina

Contatti telefonici: Vesna Cuzic tel. 00387 39 700 490

e-mail: vesna@kumstvo.ba

Altro contatto: Lidija Zovko tel. 00387 39 700 496

e-mail: lidija@kumstvo.ba

Banca di riferimento: Unicreditbank DD

Fra Didaka Buntica bb

88 220 Siroki Brijeg

Conto corrente: 3380604809739513

IBAN: BA 39 3380604809739513

SWIFT: UNCRBA22

Infine, viene creata anche una casa di accoglienza per i ragazzi diversamente abili di Siroki Brijeg e dei comuni vicini. Questa struttura è stata realizzata al 30% con i fondi dei comuni della Bosnia, della regione dell’Erzegovina e il restante 70% con finanziamenti provenienti dall’Italia dalla fondazione don Carlo Gnocchi.

Diocesi di Mostar: «Il generale Maksimov? Calunnie e falsità».

Cari amici, fino a ora abbiamo esaminato il film From Fatima to Medjugorje, immagini, sonoro, contenuti e parole analizzate una per una e abbiamo confrontato il materiale raccolto dal regista israeliano Ami Drozd con la documentazione dei verbali della UDBA scoperta dai giornalisti di «Vecernji List», il quotidiano di Zagabria, e pubblicata nel libro Misterij Medjugorja.

Ora invece diamo la parola a chi è stato attaccato dalle accuse del film e dalle testimonianze degli agenti del KGB, e cioè i due vescovi, Pavao Zanic e l’attuale vescovo della diocesi di Mostar monsignor Ratko Peric, che hanno postato la loro linea difensiva nel sito ufficiale www.md-tm.ba della diocesi di Mostar venerdì 26 maggio 2017. Ecco le prime sette righe con le frasi attribuibili al vescovo Peric.

«Se il generale colonnello Maksimov è una persona reale, non sarà un problema organizzare un dibattito pubblico.

Prima di tutto, egli deve mettere davanti agli occhi dell’opinione pubblica tutti i documenti compromettenti che ha a sua disposizione, come anche i loro contenuti! Dimostrate la loro autenticità, e poi lasciamo che tutti, compreso il vescovo, moralmente e legalmente rispondano per le loro azioni e si assumano la propria responsabilità morale e legale!».

Ecco, come vedete il vescovo Peric sfida il presunto generale del KGB e il regista Ami Drozd a un vero e proprio “duello” dialettico, un dibattito aperto al pubblico con un confronto che si preannuncerebbe davvero acceso con l’ufficiale dei servizi segreti russi; sempre ammesso, scrive monsignor Peric, che il colonnello generale sia un personaggio reale, cioè realmente esistito e che abbia svolto davvero queste funzioni di spia ai vertici del KGB per l’ex Unione Sovietica.

In pratica, monsignor Peric fa capire che è tutto falso, che le accuse sono calunnie e che lui non ha mai incontrato questo alto ufficiale russo come invece il film del regista Ami Drozd – sulla base della testimonianza delle due spie russe Malakhov e Maksimov e dei documenti che vengono mostrati nel reportage filmato – mostra e spiega con dovizia di particolari insieme agli autori e sceneggiatori di From Fatima to Medjugorje.

Devo dire con tutta sincerità che dopo più di venticinque anni di inchieste giudiziarie come inviato speciale anche di cronaca nera nei più importanti palazzi di giustizia in Italia e anche all’estero, pur non avendo una spiccata simpatia personale per il vescovo Peric in quanto detrattore dichiarato delle apparizioni di Medjugorje debbo riconoscere che le presunte dichiarazioni e i contenuti di questo film sono così sconvolgenti, rivoluzionari e gravi, anzi gravissimi, che dovrebbero essere, nel volger di poco tempo, mostrate le prove documentali e testimoniali.

Questo per dare modo alle autorità ecclesiastiche di Mostar di confrontarsi con il materiale probatorio non solo rispetto a un film, ma a fatti concreti e comprovati. Altrimenti si finisce per ledere il diritto alla difesa che è riconosciuto dalle costituzioni di tutto il mondo, anche se questo principio spesso è violato dai sistemi politici che si reggono sulle dittature. Ma, questo, non mi sembra oggi più il caso né della Bosnia Erzegovina, né della Croazia né della Russia, certamente rispetto ai tempi della cortina di ferro dell’ex Unione Sovietica e della ex Iugoslavia. Diciamo che le cose rispetto a quei tempi sono migliorate.

Dunque che cosa voglio dire? Che di fronte a tali notizie che suscitano un clamore così forte negli ambienti politici ed ecclesiastici, e soprattutto perché si tirano in ballo nomi di altissimo livello anche dentro le mura del Vaticano, per il bene non solo di Medjugorje ma dei rapporti politici e religiosi internazionali, sarebbe opportuno fare chiarezza su questa vicenda e che ciascuno si assumesse le responsabilità dando alle parti in causa la possibilità di difendersi e di veder garantito il diritto alla sacrosanta verità.

Sui misteri di Medjugorje di complotti ce ne sono stati molti e credo che anche il Santo Padre abbia diritto di conoscere, dopo trentasei anni, la verità, per prendere una decisione finalmente imparziale e giusta. (Nel momento in cui scrivevamo queste pagine, non avevamo ancora preso visione della seconda parte dell’intervista al generale Maksimov né della successiva replica del vicario generale della diocesi di Mostar, don Zeliko. In questa successiva intervista Maksimov, l’ex generale del KGB parla della sua vita con dettagli precisi sulla sua attività di alto dirigente del ministero degli Interni e della Difesa. Tutti questi importanti aggiornamenti li leggerete fra poco.)

Si tenga presente che ci sono persone che hanno subìto torti gravissimi, arresti, torture fisiche e psicologiche, come vedremo alla fine di questo capitolo con testimonianze inedite raccolte da Draga Vidovic, una guida di Mostar.

Poi ci sono quei laici e francescani che, pur non avendo subìto arresti né torture fisiche, sono stati tuttavia oggetto delle “attenzioni” della polizia segreta, la UDBA, che li ha infangati con situazioni costruite ad hoc per incastrarli in scandali o vicende incompatibili con la vita sacerdotale e che ancora oggi portano sulle spalle il peso di ferite psicologiche gravi per aver difeso le apparizioni.

È giusto parlare di queste vicende per portare a galla la verità e riabilitare situazioni personali drammatiche. Così come oggi la reputazione dei due vescovi viene messa in dubbio dalle gravi accuse lanciate da questo film – in attesa di una presentazione con prove autentiche alla stampa internazionale –, è altrettanto giusto che sia data ai due vescovi, alla memoria del primo, Zanic, passato a miglior vita, e per il secondo, Ratko Peric, tutt’oggi in carica, la possibilità di confrontarsi con la verità, quella con la V maiuscola, e di difendersi dalle accuse. In caso contrario il rischio è di continuare a trasformare Medjugorje in un campo di battaglia velenoso e pieno di complotti da una parte e dall’altra.

Sarebbe dunque opportuno verificare con le persone chiave, testimoni, arcivescovi e diplomatici anche del Vaticano, nominati dal KGB nel film, tutti quei presunti incontri avvenuti a Roma.

Infine, a questo riguardo una parola decisiva potrebbero dirla gli agenti della UDBA, a cominciare da Ivan Lasic Gorankic, gli agenti Milos e Predojevic, tutti dei servizi di sicurezza interna della ex Iugoslavia, i quali a loro volta, secondo la ricostruzione del film israeliano, hanno fatto decine di riunioni sia a Belgrado che a Mostar con gli agenti russi Alexander Maksimov, ufficiale di alto rango, e l’agente compagno Malakhov. Quanti di loro sono ancora in vita? Secondo le interviste del film i due agenti russi, sempre che siano reali come dice il vescovo di Mostar, sono stati intervistati e dunque vivi e vegeti.

Degli altri agenti UDBA è certamente ancora in vita Ivan Lasic che è originario dello stesso paese di padre Jozo Zovko, e cioè il villaggio di Uzarici, vicino a Siroki Brijeg. I loro padri si conoscevano bene ed erano capi villaggio. Uno degli altri agenti mi risulta che sia ancora vivo e abiti con i parenti a Belgrado.

Ma veniamo, ora nei dettagli, alla risposta ufficiale della diocesi di Mostar nella persona del vicario generale don Zeljko Majic:

A metà del maggio 2017 è uscito il documentario From Fatima to Medjugorje della Nazareth Production, realizzato sulla sceneggiatura di un certo Slom Bezael e diretto dal regista Ami Drozd.

Già dall’annuncio promozionale e lo spazio fornito dal portale www.dnevno.hr [quotidiano online croato. N.d.A.] sulla base di quattro trailer postati, la curia vescovile di Mostar ha rilasciato una dichiarazione in cui ha respinto tutte le calunnie sui pastori della Chiesa di Mostar, i vescovi Pavao Zanic e Ratko Peric: «Tutto quello che è stato detto nel film sulla “cooperazione” dei nostri pastori Pavao e Ratko con i servizi segreti che sono contro Dio e la Chiesa è una calunnia non grata a Dio che non ha alcun fondamento e nessun contatto con le persone calunniate e serve solo per discreditare non solo le persone, ma anche la Chiesa!».

In questi giorni abbiamo avuto la possibilità di vedere tutto il film. Sentiamo il bisogno di intervenire ancora una volta, non per entrare in polemica con gli autori – con quale verità si può controbattere una così programmata calunnia di malafede!? –, ma per la verità e l’anima dei credenti e fedeli che, mentre guardano questo filmato diffamatorio possono rimanere sconcertati e smarriti, il che ovviamente, era l’intenzione di questo organizzatore e editore.

Dunque, noi consideriamo questo documentario come una cosa terribile, una calunnia non grata a Dio. E ciò che Dio disprezza è l’opera del padre della menzogna. Pertanto, definire questa pellicola con il termine “calunnia” è un giudizio molto indulgente. La matrice su cui è fatto questo film non è una grande novità, soprattutto quando si tratta di “cooperazione” del vescovo Zanic. La “cooperazione” del vescovo Zanic con UDBA è già stata l’oggetto di un film prodotto nel passato [Gospa di Jacov Sedlar. N.d.A.], e alcune scene in questo film – ad esempio l’immagine della consacrazione del vescovo Peric a Neum nel 1992 – sono state riprese anche da Drozd.

1. IL FILM

Raccontare per intero il film sembra inutile. Ci limitiamo ai riferimenti ai vescovi Zanic e Peric. Pertanto, ci soffermiamo sul messaggio col quale si dichiara esplicitamente che i vescovi di Mostar erano “associati” all’UDBA [Ufficio del servizio di sicurezza dello stato] e al KGB sovietico [Comitato per la sicurezza dello stato].

1.1 La “cooperazione” del vescovo Zanic con UDBA

Il “fenomeno di Medjugorje” non solo aveva preoccupato l’UDBA iugoslava, ma anche il KGB sovietico che, fin dall’inizio, era presente a Medjugorje. Come si fa a prevedere in modo preciso quello che può distruggere il sistema comunista e la Iugoslavia?

L’opinione del vescovo locale è perciò importante. L’agente della UDBA Lasic era in possesso di documenti compromettenti a carico del vescovo Zanic. Si trattava di una relazione intima che aveva avuto con un collega quando era molto giovane, e anche di altri dettagli che non sono affatto in accordo con quello che lui doveva rappresentare. Questo documento è stato consegnato dall’agente del KGB tenente generale Maksimov il 4 ottobre 1981 al cancelliere dello stato della Santa Sede, il cardinale Agostino Casaroli, che era rimasto molto sorpreso, così come il diplomatico vaticano Pietro Sambi e lo stesso Maksimov.

La Santa Sede cercò tutti i modi per sollevare il vescovo dal suo ministero. Durante il processo al padre Jozo Zovko (1981), la Chiesa ha cominciato a cercare un successore al vescovo Zanic. Il rettore del Pontificio collegio croato di San Girolamo, Ratko Peric, fu invitato per un colloquio. Mentre l’agente UDBA Lasic cercava di ricattare il vescovo Zanic a Mostar, Ratko Peric dichiarava a Roma che avrebbe accettato qualsiasi incarico gli fosse stato affidato dalla Chiesa.

Sotto il ricatto del peccato commesso quando era molto giovane, il vescovo Zanic cambiò il suo atteggiamento positivo su Medjugorje e accetta di collaborare con la UDBA, e con la sua autorità episcopale cominciò a contestare le apparizioni. Tra l’altro, compiacendo i servizi segreti, inviò lettere a tanti vescovi chiedendo loro di fermare il flusso di pellegrini a Medjugorje. I servizi segreti iugoslavi erano contenti perché il vescovo metteva in atto tutto ciò che loro volevano da lui. Dunque, per non essere accusato, il vescovo Zanic collaborò con la polizia segreta. Allo stesso tempo non volle allontanarsi dal servizio a Mostar, perché pensava di non doversi affrettare ad andarsene in quanto convinto che i documenti incriminanti contro di lui non ci fossero più!

1.2. La “collaborazione” del rettore Peric con il KGB

Già nel dicembre 1982 il rettore Peric incontrò l’agente del KGB, il generale Alexander Maksimov, che appare come il principale e unico accusatore dei vescovi di Mostar: «Da allora fino al 1989 ci siamo incontrati sette volte» dice Maksimov.

Anche se inizialmente era in parte propenso a credere nella veridicità degli avvenimenti di Medjugorje, il rettore di San Girolamo promise all’agente del KGB sovietico: «Se c’è qualcosa di vero in queste apparizioni, ci penserò io a distruggerne anche la più piccola parte e so anche come farlo, a patto che [il KGB] operi attraverso l’UDBA iugoslava per fare tutto il possibile per bloccare le attività dei francescani in Erzegovina», sottolineando che «con i francescani bisogna agire brutalmente e con l’astuzia, in tutti i modi!».

«L’unica sua preoccupazione [dice Maksimov di Peric. N.d.A.] era di non far sapere nulla alla UDBA e ai francescani. Ha detto che crede in noi e che sa quanto siamo un servizio segreto efficace e che questo gli è stato detto anche dal collega italiano che li ha fatti incontrare. Ha detto anche che noi avremmo dovuto organizzare tutto il coordinamento con i colleghi iugoslavi, ma che non si sarebbe mai dovuto vedere che lui era coinvolto nella persecuzione dei francescani… Ha sottolineato che con loro bisogna essere molto duri, altrimenti non va… Gli agenti del KGB di tutto il mondo lo informavano sulla situazione di Medjugorje! Gli hanno dato informazioni sulle attività dei francescani e sui loro piani e sulle opinioni dei vescovi di tutto il mondo su questo tema. Ha chiesto loro di influenzare i vescovi a dichiararsi contro il fenomeno di Medjugorje per scoraggiare i pellegrini!»

Peric ha continuato a mantenere i rapporti e i contatti con i servizi segreti russi anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

1.3 Le prove del film: documenti, immagini, video

Nel film appaiono per sette volte fotocopie di documenti in cirillico russo che dovrebbero sostenere il discorso dell’agente ed essere “prove inconfutabili”. Però queste copie passano così velocemente che lo spettatore non riesce a trovare nessuna data di uscita, né un numero di protocollo, in cui si leggano i nomi dei partecipanti alle riunioni e molto meno dei contenuti. Se facciamo attenzione alla firma sui documenti, è solo ed esclusivamente la firma del generale Maksimov.

Foto e video sono presi dalle cerimonie religiose e liturgiche del vescovo Zanic e del rettore, allora vescovo Peric. È chiaro che le riprese sono state utilizzate senza il permesso della Chiesa, fatto che rappresenta, tra l’altro, anche un reato punibile. Ma in nessuna ripresa esiste alcuna prova degli incontri, conversazioni e firme che potrebbero diffamare i vescovi. Solo due immagini del vescovo Zanic e dell’agente UDBA Lasic: il vescovo Zanic nel suo ufficio, e Lasic da qualche parte a bordo della sua autovettura.

1.4 Il testimone

Il testimone principale e unico di questa diffamazione senza precedenti nei confronti dei vescovi di Mostar è un agente del KGB, il generale colonello A. Maksimov, il cui sguardo sembra concentrato in un unico punto. Il discorso è scorrevole, ma non guarda la telecamera. L’impressione è che legga un testo scritto. Secondo la sua testimonianza, ha sentito parlare di Medjugorje per la prima volta ai primi di luglio del 1981 quando, per ordine dei suoi superiori, si recò in fretta a Belgrado. Aveva dei contatti “eccellenti” con il Vaticano. Si incontrò con il segretario di stato [il cardinale Casaroli. N.d.A.] e altri diplomatici religiosi al Columbus Hotel del Vaticano, in via della Conciliazione. In quell’occasione, come segno di buona volontà, ha lasciato come “regalo personale” per il papa un elenco di sacerdoti “collaborazionisti” che avevano tradito la Chiesa a favore dei servizi segreti in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Iugoslavia e Ucraina.

Ma questo generale Maksimov esiste veramente? E se esiste,è davvero un alto ufficiale del KGB? Abbiamo cercato di scoprirlo attraverso le moderne ricerche in internet. Be’, non abbiamo avuto una risposta. Sappiamo che i servizi segreti nascondono l’identità dei propri agenti. Ma un alto funzionario – “il vice capo del KGB” – difficilmente può essere nascosto. Dopo tutto, se si tratta di una persona vera non è un problema organizzare un dibattito pubblico con il vescovo Peric.

2. LA NOSTRA RISPOSTA

2.1 La “collaborazione” del vescovo Zanic

La tesi, o meglio, la calunnia che il vescovo Zanic fosse un “collaboratore” della UDBA, e tutto ciò che abbiamo detto all’inizio, non è nuova nel campo dei media. Questa diffamazione era già stata riportata nel film Gospa del regista di Zagabria Jakov Sedlar, e la curia vescovile di Mostar gli rispose con la dichiarazione del 17 giugno 1995. Quando Sedlar, in un’intervista a un giornale, minacciò una causa, la curia rilasciò una nuova dichiarazione il 1° dicembre dello stesso anno invitandolo a continuare nel suo intento.

La curia ha deliberato ancora una volta sullo stesso argomento il 21 dicembre 2011, dopo che a Zagabria è stato pubblicato da «Vecernji list» il libro Il mistero di Medjugorje, 30 anni di fenomeno, firmato dai giornalisti Z. Ivkovic, R. Bubalo, Z. Despot e S. Hancic.

Venti giorni dopo, l’11 gennaio 2012, in occasione dell’anniversario della morte del vescovo Zanic il vescovo Ratko ha tenuto un’omelia nella cattedrale in cui ha controbattuto alle calunnie. E la polemica cessò.

Nel novembre 2011 il vescovo ha inviato una richiesta scritta al signor Almir Dcuva, direttore dell’agenzia di intelligence-sicurezza di Bosnia Erzegovina a Sarajevo, per consentirgli di vedere i documenti pubblici delle relazioni UDBA riguardanti il vescovo Zanic e Medjugorje. Il direttore ha approvato la sua richiesta e ha reso disponibili le copie di più di trenta documenti dal 1981 al 1988.

Nessun documento menziona alcun ricatto o minaccia comunista, né nessun tipo di “collaborazione”. Inoltre, in alcune delle relazioni che erano state inviate dal servizio di sicurezza a Mostar ai funzionari di rango superiore a Sarajevo, risulta che il vescovo Zanic abbia rifiutato un incontro con il presidente della Commissione per le questioni religiose, il 14 luglio 1981. E come deciso avversario del sistema comunista, il vescovo Zanic è stato messo al primo posto fra i “responsabili di attività nemica” nei documenti sotto datati: 31 gennaio 1983, 7 novembre 1983, 8 dicembre 1983, 4 gennaio 1984, 7 marzo 1984 e 24 aprile 1986. E Zanic a Mostar risulta come avversario ideologico del comunismo dal 1971 al 1993.

Tuttavia, in questo ultimo lavoro cinematografico, almeno per la nostra conoscenza, spunta fuori un “peccato” del vescovo Zanic commesso in “giovane età”. Lo sceneggiatore, il regista e “il testimone” non ci spiegano cosa significhi “molto giovane”. Anche la scienza, sotto il termine “molto giovane” non considera un ventenne come adolescente. Il vescovo Zanic è nato il 20 maggio 1918. E quale miracolo: mezzo secolo dopo l’agente UDBA Lasic era in possesso di un “documento compromettente” che costringe il vescovo Zanic, “sotto pressione”, ad “accettare” una collaborazione senza condizioni e portava la Santa Sede alla immediata ricerca del suo successore: «Al momento dei processi di padre Jozo Zovko, la Chiesa ha cominciato a cercare il successore del vescovo Zanic». Perciò nel 1981 l’UDBA lo sapeva!

La verità è che la Santa Sede, malgrado le “prove indiscutibili” di “inadempienza” per il servizio apostolico, ha lasciato il vescovo Zanic a capo delle diocesi di Mostar-Duvno e di Trebinje-Mrkan per altri dodici anni, fino al 24 luglio 1993, quando raggiunse l’età di 75 anni, che è l’età canonica per la pensione.

Inoltre, dal 3 novembre 1988 al 14 gennaio 1990 la Santa Sede gli affidò una terza diocesi, Dubrovnik. È così che la Santa Sede si libera dai vescovi che hanno vissuto una vita, anche in gioventù, “non secondo quello che dovrebbero rappresentare”? Se, secondo i realizzatori del film, il vescovo Zanic fosse stato un ostacolo per il papa nel suo tentativo di distruggere il comunismo, in cui Medjugorje avrebbe dato un aiuto significativo, il Santo Padre Giovanni Paolo II avrebbe parlato in modo così elogiativo del servizio sacerdotale e apostolico del vescovo Zanic in occasione del suo cinquantesimo anniversario di sacerdozio e ventesimo anniversario di episcopato nel 1991? Così parlava papa Wojtyla: «Sappiamo con quale cura e zelo hai svolto il tuo sacro servizio durante il lungo cammino della tua vita, prima come pastore, poi come delegato diocesano per le donne consacrate e infine come rettore del seminario minore. Conoscitore della teologia ed estremamente fedele alla Santa Sede, hai cercato diligentemente di diffondere la devozione personale all’Eucarestia – e tu ci hai messo tutta la tua anima – con il cui culto l’unità dei cuori e delle menti è custodita. Diventando vescovo coadiutore nel 1970, per dieci anni hai investito tutta la tua forza per il bene spirituale dei fedeli di Cristo nella diocesi di Mostar-Duvno, che hai accompagnato con amore instancabile e zelo coraggioso. E quando la diocesi è stata affidata alla tua amorevole amministrazione, i fedeli del tuo gregge ti hanno già conosciuto come padre e insegnante di verità divine.

Sappiamo che i problemi e le difficoltà hanno reso ancor più amaro l’onere del tuo servizio pastorale, ma tu non hai mai mancato di fede senza paura; inoltre, il tuo amore verso tutti, l’eccezionale devozione e la tua diligenza nella scelta e nell’elezione dei giovani chiamati al servizio del Signore sono aumentati in modo significativo. E così fratello onorato, sei andato coraggiosamente avanti!».

Tutto ciò non dimostra che gli autori di questo film stanno diffamando la Chiesa, visto che la Santa Sede stava lodando il vescovo Zanic invece di infliggergli una “meritata punizione”? Quindi invitiamo gli autori del film a provare le loro dichiarazioni: dimostratelo con i documenti! Non convincerete nessuna persona ragionevole con le fotocopie degli “ultimi documenti” che appaiono nel film “alla velocità della luce”. Se non lo farete, riconoscerete da soli di essere dei calunniatori.

2.2 La “collaborazione” del rettore e vescovo Ratko Peric

Se non fosse una calunnia blasfema che mira a diffamare non una persona ma la Chiesa stessa, l’affermazione che il rettore di San Girolamo e vescovo di Mostar Peric sia stato collaboratore del KGB sarebbe una vera barzelletta. Se a tutto ciò aggiungiamo anche questa “motivazione”: «Ha detto che collaborerà, ma alla condizione che ci impegniamo con i servizi segreti iugoslavi per limitare al massimo i francescani nelle loro attività in Erzegovina», allora non abbiamo parole per descrivere questa calunnia totalmente inventata.

Nessuna foto, né documento, né firma del vescovo, data o luogo della riunione, solo la dichiarazione dell’agente: «Sì, mi sono subito incontrato, nel dicembre 1982, con Ratko Peric. Da allora fino al 1989 ci siamo visti sette volte».

Dichiarare dunque qualcuno collaboratore del più infame servizio di intelligence fin dall’inizio del comunismo può essere fatto solo da chi è pieno di odio verso la persona, il suo servizio ecclesiale e l’istituzione in cui il rettore e vescovo Peric ha sempre agito in modo responsabile.

Se aggiungiamo a ciò l’affermazione che, anche dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica – e ciò significa dopo la scomparsa del KGB comunista – mentre la guerra infuriava nelle diocesi di Erzegovina (una guerra nel cui scoppio quei servizi infami ebbero un grande ruolo), ha mantenuto i contatti con loro, il tutto è una completa e assoluta assurdità. Che un prete cattolico, a cui “il testimone” attribuisce una spiccata intelligenza, sia rimasto l’unico sacerdote della Chiesa cattolica che ha continuato a collaborare con il KGB dopo il crollo del muro di Berlino e l’Unione Sovietica e la disintegrazione del KGB è assolutamente assurdo. Che poi, figuriamoci, il rettore di San Girolamo sia stato informato dagli agenti del KGB di tutto il mondo sugli avvenimenti di Medjugorje, dopo questi eventi è altrettanto impensabile.

Crediamo che, anche per coloro che detestano il vescovo Ratko Peric come persona non favorevole al fenomeno di Medjugorje, tutto questo non potrà che apparire se non disgustoso, almeno certamente incredibile. Purtroppo sulla carta si può scrivere qualunque cosa e tutto può esser messo in un film, e se questo è collegato alla follia e a un cuore malvagio, tutto può impressionare.

L’unica copia di un documento che appare nel film dove si legge il nome del vescovo, se è autentica, non significa assolutamente nulla. In effetti, al 31° minuto del film c’è una fotocopia del documento, che, secondo la nostra lettura: la traduzione del protocollo del ricevimento al Vaticano, 26 gennaio 1984, palazzo apostolico (palazzo apostolico), Città del Vaticano, Vaticano. Le prime due righe, marcate di colore arancione, “rivelano” i partecipanti della riunione: Alberto Tricarico, vescovo Pavao Zanic e Ratko Peric. Nelle seguenti quattro linee visibili si può leggere che i temi dell’incontro sono stati il “caso Erzegovina” e Medjugorje. E niente di più. Questo non dice nulla, perché è ben noto, e lo abbiamo annunciato più volte, che il vescovo Zanic durante i suoi ventitré anni di ministero episcopale, con la speranza che la Santa Sede, finalmente e giustamente, risolvesse il “caso Erzegovina” e il “fenomeno di Medjugorje”, è andato più di ottanta volte a Roma e quattordici volte si è incontrato con il papa. Che cosa c’è di strano e di “compromettente” nel fatto che un suo sacerdote presente a Roma lo accompagnasse a volte a quelle riunioni?

Dopo tutto, il vescovo Zanic, ogni volta che andava a Roma si incontrava con monsignor Pierluigi Celato, che fino al 1979 era il referente per gli eventi nella ex Iugoslavia. Dal 1979 al 1988, questo servizio è stato svolto da monsignor Faustino Sainz Muñoz. Non c’era motivo per cui il vescovo dovesse parlare con monsignor Alberto Tricarico, che dal 1982 al 1985 è stato il consigliere nella nunziatura apostolica di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia!

3. LA “COLLABORAZIONE” E LA SITUAZIONE SUL TERRENO

Se in questa spudorata costruzione ci fosse anche un po’ di verità verrebbe da chiedersi: quali sono gli effetti della collaborazione di Peric e Zanic e la pressione di UDBA e KGB sui francescani dell’Erzegovina? Cosa accade in quel momento con i francescani a Medjugorje?

Tutti sono d’accordo che il segno per l’inizio della persecuzione dei francescani dell’Erzegovina, del padre Jozo Zovko, padre Ferdo Vlasic e padre Jozo Krizic sia stato dato dall’ex ideologo del Partito comunista Branko Mikulic nel suo intervento a Tjentiste alla festa per i “combattenti partigiani”, il 4 luglio 1981.

Dopo la preparazione dei media, in occasione della festa dell’Assunzione, seguirono gli arresti, poi la carcerazione preventiva a Mostar, il vergognoso verdetto e la detenzione a Foca. La posizione del vescovo di Mostar in quel momento la si può vedere anche nel film, che trasmette l’omelia del vescovo durante la santa messa dei cresimandi del 25 luglio 1981. La conferenza municipale del Partito comunista a Citluk, nell’agosto 1981, «ha condannato fermamente il comportamento di una parte dei sacerdoti» e le persone citate nome per nome furono «il vescovo Zanic, padre Jozo Zovko e padre Ferdo Vlasic».

Che il vescovo Zanic non si facesse impressionare dall’essere citato è più che evidente dalla lettera di protesta al presidente della Repubblica, Sergej Krajigher, del 1° settembre 1982, in cui respinge con indignazione gli attacchi diffamatori senza senso su alcuni francescani, in particolare su padre Jozo Zovko, così come sulla sua persona. Egli scrive: «Come un vescovo cattolico e responsabile ordinario della diocesi di Mostar, respingo tutte queste calunnie e gli attacchi irresponsabili a me e ai miei sacerdoti menzionati.

Tutto questo non contribuisce in alcun modo a guardare obiettivamente agli eventi di Medjugorje. Con queste azioni illegali si offendono i fondamentali diritti civili e umani. La prego di prendere in considerazione questa mia protesta e, come persona che ha le più alte responsabilità dello stato iugoslavo, di adottare energicamente le misure contro queste assurde accuse».

Già nella sezione La “collaborazione” del vescovo Zanic abbiamo accennato a quello che si è detto sull’opinione della UDBA nei suoi confronti.

È il rettore del Pontificio collegio croato di San Girolamo a Roma, il sacerdote don Ratko Peric? Secondo “il testimone”, il loro primo incontro ha avuto luogo nel dicembre 1982 e la frequentazione durò fino al 1989. Quindi, nella struttura del film, la storia della persecuzione dei francescani del 1981 non include il rettore Peric.

Infatti, padre Jozo Zovko è stato arrestato, accusato, condannato e deportato in carcere a Foca, ma nel febbraio 1983 è stato rilasciato dalla prigione ed è ritornato in Erzegovina come pastore a Bukovica. In parallelo con il processo del padre Jozo, nel novembre 1981, è stato montato un processo separato al padre Ferdinand Vlasic e al padre Jozo Krizic. Padre Ferdinand è stato condannato a otto anni di carcere e padre Jozo Krizic a cinque anni e mezzo, con il divieto di apparizioni pubbliche sulla stampa come redattore e autore per un periodo di tre anni dopo aver scontato la sua pena.

Dopo diverse udienze, al padre Ferdinand è stata gradualmente diminuita la pena: il 12 marzo 1982 da otto a cinque anni e mezzo; il 15 novembre 1983 da cinque anni e mezzo a cinque anni, e infine, ai primi di gennaio del 1986, da cinque a quattro anni e mezzo, che è purtroppo stato costretto a scontare al prezzo di gravi conseguenze, proprio come i precedenti anni di prigionia e persecuzione. Morì all’età di 75 anni il 15 ottobre 1995.

Al padre Jozo Krizic la sentenza è stata ridotta da cinque anni e mezzo a due e mezzo. Krizic è morto all’età di 42 anni il 9 gennaio 1993. A tutti e due sia pace eterna in Dio!

E Medjugorje? Durante la compromettente “collaborazione” dell’allora sacerdote Ratko Peric con i servizi segreti sovietici, la pressione su Medjugorje cominciò a calare. Invece di divieti e ronde, i “miliziani” stavano regolando il traffico. Da qui la domanda logica: come mai l’unica richiesta del vescovo Peric non è stata adempiuta e il KGB non influenzò i colleghi dell’UDBA in Iugoslavia per incrementare la persecuzione dei francescani e distruggere Medjugorje? Dove sono i frutti del “patto di cospirazione” per trattare i francescani “brutalmente e astutamente”, “in tutti i modi possibili”, anche col “bastone” cosicché, “se in queste apparizioni ci fosse stata verità, avrebbe distrutto anche la più piccola parte di essa”?! E monsignor Peric ha continuato la collaborazione anche dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica e del KGB? Sapienti sat [A buon intenditor, poche parole. N.d.A.].

4. IL FILM, LA “COLLABORAZIONE” E MEDJUGORJE

Il film, dal titolo From Fatima to Medjugorje, nei primi dieci minuti si occupa delle origini delle apparizioni a Lourdes e Fatima; la persecuzione dei veggenti da parte di rappresentanti della Chiesa ufficiale e dalle autorità civili. Poiché la “politica” non era la ragione principale che li muoveva, le persecuzioni si sono fermate, la questione si è sviluppata e la Chiesa ha riconosciuto le apparizioni.

Ma la “politica” è la ragione principale delle persecuzioni a Medjugorje, e nella sua forma peggiore. Con i metodi del controspionaggio il vescovo e il suo sacerdote in servizio a Roma, il suo “potenziale” e futuro successore, vengono ricattati. Entrambi, messi alle strette dal ricatto, passano dall’essere quelli che “ammettevano la possibilità delle apparizioni” al diventare grandi critici e lavorare per la distruzione di Medjugorje con la loro autorità ecclesiale in ogni modo possibile e con tutti i mezzi necessari. Vi sembra possibile tutto ciò? Il vescovo Zanic ha cambiato radicalmente la sua posizione iniziale su Medjugorje dopo le rivelazioni venute fuori dalle sue conversazioni con i protagonisti degli eventi di Medjugorje e le conclusioni delle prime commissioni, la prima e quella estesa, da lui stesso istituita, e non sotto l’assurda pressione e il ricatto immaginario dei servizi segreti. Come vescovo mariano credeva nella possibilità di apparizioni della Vergine Maria. Più volte ha guidato personalmente il pellegrinaggio nei santuari mariani, in particolare a Lourdes. E quando, nella sua coscienza cattolica e responsabilità apostolica, è giunto alla conclusione che a Medjugorje le rivelazioni non erano soprannaturali, il vescovo ha dichiarato pubblicamente, e non segretamente o in modo cospiratorio, a Mostar, Medjugorje, Zagabria e Roma il suo punto di vista. Almeno questo è noto! Ognuno può essere d’accordo o in disaccordo con questa posizione, perché non è un dogma cattolico. Ma nessuno ha il diritto di calunniare! La posizione del vescovo è stata confermata da vescovi e arcivescovi croati nella seduta plenaria a Zara il 10 aprile 1991, dopo aver ricevuto la relazione della commissione da loro stessi fondata. La dichiarazione dice espressamente: «Sulla base della ricerca non si può affermare che si tratti di apparizioni e rivelazioni soprannaturali», ma i vescovi hanno anche detto che l’evolversi degli eventi deve essere attentamente seguito e che essi saranno a disposizione dei fedeli che si riuniranno a Medjugorje, stabilendo, però, il divieto di pellegrinaggi ufficiali a Medjugorje.

Monsignor Peric, nel periodo descritto nel film, era stato assegnato al servizio pastorale come rettore del collegio di San Girolamo a Roma. Pertanto, a causa della distanza, e in quell’epoca a causa della limitata possibilità di comunicazioni, era lontano da tutto ciò che succedeva a Medjugorje. Sebbene fosse (e “il testimone” sostiene che egli è capace e istruito) conosciuto nella Chiesa croata come scrittore teologico, non fu mai membro di una delle commissioni, né a livello diocesano né a livello della Conferenza episcopale, ma ci si poteva aspettare che egli seguisse personalmente gli eventi di Medjugorje e li affrontasse da un punto di vista teologico. Nessuna persona ragionevole potrebbe incolparlo. Il fatto che le sue conclusioni fossero identiche a quelle della Commissione, del vescovo Zanic e di tutti i vescovi della Chiesa croata non si può biasimare, per non parlare delle calunnie. Con la sua consacrazione episcopale, diventando il primo vescovo coadiutore di Zanic (1992-1993) e poi vescovo ordinario, è chiamato a guardare alla verità e a promuovere la verità con il proprio servizio e con la sua responsabilità apostolica. In questo senso, in questi venticinque anni di ministero episcopale nella Chiesa in Erzegovina guardiamo, ascoltiamo e leggiamo i suoi scritti e le sue attività. Pertanto, poniamo una domanda retorica: durante tutti questi anni, una persona “ricattata”, senza paura di essere smascherata (e la paura non può in alcun modo essere attribuita al vescovo), avrebbe potuto parlare in modo responsabile e pubblicamente di ciò che in base alla sua coscienza cattolica e responsabilità apostolica ritiene essere la verità, nonostante tutti gli obiettori, e correre il rischio di essere smascherata?

La Santa Sede, che fin dall’inizio, con attenzione, ha seguito tutti gli eventi intorno a Medjugorje, per ordine di papa Benedetto XVI, con la firma del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha fondato, nel 2010, una commissione internazionale. Dopo la fine dei lavori della commissione, la congregazione stessa ha affrontato attentamente il fenomeno, sotto i suoi aspetti teologici e morali. Aspettiamo il verdetto finale della Chiesa. Chiunque è dalla parte della verità lascerà che la Chiesa faccia il suo lavoro in pace, perché è l’unica chiamata a dichiarare non solo un parere personale e una mezza verità, ma una posizione ufficiale. Pertanto, siamo convinti che il film danneggi la stessa Medjugorje. Come possiamo accettare l’idea che Dio “benedica” la calunnia e la malvagità di qualcuno per rivelare la Verità e difendere l’onore della beata Vergine Maria?

CONCLUSIONE

Abbiamo già detto nella nostra prima dichiarazione che non esiteremo, se necessario, a chiedere una tutela giuridica. È vero che i vescovi, che sono apostoli di Gesù, sono chiamati a essere i primi ad accettare, come il Maestro, il disprezzo del mondo: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Giovanni 15, 18-20). Gesù lo disse dopo essere stato colpito nella casa del sommo sacerdote. Per questo motivo, ancora una volta, invitiamo gli autori di questa calunnia cinematografica e tutti coloro che avessero prove della collaborazione dei pastori della Chiesa d’Erzegovina con gli infami servizi segreti dei regimi comunisti: rendete pubblici tutti i documenti compromettenti e il loro contenuto! Dimostrate la loro autenticità e lasciate che tutti, anche il vescovo Peric, rispondano moralmente e legalmente per le loro azioni e si assumano le responsabilità morali e legali! Chiunque sia in possesso di qualsiasi documento contenente scritti del vescovo, la sua firma, foto, incontri, registrazioni audio e video, con qualsiasi servizio segreto di intelligence di questo mondo lo porti alla luce del giorno!

Chiunque abbia visto, sine ira et studio [senza rabbia e faziosità. N.d.A.], quest’opera cinematografica avrà notato sicuramente la vacuità di cui abbonda (finché coloro che lo hanno fatto non dimostreranno la sua veridicità: per gli osservatori obiettivi è un’opera calunniosa!). Per parlare nello spirito cristiano: preghiamo che non raccolgano ciò che hanno seminato! Preghiamo perché tutti noi mettiamo in atto la Verità e viviamo di Verità. E guai a coloro che anche con una sola parola o azione blasfema scandalizzino anche solo uno dei più piccoli!

Don Zeljko Majic

Mostar, 26 maggio 2017

Cari amici, arrivati sin qui abbiamo a disposizione, a tutto tondo, il panorama delle accuse e le repliche difensive che si trasformano a loro volta in accuse gravi agli autori del documentario From Fatima to Medjugorje.

Abbiamo voluto esercitare il diritto di informare i nostri lettori e il pubblico italiano di un caso esploso poco meno di cinque mesi fa, cioè nel maggio del 2017, e che è diventato di dominio pubblico non solo perché il documentario viene scaricato dalla Rete e visto in tutto il mondo, bensì perché il vescovo Peric ha deciso di pubblicare il trailer sul sito ufficiale della diocesi e affidare a don Zeljko Majic, il 26 maggio 2017, la contestazione punto per punto delle accuse.

Il portale www.dnevno.hr, uno dei quotidiani online più popolari, lo ha diffuso in tutti i Balcani e le accuse hanno fatto il giro d’Europa perché le parole chiave “Medjugorje”, “KGB” e “vescovi di Mostar” sono una vera e propria calamita di curiosità e pubblicità. Inoltre le accuse, per la loro dimensione, rappresentano uno scandalo internazionale che attira giornalisti e blogger di tutto il mondo.

Il mio pensiero è chiaro: credo che tutti abbiamo il diritto di difenderci nelle sedi adeguate e pertanto sarebbe opportuno che gli autori del film esibissero le prove, rendendole concrete e verificabili, in un incontro con la stampa internazionale magari proprio in quel Columbus Hotel in via della Conciliazione, dove nel documentario il presunto generale Maksimov sostiene di aver avuto ben sette incontri con Peric.

Credo poi che lo stesso Vaticano, in particolare la Segreteria di stato, sia in grado di ricostruire i passaggi e le identità di chi entra ed esce dal palazzo apostolico, come ho potuto constatare di persona quando papa Francesco ha voluto regalarmi un sogno convocandomi in udienza privata. Sono stato controllato, registrato, identificato più di una volta per motivi di sicurezza interna e nessuno, dico nessuno, può passare inosservato attraverso la rete di controlli della gendarmeria vaticana.

Con questa riflessione voglio affermare un concetto ben preciso: gli incontri di un alto ufficiale del KGB in Vaticano, anche se si riferiscono a trentasei anni fa, sono tutti schedati e dunque i riferimenti relativi ai colloqui con due arcivescovi diplomatici del calibro di Pietro Sambi e Tricarico e, addirittura, con il segretario di stato Casaroli, sono tutti sicuramente registrati negli archivi segreti della gendarmeria, salvo che non siano avvenuti tutti al Columbus. In questo caso, fra i clienti abituali dell’hotel ci dovrebbe essere anche il nostro generale, a meno che non abbia usato nomi e documenti di copertura.

Siamo noi per primi, giornalisti e scrittori, che vorremmo poter scrivere la verità su quello che è accaduto in quei giorni drammatici a Medjugorje. A lume di naso, mi verrebbe da dire: ma scusate, partiamo da un fatto incontestabile. Da tutte le ricostruzioni fatte fino a oggi c’è questa base di partenza, e cioè il 25 luglio 1981, quando Pavao Zanic, davanti a centinaia di testimoni nella chiesa di Medjugorje, dice quello che dice in un nastro registrato e lo riafferma con forza fino al 13 settembre dello stesso anno su «Glas Koncila», e cioè che Medjugorje è tutta vera.

Perché a settembre cambia idea repentinamente? Vediamo le due versioni: la diocesi di Mostar e il film. Poi ognuno ne trarrà le sue conseguenze.

Rileggiamo quello che ha detto don Zeliko: «Il vescovo Zanic ha cambiato radicalmente la sua posizione iniziale su Medjugorje dopo le rivelazioni venute fuori dalle sue conversazioni con i protagonisti degli eventi di Medjugorje e le conclusioni delle prime commissioni, la prima e quella estesa, da lui stesso istituita, e non sotto l’assurda pressione e il ricatto immaginario dei servizi segreti».

Quali sono i contenuti delle conversazioni o, per meglio dire, degli interrogatori, fra il vescovo Zanic e i ragazzini veggenti che gli avrebbero fatto cambiare idea? Si tratta di una serie di incontri a Mostar fra i ragazzi e il loro pastore riguardo ad alcune rivelazioni che i veggenti avrebbero avuto direttamente dalla Madonna che, in sintesi, rimproverava il vescovo di comportamenti impulsivi, drastici e ingiusti nei confronti di due frati, fra Ivica Vego e fra Ivan Prusina, entrambi di servizio come parroci nella chiesa di Mostar intitolata ai santi Pietro e Paolo.

La domanda che mi pongo, che rivolgo a tutti voi e anche al mio caro papa Francesco è questa: secondo voi è legittimo che la Madonna richiami un sacerdote, un vescovo o un pastore della Chiesa, finanche un papa e gli dica: «Figlio Mio, Gesù e Io non siamo per nulla contenti di quello che avete fatto, detto, approvato e firmato riguardo a questa o alla tal’altra vicenda. Usate più saggezza, prudenza e ritornate sui vostri passi perché questa non è la volontà di Dio, ma la vostra volontà!».

È lecito tutto ciò? È lecito che la Madre di Cristo, che è Madre della Chiesa, possa riprendere la Sua Chiesa per rimetterla sulla giusta carreggiata? Il mio parere è sì, certo, ci mancherebbe, e penso che un po’ più di buonsenso e di umiltà da parte di una certa gerarchia ecclesiastica avrebbe permesso di evitare situazioni drammatiche. Tutti possiamo sbagliare e tutti siamo peccatori, ma non accettare la correzione della Madre di Colui che la Chiesa l’ha fondata sul Suo sangue, di Colei che è chiaramente ed evidentemente nei fatti narrati dal Vangelo corredentrice di questa passione (un principio questo che non è stato ancora riconosciuto come dogma dalla Chiesa) è un abominio della fede, un comportamento dissennato, segno di orgoglio e presunzione. Se sono a conoscenza di una richiesta della Madonna e quindi di Dio, posso solo dire: «Sì, eccomi, sia fatta la volontà di Dio». Ecco perché è necessario stare attenti alla voce dei veri profeti, ripeto, quelli autentici, poiché essi trasmettono la volontà di Dio, né una riga in più, né un trattino in meno.

Nel Vangelo, negli Atti degli apostoli, seconda lettera di san Pietro (16-19), c’è chiaramente scritto che i profeti santi sono come una lampada che splende nel buio: portano luce e la loro parola, che è quella di Dio, ci chiarisce ciò che dobbiamo fare.

«Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della Sua maestà. Egli, infatti, ricevette da Dio Padre onore e gloria quando la voce giunta a Lui dalla magnifica gloria gli disse: “Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto”. E noi l’abbiamo udita questa voce che veniva dal cielo, quando eravamo con Lui sul monte santo. Abbiamo inoltre la parola profetica più salda: farete bene a prestarle attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, fino a quando spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori. Sappiate prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura proviene da un’interpretazione personale; infatti nessuna profezia venne mai dalla volontà dell’uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo.»

Lo dice Pietro, che è il primo vicario di Cristo sulla faccia della Terra.

Lo stesso papa Francesco, che è perplesso sulle ultime apparizioni, ha tuttavia mandato il vescovo Henryk Hoser, inviato speciale della Santa Sede, come sappiamo bene, il quale su Medjugorje, come vedremo, ha espresso un giudizio straordinariamente positivo dicendo che: «Questo è il luogo della nuova evangelizzazione cristiana nel mondo ed è un faro di luce per l’umanità». Se è “luce per l’umanità” si può dedurre che è un luogo profetico, ma non perché lo ha stabilito l’uomo; perché qui il Paradiso, quindi Dio e Sua Madre, hanno scelto sei piccoli veggenti che, da parte loro, nulla dicono se non quello che gli viene detto dal Cielo.

Tali riflessioni partono proprio dalla linea difensiva della diocesi di Mostar, che considera non solo improprio, ma irriguardoso e addirittura un’eresia il fatto che la Madonna, per il tramite dei veggenti, avesse semplicemente fatto sapere al vescovo Zanic che era stato troppo precipitoso nel revocare il mandato di parroco a fra Ivica Vego e fra Ivan Prusina. Una decisione che ha arrecato grave danno alla comunità locale, che vedeva nella guida di questi due frati della parrocchia dei santi Pietro e Paolo di Mostar una continuità spirituale col passato. Infatti, uno dei frati dal dispiacere ha lasciato l’abito e si è sposato, l’altro ha subìto gravi contraccolpi psicologici. E ricordiamo a tutti, come vedremo, che queste chiese erano state abbandonate dai vescovi e dai preti diocesani durante la conquista musulmana. Per questo motivo Zanic arriva a dire, da allora, che quella non può essere la Madonna, ma solo “l’Apparsa”, e che i veggenti non obbediscono più a Dio ma a qualcosa che non viene dal Cielo.

Dopo questi fatti che acuivano il contrasto fra vescovo e frati riguardo alla cosiddetta questione Erzegovina, assistiamo a uno straordinario intervento celeste, poiché la Madonna interviene in questa annosa querelle dalla quale scaturiscono le polemiche più violente.

Cerchiamo di capire meglio cosa rappresenta per questa terra la “questione Erzegovina”. È molto semplice, si può spiegare così: i turchi hanno conquistato e occupato con cruente battaglie tutti i Balcani fino alla fine dell’Ottocento. Poi, a prezzo di sangue e di martirio, con una strenua resistenza, i serbi ortodossi cristiani e i cattolici croati, insieme ai polacchi e ai rumeni, hanno respinto e cacciato dalle loro terre gli Ottomani che per più di 450 anni li avevano dominati.

Gli strati sociali più abbienti, i latifondisti, i commercianti più ricchi e alcune famiglie nobili hanno accettato la dominazione ricusando in molti casi, per salvare i beni e la vita, la fede cristiana. Il popolo e i più poveri, i piccoli proprietari terrieri, artigiani e operai hanno rifiutato di abiurare e si sono visti confiscare beni, case e terreni pur di non rinunciare alla preghiera e in molti casi sono stati sottoposti ad arresti e torture; i figli più piccoli venivano sequestrati e mandati a Istanbul a frequentare le scuole coraniche e militari per diventare giannizzeri che poi venivano utilizzati per combattere contro i cristiani. In questo quadro storico devastante per i cristiani di quelle terre, ecco inserirsi il ruolo e la figura dei francescani. Arrivavano da tutte le parti, mandati dai superiori in Europa col benestare dei pontefici per mantenere viva la fiamma della fede, e così cercavano di riaprire quelle chiese e quelle diocesi abbandonate da vescovi e sacerdoti del clero secolare fuggiti a gambe levate verso Vienna e Venezia.

Che cosa succedeva? Molto semplice, cari amici, comincia proprio da qui la “questione Erzegovina”: i turchi vedevano come fumo negli occhi questi grandi sacerdoti “combattenti”, armati di solo rosario e Vangelo per Cristo, che non avevano paura di morire per aiutare il popolo a coltivare la fede. Quanti frati sono stati uccisi dai turchi, legati mani e piedi col fil di ferro e gettati sanguinanti dai ponti medievali di Mostar in Bosnia Erzegovina e delle altre città croate e serbe? Molti, tanti, un fiume di sangue, ma da quelle parti si dice «sangue di martiri è seme di cristiani» e così, per tanti che morivano torturati e uccisi, molte altre vocazioni sorgevano continuamente e tanti giovani e nuovi frati arrivavano da tutta Europa e soprattutto in quelle terre martoriate.

Per non far capire alle spie turche che erano frati si travestivano in modi diversi e si facevano chiamare dalle famiglie cristiane ujak, che in lingua croata significa “zio”, ma adesso, con la consuetudine, anche “frate”, perché durante il tempo della dominazione turca non si poteva girare con il saio pena l’arresto e la carcerazione e non si poteva celebrare la messa perché molte chiese erano state distrutte. Non si poteva fare niente. Allora i frati francescani andavano nei paesi, vestiti con abiti borghesi, a trovare le famiglie e a dire messa nelle case e così parlavano del Signore, pregavano, confessavano. Ma nelle famiglie c’erano i bambini e tutti sappiamo come sono i bambini. Dicono tutto a tutti, e quindi, quando la polizia entrava nelle case e chiedeva se avessero visto arrivare persone, i bambini dicevano che uno zio, ujak, il fratello della mamma, era venuto a trovarli. A quel punto la polizia se ne andava e i frati potevano continuare a visitare le famiglie e poi a dire messa.

Questo clima di persecuzione e di clandestinità continuò per tutto il periodo della dominazione ottomana, e poi di nuovo lo stesso clima inquisitorio si è ricreato sotto la dittatura comunista di Tito, dove tra il 1945 e il 1995 sono stati uccisi sessantasei frati, centinaia di francescani sono stati arrestati, seviziati, sottoposti a torture psicologiche in seguito alle quali hanno manifestato gravissimi disturbi psichici e spesso venivano costretti ad abbandonare l’abito talare, come nel caso dei due frati di Mostar che, vessati dal vescovo Zanic, sono stati dichiarati disobbedienti dal pastore della diocesi e successivamente spogliati di tutti i diritti dei sacerdoti: confessare e celebrare la messa, cioè pugnalati al cuore dal loro vescovo.

In pratica “disobbedienti” perché facevano il loro dovere, perché erano amati dalla gente, perché chi li aveva preceduti, per mantenere viva la fede in quei quartieri, aveva sacrificato la propria vita e dunque ereditato agli occhi di Dio con sacrificio e spirito di verità quelle chiese abbandonate. Allora mi chiedo: non vi sembra, cari amici, che in certi casi paradossali come questi disobbedire al vescovo facendo il proprio lavoro di frati con onestà e rettitudine non rappresenti in alcun modo disobbedienza a Dio e alla Madonna? O forse non sarebbe stato più opportuno dire, con tutto il rispetto per il vescovo Zanic, che sarebbe stato più prudente mantenere quei frati in quella parrocchia e lasciare che vivessero serenamente la loro vocazione di parroci senza rischiare di andare contro il volere di Dio, come ha detto esplicitamente la Gospa per il tramite di tre veggenti?

Ed è questa la spinosa vicenda che stiamo per affrontare.

Ha prevalso il diktat, perché era urgente che in quel momento il vescovo potesse gestire direttamente il potere su quella parrocchia, strapparla ai frati che l’avevano guadagnata col sangue agli occhi di Dio.

Caro papa Francesco, tu che hai preso il nome di Francesco e che ami tanto i francescani e lo stile semplice e sobrio della vita, tu che ami una Chiesa povera che dona tutta se stessa al popolo di Dio, guarda a queste cose e, con occhi benevoli e misericordiosi, restituisci giustizia a chi ha sacrificato la sua vita per quella terra che ha sofferto ogni forma di privazione: dominazioni, dittature, guerre, e che ora si vede inquisita dalla Chiesa stessa che dubita della veridicità di apparizioni sacrosante e che da anni mette i frati con le spalle al muro e vuole togliere loro ciò che Dio ha dato. No, non è giusto e non è giusto neppure che un vescovo si trinceri dietro l’obbedienza per nascondere molto probabilmente altre cose, altre vicende spinose che soffocano la verità dei misteri di Medjugorje.

Per esempio, la chiesa locale di Mostar sbandiera un episodio ormai famoso come altra lampante dimostrazione della malafede e disobbedienza non solo dei frati, ma anche dei piccoli veggenti che a quel tempo, fra gli otto e i quindici anni, non erano né famosi né benestanti né tanto meno proprietari di pensioni o di hotel.

Tutto ciò è accaduto il 14 gennaio 1982, quando i tre veggenti Vicka, Marija e Jakov sono andati dal vescovo Zanic per trasmettergli un messaggio della Madonna che lo riguardava direttamente riguardo al caso dei due frati sospesi a divinis per disobbedienza.

Sabato 3 gennaio 1982

Tutti noi veggenti abbiamo domandato alla Madonna su Ivica Vego. La Madonna ha risposto: «Ivica non è colpevole. Se lo espellono dai frati, sia coraggioso! Io dico ogni giorno: Pace! E vi è sempre di più inquietudine. Ivica non è colpevole. Rimanga pure!». Questo lo ha ripetuto tre volte. Tutti abbiamo sentito e glielo abbiamo comunicato. «Il vescovo non mette ordine e perciò egli è colpevole. Neanche lui farà sempre il vescovo. Io mostrerò la giustizia nel regno.» Questo è durato dieci minuti, tutto si riferiva a Ivica.

Lunedì 11 gennaio 1982

Abbiamo domandato di nuovo sui due cappellani di Mostar. La Madonna ha ripetuto due volte quello che ha detto prima.

Venerdì 20 gennaio 1982

Abbiamo domandato che cosa faranno fra Ivica Vego e fra Ivan Prusina ora che sono stati espulsi [in realtà non erano ancora stati espulsi! N.d.A.]. La Madonna ha risposto: «Essi non sono colpevoli. Il vescovo è stato precipitoso nella sua decisione. Rimangano, preghino molto e anche gli altri preghino per loro».

Venerdì 16 aprile 1982

Io [Vicka. N.d.A.] ho posto alcune domande riguardanti Ivica Vego e fra Ivan Prusina, e ad alcune mi ha risposto la stessa Madonna.

«Madonna mia, i giornali scrivono che Ivica e Ivan sono stati espulsi dai frati.» Lei mi ha risposto: «Non sono espulsi!». Poi ha sorriso. «Di’ pure loro di essere tranquilli e coraggiosi. Ci sono molte prove».

Mercoledì 29 settembre 1982

Fra Ivica ha domandato: «Dobbiamo lasciare Mostar o restarci?». La Madonna ha risposto: «Restate!».

Avendo appreso questi messaggi, il vescovo ha chiesto a fra Tomislav Vlasic‚ allora cappellano di Medjugorje e direttore spirituale dei veggenti, come mai abbiano nascosto per più di un anno questi messaggi all’ordinario [il vescovo. N.d.A.] del luogo.

Padre Vlasic: «Non abbiamo voluto che Medjugorje fosse caricata dalla “questione Erzegovina”».

Il vescovo: «Se lei crede che quei messaggi del diario, diretti al vescovo, sono veramente pronunciati dalla Madonna, perché celarne il contenuto al pubblico? I fedeli possono e devono saperlo. Perché non pubblicarlo?».

Padre Vlasic: «Sono convinto che quelle parole siano della Madonna. Però ho voluto aver riguardo per il vescovo… Lo pubblichi Lei!».

Il vescovo: «Lo pubblicherò quando lo riterrò opportuno!».

Dunque, cari amici, è chiaro che la Gospa rimproverava Zanic facendogli sapere che era stato troppo impulsivo e drastico con due frati che erano sotto la Sua protezione perché aveva imposto loro di abbandonare immediatamente le parrocchie per restituirle ai sacerdoti della diocesi. Il vescovo pensò che la Vergine non potesse parlare di queste cose, in quel modo e con quelle parole, a un pastore scelto da Dio.

Questa la posizione del vescovo: «Il comportamento dell’“Apparsa” divenne anche più preoccupante durante i mesi successivi, quando la presunta Madonna lanciò – tramite i sedicenti veggenti di Medjugorje – una serie di ammonizioni [tra il dicembre 1981 e il gennaio 1983. N.d.A.] contro questo fedele servo della Chiesa e figlio devotissimo della Madre di Dio. Infatti,» continua il vescovo «nelle sue “apparizioni” e “messaggi”, la presunta Madonna si scagliò con varie minacce e attacchi contro la mia persona a causa della mia decisione di revocare il mandato di parroco a due francescani».

Mi permetto di obiettare al vescovo. Quando la Madonna deve riprendere qualcuno glielo dice direttamente senza troppi giri di parole, perché c’è poco da scherzare con la Madre di Dio che è Madre della Chiesa. Quando a Civitavecchia, il 2 febbraio del 1992, cominciarono le apparizioni in località Pantano e una Madonnina proveniente da Medjugorje lacrimò sangue per ben quattordici volte, la Vergine, tramite la veggente Jessica Gregori, non esitò un solo momento ad ammonire il vescovo Girolamo Grillo a far bene attenzione ai suoi collaboratori più stretti perché si comportavano da “mascalzoni” e non da religiosi timorati di Dio. E se non fosse intervenuto immediatamente, nel giro di poco meno di un anno, avrebbe avuto grandi dispiaceri.

Monsignor Grillo sorrise ironico non credendo a questa profezia e irridendo la piccola veggente. Ma dopo pochi mesi una pattuglia della polizia sorprese di notte la macchina del vescovo con tre suoi “sacerdoti” che lavoravano in curia in una zona frequentata dal popolo della notte, prostitute, travestiti e femminielli. Gli agenti della volante procedettero come previsto dalla legge all’identificazione, e quando si accorsero che l’auto era intestata alla diocesi di Civitavecchia furono costretti a svegliare il vescovo nel cuore della notte. Notizia alla quale venne dato ampio rilievo dalla stampa locale. Ma non è tutto, poiché la quattordicesima lacrimazione della statuetta della Gospa avvenne mentre il vescovo stringeva fra le sue mani la Madonnina, alla presenza di ben sei testimoni, tre suore rumene, la sorella del vescovo e suo marito, oltre a monsignor Grillo: tranne lui, gli altri credevano a quelle lacrimazioni. Grillo si inginocchiò chiedendo perdono a Dio per la sua incredulità e da quel momento cominciò a girare per tutta Italia testimoniando il miracolo della Vergine di Civitavecchia che lo aveva ammonito severamente un anno prima.

Dunque, quando la Madre di Dio decide di intervenire per salvare la verità e la volontà dell’Eterno Padre, il suo intervento vale per tutti: per il prete, il vescovo, e via salendo nella gerarchia fino al papa ma ovviamente anche per ognuno di noi. Lei lo può fare, perché Maria è Madre della Chiesa e, per volere di Dio e per il nostro bene, ci parla in maniera diretta, franca e severa come fa una madre quando il figlio continua a sbagliare.

Ma, a prescindere da questi ragionamenti, secondo voi è verosimile che un vescovo cambi idea di colpo sulle apparizioni solo perché la Madonna gli ha detto che ha trattato male due frati o perché lui stesso ha istituito una commissione dove decideva solo lui? Io non credo. Penso che sia successo qualcosa di grave.

Se sono vere le affermazioni di Maksimov, allora una spiegazione c’è; se non sono vere o lo sono solo in parte, allora è chiaro che a parte il ricatto, Zanic potrebbe essere stato minacciato in modo perentorio, perché dal 13 settembre 1981 non solo non ha più detto che le apparizioni erano vere, ma è diventato uno strenuo persecutore di tanti francescani a cominciare da padre Tomislav, mai sottoposto a inchiesta interna dei frati come era suo diritto, ma solo a quella di Zanic, fatto più volte ricordato dal provinciale francescano di Mostar Ivan Cesar. E poi c’è un piccolo particolare che non va dimenticato.

Quando sono stato a Korcula a intervistare padre Jozo, sull’isola di Badija, il frate mi rivelò questa notizia che fu messa a verbale dalla commissione internazionale d’inchiesta di Ruini durante l’interrogatorio nel palazzo dell’ex Sant’Uffizio a Roma: «Dopo un anno e mezzo di carcere duro a Foca, fui scarcerato e per prima cosa andai dal mio vescovo a Mostar e gli dissi che mi avevano picchiato, torturato, minacciato, alimentato a pane e acqua, chiuso in isolamento, ma non avevo rinnegato la mia fede. Perché» disse il frate al vescovo «tu hai cambiato idea quando sapevi benissimo che anch’io ho visto la Madonna dopo aver dubitato i primi giorni? Zanic mi rispose: “Non sono pronto a morire per Medjugorje”».

I documenti segreti del KGB

Tenendo presente questi antefatti e ascoltando le rivelazioni del generale Maksimov che si trovano nel film citato dal sito dei vescovi di Mostar, abbiamo cominciato a verificare se le dichiarazioni dell’ex alto ufficiale del KGB fossero fondate e trovassero riscontro nei documenti ufficiali delle polizie segrete di Russia e Iugoslavia che abbiamo trovato mentre stavamo scrivendo questo libro, nel giugno del 2017. Si tratterebbe di presunti documenti in lingua russa scritti in cirillico, che sarebbero stati redatti dalla UDBA per il KGB in relazione a due incontri decisivi sulla vicenda Zanic-Medjugorje che abbiamo fatto tradurre da un interprete madrelingua, ma di cui esiste anche una versione in inglese.

Il primo riguarderebbe un Verbale segreto AG (abbreviazione di Iugoslavia) - 210 esemplare n°2 inviato all’ufficio generale del KGB e da qui al Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione Sovietica il 7 novembre del 1981, n. 22345.

Il suo contenuto sarebbe relativo a un incontro a palazzo apostolico in Vaticano fra l’arcivescovo Pietro Sambi e il rettore del seminario croato San Girolamo a Roma, don Ratko Peric.

Tutta la conversazione riguarderebbe l’argomento scottante della vicenda del vescovo Zanic ricattato dalla polizia segreta iugoslava. Siamo in possesso di tutta la documentazione di questo incontro e della sua traduzione. Data la delicatezza degli argomenti e il coinvolgimento come testimone di un alto diplomatico della Segreteria di stato e dell’attuale vescovo di Mostar, in mancanza di un contraddittorio con il generale Maksimov e in assenza di un riscontro oggettivo sui documenti pervenuti da fonte anonima, abbiamo deciso di non rivelare il contenuto di questo rapporto segreto per non pregiudicare ulteriormente la posizione tirata in ballo in questo film con accuse pesanti. [foto 20]

AG (abbreviazione di Iugoslavia) - 210

Segretamente

esemplare n° 2

Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione Sovietica

7 novembre 1981 22345

Da restituire all’ufficio generale (KGB)

Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione Sovietica

Traduzione di appunti dal Vaticano

Incontro in Roma, palazzo apostolico del Vaticano, Vaticano

Presenti: Pietro Sambi

Ratko Peric…OMISSIS

Nel secondo rapporto dei servizi, denominato UG (abbreviazione di Iugoslavia) - 210 Segreto n°2 inviato dalla UDBA all’ufficio generale del KGB e di qui al Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, in data 5 gennaio 1982 n. 22447, c’è tutta la storia nei dettagli di come, quando e per quali motivi i servizi segreti iugoslavi hanno messo con le spalle al muro il vescovo di Mostar scavando nel suo passato.

Come? Identificando la persona che avrebbe avuto una relazione con questo alto prelato e convincendola a firmare una testimonianza che in sostanza era l’arma del ricatto. Anche in questo caso, evitiamo di pubblicare il rapporto nella sua interezza per rispetto della memoria di questo vescovo e anche della persona coinvolta nella presunta relazione.

UG (abbreviazione di Iugoslavia) - 210

Segretamente n° 2

Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione Sovietica

5 genn. 1982 - 22447

Da restituire all’ufficio generale (KGB)

Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione Sovietica

Servizi segreti iugoslavi – Belgrado

Rapporto tradotto il 5 gennaio 1982

Incontro tra collaboratore dei servizi segreti Lasic e il vescovo Zanic nella città di Mostar

Il vescovo mi ha incontrato molto cordialmente, quasi come fossimo cari amici, mi ha augurato buon anno e subito mi ha chiesto da dove abbiamo ricevuto i due documenti di materiale compromettente che gli ho fatto vedere nell’incontro precedente. Gli ho risposto che i servizi segreti conservano tutto e non distruggono mai nulla.

Lui ha risposto che capisce che noi possediamo la sua firma nella dichiarazione di collaborazione, però non capisce come abbiamo ricevuto il primo documento che parlava del… OMISSIS

Cari amici, questo libro non viene scritto per fare un scoop a tutti i costi o per gettare la croce a chi non ha avuto il coraggio di finire in carcere come padre Jozo o di rischiare la vita per la fede, ma per far capire a tutti, e in special modo alla mia amata Chiesa di Roma, che la storia di Medjugorje va riscritta, che le apparizioni sono vere e che il vescovo competente per il riconoscimento non ha potuto farlo perché o sotto ricatto o perché minacciato dalla più potente macchina poliziesca del mondo. Non posso ritenere, nella mia piena libertà di pensiero, che il vescovo Zanic possa avere cambiato idea perché la Madonna lo rimproverava riguardo al caso della parrocchia dei santi Pietro e Paolo. L’ho già spiegato e ritengo che la Madre di Gesù abbia tutto il diritto di riprendere chi voglia Lei per fare la volontà del Figlio. Se lo capisco io questo, a maggior ragione dovrebbe capirlo un vescovo. Al di là di tutto, comunque, ripeto, questo libro non vuol essere un giudizio su chi è volato in Cielo, bensì un contributo per dimostrare che su Medjugorje la verità deve ancora venire a galla e che le apparizioni devono essere riconosciute perché vere, perché contrastate, perché sofferte fino ai nostri giorni come un combattimento cruento tra bene e male.

A noi interessa mettere in luce cosa sia realmente accaduto in quegli anni fra la collina e la chiesa, fra i veggenti, i frati e i vescovi e, soprattutto, il rapporto con l’autorità politica e militare della ex Repubblica federale socialista iugoslava. Se questi documenti sono veri, autentici e rappresentano lo spaccato di verità, una verità drammatica, occultata per anni dalla polizia politica, allora credo che qui ci sia da mettersi una mano sul petto e voltare pagina.

Qual è la fonte principale delle accuse e delle prove testimoniali e documentali? Rimane sempre il documentario di Ami Drozd, e poi il contributo audio originale del vescovo Pavao Zanic nella famosa omelia del 25 luglio 1981. Non solo: ora si aggiungono due documenti che abbiamo trovato proprio nei giorni della chiusura di questo libro, in piena estate, direi torrida estate del 2017, che ricorderemo come l’estate della temperatura rovente e degli esplosivi verbali delle polizie segrete più spietate del mondo.

Queste carte super riservate che vanno a scavare nella vita dei due pastori di Mostar, ognuno per le sue vicende diverse l’una dall’altra, confermerebbero in modo incredibile tutta la testimonianza del personaggio chiave dell’intera vicenda e cioè, si torna sempre lì, il presunto generale del KGB Alexander Maksimov.

Dunque, riepilogando, tanti indizi orientati nella stessa direzione; tuttavia, qualora il generale Maksimov si decidesse veramente a uscire allo scoperto fornendo indicazioni in maniera pubblica come chiede da mesi lo stesso vescovo di Mostar, allora avremmo torvato la “pistola fumante” e quindi la prova provata di questa gigantesca macchina del fango che avrebbe imbrattato non solo il manto immacolato della Madonna, ma distrutto la vita di tanti frati, pellegrini e veggenti che ancora oggi si portano addosso le scorie intossicate da falsi dossier, calunnie e violenze di ogni genere.

Cari amici, non ho fatto in tempo a riflettere su questi fatti, che alla fine di giugno, primi di luglio 2017 mi arriva una telefonata dalla Croazia e vengo informato che il generale Maksimov è stato nuovamente intervistato da una giornalista in lingua russa. Si tratta di trentadue minuti, domanda e risposta, molto interessanti perché si chiedono tutte quelle questioni che ci fanno capire altre cose oltre a quelle svelate dal film From Fatima to Medjugorje. Prima fra tutte, chi è Maksimov, dove è nato, quanti anni ha e il suo curriculum nel KGB e nel ministero della Difesa russo e poi naturalmente tanti altri dettagli utili a ricostruire i complotti contro Medjugorje. Quindi possiamo dire che con questa intervista abbiamo la certezza che il generale Maksimov non è un personaggio “finto”, mentre sul contenuto delle accuse c’è da verificarne fino in fondo tutta l’attendibilità, cioè se siano tutte false come dice la diocesi di Mostar, oppure se, come si sussurra a Zagabria sia da parte dei colleghi croati sia negli ambienti di polizia legati ai servizi, c’è una parte sicuramente di verità, ma un’altra parte potrebbe essere montata ad arte per gettare discredito sulla Chiesa cattolica apostolica romana a favore del mondo cristiano ortodosso sia russo che slavo.

Per favore, si può presentare? Come si chiama, quando è nato e quale è stata la sua professione prima di andare in pensione?

MAKSIMOV: Mi chiamo Alexander Maksimov, sono nato il 26 maggio 1939 a Perm’. Ho studiato e finito la facoltà di Giurisprudenza a Mosca. Dopo essermi laureato ho lavorato per poco al ministero della Difesa, e dal 1966, su raccomandazione di mio padre, sono stato assunto nel KGB.

Mio padre ha passato tutta la vita lavorando e occupando diverse cariche nel KGB. Lì ho lavorato fino al mio pensionamento. Sono andato in pensione nel 2008. Ho svolto diverse mansioni per i servizi segreti. Nel 1969 ho ricevuto il grado di colonnello dopo aver passato un anno in Cecoslovacchia, e dal 1980 ho ricevuto il grado di generale-colonnello. Dal marzo 1981 fino al dicembre 1988 sono stato uno dei tre sostituti del capo del KGB.

Quando è stata la prima volta che ha sentito parlare di Medjugorje?

MAKSIMOV: La prima volta che ho sentito parlare di Medjugorje è stata all’inizio di luglio del 1981. Siamo stati informati dal nostro capo che in Iugoslavia stava succedendo qualcosa che avrebbe potuto essere pericoloso per il comunismo. Abbiamo raccolto le informazioni dalle varie fonti e dopo qualche giorno è stato deciso a Mosca che io e il compagno Malakhov saremmo andati a Belgrado per consultarci con i nostri compagni dei servizi segreti iugoslavi. Tutto è stato deciso molto velocemente, segno che stava succedendo qualcosa di importante.

Con chi vi siete incontrati?

MAKSIMOV: Ci siamo incontrati con i nostri tre compagni iugoslavi: c’erano il compagno Milos, che conoscevo già, e poi i compagni Predojevic e Lasic.

Di cosa avete parlato?

MAKSIMOV: Il tema era Medjugorje e il problema causato dalle “apparizioni” ed eventuali problemi che potevano sorgere da quello. Le informazioni che avevamo a Mosca si riferivano alle attività di certi servizi segreti occidentali e il Vaticano riguardo la distruzione del comunismo. Quelli erano tempi molto pericolosi per il destino del comunismo. Noi prendevamo seriamente tutte le notizie, così anche questa. Sapevano che il Vaticano aveva un grande ruolo nella vita della gente di una parte della Iugoslavia e per questo abbiamo deciso di reagire subito.

Quali informazioni avete ricevuto e chi dei colleghi iugoslavi ha parlato di più?

MAKSIMOV: Abbiamo ricevuto tante informazioni. Prima di venire a questa intervista ho riguardato il mio diario personale, dove scrivevo sempre tutto per poter fare un rapporto più preciso possibile alla mia agenzia. Tutti e tre i colleghi hanno parlato tanto e hanno risposto alle nostre domande, nonostante noi non avessimo tante domande da fare. Non avevamo avuto tante informazioni e volevamo saperne di più dai colleghi per poter collaborare. Il compagno Lasic è stato quello che ha parlato di più. Gli altri due compagni hanno detto di lui che era nativo di quella regione vicino a Medjugorje e che era il più competente riguardo la situazione. Lui ha fatto un rapporto dettagliato su tutto quello che stava succedendo lì. Era molto deciso nelle sue posizioni. Voleva incarcerare subito tutti quelli che venivano a Medjugorje, compresi i sacerdoti e i francescani. Ha precisato che lì l’anticomunismo era forte e che bisognava comportarsi brutalmente con quella gente. Ha detto che si trattava dei fascisti, i quali avevano organizzato tutto questo, che i francescani erano grandi anticomunisti e che bisognava incarcerarli e infangarli davanti al popolo. Ha detto che usavano i bambini per distruggere lo stato. Ha detto che il vescovo approvava la situazione, però che lui aveva qualcosa che poteva calmarlo. Qualcosa di compromettente.

Cosa gli avete suggerito voi?

MAKSIMOV: Noi gli abbiamo suggerito di non fare niente in fretta, perché il Vaticano era molto pericoloso se questo era organizzato dalla loro mano. Che avrebbero dovuto essere decisi, però stando attenti a dove si fossero spinti. In particolare, era importante che stessero attenti al vescovo che aveva la linea diretta con il Vaticano. In questo modo, noi nell’Unione Sovietica avremmo risolto le questioni. Abbiamo sempre avuto i nostri informatori tra i sacerdoti semplici e di alto rango, come anche tra i fedeli. Abbiamo agito solo quando consideravamo la situazione come critica.

Quando avete avuto un altro contatto con i colleghi iugoslavi?

MAKSIMOV: Telefonicamente. Il compagno Milos mi ha telefonato avvisandomi che le cose si sarebbero potute mettere sotto controllo perché il compagno Lasic aveva certi documenti compromettenti sul vescovo Zanic. Gli ho fatto le mie congratulazioni. Lo consideravo molto importante in relazione ai contatti che avevamo con il Vaticano.

Quale è stato il suo seguente contatto riguardo a Medjugorje?

MAKSIMOV: Il 3 ottobre del 1981 ho incontrato a Roma il mio buon conoscente Pietro Sambi. Era un grande signore. A Roma sono stato con il compagno. Il motivo principale è stata la decisione dall’alto del KGB di incontrarci con i colleghi del Vaticano e per vedere di cosa si tratta. È normale che ci sia una collaborazione tra i servizi su diversi livelli. Abbiamo esposto al Vaticano la nostra preoccupazione sulla situazione politica e sul coinvolgimento della fede nella politica, noi non siamo mai stati interessati alla fede se si trattava della fede stessa. Lo abbiamo saputo grazie alla posizione del compagno Lasic e degli altri nostri compagni iugoslavi che ci avevano parlato del fascismo e dei francescani e del fatto che fossero fortemente legati all’estrema emigrazione croata e che usassero i bambini come mezzo per distruggere il sistema sociale socialista in Iugoslavia. Secondo le loro fonti, non erano interessati alla fede ma alla politica, e questo è pericoloso e inaccettabile. Ho sottolineato specialmente che era pericoloso che il vescovo sostenesse pubblicamente tutto quello che stava succedendo, che secondo i nostri colleghi iugoslavi era una specie di inizio della controrivoluzione. Sambi era sorpreso dalle mie parole. Lui ha risposto che le sue informazioni erano diverse e che si trattava dei bambini che non mentivano e dei francescani che rispettavano la vita pastorale. Questo era il rapporto del vescovo Zanic.

In seguito, il 4 ottobre 1981 sono andato a Roma per incontrarmi con il cardinale Casaroli. C’era anche Sambi. Gli ho portato il documento che abbiamo ricevuto che riguardava il vescovo Zanic. Era un documento compromettente. Parlava di un rapporto intimo che aveva avuto con un suo collega quando era molto giovane e di altri dettagli che in nessun modo erano conformi con la funzione che lui doveva rappresentare.

Devo dire che anche io ero sorpreso dai dettagli che erano esposti nei documenti, che comprendevano anche la firma del vescovo Zanic.

Loro due sono stati molto sorpresi quando hanno visto che cosa avevo con me. Gli ho detto che avevamo contatti molto buoni con i nostri colleghi iugoslavi, che erano molto precisi e possedevano tante cose. Avevano avuto tanti informatori tra i sacerdoti cattolici e ortodossi e sapevano tante cose.

Abbiamo parlato di Medjugorje. Loro hanno parlato soltanto bene e dicevano che riguardo la vita pastorale e la fede andava tutto bene.

Non erano d’accordo che in tutto questo fosse coinvolta la politica. Io gli avevo espresso le mie perplessità e che ai colleghi iugoslavi avremmo consigliato di essere molto duri se si fosse trattato di politica, invece che della fede.

Cosa ha pensato lei riguardo a Medjugorje?

MAKSIMOV: Io sono ateo, non credo in queste cose: per me tutto era politica.

Quale è stato il suo successivo contatto con qualcuno che era legato a Medjugorje?

MAKSIMOV: La volta seguente ho avuto un incontro personale con Pietro Sambi. Ci siamo incontrati all’hotel Columbus, a Roma, l’8 marzo 1982. Abbiamo parlato della situazione a Medjugorje. Mi ha detto che le autorità iugoslave non erano state per niente corrette verso i francescani e riguardo tutta la situazione a Medjugorje. Ha detto che la polizia era stata molto crudele con tutti e che per la violenza non ci sono scuse.

Ha considerato che padre Zovko era ingiustamente condannato alla pena del carcere. Mi ha ringraziato per i documenti che li avevano aiutati a risolvere in maniera pacifica la situazione con il vescovo Zanic, che senza scandali aveva lasciato la sua carica.

Io gli ho chiesto chi sarebbe stato il suo successore. Mi ha detto che al suo posto sarebbe arrivato un sacerdote che non era interessato alla politica, molto buono e molto intelligente. Ha detto che si chiamava Ratko Peric.

Dopodiché ho incontrato i nostri agenti che svolgevano l’attività a Roma. Di mia iniziativa gli ho ordinato di mettersi in contatto con il futuro vescovo di Mostar.

Questo era di grande importanza per il controllo di Medjugorje. Secondo i nostri informatori, la situazione stava sfuggendo di mano e si stava radunando sempre più gente, e questa cosa andava controllata. Ho dato il via libera ai miei uomini per fare di tutto per mettersi in contatto con il futuro vescovo.

Nel dicembre 1982 mi hanno informato che Peric era stato contattato.

Il contatto è riuscito grazie al compagno Kuznecov tramite un prete cattolico.

È stato possibile perché loro erano in rapporti amichevoli e grazie a lui sono stati organizzati l’appuntamento e la collaborazione. Kuznecov era un agente bravo e molto capace. Portava sempre a termine perfettamente gli ordini che gli venivano assegnati.

Lei ha conosciuto Ratko Peric?

MAKSIMOV: Sì, ho conosciuto subito Ratko Peric, nel dicembre 1982. All’appuntamento mi ha accompagnato il compagno Kuznecov. Da lì fino al 1989 ci siamo incontrati sette volte.

Qual è stato il tema dei vostri incontri?

MAKSIMOV: Ci siamo accordati in modo che lui avrebbe fatto di tutto affinché noi potessimo impedire la diffusione delle idee contro lo stato e la Iugoslavia presenti a Medjugorje. Io gli ho detto che la parte religiosa non mi interessava, ma che nessuna attività anticomunista sarebbe stata tollerata!

Lui mi ha risposto che avrebbe collaborato, a condizione del nostro coinvolgimento con i servizi segreti iugoslavi che avrebbero dovuto fare il massimo per fermare le attività francescane in Erzegovina. Ha detto che se questo gli fosse stato promesso, lui avrebbe fatto di tutto per vendicarsi con i francescani per quello che stavano facendo. Ha detto che i francescani erano disposti a fare di tutto per togliere al vescovo quello che gli spettava secondo un loro diritto ecclesiastico. Io questo non l’avevo compreso fino in fondo, per me era importante solo che lui fermasse la propagazione delle idee anticomuniste a Medjugorje.

Poi ha detto che bisognava agire insieme, perché i frati sono molto tenaci, ma anche forti finanziariamente. La considerava una grande truffa, e ha detto che lui avrebbe fatto di tutto per dissuaderli in questo.

Ha detto che se ci fosse stata anche un po’ di verità in queste “apparizioni”, lui con quel poco avrebbe saputo cosa fare e come distruggerli. Con i francescani bisogna saper essere perspicaci e anche brutali, in tutti i modi. Ha detto che aveva fiducia in noi e che sapeva quanto siamo bravi come agenzia, e che questo gli era stato ribadito anche dal collega italiano che ci aveva messi in contatto. Che noi avremmo dovuto coordinare e concordare tutto con i nostri colleghi iugoslavi, e che non si sarebbe mai dovuto sapere che lui aveva a che fare con le persecuzioni dei frati. Ha puntualizzato che con loro bisognava essere molto duri, altrimenti non ci sarebbe stato niente da fare. Il 7 dicembre 1986 mi sono incontrato a Roma con Alberto Tricarico, che non conoscevo bene ma che mi era stato mandato da parte del Vaticano. Mi ha detto che riguardo a Medjugorje aveva un problema con il papa, che voleva essere continuamente informato sulla situazione. Il papa secondo lui era molto interessato a Medjugorje. Gli ho risposto che pensavo che, essendo lui polacco, fosse un grande anticomunista e che fosse favorevole a tutto quello che era contro il comunismo. Lui non era d’accordo con me. Mi ha detto che il Vaticano seguiva attentamente Medjugorje e che la politica non gli interessava. Ho risposto che avevamo suggerito ai colleghi iugoslavi di essere molto duri con chiunque cercasse di infangare il comunismo e la repubblica iugoslava, al di là della provenienza. Il 6 febbraio 1987 ho consegnato a Ratko Peric un dossier intitolato Crnica, che avevamo ricevuto dai colleghi iugoslavi. Era molto felice, però mi ha pregato di aumentare la repressione contro i francescani e Medjugorje, perché la situazione non era per niente calma. Si è lamentato in particolare del rapporto dei francescani con il vescovo. Ha voluto che fossero molto più severi, perché questo era l’unico modo per combattere i francescani che erano diventati ancora peggiori.

Quanto spesso ha contattato Ratko Peric dopo il 1989?

MAKSIMOV: L’ho visto personalmente per una volta nel 2000, 2001, 2002, 2004, 2006 e 2008. Dopodiché non ho avuto più contatti con lui.

Di che cosa avete parlato?

MAKSIMOV: Principalmente abbiamo parlato di Medjugorje. Lui ha sempre affermato che tutto questo faceva parte della farsa dei francescani per indebolire il vescovo. Era ossessionato dai francescani, dalla loro influenza e dalla reputazione che avevano tra i fedeli. Non riuscivo a capire le sue parole e gli ho chiesto delle spiegazioni. Mi ha detto che erano manipolatori e che volevano riavere le parrocchie del vescovo e i soldi, che erano dei grandi fascisti e avrebbero fatto di tutto contro il sistema comunista e la Iugoslavia, e che lui ci teneva ad avere buoni rapporti con le autorità dello stato per il bene del popolo.

Quale idea si è fatto di Peric? Che uomo è?

MAKSIMOV: È molto intelligente, molto istruito e molto narcisista, ama se stesso più di ogni altra cosa al mondo. È molto pragmatico e fa tutto quello che promette. È l’uomo degli accordi. Considerava i francescani come il maggior pericolo esistente per la sua attività, era ossessionato dai francescani. Li considerava anche responsabili per il suo predecessore vescovo Zanic, avendolo squalificato e messo in una posizione compromettente. Pensava che i francescani avrebbero dovuto essere incarcerati e spaventati, altrimenti non si sarebbe potuto fare niente. Che bisognava discreditarli con la popolazione perché erano solo interessati ai soldi, la fede e Dio non gli interessavano. Ha detto che era loro la colpa più grande per tutto il male che era successo in Iugoslavia. Che non volevano ascoltare nessuno, che con loro si poteva ragionare solo con la forza.

Voi avete avuto anche altri due incontri, nel 1988 e nel 1989, a Belgrado e a Mosca, con i vostri colleghi iugoslavi. Di che cosa si è parlato?

MAKSIMOV: Si è parlato sempre del nostro sistema comunista statale e delle contro attività della Chiesa. Sia noi che loro consideravamo il papa un grande nemico del comunismo e sostenitore di tutto quello che era contro di noi, compresa Medjugorje. Il compagno Lasic, di nuovo in entrambi gli incontri fu molto deciso e duro sulle questioni per seguire le conseguenze di tutto quello che era contro Medjugorje. Predojevic e Aleksic erano relativamente sostenuti, hanno detto che questo era il campo di Lasic e che lui sapeva tutto quello che doveva fare. Lasic lodava il vescovo e diceva che stavano collaborando bene e che realizzavano tutto quello su cui si mettevano d’accordo. Penso anche che, come Ratko Peric, odiasse i francescani. Diceva sempre che erano fascisti e che bisognava rinchiuderli ancora di più, che però lui non aveva mai le mani libere per andare fino in fondo alla faccenda. Ha detto anche che in tutto questo aveva il grande supporto del vescovo, che la pensava ugualmente. Ha sottolineato che aveva dato tante informazioni al vescovo sull’attività dei servizi segreti iugoslavi riguardo a Medjugorje. Lui aveva sempre i suoi uomini sul territorio che seguivano tutto. Penso che lui e il vescovo avessero in comune l’odio verso Medjugorje, e questo li legava. Io invece ero interessato al futuro del comunismo in Iugoslavia. Io rispettavo la Iugoslavia e mi sembrava che tutto andasse verso grandi problemi. Lasic diceva sempre che tutto ciò non sarebbe successo se lo stato avesse agito come diceva lui, e così era andato tutto male. Questo alla fine si era mostrato giusto e lo stato si è disintegrato.

Dopo tutto, com’è il suo parere riguardo a Medjugorje?

MAKSIMOV: Ve l’ho già detto, io sono ateo, sono stato educato così e anche mio padre lo è stato.

Mia nonna è stata molto credente, ma io penso che fosse molto arretrata. Medjugorje? Non lo so, ma penso che sia difficile dire che era tutto una montatura e che i francescani hanno manipolato i bambini. Io penso che è molto difficile organizzare tutto questo. Probabilmente qualcosa esiste, io non so cos’è, io non credo in Dio, chissà di cosa si tratta.

Lei pensa che Ratko Peric sia una brava persona?

MAKSIMOV: Non so se è buono o quant’è buono, questo è difficile a dirsi. Lui è una persona coerente e manteneva tutti gli accordi che facevamo, e per me era l’unica cosa importante. Tutto quello di cui avevamo bisogno lo abbiamo ricevuto da lui. Noi allo stesso tempo lo abbiamo aiutato dandogli tutte le informazioni sui francescani che ricevevamo dai nostri colleghi iugoslavi e che erano segrete. Lui lo apprezzava e io lo ricordo come un buon collaboratore. Non riesco solo a capire perché odiasse così tanto i francescani.

Può dirci qualcosa del sacerdote che fu il vostro primo contatto con Ratko Peric?

MAKSIMOV: Quello che posso dire è che si tratta di un sacerdote italiano di Roma che ha tanti buoni contatti in tutto il mondo.

Un anno fa a Zagabria è uscito il libro Mistero di Medjugorje, dove sono state pubblicate parti del dossier Crnica, a cui Ratko Peric ha subito reagito con un articolo. Il vescovo Peric afferma che è impossibile che il vescovo Zanic collaborasse con i servizi segreti iugoslavi. Lui dice che tutto questo è una menzogna e che i servizi segreti avevano paura del vescovo Zanic come di un nemico. Come può spiegare tutto ciò?

MAKSIMOV: Da tutti i documenti che avevo a disposizione nel 1981 e anche dopo, risulta chiaro che il vescovo Zanic aveva collaborato con i servizi segreti. Questo non lo può negare nessuno, perché si tratta di documenti autentici. Oltretutto è chiaro che in diverse occasioni è stato insieme al compagno Lasic che era alto funzionario dei servizi segreti iugoslavi.

Commentando il documento Crnica, un giornalista scrive che il vescovo Zanic ha probabilmente cambiato la sua opinione e ha cominciato a scrivere contro, dopo la collaborazione con i servizi segreti. Il vescovo Peric considera questo una bugia. È possibile che i documenti dei servizi segreti siano stati falsificati e che non sia vero che esisteva il materiale compromettente con il quale i servizi segreti hanno influenzato il vescovo Peric?

MAKSIMOV: Confermo che i documenti dei servizi segreti iugoslavi che io ho visto e vi ho consegnato sono completamente autentici. Di questo non c’è dubbio. Così come mi ricordo molto bene quando il compagno Lasic mi disse di avere qualcosa di molto compromettente riguardo il vescovo Zanic. Io ho portato questo materiale compromettente a Roma e l’ho consegnato al cardinale Casaroli e a Pietro Sambi. Dopo si è verificato che questo era vero e il vescovo ha cambiato il pensiero su Medjugorje dopo che glielo avevano presentato. Questi documenti li avevano i servizi segreti iugoslavi.

Lei ha detto che il 4 ottobre 1981 era a Roma con il cardinale Casaroli e Sambi e che gli aveva consegnato il documento sul vescovo Zanic, però nel libro Lo specchio della verità Ratko Peric scrive che il vescovo Zanic nel 1982 era con il papa (pag. 43) e che il Vaticano aveva affermato la stima verso il vescovo Zanic e che un anno dopo addirittura lo aveva promosso dandogli una diocesi ancora più importante, quella di Dubrovnik. Come si può spiegare questo? Ha avuto l’impressione che il Vaticano non credesse nell’autenticità del documento?

MAKSIMOV: Non posso sapere cosa pensava il Vaticano e perché abbia mandato Zanic a fare il vescovo in un altro posto. Questo non lo so e non posso supporre perché sia successo. Non so quando il vescovo è andato dal papa e questo neanche interessava il mio servizio. Noi avevamo altre cose che ci interessavano. Quello che posso testimoniare con sicurezza è che il Vaticano ha sempre ascoltato e guardato molto seriamente le nostre analisi e che abbiamo sempre collaborato bene. Penso che questo valga anche per il caso di Medjugorje e per tutto quello che gli abbiamo fornito sulla questione.

Nel suo testo Ratko Peric, commentando il documento Crnica chiama con parole pesanti i servizi segreti, descrivendoli come “male lingue” e “costruite”, che mostrano i documenti “falsi”, e “vanitosi”, “totali bugie”, “non vere”, “disinformazioni”… Altrettanto pubblicamente esprime la sua contrarietà verso il comunismo. Adesso sembra un grande anticomunista. Come può spiegare questo atteggiamento, se con lei parlava diversamente e collaborava? L’avete forse costretto e ricattato con qualcosa per farlo collaborare con voi e adesso che si è liberato parla diversamente?

MAKSIMOV: Capisco il vescovo Peric, perché lui ovviamente doveva parlare così. Evidentemente doveva parlare così perché tanti pensano negativamente del lavoro che svolgevano i servizi segreti durante il comunismo. Lo so che tante cose non erano giuste, ma noi lasciavamo vivere la gente liberamente a parte quelli che erano anticomunisti, perché noi proteggevamo il nostro sistema politico. Così è ancora oggi e così sarà sempre con i sistemi politici. I nostri servizi non sono “spietati” e non ricorrono alle “bugie”, eravamo molto sistematici nella scelta dei nostri informatori o dei gruppi. Ovvio che sapevamo di essere molto scomodi, però tutto era in funzione della protezione del comunismo. Il vescovo Peric sembrava un uomo razionale e intelligente. Non ha mai parlato contro il comunismo. Anzi, diceva che eravamo ben organizzati. Che noi e il Vaticano avevamo la migliore organizzazione. Non lo abbiamo ricattato con niente, lui è entrato da solo nell’“accordo”, diceva che nessuno poteva farlo meglio di noi. In questo lo ha convinto il sacerdote di Roma che ci ha messo in contatto. Nessun ricatto, puro lavoro.

Quando ha parlato della collaborazione con Peric ha detto che tutto quello che era stato promesso è stato fatto. Ci può dire qualcosa di concreto su questa collaborazione? Cosa avete fatto concretamente voi per lui e lui per voi?

MAKSIMOV: L’accordo era “io a te, tu a me”. Noi a lui davamo le informazioni precise sui francescani, di cosa parlavano e cosa pianificavano nella Chiesa sul problema dell’Erzegovina che esisteva tra il vescovo e i francescani. Agenti dei servizi segreti iugoslavi hanno seguito in dettaglio tutte le attività dei francescani. Noi gli fornivamo tutte queste informazioni. Ce n’erano tante, e lui odiava i francescani, questo me lo ricordo bene. Era ossessionato dalla loro influenza tra i fedeli. Noi eravamo ottimali per trasmettergli le informazioni e spesso sottolineava che voleva avere rapporti solo con noi e non con i servizi iugoslavi. Aveva paura di mantenere i contatti con loro, invece noi per lui eravamo una garanzia perché aveva un legame molto stretto con quel sacerdote di Roma, erano amici. Si fidava di lui e anche di noi.

Lui invece ci forniva informazioni su certe attività individuali o di gruppo dei francescani e su altre persone che nel mondo avevano contatti con Medjugorje. Noi volevamo sapere quanto Medjugorje poteva danneggiare il comunismo. Non eravamo interessati alla fede se non era implicata nella politica.

Lei ha detto che vi siete visti con Peric nel 2000, 2001, 2002, 2004, 2006 e 2008. Allora la Iugoslavia non esisteva più, come neanche i servizi segreti. Allora cosa potevate fare voi per lui e lui per voi? Perché vi siete incontrati e dove? Roma, Mostar, Mosca? L’iniziativa era vostra o sua?

MAKSIMOV: I temi erano sempre gli stessi: Medjugorje e i francescani. Questi contatti dopo il 2000 sono avvenuti su sua iniziativa. Lui ci contattava tramite il nostro amico comune. Gli incontri sono sempre avvenuti a Roma e da nessun’altra parte. Ripeto: era ossessionato dai francescani, cercava sempre il modo di combattere contro di loro. Penso che loro per lui fossero e siano rimasti il nemico principale. Io questo non lo posso capire, se invece si tratta di una gelosia profonda riguardo all’affetto dei fedeli. Noi gli abbiamo dato le informazioni su Medjugorje dai nostri collaboratori sul campo e dai nostri informatori a Roma e nel mondo. Abbiamo avuto i contatti con qualche vescovo e gli fornivamo le informazioni che ricevevamo da loro. Spesso ci chiedeva di influenzare questi vescovi nel dichiararsi contro il fenomeno di Medjugorje e nel dissuadere i pellegrini dall’andare a Medjugorje. Lui per noi non doveva fare niente perché all’inizio lo abbiamo contattato per il motivo del nostro comune nemico. Purtroppo il comunismo si è sciolto e noi non eravamo più interessati alla vita dei fedeli a Medjugorje.

Vi siete incontrati con qualcuno dei francescani?

MAKSIMOV: Non mi sono mai incontrato in vita mia con nessuno dei francescani. Li vedevo camminare per strada a Roma, ma non ho mai conosciuto nessuno. Peric ha accettato di collaborare con il KGB a condizione che il KGB facesse pressione sui servizi segreti iugoslavi per fermare le attività dei francescani in Erzegovina. Il KGB ha preso in mano il coordinamento con i colleghi iugoslavi per non far scoprire che Peric era collegato alle brutali persecuzioni dei francescani. Peric ha continuato a mantenere questi contatti e a fare le riunioni anche dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Agenti del KGB da tutto il mondo lo hanno continuato a informare sui fatti di Medjugorje. Gli davano le informazioni sulle loro attività e sui piani e le opinioni dei vescovi di tutto il mondo. Ha chiesto a loro di influenzare questi vescovi nel dichiararsi contro il fenomeno di Medjugorje e nel dissuadere i pellegrini dall’andare a Medjugorje. È stato molto contento quando il KGB gli ha consegnato il fascicolo Crnica.

Qui, cari amici, finisce la seconda parte di questa intervista al generale Maksimov.

Noi non vogliamo trarre conclusioni affrettate, ma solo fornire ipotesi ai nostri lettori e, come abbiamo fatto in questo libro sugli spinosi argomenti di Fatima che vanno a toccare con le profezie e i segreti i rapporti politici fra gli stati e le vicende più tremende e drammatiche del Novecento, alla fine delineare un quadro a trecentosessanta gradi.

Certo, da questa vicenda dei servizi segreti iugoslavi e russi viene fuori uno spaccato, qualora venisse ulteriormente confermato, che dimostrerebbe quanto Medjugorje sia stata combattuta, ostacolata, calunniata e perseguitata non solo dal sistema ateo comunista. A noi non interessa puntare l’indice e giudicare Zanic o Peric, a noi interessa verificare tutte le ipotesi, sentire tutte le campane e mostrare il quadro degli avvenimenti in cui si sono svolte le vicende delle apparizioni a Medjugorje. Conoscevamo già i fatti drammatici dei primi anni ma, se le accuse del KGB fossero tutte vere, allora la storia delle apparizioni andrebbe riscritta completamente.

Una cosa è certa: i veggenti hanno subìto di tutto e di più in quei primi vent’anni dal 1981 al 1998, e nessuno mi venga a dire che erano ricchi e che avevano gli alberghi perché tutto ciò sarebbe falso ed evidente alla luce del sole.

Secondo: decine di frati sono stati arrestati, torturati, diffamati e spiati fino a fargli perdere il senno, l’abito francescano e la pace spirituale e umana. Di vescovi in carcere da Mostar, invece, ne ho visti pochi, cioè nessuno. Beati loro. Ora vi vogliamo mostrare le vittime di questa macchinazione, da padre Jozo in giù sono stati centinaia i perseguitati.

Tutte le vittime della persecuzione comunista: frati, suore, veggenti e fedeli

Noi raccontiamo sempre il caso di padre Jozo che, come abbiamo visto, avrebbe probabilmente dovuto essere ucciso al momento dell’arresto, il 17 agosto 1981, se avesse tentato la fuga. Rimase nella camionetta della polizia e fu tradotto in carcere. Infatti padre Jozo Zovko venne condannato, come già abbiamo ampiamente documentato, e poi deportato in carcere a Foca. Nel febbraio 1983 venne rilasciato e ritornò in Erzegovina come pastore a Bukovica. Ma padre Jozo non è stato il solo a subire i soprusi e le angherie della UDBA, la polizia segreta [foto 21 e 22].

Nel novembre del 1981 vennero inquisiti, arrestati e messi alla sbarra, al tribunale di Mostar, fra Ferdinand Vlasic e fra Jozo Krizic. Padre Ferdinand è stato condannato a otto anni di carcere, padre Jozo Krizic a cinque anni e mezzo di reclusione con la pena accessoria del divieto di pubblicazioni a mezzo stampa, come redattore e autore, per un periodo di tre anni oltre alla pena di reclusione. La pena inflitta a fra Jozo Krizic è stata diminuita con appelli e sconti a due anni e mezzo. Le privazioni e le sofferenze patite in carcere gli hanno stroncato il fisico, il cuore e la mente ed è morto a soli quarantadue anni il 9 gennaio 1993.

Dopo diverse udienze e gradi di appello, al padre Ferdinand è stata diminuita la pena: il 12 marzo 1982 da otto a cinque anni e mezzo, il 15 novembre 1983 a cinque anni e infine, nel gennaio del 1986, a quattro anni e mezzo di reclusione.

Padre Ferdinand Vlasic ha dovuto scontare questa pena integralmente, con gravi conseguenze per il fisico e la psiche, già debilitata da una condanna ingiusta. Fra Vlasic è morto all’età di 75 anni, il 15 ottobre 1995.

Sicuramente questi due arresti e le relative condanne, scontate in condizioni disumane, sono un altro esempio del martirio patito dai frati in seguito alla persecuzione scattata dai primi di luglio del 1981 come conseguenza delle apparizioni di Medjugorje [foto 23 e 24].

Come possiamo dimenticare poi la storia di fra Ivica Vego e di fra Ivan Prusina? Sono i due frati parroci della chiesa dei santi Pietro e Paolo che la Madonna, per il tramite dei veggenti, ha difeso dopo i provvedimenti drastici adottati dal vescovo Zanic, che li ha allontanati staccandoli di colpo dalla parrocchia in ottemperanza a decisioni prese dall’alto, ma senza un minimo di attenzione nei confronti del popolo dei fedeli che era molto affezionato ai frati e senza la benché minima misericordia per il loro straordinario lavoro, creando dunque un vuoto spirituale e un grave malcontento nella diocesi, nella città di Mostar e nel cuore dei parrocchiani. In questo caso non ci sono stati arresti, ma è divampato il dualismo frati-diocesi con conseguenze destabilizzanti nei confronti di uno dei due frati, che si è tolto la tonaca e si è sposato, sfinito e amareggiato dal comportamento del vescovo.

Ma non finirono sotto torchio solo i francescani. Molte di queste informazioni sono state raccolte attraverso testimonianze vissute in prima persona e raccontate nel libro La salvezza dell’umanità di Draga Vidovic, oggi guida dei pellegrini a Medjugorje.

Clamoroso fu il caso del tassista Gojko Ostojic, un semplice parrocchiano che aveva solo avuto il torto, il 1° luglio 1981, di rientrare a casa dal lavoro imbattendosi in un posto di blocco della polizia all’ingresso di Medjugorje. Ci fu una discussione, il tassista fu lasciato andare dopo un po’ di tempo, ma quella sera la polizia piombò in casa sua senza trovarlo e il giorno dopo, mentre raccoglieva il tabacco nei campi, fu arrestato. Fu giudicato per direttissima a Citluk per resistenza a pubblico ufficiale, violazione dell’ordine pubblico e gli furono inflitti sessanta giorni di carcere senza la possibilità di essere difeso da un avvocato. Fu condotto nel carcere per prigionieri politici a Mostar e dopo pochi giorni fu condannato dal tribunale a tre anni di reclusione.

Fu rinchiuso in carcere insieme a fra Ferdinand Vlasic, mentre per un altro periodo fu sistemato con altri sette detenuti. Si ammalò e fu ricoverato in ospedale per una grave forma di cistite e un’infiammazione ai reni. Uscì dal carcere il 30 agosto 1981, portando questo messaggio ai frati di Medjugorje, un messaggio di speranza di padre Ferdo Vlasic: «Devi dire ai miei confratelli che davvero la Gospa era lì a Medjugorje con loro, esortali da parte mia a credere e a pregare fortemente».

Il tassista Gojko vide in carcere padre Jozo più volte, senza mai poter comunicare con lui: «Era guardato a vista. Passeggiava sempre da solo, non aveva contatti con nessuno e tutti in carcere sapevamo che scontava una pena e un trattamento durissimi non per motivi politici, ma per la fede in Dio».

L’11 agosto 1981 le autorità politiche comuniste di Citluk organizzarono un’assemblea della comunità nella scuola di Bijakovici. C’era anche il più alto dirigente del SUP locale, la massima autorità del partito comunista iugoslavo nell’area di Mostar. Per due ore cercarono di indottrinare i poveri contadini del paese sostenendo che le apparizioni della Gospa erano state inventate da padre Jozo, considerato alla stregua di un abile manipolatore.

Ivan Ostojic, fratello del tassista in carcere, osò alzarsi e con coraggio disse che non si doveva infangare il nome del parroco e dei piccoli veggenti, difendendo la veridicità delle apparizioni di cui era stato testimone diretto anche dei primi grandi miracoli.

Scoppiò un parapiglia che venne sedato dalla polizia. Il giorno dopo Ivan come sempre andò al lavoro, e alle 9.30 fu chiamato da un agente che lo prelevò e lo condusse in caserma. Gli chiesero di firmare una dichiarazione per rinnegare quello che aveva detto all’assemblea della scuola. Rifiutò dicendo: «Ciò che ho visto, ho visto, non posso negarlo». Fu immediatamente arrestato con l’accusa di minaccia all’ordine pubblico e diffusione di notizie false. Prima di essere tradotto in carcere chiese di abbracciare la moglie incinta del primo bimbo. Gli fu negato. Si divincolò e fuggì per raggiungerla. Venne acciuffato, letteralmente placcato, picchiato e portato via. Fu rinchiuso nel Celovina, il famigerato carcere di Mostar, dove vide padre Jozo tre volte. Tutti gli altri detenuti gli dissero che veniva picchiato frequentemente. Quando nacque la sua prima bimba decise di chiamarla Marija in omaggio alla Gospa.

Un altro episodio drammatico che ricorda quei momenti di terrore fu quello dell’arresto, nell’agosto del 1981, di cinque giovani del paese di Lipno, vicino Medjugorje, che finirono in carcere con l’accusa di aver intonato canti fascisti ustascia (i nazionalisti croati di estrema destra) mentre rientravano a casa di notte dalla collina del Podbrdo dove erano andati a pregare. Erano semplicemente canti dedicati alla Madonna.

Un altro giovane di Lipno, Jozo Marincic, fu arrestato in seguito a un’irruzione notturna, senza mandato scritto, nel suo appartamento a Zagabria. Gli furono fatte scattare le manette ai polsi e fu caricato sotto scorta in corriera da Zagabria fino a Mostar, dodici ore di pullman senza poter né bere né mangiare.

Altre testimoni di grande importanza furono due suore francescane, Janja Boras e Majda Ravlic, che ricordano cosa successe nella parrocchia di Medjugorje il 17 agosto 1981, quando praticamente arrestarono tutti i frati del convento e le altre suore di servizio alla chiesa. Decine e decine di poliziotti armati fino ai denti circondarono tutta la zona di San Giacomo. Padre Jozo fu portato via per primo e vennero tagliati subito i fili dell’unico telefono del parroco. Buttarono per aria tutto l’ufficio e la camera di padre Jozo per cercare le prove della sua colpevolezza. Quel giorno c’erano cinque suore: Marcelina Susac, Majda Ravlic, Lidija Glavas, Skolastika Galic e Janja Boras: «Ci condussero nel refettorio e ci spogliarono completamente nude. Tutta la svestizione venne effettuata da una donna poliziotto che controllò tutti i nostri indumenti uno per uno e questa fu un’esperienza umiliante, terribile e indimenticabile».

Padre Zrinko assistette in diretta all’arresto del confratello Ferdo Vlasic senza poter fare nulla, vide la perquisizione dell’abitazione delle suore, della sacrestia, dei confessionali e gli fu imposto persino di aprire il tabernacolo. Fra Zrinko si oppose coraggiosamente dicendo: «È inammissibile! Non lo permetterò mai!». A quel punto gli agenti della UDBA cercarono di costringere frati e suore a firmare una dichiarazione per incastrare padre Ferdo, ma ancora una volta fra Zrinko si oppose con forza. Finì così una giornata che è entrata nella storia delle apparizioni e della sofferenza francescana per difendere la fede.

Cari amici lettori e caro papa Francesco, il mio amore per Medjugorje è infinito, ma il dovere della mia professione di raccontare la verità e le storie vissute va di pari passo con la mia conversione, sofferta e voluta con tutte le mie forze. Sono certo che in Vaticano si siano trovati di fronte a una grande patata bollente, quella della “questione Erzegovina”. Tuttavia il sangue versato dai frati e la sofferenza di quel popolo cominciata il 7 febbraio 1945 con la strage di trentatré martiri francescani ci fa capire una cosa.

Nessuno ha voluto comprendere a fondo il legame viscerale fra storia, fede e martirio di quelle popolazioni dimenticate, e certe decisioni prese dai papi dell’epoca lasciano molto perplessi perché non hanno tenuto conto del prezzo di sangue pagato sull’altare della fede cristiana. Un sacrificio, questo, che la nostra civiltà occidentale ha completamente dimenticato negli ultimi quarant’anni. Un vero peccato, perché punire i frati togliendo loro le parrocchie che avevano difeso e custodito con entusiasmo e coraggio, denigrare i veggenti quando erano piccoli e poveri e quindi le apparizioni, fu veramente un errore storico prima ancora che religioso, senza rispetto per la tradizione francescana e per il popolo di Dio.

Spero che tu, caro papa Francesco, possa prendere una buona decisione verso chi ha dato tutto e ha ricevuto, in cambio, dolore e tanta amarezza.

Ultime notizie: in chiusura del libro troviamo, in data 5 agosto, sul sito ufficiale della diocesi di Mostar, un nuovo comunicato stampa a firma del vicario federale don Zeliko, dal titolo Le ostinate calunnie del generale, in risposta all’ultima intervista del colonnello generale Maksimov, in cui l’ex alto ufficiale del KGB rivelava la sua identità e il suo curriculum vitae.

«Siamo veramente spiacenti di dover nuovamente inserire nel titolo di un’altra dichiarazione la parola “calunnia”, e davvero ce ne scusiamo con gli stimati lettori. Ma come altrimenti potremmo definire questo ripetuto attacco nefando contro i vescovi di Mostar, il precedente vescovo Pavao Zanic e l’attuale vescovo Ratko Peric? Ma dopo la nostra – non solo secondo noi, ma secondo molti che hanno letto le nostre risposte – argomentata confutazione di tutte le calunniose menzogne, i protagonisti e i loro creatori non cedono. In questi giorni, senza i famosi 4,99 dollari, attraverso i social media e alcuni siti web locali e “nazionali” è stata offerta al pubblico un’altra insinuazione diffamatoria che calunnia i pastori della Chiesa di Mostar. A differenza del primo “film”, di cui gli autori sono un certo Drozd e un certo Bezael, dietro al quale c’è la casa di produzione Nazareth, in quest’ultimo video appaiono solo il protagonista del film From Fatima to Medjugorje, il generale Maksimov, e un “giornalista” senza nome. Senza nemmeno un documento di prova, in una mezz’ora di conversazione si ripropone tutto il fango del precedente “film”. E senza la firma degli autori e delle menti è evidente “da dove soffia il vento” e qual è l’obiettivo: mancando gli argomenti per contestare lo Spirito da cui i pastori spirituali di Mostar sono stati guidati nella difesa della verità di Dio, della dignità della Madonna e dell’onore della Chiesa, i protagonisti ricorrono a un malefico attacco ad hominem che non ha alcun legame con la verità e la giustizia.

Dal momento che quest’ultimo appello cinematografico del generale Maksimov non porta nulla di nuovo, salvo che egli avrebbe incontrato il vescovo Peric a Roma sei volte, negli anni 2000, 2001, 2002, 2004, 2006 e 2008 (ne parleremo più avanti), rimandiamo il lettore, per una migliore comprensione, alle nostre precedenti dichiarazioni Suradnici” UDBE i KGB-a, Calunnie in un film e Le calunnie di Sedlar.

Il generale Maksimov

È chiaro a tutti coloro che hanno seguito anche superficialmente questo linciaggio dei vescovi di Mostar e le nostre risposte che quest’ultimo “lavoro cinematografico” è una replica alle nostre dichiarazioni. Ma non essendoci argomentazioni per confutare la Verità, viene ripetuta la menzogna. Ci si rifà a quel detto di Goebbels: “Una bugia ripetuta cento volte diventa una verità”. Tuttavia, una bugia rimane una bugia e la verità alla fine viene alla luce. Il generale Maksimov vuole presentarsi come uomo della verità, consapevole esecutore dei suoi doveri, senza alcun interesse se non quello della protezione dell’ordine costituito: “I nostri servizi non sono “infami”, non ci siamo occupati di “bugie” ed eravamo molto accurati nel trattare sia gli individui che i gruppi. Naturalmente, sapevamo di essere talvolta sgradevoli, ma tutto era fatto in nome della difesa del comunismo”.

Nella difesa del comunismo (cioè nel KGB – servizi segreti sovietici), secondo le sue proprie parole, egli entrò nel 1966 su consiglio di suo padre, che aveva trascorso “tutta la sua vita lavorativa occupando diverse posizioni nel KGB”. Solo tre anni dopo, nel 1969, dopo aver “trascorso un anno in Cecoslovacchia”, si guadagnò il grado di colonnello. Sappiamo tutti che cosa la Cecoslovacchia passò e soffrì in quel periodo. È inopportuno chiedere quanto “sgradevolmente” siano stati trattati non solo gli individui e i piccoli gruppi, ma tutti i cittadini cechi e slovacchi cosicché dopo soli tre anni di servizio un uomo di trentacinque anni avesse il grado di colonnello? In relazione all’argomento di cui ci occupiamo, questo ci preoccupa non poco: come la “testimonianza” e la “verità” di coloro che hanno mandato a morte milioni di persone diventano così indiscutibili che con esse (quelle prove indiscutibili) si attaccano coloro che hanno dedicato tutta la loro vita alla Verità e hanno sofferto immensamente a causa delle varie “verità” dell’UDBA e del KGB? Questo problema richiede un serio studio psicologico. D’altra parte, non abbiamo bisogno di studi per dimostrare la verità sui vescovi di Mostar Pavao e Ratko. Allo stesso modo, come abbiamo affermato nelle precedenti dichiarazioni, non scriviamo questo volendo confutare con argomentazioni gli organizzatori e i falsi testimoni ma per rasserenare, in nome della Verità e del bene, coloro i cui cuori potrebbero essere turbati dai veleni del film.

Il vescovo Zanic

In questa pubblica dichiarazione video, il generale calunnia ancora una volta il vescovo Zanic senza mostrare neanche un “documento compromettente” che lo avrebbe spinto a rifiutare “il dono del Cielo”: l’apparizione della Beata Vergine nella sua diocesi! Il generale non crederà, riteniamo, che la sua parola senza valore sia sufficiente e che lo spettatore e il lettore ragionevoli e obiettivi pensino che servizi segreti così organizzati avessero una sola copia del “documento” e che essi, fidandosi pienamente, lo abbiano consegnato al Vaticano rimanendo senza la prova materiale delle loro affermazioni. È evidente, leggendo i documenti d’archivio disponibili, che ogni documento era fatto in più copie e inviato alle istanze superiori, a vari indirizzi, conservato negli archivi dei servizi segreti che avevano svolto le attività operative e inserito nel fascicolo della persona oggetto del procedimento. In questi documenti, almeno in quelli che ci sono stati cortesemente messi a disposizione a Sarajevo, accanto al nome del vescovo Zanic, tra parentesi, non c’è mai una “s”[iii], che sta per “collaboratore”, ma sempre ed esclusivamente “oo”[iv], che sta per “oggetto di procedura operativa”, con l’indicazione, in calce ai documenti, che egli è “responsabile di attività ostili”, e spesso come il numero uno. Avendo davanti a noi questo tipo di documentazione, sentire affermare che il defunto vescovo Zanic sarebbe stato collaboratore dell’UDBA dal 1981 in poi non è altro che una diabolica calunnia, frutto di coloro che hanno concesso la loro mente e il loro cuore, il loro nome e i loro servigi al padre della menzogna. In questo “Anno del vescovo Zanic” che abbiamo iniziato il 19 maggio nel suo luogo di nascita, Kaštel Novi, e che, a Dio piacendo, concluderemo nel centesimo anniversario della sua nascita, il 20 maggio 2018, a Mostar, scriveremo ampiamente del suo comportamento e del suo rapporto con l’autorità statale, sia durante il comunismo sia durante i cambiamenti democratici degli anni ’90 del secolo scorso.

Il vescovo Peric

Il generale Maksimov ancora una volta colpisce violentemente: “Sì, ho incontrato Ratko Peric nel dicembre del 1982. Il compagno Kuznecov mi ha portato a un incontro con lui. Da allora fino al 1989 ci siamo incontrati sette volte”. Rispondendo al “giornalista” su quante volte abbia contattato Ratko Peric dopo il 1989, Maksimov risponde: “L’ho visto personalmente una volta all’anno nel 2000, 2001, 2002, 2004, 2006 e 2008”. Circa i presunti incontri dal 1982 al 1989 abbiamo scritto in Suradnici” UDBE e KBG-a, Calunnie in un film e Le calunnie di Sedlar. Pertanto non riteniamo necessario tornare su questo. Ma, dato che il generale ha ampliato il tempo e raddoppiato il numero degli incontri, dobbiamo affrontare brevemente queste sue nuove calunnie spudorate.

Anche se Maksimov stesso dice al giornalista di aver rinfrescato la sua memoria prima dell’intervista (“Prima di venire a questa registrazione, ho esaminato il mio diario personale in cui ho sempre scritto tutto in modo da poter successivamente fare relazioni più accurate”), egli non ritiene opportuno corroborare le proprie affermazioni, se non con documenti che (con tutta la copertura mediatica per quanto riguarda i vescovi di Mostar) non esistono: non ricorre nemmeno alle annotazioni del suo diario in cui aveva “scritto tutto”. Ma è ovvio che egli è esperto nel suo campo e sa che le date, i tempi e i luoghi precisi degli incontri, quando sono inventati (e in questo caso lo sono) sono molto facili da confutare. Perché sa che un “uomo molto intelligente e molto colto”, come Maksimov descrive il vescovo Ratko, scrive il proprio diario, così come lo fa l’istituzione da lui servita. Partendo dal presupposto che un vescovo cattolico, e in particolare il vescovo di Mostar, spesso si reca a Roma e in Vaticano, Maksimov cita a memoria gli anni degli incontri a Roma dal 2000 al 2008. Per ora diciamo solo questo: in due degli anni elencati, il vescovo Ratko non è nemmeno andato a Roma! Anche perché il “caso erzegovinese” è stato risolto in linea di principio nel 2000! E in quali anni monsignor Peric non sia andato a Roma lo terremo per noi fino al momento in cui Maksimov raccoglierà il suo coraggio da generale, pari alla sua audacia diffamatoria, e anziché stare davanti alle telecamere senza documenti starà davanti al vescovo con i documenti, così come il vescovo lo ha pubblicamente invitato a fare nella dichiarazione Calunnie in un film.

Il generale, con la memoria rinfrescata, in quest’ultimo lavoro cinematografico si ricorda molto bene le date, i luoghi e i temi dei suoi incontri con i rappresentanti del Vaticano e con i “compagni” dei servizi iugoslavi. Ma l’identità dell’“amico comune” che per tutto quel periodo sarebbe stato il contatto, il mediatore e l’organizzatore degli incontri con il rettore e vescovo Ratko, non la rivela. Crediamo che a chi voglia giungere alla verità non sia chiaro perché il generale nasconda le date, i documenti e l’identità della persona chiave. Ha seminato il male in grande quantità con la sua parola. Da un uomo che, in relazione alla sua attività, e quindi a se stesso, dice che non è “infame” e che “non mente mai”, dopo che tutto il suo discorso è stato da noi qualificato come una bestemmia blasfema, il meno che ci si aspetterebbe sarebbe che portasse alla luce la documentazione di cui parla e chiamasse dei testimoni.

Rispondendo alla domanda del giornalista, se avesse ricattato o costretto il vescovo a collaborare, il generale dice: “Non lo abbiamo ricattato in nessun modo. Egli è venuto da noi per quel ‘lavoro’ che nessun altro poteva fare. Egli era stato convinto da quel sacerdote di Roma che ci ha messi in contatto. Nessun ricatto, solo lavoro”.

E quello che sarebbe stato solo “lavoro”, come abbiamo già scritto, secondo le affermazioni del generale sarebbe consistito in questo: “Tu distruggi i frati in Erzegovina, io distruggerò Medjugorje”. Su come il “lavoro” sia andato fino al 1989 abbiamo già risposto. Ma ciò che è interessante è il fatto che dall’ultima riunione del 1989 fino al 2000 non esiste alcun asserito contatto tra i due.

Tutti, anche chi ha una conoscenza superficiale dei fatti d’Erzegovina, sa che molte cose sono accadute esattamente in quel periodo e che, se ci fosse stata una “collaborazione”, essa si sarebbe intensificata. Dopo i cambiamenti democratici, in questa zona è scoppiata una guerra, una guerra che nella sua peggiore forma non ha superato l’Erzegovina, una guerra che è stata sostenuta da servizi segreti, anche quello di cui faceva parte il generale Maksimov. Come mai il potente generale non è intervenuto, se non per proteggere l’intera Erzegovina dalla guerra, almeno per salvare la cancelleria e la cattedrale in cui, dopo tanta attesa, il “partner di lavoro” doveva entrare, essere consacrato e, ottenuti i poteri a seguito dell’ordinazione, attuare l’“accordo”? Come mai non lo ha “protetto” dal rapimento dal proprio appartamento e da una vergognosa detenzione in una sorta di prigionia durata diverse ore a Cim (Mostar) nel 1995? Sarebbe un’argomentazione ragionevole. Ma non c’è ragionevolezza nella calunnia di Maksimov!

La realtà è completamente diversa. Ancora prima che fosse ordinato vescovo nel 1992, monsignor Peric, come tutti, poteva leggere la dichiarazione di Zara del 1991 che rifiutava la natura soprannaturale degli eventi di Medjugorje. Ripetiamolo ancora una volta: non esiste alcun documento o dichiarazione pubblica del rettore Peric in cui si potesse vedere la sua posizione sul fenomeno di Medjugorje. Riguardo al caso erzegovinese, la questione si è sviluppata come segue: appena dopo aver assunto la gestione delle diocesi dell’Erzegovina nel 1993, monsignor Peric, esclusivamente secondo l’agenda della Chiesa, in conformità alla legge canonica e alle direttive della Santa Sede, ha intrapreso i colloqui per l’attuazione del decreto Romanis Pontificibus del 1975. Niente di più e niente di meno di quanto deciso dal decreto. I colloqui sono stati fatti senza la mediazione di nessuno che fosse al di fuori della Chiesa; solo le persone e le istituzioni responsabili di tale questione. Queste riunioni si sono svolte in Erzegovina e in Vaticano fino al 2000. Quindi, nel periodo in cui non vi fu alcun asserito contatto tra il vescovo e il generale. Pertanto chiediamo: il generale Maksimov vuole insinuare di avere influenzato altre parti che hanno preso parte ai colloqui interni alla Chiesa? L’amministrazione della provincia d’Erzegovina? La curia generalizia a Roma? Le congregazioni della Santa Sede? O magari i membri del Capitolo dell’ordine francescano tenutosi ad Assisi nel 1997, dove si decise che il decreto Romanis Pontificibus dovesse essere attuato immediatamente e pienamente, dopodiché, con la mediazione della curia generalizia e della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, vi fu l’attuazione concreta del decreto, delle conclusioni e delle decisioni della curia e della Santa Sede?

Qualora noi credessimo, anche per un solo istante, all’autenticità delle affermazioni di Maksimov, come non chiedersi: se il vescovo Ratko non è stato ricattato ed è stato solo un affare sulla base del “tu mi dai, io ti do”, che cosa poté spingere tutti gli altri soggetti coinvolti a condividere, sotto la pressione del KGB e dell’UDBA, “l’odio irragionevole di monsignor Ratko nei confronti dei francescani”? Questa è una tesi pericolosa e velenosa, alla base del film e dell’intervista, su cui riteniamo che nemmeno le menti che sono dietro il film diffamatorio From Fatima to Medjugorje facessero affidamento. Pertanto consideriamo questo attacco ai vescovi di Mostar non solo un attacco a loro personalmente ma anche alla Chiesa; non solo a quella di Erzegovina ma a tutta la Chiesa, nonostante qualcuno abbia insistito nel dire che “due vescovi non sono tutta la Chiesa”.

Conclusioni

Gesù nostro Signore fu diabolicamente calunniato dai farisei che dicevano che esorcizzasse i demoni con il potere satanico di Belzebù. Gesù agì con semplicità, ma con potenza divina, esorcizzava le persone che incontrava o che gli venivano portate. Non poteva esorcizzare solo i farisei che avevano intenzionalmente peccato contro lo Spirito Santo con le loro calunnie sataniche. Non è chiaro perché il generale Maksimov abbia offerto il suo “aiuto” nel tentativo di abbattere una provincia di circa duecento frati erzegovinesi, invece di salvaguardare gelosamente il suo sistema sovietico imperialistico, che è crollato come un castello di carte nel 1989-1990! E forse per merito di papa Giovanni Paolo II e della Santa Sede, con i cui ministri il generale Maksimov, come si vanta, ha mantenuto i contatti fino a che la sua onnipotente Unione Sovietica, impotente, si è disintegrata irrimediabilmente!

Durante l’inaugurazione della sedicesima riunione ordinaria della Conferenza episcopale di Bosnia ed Erzegovina a Banja Luka, il 13 luglio di quest’anno, il presidente della conferenza, il cardinal Puljic, ha dichiarato tra l’altro: “Conosciamo bene il vecchio stile UDBA di creare divisione e diffidenza tra le persone. Per riuscirci, accusano un singolo vescovo di essere collaboratore dell’UDBA, come hanno fatto con il precedente vescovo Pavao Zanic e l’attuale vescovo di Mostar Ratko Peric. Allo stesso modo, alcuni potentati vogliono “silenziare” il vescovo Franjo perché non possa puntare il dito contro le ingiustizie e così trovano più facile accusarlo. La tattica della vecchia UDBA è sempre stata: l’attacco è la migliore difesa”.

Ma la migliore difesa è la Verità che i vescovi di Mostar hanno sempre predicato, per la quale hanno combattuto, pronti a sopportare sacrifici più grandi degli attacchi velenosi degli autori degli scenari di un film diffamatorio, delle menti che ci sono dietro e dei protagonisti stessi. Con questa dichiarazione abbiamo voluto confutare la menzogna con la Verità. Lo ripetiamo ancora una volta: non siamo così ingenui da credere che con questo testo porteremo dei bugiardi senza scrupoli verso la Verità. Il nostro desiderio era e rimane rasserenare lealmente gli stimati lettori che sono turbati da queste calunnie blasfeme e invitarli a stare sempre dalla parte della Verità, che ci renderà tutti liberi.»

Come vedete, cari amici lettori, in questo libro diamo spazio a tutti e, naturalmente, in modo speciale lo abbiamo dato a chi è il destinatario delle accuse e cioè i due vescovi di Mostar che hanno ancora una volta replicato al film From Fatima to Medjugorje e alla ulteriore e nuova intervista rilasciata dal generale Maksimov, alto ufficiale del KGB. Noi vi proponiamo così un quadro completo, salvo altri colpi di scena che secondo noi continueranno a rimbalzare nei prossimi mesi da Mostar, Sarajevo e Mosca. Vogliamo solo però farvi notare un piccolo particolare: don Zeliko, il vicario generale della diocesi che quindi scrive in nome e per conto del vescovo Peric, questa volta non mette più in discussione, come fece monsignor Peric, la figura di Maksimov, cioè se esiste o meno, «se è un personaggio reale», ma dà per scontato che sia effettivamente un alto ufficiale dei servizi segreti russi e che quindi, come tale, sia responsabile di nefandezze, calunnie, depistaggi e naturalmente delitti ben più gravi. Cambio di strategia? Forse sì, certamente, tuttavia possiamo già affermare fin da ora che effettivamente questa volta Maksimov, nel secondo pezzo di intervista di circa trenta minuti con una giornalista che lo intervista in lingua russa, rende note molte informazioni sulla sua vita.