VII

Le emozioni in gioco in una separazione

Volenti o nolenti l’abbandono ci introduce, dal primo momento in cui lo subiamo, in una terra desolata che non conoscevamo, ci fa ascoltare un timbro inedito della disperazione e della fatica dell’esistere e del desiderare.

EMANUELE TREVI

La mappa delle emozioni: che cosa sta provando nostro figlio?

Per comprendere quali sono le emozioni che si attivano di più nei bambini che vengono esposti alla separazione dei loro genitori, vi proponiamo, per cominciare, un’attività concreta.

Provate a pensare ai momenti in cui avete vissuto grandi mutamenti nella vostra vita che magari non sono del tutto dipesi da voi: un cambio di residenza o di lavoro, oppure quando avete lasciato un partner anche senza che foste sposati. Probabilmente ricordate ancora il senso di smarrimento, stordimento, estraneità a voi stessi, fatica: bene, anche vostro figlio sperimenterà tutte queste emozioni di fronte alla vostra separazione. E, rispetto a voi che avete affrontato i cambiamenti con la consapevolezza di ciò che stavate facendo e la possibilità di usare i vostri pensieri per contenere, gestire, elaborare le emozioni che provavate – probabilmente anche in modo alquanto intenso –, vostro figlio non può ancora usare la «forza dei suoi pensieri» per tenere a bada e addomesticare le emozioni che si accenderanno in lui in un passaggio tanto delicato della sua vita e del vostro percorso familiare. Per cui, voi dovete essere la forza del pensiero che a lui manca.

Provate a costruire una mappa delle emozioni e degli stati d’animo con cui vostro figlio si dovrà confrontare in seguito alla vostra decisione di separarvi. Il modo migliore per completare la tabella che trovate qui sotto è proprio provare a mettersi nei suoi panni, nella sua mente e nel suo cuore: se voi foste al suo posto, da quali emozioni vi sentireste soprattutto attraversati e perché?

Che emozioni prova nostro figlio? Perché sperimenta queste emozioni? Cosa possiamo fare per aiutarlo a gestire meglio queste emozioni?

Compilate questa scheda separatamente, voi mamme e voi papà. Poi confrontatevi sulle reciproche risposte. Evidenziate i punti che avete in comune e discutete delle differenze, ovvero delle emozioni dei figli che avete indicato in modo diverso, se non addirittura opposto. Se sulle parti comuni l’intesa è già definita, su quelle divergenti, invece, l’intesa dovrà essere generata all’interno della vostra «mente genitoriale», che, proprio perché è condivisa da entrambi, dovrà imparare ad avere una visione condivisa delle questioni in gioco.

RIFLETTI. Allenarsi a vedere la realtà con gli occhi dei figli

Mario e Lucia sono separati da alcuni mesi. Da due anni Mario ha una relazione con una collega di lavoro con cui è andato a convivere tre mesi fa, dopo che Lucia ha scoperto tutto.

L’allontanamento da casa di Mario è stato molto repentino. Una sera, dopo che il marito era dovuto uscire in tutta fretta per andare dalla madre che, sentendosi male, lo aveva chiamato in aiuto, Lucia aveva trovato sul cellulare di Mario, dimenticato sul tavolo, i messaggi dell’amante. Per la madre di Mario, per fortuna, le cose si erano risolte subito, si era trattato solo di una congestione. Ma tra Mario e Lucia la scoperta quasi casuale del tradimento ha segnato l’inizio di una crisi irreversibile. Lucia lo ha fatto uscire di casa nel giro di pochi giorni, e ha cominciato subito con le pratiche per la separazione. Il loro bambino, Giorgio, di 9 anni, è stato travolto – e stravolto – da questi cambiamenti. Praticamente, da quando suo padre è uscito di casa è riuscito a vederlo solo tre volte in tre mesi, perché Lucia ha il terrore che lui lo faccia incontrare con l’altra donna.

Mario si sente in trappola. Vorrebbe far conoscere la nuova compagna a suo figlio, spiegargli il motivo di questa rivoluzione che ha colpito la loro vita familiare. Ma Lucia è stata molto chiara: «Se la presenti al bambino, non lo vedi più per il resto dei tuoi giorni». Le poche volte in cui ha potuto vedere il figlio, Mario ha dovuto indicare con precisione luogo e ora dell’incontro. Lucia, non vista dal bambino, è infatti rimasta nei paraggi per tenere sotto controllo la situazione e accertarsi che il bambino non incontrasse l’altra donna. Gli avvocati di Mario e Lucia stanno negoziando tutti questi passaggi, ma nel breve tempo trascorso dall’uscita di casa di Mario è chiaro che è Lucia a dettare le regole. A breve, Mario, Lucia e i rispettivi avvocati discuteranno insieme la situazione. Forse le cose cambieranno. Miglioreranno, almeno, un po’.

Provate a rispondere a queste domande relative alle emozioni che prova Giorgio:

Il mondo interno di un bambino

La storia su cui avete riflettuto presenta un bambino costretto a sperimentare molte emozioni differenti. Possiamo immaginare che Giorgio sia impaurito di fronte alle scene di rabbia dei due genitori, e sia spaventato per le conseguenze che queste potrebbero avere. Possiamo intuire la sua tristezza, dall’oggi al domani vede uscire di casa il suo papà e non può più incontrarlo se non in rari momenti e in uno stato di forte attivazione ansiosa.

In casi come questi, a volte i bambini vengono assaliti dal senso di colpa: «Forse il mio papà è arrabbiato con me, forse non mi vuole vedere perché ho fatto qualcosa di sbagliato». Per i piccoli è più che normale trovarsi travolti da emozioni, spesso anche contrastanti, senza avere la capacità di districarsi al loro interno. I genitori hanno la responsabilità di sostenerli in questi passaggi così complessi, rassicurarli, confortarli e aiutarli a uscire dalla zona di confusione in cui, quasi inconsapevolmente, si trovano invischiati a seguito della separazione di mamma e papà. Giorgio ha bisogno di capire quello che sta succedendo ai suoi genitori, perché la mamma è così arrabbiata, se potrà continuare a vedere il suo papà, come e quando finirà questa fase di allarme rosso dove la rabbia è l’emozione dominante e dove la sua normalità è stata stravolta.

In questo paragrafo analizzeremo insieme le principali emozioni che un minore vive in frangenti simili. Capiremo insieme come e perché si attivano e quale può essere la risposta che gli adulti devono dare per permettere al bambino di gestire ed elaborare uno stato emotivo che non può risolvere da solo.

LA PAURA

Luna ha 8 anni e da sei mesi non vive più insieme ai suoi genitori. La loro è stata una separazione apparentemente consensuale, ma alla fine il papà è andato a vivere in una città a 60 chilometri di distanza e Luna riesce a vederlo soltanto una sera alla settimana, quando lui viene in città e la porta al ristorante, e un fine settimana ogni due, quando invece il papà la porta nel suo nuovo appartamento dove Luna trascorre il sabato e la domenica.

Da due settimane, Luna ha iniziato ad avere una strana paura che non aveva mai sperimentato prima. Ogni volta che dorme a casa del papà fatica tantissimo a addormentarsi. Si gira e rigira nel letto. L’ultima volta che è successo, il papà le ha domandato perché si stesse agitando tanto. «Ho paura che un ragno velenoso esca improvvisamente da sotto il letto e poi mi morsichi mentre sono addormentata. Anche se chiudo gli occhi continuo a vederlo nella mia mente e mi spavento. Allora li riapro e non voglio più chiuderli per dormire. Se sto sveglia, non può succedermi niente di pericoloso.» Il papà rimane spiazzato dal racconto di Luna. La sua bambina gli fa tanta tenerezza e gli dispiace che gli ultimi mesi siano stati così faticosi per lei. «Sai Luna che cosa facciamo? Io mi siedo sul letto, tu appoggi la tua testa qui sulle mie gambe e ti addormenti. Io sto sveglio per un’ora almeno e controllo che nessun ragno esca da sotto il letto. Quando ne ho la certezza, poi mi addormento anch’io. Ma lasciamo accesa una lucina sul comodino, così se ci svegliamo e vogliamo controllare che nulla di velenoso venga a farci visita… possiamo farlo senza problemi.» Appena Luna sente queste parole, si rilassa e sorride. «Mi sembra un’ottima idea, papà» risponde. Quindi si sdraia appoggiando la testa sulle gambe del papà che le fa un po’ di carezze sui capelli e, finalmente tranquilla, si addormenta.

La paura è probabilmente una delle emozioni più potenti tra quelle che invadono il mondo interno di un bambino posto di fronte alla separazione dei genitori. È una paura che, proprio come il ragno di Luna che potrebbe uscire da sotto il letto quando meno te l’aspetti, ha a che fare con quel senso di indeterminatezza e sospensione che si accompagna ai cambiamenti portati dalla separazione. È come se il bambino si domandasse: «Che cosa succederà, adesso, nella mia vita?». È una domanda lecita, sottesa a un’emozione che la quasi totalità dei bambini sperimenta in modo molto intenso.

Il bambino si trova di fronte allo sgomento e al disorientamento derivanti dalla perdita dell’unica vera certezza che la vita gli ha dato fino a quel momento, incarnata nelle figure di mamma e papà. Ha paura di non sapere più come sarà la sua stanza, il letto in cui andrà a dormire, il menu della colazione, del pranzo e della cena, quando dovrà spostarsi nella casa del genitore che se ne è andato. E mentre sperimenta queste paure, legate a domande per le quali ancora non esistono risposte, può sviluppare fantasie che spesso però lo lasciano ancora più nell’incertezza e nel dubbio su ciò che sarà.

Queste paure sono tipiche di chiunque, grandi e bambini, fatichi a prevedere come andranno le cose. Nella storia di Luna, il ragno rappresenta il nucleo angoscioso che si è sviluppato in lei e che lei da sola non è in grado di sciogliere e risolvere. Il suo papà fa molto bene a comprendere la natura simbolica della paura della bambina e a darle una risposta concreta ed efficace al tempo stesso. Con il suo intervento, è come se le dicesse: «È vero, non abbiamo ancora certezze in questo momento, non sappiamo quando e quanto il dolore potrebbe farsi sentire. Ma io ti so stare accanto e veglierò su ciò che ti affligge e spaventa. Ogni volta che sentirai di non farcela, io saprò darti l’aiuto che ti serve». In effetti, come dimostra la rapidità con cui l’intervento paterno rassicura e conforta la bambina, facendola scivolare nel sonno, è proprio di questo che i bambini hanno bisogno per superare le paure che si manifestano durante la separazione e nei mesi immediatamente successivi, quando uno dei due genitori non vive più in casa con lui. Se il bambino verrà rassicurato con parole, gesti, sguardi, se gli verrà fornita una versione veritiera e sufficientemente tranquillizzante di ciò che sarà di lui, delle sue abitudini, della nuova quotidianità con una mamma e un papà che non vivono più insieme, allora queste paure si ridurranno di intensità e progressivamente (è certo che ci vorrà tempo per trasformarla in accettazione della nuova realtà) lasceranno spazio a una consapevolezza interiore che lo accompagnerà nella sua nuova vita.

LA TRISTEZZA

Il cambiamento di Emanuele nei mesi seguenti la separazione di mamma e papà era stato molto intenso, tanto da indurre i genitori a consultare i migliori pediatri della provincia. Lui che era un vero leone, che voleva sempre scendere in cortile a giocare a calcio, aveva mantenuto tutta la sua energia e vitalità per i due mesi seguenti la separazione dei genitori. Poi era arrivato il Natale e, per la prima volta, Emanuele aveva dovuto passarlo in due feste distinte. La sera della vigilia a casa dei nonni paterni con il papà e le zie. Il giorno seguente con la mamma e la sua famiglia. «In fin dei conti, non ti va poi così male, quest’anno» aveva commentato il papà. «Doppi regali, doppio pranzetto con un sacco di cose buone. Tutto moltiplicato per due.»

Le parole del papà non lo avevano fatto sentire meglio. Anzi. Nei giorni precedenti il Natale, che per lui erano sempre stati i più belli dell’anno, Emanuele aveva cominciato a non sentirsi a suo agio. Ma la sera della vigilia, a cena dai nonni paterni, dopo che il papà aveva detto quella frase, si era sentito così strano che la fame se ne era andata via. Lui, di solito goloso dei cappelletti della nonna, amante del panettone e del mascarpone, aveva solo assaggiato tutte quelle prelibatezze e lo stesso era successo anche il giorno dopo, a pranzo con la mamma e i suoi parenti. Nei giorni seguenti aveva detto spesso di essere stanco e, invece di scendere in cortile a giocare con gli amici, aveva preferito fare indigestione di cartoni e videogiochi seduto sul divano. Alla ripresa della scuola tutto sembrava risolto, ma poi aveva cominciato ad accusare uno strano mal di pancia che aveva dato il via a una sequenza infinita di visite presso gli specialisti dell’intera regione. Dopo avergli prescritto tutti gli accertamenti possibili, era stato il pediatra di famiglia ad azzeccare la diagnosi giusta: Emanuele era triste. Molto triste. Così mamma e papà avevano deciso di chiedere aiuto a un terapeuta dell’età evolutiva.

Per i bambini, la separazione dei genitori si accompagna inevitabilmente alla tristezza, spesso intensa, perché non ci saranno più tante cose belle alle quali erano abituati e di cui sentiranno una struggente mancanza. Gli mancheranno anche quel senso di protezione e sicurezza che avevano sperimentato fin da piccoli vivendo a contatto con mamma e papà quando erano contemporaneamente presenti nella loro casa, nella loro vita e quindi anche nel loro mondo interiore.

Nella storia di Emanuele, la tristezza esplode in occasione delle feste natalizie. La frase del papà è probabilmente l’elemento che la fa deflagrare. Perché Emanuele, dopo aver vissuto tanti Natali bellissimi, pieni di ritualità e abitudini festose, si trova per la prima volta senza mamma e papà seduti allo stesso tavolo. La trasformazione della tristezza di Emanuele in un inizio di quadro depressivo è dovuta all’incapacità del papà di sintonizzarsi con il suo senso di mancanza e di perdita. Dire «adesso è meglio di prima» suona falso, al limite del paradosso. E fa percepire al bambino di essere ancora più a rischio, fragile e vulnerabile.

Di fronte alle manifestazioni di tristezza dei figli, i genitori devono aver conquistato una chiarezza nei loro rapporti. Devono sapere che quel sentimento c’è e ci sarà, e che è loro compito accoglierlo e confortarlo. Molte frasi, come quella che il papà ha detto a Emanuele, servono solo agli adulti, a rassicurarli sul fatto che ciò che hanno deciso non avrà conseguenze sul minore. È come se gli adulti volessero, con le proprie parole e i propri comportamenti, convincere il bambino (ma prima ancora se stessi) che le loro decisioni non avranno conseguenze sulla vita di nessuno. E, invece, la separazione fa male a tutti, anche ai più piccoli.

Allora, ciò che serve non è negare gli stati d’animo del bambino, ma prevederli e fare di tutto per fargli sentire che le persone che più gli vogliono bene sono in sintonia con lui. Forse mamma e papà avrebbero dovuto preparare Emanuele alle novità di quel Natale, anticipandogli anche la tristezza conseguente a tutti i cambiamenti del copione familiare seguito fin dalla sua nascita. Sarebbe stato utile fargli immaginare che cosa avrebbe provato, sentito e pensato quando si sarebbe accorto delle differenze tra quel Natale e i precedenti. Emanuele si sarebbe sentito meno «scoperto» di fronte al suo senso di disorientamento e avrebbe potuto dare un significato più funzionale a quello che stava provando dentro di sé. Un significato che le parole del papà hanno invece completamente invalidato, nel tentativo di fornirgli una «formula della felicità» totalmente fuori luogo in quel momento e in quel contesto.

Accogliere e confortare la tristezza del bambino e prevenire le derive depressive (che si verificano anche nei più piccoli) comporta che mamme e papà separati sappiano sempre scegliere in funzione del bene del bambino: una festa di compleanno può essere organizzata da tutti e due i genitori, anche se si sono separati. E, nel caso di Emanuele, mamma e papà avrebbero anche potuto fare insieme il pranzo di Natale, a patto di non dargli l’illusione che quel gesto potesse preludere a una riconciliazione. È chiaro che tutto questo deve succedere in modo non invischiante, con modalità che non intrappolino il bambino nella fantasia «magari mamma e papà tornano insieme». Accordarsi per trascorrere insieme momenti speciali serve a far sì che il figlio non senta troppo forte la differenza tra ciò che era e ciò che è, e quindi possa essere portato ad accettare la sua nuova realtà attraverso «passaggi intermedi».

LA RABBIA

Dopo la separazione di mamma e papà, Laura, una bambina di 10 anni, era diventata molto obbediente, attentissima a non deludere mai le aspettative dei genitori. «Papà, oggi a scuola sono stata la prima a consegnare il compito di matematica. La maestra mi ha detto che quest’anno sono davvero migliorata.» Era questo il tono delle telefonate quando il babbo la chiamava alla sera, dopo cena, per augurarle la buona notte. E di buone notizie Laura ne dava in abbondanza, non si esaurivano mai.

Suo fratello Filippo, di 7 anni, navigava invece in acque più agitate. A scuola aveva già collezionato un buon numero di note, sempre per lo stesso motivo: «Disturba senza motivo le lezioni in classe». Un giorno i genitori erano stati convocati perché aveva preso a calci un compagno durante la ricreazione, in quanto l’altro non voleva riconoscergli la sudata vittoria che lui si era meritata sul campo. Come se non bastasse, da alcune settimane Filippo si comportava male anche a in casa, stuzzicando la sorella, prendendola in giro, a volte cercando addirittura di picchiarla, tanto da costringere la nonna a separarli, a volte anche per più di mezz’ora, in camere distinte: «Adesso tu vai di là e non esci dalla stanza fino a quando non te lo dico io».

Così, giorno dopo giorno, Filippo sembrava diventare sempre più ingestibile. Solo una cosa lo calmava. Il ritorno a casa dal lavoro della mamma. La mamma, però, aveva orari variabili e proprio negli ultimi mesi era stata inserita in un progetto internazionale che prevedeva frequenti – anche se brevi – trasferte all’estero. Finché la mamma non tornava a casa, oppure quando era in trasferta, Laura e Filippo stavano dalla nonna. A volte andavano a dormire nel nuovo appartamento di papà.

Una volta Filippo aveva sentito la mamma dire a qualcuno al telefono: «Ma proprio quest’anno, con tutto il disastro che sta succedendo nella nostra vita, la mia azienda doveva inserirmi in un progetto internazionale!». Quel pomeriggio Filippo si era molto arrabbiato con l’azienda dove lavorava la sua mamma. Se solo avesse potuto decidere lui, avrebbe riaggiustato tutto in tempi brevissimi. Avrebbe detto a quelli dell’azienda della mamma di non farla più viaggiare. A suo papà che doveva tornare a dormire nella loro casa. Così tutto si sarebbe sistemato e nessuno avrebbe più avuto problemi.

Spesso, oltre a essere tristi e impauriti, i bambini che attraversano una separazione sono anche molto arrabbiati. Di solito, la rabbia si manifesta quando una persona si sente frustrata, sotto assedio, oppure ha l’impressione di aver subìto una prevaricazione. Sono tutti vissuti che, seppur con modalità diverse e altalenanti, possono interessare ogni membro del nucleo familiare coinvolto in una separazione. Filippo è arrabbiato perché tutto sta andando a rotoli, e non riesce a canalizzare la sua rabbia nella giusta direzione. Così le sue intemperanze lo mettono sotto scacco, a casa e a scuola. La sorella maggiore sembra essere il suo bersaglio preferito. Probabilmente è l’unica su cui può sfogarsi ed è sempre a portata di mano. Inoltre, sta vivendo le sue stesse esperienze e come lui ne soffre.

Verosimilmente, nella rabbia di Filippo la leva più potente è il senso di impotenza che sperimenta di fronte ai nuovi accadimenti, e che viene slatentizzato in modo intenso e irrimediabile dopo che ha «orecchiato» la conversazione telefonica in cui la mamma si percepisce in balia delle decisioni della sua azienda, da lui identificata come la causa di tutti i suoi mali. La rabbia di Filippo, e dei bambini che come lui si trovano intrappolati in situazioni simili, deve essere riconosciuta e convertita in altro: tristezza, certamente, ma pure speranza che le cose, mese dopo mese, troveranno un nuovo equilibrio. E che, piano piano, tutti sapranno ri-collocarsi nella nuova geometria delle relazioni familiari.

Soprattutto, i bambini devono ricevere un messaggio chiaro: non è compito loro provare a «risistemare le cose». In effetti, anche il modo in cui Laura cerca di adattarsi alla nuova situazione lascia intuire che c’è qualcosa che non va: pare essersi addossata la responsabilità di far funzionare tutto al meglio in un momento in cui tutto sembra andare male. Anche Laura va aiutata a comprendere che non deve sostituirsi agli adulti e alle loro funzioni, né deve cercare di compiacerli a ogni costo. Il rischio può essere quello di generare un’inversione dei ruoli o di portarla in una zona di strutturazione di un «falso sé».

In generale, la rabbia dei bambini può manifestarsi senza motivi apparenti e in modi imprevedibili: può essere all’origine di capricci infiniti per delle inezie, di zuffe con i compagni di classe per sgarbi insignificanti, di cattiverie nei giochi con le bambole o di gesti aggressivi e ingiustificati contro mamma e papà. Questi sono tutti segnali che gli adulti devono intercettare come campanelli d’allarme di un bisogno più profondo che va accolto.

IL SENSO DI COLPA

Devo mettercela tutta. So che ce la posso fare ad avere tutti dieci nella pagella. Devo solo smettere di andare a danza e poi è fatta. È colpa della danza se lo scorso quadrimestre per la prima volta nel pagellino avevo due sei. Arte e inglese, materie dove sono sempre andata bene. La maestra mi dice che i miei disegni sono originalissimi, che so usare bene i colori e tante altre cose, quindi se non mi ha dato sette è solo perché non ho lavorato abbastanza. Il saggio di Natale prima e la gara da preparare poi mi hanno rubato tanto tempo. Sono stata proprio una sciocca, non pensavo ad altro che a provare i passi, a tenere il tempo. La mamma era molto nervosa e io non me ne sono accorta. Quando ha visto online i voti di fine quadrimestre, mi ha detto: «Nadia, non ti ci mettere pure tu adesso a darmi delle preoccupazioni!». In effetti con mia sorella non ha mai problemi. Lei è brava in tutto, compresa la scuola, e la mamma non si arrabbia mai con lei. Io invece spesso la faccio innervosire e parecchio. La sera del pagellino ha litigato con papà come mai prima. Ha detto che è ormai inutile fare finta che le cose vadano bene, che è stanca di recitare la parte della famiglia perfetta quando invece tutto va storto. Devo davvero mettercela tutta con la scuola e domani dirò alla mamma che non voglio più andare a danza.

A volte succede che i bambini credano che mamma e papà si separino per colpa loro, perché tante volte li vedono litigare per dilemmi educativi o prendendo a pretesto incomprensioni sulla vita dei figli. Può capitare anche che, di fronte a comportamenti particolarmente sfidanti dei bambini, i genitori se ne escano con frasi del tipo «non ne posso più», «ma perché non sei come tutti gli altri bambini», «finirà che un giorno me ne vado via e non ritorno più». È chiaro che si tratta di frasi alle quali, in condizioni normali, tanti bambini non farebbero neppure caso, perché capiscono che sono state pronunciate sull’impulso della rabbia. Di fronte alla separazione dei genitori, la memoria emotiva dei bambini può però rievocare momenti, episodi, situazioni in cui queste cose sono effettivamente successe e si sono rivelate profezie che si sono poi avverate. I genitori devono essere espliciti e chiari con le parole e con i gesti: nessuna mamma e papà si lasciano per colpa di un figlio, anzi, spesso un figlio è il motivo per cui hanno avuto bisogno di così tanto tempo per decidere se separarsi è davvero la cosa giusta da fare. Nadia ha bisogno che i grandi si accorgano dei suoi pensieri. I genitori non possono lasciarla sola con il senso di colpa e devono evitare che lei si autopunisca per una colpa che in nessun modo è sua.

LA VERGOGNA

Pietro è stato irremovibile: «Non voglio fare niente per il mio compleanno». L’anno scorso aveva lavorato tantissimo per organizzare la festa per i suoi otto anni. Aveva deciso di invitare tutti al cinema e poi di portare gli amici a casa per la merenda. Aveva chiesto aiuto a suo fratello più grande per pensare a un gioco da fare insieme e continuava a inventare cose per rendere quella giornata indimenticabile.

Pietro, poi, adora giocare a pallone, e se la cava anche piuttosto bene. Quest’anno la sua passione per il calcio è rimasta la stessa, ma è scomparsa la voglia di frequentare gli amici anche fuori dall’orario degli allenamenti. Da qualche settimana passa molto più tempo davanti alla televisione e se mi avvicino per parlargli mi risponde a monosillabi. Suo padre è uscito di casa all’inizio dell’estate, ma il tempo delle vacanze non ci ha fatto capire a fondo i cambiamenti della nostra famiglia. Come succede da sempre, io e i ragazzi siamo stati per più di un mese nella casa dei nonni al mare. Poi abbiamo trascorso qualche giorno tutti insieme. Mi è costato tantissimo, ma sapevo che serviva ai nostri figli. Poi ci sono stati i vari campi estivi e ci siamo ritrovati a settembre senza quasi esserci accorti di nulla.

La ripresa della scuola e dei ritmi lavorativi è stata una doccia fredda per tutti, perché ci siamo resi conto che la nostra non era più la famiglia di prima. Ho detto a Pietro che ero andata a parlare con la maestra per informarla delle «novità», ma la cosa che lo ha fatto andare su tutte le furie è stato sapere che ne avevo discusso anche con il suo mister. Mi ha detto cose bruttissime e da quel momento ha iniziato a chiudersi sempre di più in se stesso. Gli ho proposto di invitare qualche amico, come faceva sempre, ma non ne ha voluto sapere. Sul mio cellulare sono arrivati messaggi di amici che lo invitavano a casa loro, ma quando gliel’ho detto mi ha risposto con le lacrime agli occhi: «Non lo capisci che mi vergogno di voi?».

La vergogna è un’emozione secondaria che si manifesta in presenza di altre persone. Un bambino può vergognarsi di fronte ai propri compagni di classe se vive la separazione dei genitori come un evento deprecabile del quale nessuno vuole parlare. Per questo è importante che gli insegnanti stiano vicini al bambino che deve affrontare questo passaggio e, nelle settimane che precedono e seguono la separazione, sappiano fargli le domande giuste. In particolare, non devono aver paura di dirgli apertamente che sanno che, proprio in virtù della separazione di mamma e papà, vivrà ora con l’uno ora con l’altro genitore.

Sempre come adulti è bene fare attenzione a ciò che si dice in presenza dei bambini: se per esempio i nonni manifestano vergogna parlando della separazione di un figlio, è possibile che anche i più piccoli vengano influenzati dalla loro tonalità emotiva. Quindi è fondamentale, e lo vedremo anche più avanti, che l’intera famiglia allargata mantenga una versione realistica di ciò che sta avvenendo, astenendosi dall’attribuire colpe e responsabilità a una o all’altra delle parti in causa.

Pietro ha bisogno di aiuto. Gli adulti lo devono togliere dalla posizione in cui si è rintanato. Si sente diverso, crede di non aver più tutte le carte in regola agli occhi dei suoi amici. Ha paura che i grandi lo trattino come un poveretto che ha vissuto chissà quale tragedia e detesta che questo avvenga davanti ai suoi amici. Non vuole essere un pezzo rotto, qualcosa da trattare con troppi riguardi. Si sente addosso gli occhi di tutto il mondo, e questo lo fa stare male. Pietro ha bisogno di adulti che lo aiutino a rimettere a fuoco la situazione, a capire che non c’è niente di cui vergognarsi e che attorno a lui c’è un mondo di persone che davvero gli vuole bene e ha voglia di stare con lui.

L’IMPOTENZA

Novantadue, novantatré, novantaquattro… «È pronta la cena!» Uffa! Anche questa volta mi hanno interrotto. Devo riprovare dopo che avrò finito di cenare. Voglio arrivare fino a mille. Se mi interrompono non vale. Solo così posso guadagnare un desiderio. Fino a ora ne ho messo via uno. A casa di papà è più difficile contare perché lui mi chiama in continuazione. Mi dice tante cose, vuole che mangiamo dei dolci insieme, che guardiamo un film, che andiamo al parco. A me piace fare tutte queste cose. Prima, quando eravamo tutti nella stessa casa, papà giocava molto meno con me. Adesso vuole sempre starmi vicino e io non riesco a contare tranquillo. Devo guadagnare almeno tre desideri entro Natale. Uno per fare innamorare ancora papà e mamma. Uno per passare il pranzo della festa tutti insieme nella nostra vecchia casa. E l’ultimo perché voglio portare con noi anche Bobby, il nuovo cane che ha comprato papà. Mamma odia il pelo in giro, ma Bobby è un cane pulito. Ho bisogno di guadagnare un desiderio per convincere la mamma. Vorrei anche un desiderio per far sparire il nuovo amico della mamma. Lei non mi ha detto niente ma io ho capito che è colpa sua se i miei non stanno più insieme. Nessuno mi dice niente, ma io devo assolutamente fare qualcosa. Nessuno ascolta i miei consigli. Io so come fare contenta mamma e so anche cosa piace a papà, ma loro vogliono solo farmi giocare. Devo mangiare in fretta e poi rimettermi a contare. Questa sera voglio conquistare almeno un altro desiderio.

Un bambino, nella sua fantasia, spesso onnipotente, potrebbe cominciare a pensare di poter mettere in atto delle strategie capaci di risolvere magicamente la situazione. Alcuni arrivano addirittura a sviluppare dei veri e propri rituali, assimilabili a dei disturbi ossessivo-compulsivi, compiendo i quali credono (o meglio, si illudono) di poter salvare il rapporto dei loro genitori. Fino a che, un giorno, vengono invece messi a confronto con l’unico e immodificabile dato di realtà: mamma e papà si lasceranno. Quanto più il bambino si è illuso di poter assumere il ruolo del salvatore, tanto più il suo senso di impotenza e il suo dolore, di fronte a questa notizia, saranno grandi e per lui una dimostrazione, diretta o indiretta, della sua insignificanza.

Per questo, di fronte alla separazione dei genitori un bambino ha bisogno di infinite rassicurazioni, di una mamma e un papà che sappiano parlargli insieme e anche separatamente, di un contenimento affettivo ed emotivo che deve passare attraverso una gamma articolata di strategie: gesti fisici, coccole, parole, lettura congiunta di libri per bambini che trattano il tema della separazione, visione di programmi o film che hanno a che fare con la separazione (seguita da commenti a voce alta, domande, richieste di condivisione delle emozioni sperimentate).

Il protagonista della storia che abbiamo appena letto cerca nel pensiero magico un modo per scacciare il senso di impotenza che lo fa stare male. Vorrebbe dire ai genitori quello che pensa, ma è come se capisse che nessuno è interessato alle sue idee. È importante mettersi in ascolto dei desideri dei bambini, delle cose che faticano ad accettare e di quelle che vorrebbero cambiare. Gli adulti devono aiutarli a scoprire come sentirsi protagonisti di un cambiamento familiare che riguarda anche loro, rafforzando la possibilità di trovare modi nuovi e realistici di stare bene anche dopo la separazione.