XII

Come affrontare in classe il tema della separazione

L’inferno è la sofferenza di non poter più amare.

FËDOR DOSTOEVSKIJ

Laura è l’alunna che tutti gli insegnanti vorrebbero avere in classe. È sempre positiva e sorridente e non lo fa per compiacermi o per mettersi in mostra, è proprio così. Mi ricordo ancora il primo giorno di scuola, quando alzò la mano subito dopo l’appello e disse con tutta la sua innocenza: «Mio fratello mi ha detto che tutte le maestre hanno i baffi e i denti storti. Tu invece sei bellissima. Lo sapevo che mio fratello dice le bugie!». Avevamo riso tutti per quell’uscita così originale.

Ora sta per finire la quarta elementare. Laura è molto cresciuta ma non ha cambiato il suo atteggiamento verso la vita. O almeno, è stato così fino a qualche settimana fa. Ho cominciato a notare qualcosa di diverso in lei, il suo sguardo a tratti era assente. I suoi voti erano sempre alti e se facevo una domanda lei era sempre tra quelli con la mano alzata. I compagni la cercavano quando c’era da inventare un nuovo gioco o da passare un po’ di tempo libero insieme, ma era come se in lei si fosse inceppato qualcosa.

La settimana scorsa, all’improvviso tutto mi si è chiarito. Suo papà è venuto a parlarmi. Mi aveva chiesto un appuntamento e la cosa, non lo nego, mi aveva parecchio sorpresa. Ai colloqui era sempre venuta la mamma. Il padre di Laura non l’avevo mai visto. È un uomo robusto che lavora nel mondo dell’informatica. Arrivato al colloquio mi ha subito chiesto come stava Laura. Mi si sono accesi dei flash sulle stranezze che avevo notato in lei, sul suo sorriso che non vedevo da un po’, ma erano stati piccoli segnali, nulla di clamoroso o che potesse impensierirmi. «Mia moglie mi ha lasciato. Se n’è andata di casa qualche settimana fa con i nostri figli e io sono disperato.» Nel mio prontuario non avevo nessuna reazione per lo shock che stavo sperimentando. «Sono andati da mia suocera e io non li ho più potuti vedere. Sono disperato. Io ho sbagliato, ma tutto questo mi sembra assurdo.» E si è messo a piangere. Un uomo grande e grosso seduto sulla sedia di un bambino che piangeva davanti a me. «Io non volevo far soffrire nessuno. Non doveva guardare il mio cellulare…» Poi si è interrotto e mi ha fissata: «Ma lei non ne sapeva niente?». Ho fatto cenno di no con la testa. «Credevo che mia moglie fosse venuta a parlare con lei…» Il tempo del colloquio si era ormai concluso e io dovevo tornare in classe. Non riuscivo a smettere di chiedermi come mai la mamma di Laura non mi avesse avvisata di un fatto così importante. Non abbiamo deciso niente di concreto, ma ho capito subito che non avrei potuto far finta di niente con Laura. Ogni volta che mi guardava sentivo che si aspettava qualcosa da me, aveva bisogno del mio aiuto per trovare il modo di gestire il caos che le si muoveva dentro, e io non sapevo bene da dove cominciare. Non era certo la prima alunna ad avere i genitori separati, ma questa volta, più delle altre, sentivo di dover giocare un ruolo nell’aiutare i genitori a vedere i bisogni della loro bambina. Il cambiamento era stato così repentino che nessuno sapeva orientarsi.

Laura aveva bisogno di trovare le parole per tenere insieme il suo stare a scuola con l’universo impazzito delle sue emozioni.

ELENA, maestra di IV primaria

Il ruolo dell’insegnante

Oggi sono moltissimi gli alunni, di qualunque età, che hanno i genitori separati. In molti casi la rottura è seguita dalla costruzione di nuovi legami, più o meno duraturi, che toccano da vicino la quotidianità dei figli. Spesso la separazione è stata consensuale e i minori coinvolti arrivano a scuola già inseriti in un processo negoziale tra gli adulti che funziona. In altri casi, però, le cose non vanno così, e la separazione è segnata da conflitti che hanno ricadute anche pesanti nella vita scolastica dei figli.

Alla luce della specificità di ogni singola vicenda non è pensabile definire azioni di sostegno agli alunni valide in ogni situazione, ma è invece opportuno individuare alcune precauzioni da seguire nell’esercizio della propria funzione educativa. Quella dell’insegnante è una posizione privilegiata per monitorare il benessere dei minori. La separazione dei genitori può essere stata un evento più o meno lontano nel tempo, e può avere ripercussioni più o meno pesanti indipendentemente dalla distanza temporale. È utile proporre alla classe spazi di confronto su cosa significa vivere con i genitori separati? Pensiamo non sia possibile rispondere a priori a questa domanda, e mentre siamo sicuri che sia indispensabile dare parola alle emozioni che un bambino o una classe vivono in seguito alla perdita di una persona cara, per la separazione dei genitori le attenzioni da avere sono differenti. Capita spesso che anche coppie non separate abbiano rapporti conflittuali, e paradossalmente la separazione potrebbe indurre i genitori a mettere in primo piano i bisogni dei figli. L’insegnante deve quindi porsi come interprete della realtà.

Ci limitiamo qui a elencare alcuni accorgimenti che possono essere attuati dagli insegnanti, sottolineando come l’intuito e la sensibilità di ogni docente siano risorse preziose per il bene dei singoli e del gruppo. Ovviamente, queste indicazioni valgono per tutti i bambini, indipendentemente dalla loro situazione familiare.

Il ruolo della scuola

Nel 2015 è stata diramata una circolare ministeriale che titola: «Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli», proprio per regolare il funzionamento della genitorialità quando la comunicazione tra gli ex coniugi è inesistente. Il tentativo di manipolare le relazioni con i rappresentanti delle istituzioni scolastiche a danno di uno dei due coniugi o di ostacolare il coinvolgimento attivo dell’altro genitore ha un costo notevole sul benessere del bambino. Fatta eccezione per quei casi particolari in cui, per garantire il benessere dei minori, l’autorità giudiziaria esclude dalla patria potestà uno dei due genitori, i bambini hanno il diritto di mantenere relazioni con entrambi gli adulti, e sia il padre sia la madre hanno il diritto di esprimere la propria opinione e autorizzare o meno le esperienze che riguardano la vita del figlio, anche in ambito scolastico. Il principio della bigenitorialità è garantito quindi proprio per il benessere dei figli, e sono stati definiti alcuni strumenti per assicurare una comunicazione efficace con entrambe le parti. Ecco alcuni esempi concreti che è importante presidiare, così come ben specificati dalla circolare indicata qui sopra:

Questo approccio è finalizzato a mantenere i contatti tra entrambe le parti e trasmette un messaggio importante agli alunni: gli insegnanti, oltre a essere responsabili della formazione dei minori, si fanno garanti dei loro bisogni e dei loro diritti, aiutando i genitori a collaborare nella gestione di tutto ciò che concerne il mondo della scuola. Per gli alunni è molto importante vedere adulti capaci di relazionarsi con entrambe le parti, specie nelle situazioni più conflittuali. Sapere che qualcuno si impegna per mantenere buoni contatti con tutti e due i suoi genitori alleggerisce il bambino di ansie e sofferenze, perché lo solleva dai ruoli, gravosi, di mediatore e di garante dell’efficacia della comunicazione tra scuola e genitori. Queste strategie rispondono anche ai bisogni di molti genitori che affrontano il loro coinvolgimento con la scuola con il timore di essere giudicati e di sentirsi inadeguati. La paura innesca infatti reazioni difensive e rigidità che alterano la qualità delle comunicazioni. Dimostrarsi accoglienti nei confronti di entrambi i genitori – e soprattutto non lasciarsi influenzare dai giudizi negativi e fuorvianti di una delle parti – è sempre la scelta migliore. Pensare a entrambi i genitori come a una risorsa e a un riferimento importante, a partire dalle loro reali possibilità e personalità, permette di tutelare il bene dei figli.

Attività per la condivisione emotiva

Vi proponiamo un breve racconto che abbiamo scritto qualche tempo fa per i nostri figli. È un inno alla differenza, nel rispetto di ciò che ciascuno riesce a essere, ricordando che non è sempre facile condividere con gli altri la propria unicità. Può essere letto in classe e si può poi proporre una fase di scrittura personale dove ognuno prova a raccontare agli altri gli aspetti per cui si sente un po’ diverso. Se tra i compagni il clima è buono, è molto probabile che qualcuno utilizzi questa proposta per condividere qualche fatica o problema personale. Può essere utile che l’insegnante legga prima tutti gli scritti e che in un secondo momento chieda a chi se la sente di condividerne la lettura con i compagni. Questo spunto può dare parola anche a chi sta vivendo con qualche fatica la separazione dei genitori: poterne parlare con qualcuno ha sempre una funzione liberatoria e consolatoria.

UNA STORIA PER CHI SI SENTE DIVERSO DA TUTTI

Obiettivo: creare un contesto dove ognuno può comunicare gli aspetti per cui si sente diverso dagli altri.

Celeste a testa in giù

Stella era l’acrobata più brava del suo circo. Volteggiava nell’aria, per ore, appesa a un filo, girava e girava e girava sempre a testa in giù. Il pubblico stava con la bocca spalancata e la testa all’insù. Denti splendenti e denti ridenti, denti sdentati o tutti argentati. Denti da latte e denti da carne, denti posticci venivano solleticati dalla polvere che saliva dalla pista. Per contemplare lei, la vera attrazione del circo. Stella però aveva un segreto… aspettava una bambina, ma per timore di perdere il lavoro non aveva condiviso con nessuno la sua gioia. Continuò a volteggiare, anche quando la pancia ormai era prossima a svuotarsi. La coprì con una tela argentata piena di nastrini. Tutte le notti nel cielo del tendone risplendevano Stella e la sua luna piena, sempre più piena… finché un giorno, la donna sentì che era arrivato il momento di svelare il suo segreto. Fu così che nacque Celeste, la prima bambina a testa in giù che il mondo abbia mai conosciuto.

Da principio nessuno fece caso alle sue stranezze: teneva i piedi sempre all’insù nella culla, un vezzo piuttosto comune tra i bambini; appena poté cominciò a mettere i piedi sul cuscino e la testa tra le coperte. E poi iniziò a gattonare all’indietro, sempre più rapidamente, fino a quando riuscì a fare il suo primo passo, se così si può chiamare. Celeste aspettò a lungo quel momento e quando si sentì pronta, concentrò tutte le forze nelle sue piccole braccia e, piano piano, oscillando come una bandiera al vento, provò a sollevare prima una gamba, poi l’altra. Divenne tutta rossa per lo sforzo ma la gioia di sentire il vento tra i piedi le diede l’ultimo slancio, e finalmente si sentì pronta per esplorare il mondo, ovviamente a testa in giù. Tutti provarono a rimetterla in piedi, come conviene alla maggior parte degli uomini, ma Celeste, con balzi sempre più sicuri, imparò presto a rimettersi a testa in giù.

Gli abitanti del circo si abituarono a vedere questa piccola bambina girare a gambe in aria tra le roulotte, pensarono che fosse una monelleria per passare le giornate. L’unica a non darsi pace era Stella, sua madre. Si ripeteva: «È colpa mia! Tutto quel volteggiare le ha confuso le idee, come potrà andare a scuola? Imparare un lavoro?».

In un battibaleno Celeste divenne amica di tutti gli artisti del circo: Napo Leon il domatore, Marc Ciccia il pagliaccio, Traballo l’equilibrista, Manibéige il giocoliere, Tamazi il lanciatore di coltelli… Per Celeste tutti gli uomini erano strani, con la loro testa tra le nuvole e, nel profondo del cuore, iniziò a sentirsi un po’ sola.

Divenne amica di molti animali e, tra tutti, i suoi preferiti furono da subito le formiche, gli animali più forti del mondo! Aveva visto un piccolo esemplare trasportare per molti metri un chicco di granoturco grande almeno dieci volte più di lui… ve lo immaginate cosa dovrebbe fare un elefante per dimostrare la stessa potenza? Celeste rimaneva conquistata dalle proprie scoperte.

Arrivò il giorno del suo debutto al circo. Il suo numero non poté che titolarsi: «Celeste, la bambina a testa in giù». Quando fece la sua comparsa sulla pista, il pubblico si entusiasmò: entrò come un razzo, correndo sulle mani a una velocità tale che si faticava a tenerla d’occhio. Fece trenta capovolte consecutive senza prendere mai fiato. Rimase poi in equilibrio su una mano e, con questa, cominciò a saltellare su e giù da una lunghissima scala montata fino a quasi la cima del tendone. Tutti furono costretti a spalancare la bocca per la meraviglia. Una signora del pubblico addirittura non riuscì più a chiuderla e fu costretta a correre da un medico.

Alla fine tutti si alzarono in piedi per applaudire quel prodigio di bambina. Gridavano: «Brava!», «Bis!». Lei ringraziava piegando le gambe a mo’ di inchino mentre continuava a restare a testa in giù. Dopo tre minuti di ovazioni qualcuno tra il pubblico cominciò a preoccuparsi nel vedere quella bambina sempre a testa in giù e un tizio col vocione disse forte: «Adesso basta… girati!» e per incanto quell’ultima parola conquistò le bocche di tutti: «Girati! Girati! GIRATI!».

Celeste si fermò di colpo, non era pronta per quel fuori programma, un numero troppo difficile per lei. Stella da fuori sentiva le grida della folla e il suo cuore cominciò a piangere. Poi ebbe un’idea. Mentre nel tendone rimbombava quell’invocazione lei entrò nella pista a testa in giù. Il pubblico tacque per un istante… ma poi sempre lo stesso signore riprese a incitare: «Girati! Girati!». Allora magicamente tutti gli artisti del circo entrarono in pista improvvisandosi acrobati, tutti a testa in giù. Stella e Celeste erano in prima fila, davanti a tutti. Per la prima volta si guardarono negli occhi a lungo, da molto vicino. Le luci fecero brillare le lacrime che iniziarono a scendere dai loro occhi. Silenzio. Nel tendone il tempo sembrò fermarsi. Celeste sentì all’improvviso i piedi diventare pesanti, troppo pesanti. I suoi capelli erano sempre più bagnati per le lacrime che uscivano a zampilli, e lei sentì per la prima volta il desiderio di pettinarsi. Così, di colpo, si mise in piedi. Lei l’unica a testa insù in un popolo di piedi in aria. Fu un’emozione troppo bella, ancora una volta si sentì unica.

Il pubblico gridò a gran voce la sua emozione e tutti gli artisti si misero a battere i piedi uno contro l’altro, sempre più forte. Era nata una nuova stella del circo!