Per una storia degli studi su fās si veda in particolare CIPRIANO 1978, pp. 15 sgg. DE FRANCISCI 1948, pp. 137 sgg. vedeva in fās l’espressione di un giudizio divino intorno alla conformità o difformità di una certa azione o di un certo comportamento rispetto a un ordine superiore; in ius invece un concetto astratto di ordine divino, che si rivela in ogni situazione contingente. Sia ius sia fās sarebbero stati comunicati al popolo dal rex. Come si vede, però, secondo questa interpretazione fās e ius, entrambi di origine divina, verrebbero alla fine a coincidere. L’assunto di ORESTANO 1939 era che «il piú antico diritto romano, come qualsiasi antico sistema normativo, non aveva separazione fra norme considerate d’origine divina e norme di origine umana» (p. 197). Di conseguenza in origine sia lo ius divinum sia lo ius humanum avrebbero avuto origine religiosa. Perché si avesse una simile partizione occorreva che anche le norme che noi siamo soliti considerare raggruppate nella nozione di fās fossero appartenenti allo ius. La teoria di Orestano appare complicata dal fatto che, a suo parere, la partizione ius divinum e ius humanum in base all’oggetto delle norme sarebbe appartenuta alla fase primitiva; quella invece che riguarda la origine di questi due diritti sarebbe stata posteriore. Dunque agli inizi un solo ius si sarebbe occupato dei due ambiti umano e divino. In seguito sarebbe stata elaborata la distinzione fra ius divinum e ius humanum in termini di origine (pp. 199 sg.); mentre da un certo momento in poi, con la separazione fra diritto di origine teocratica e il diritto di origine laica, la distinzione fra ius divinum e ius humanum sarebbe venuta ad assumere, accanto al significato primitivo, il significato ancora oggi comunemente attribuitole, di diritto di origine divina e di diritto di creazione umana (p. 202). In altre parole, la norma religiosa e la norma giuridica si sarebbero separate solo in seguito. Agli inizi la norma era ancora a tutt’uno, religiosa e giuridica al tempo stesso, e si distingueva solamente per l’oggetto, che poteva essere divino o umano. La distinzione fra res divini iuris e res humani iuris, al centro del diritto classico, rappresenterebbe ancora il residuo di una concezione che ci riporta alle piú lontane origini, quando le norme religiose e quelle giuridiche differivano solo per l’oggetto (p. 209). Il diritto protostorico si sarebbe formato attraverso il ripetersi di situazioni nelle quali alcuni atti venivano di volta in volta permessi o vietati da manifestazioni della volontà divina previamente richieste: nella fattispecie, fās est indicherebbe ciò che «è dicibile» in fatto di parole, ius est «ciò che è fattibile» in fatto di azioni. Di nuovo, dunque, non ci sarebbe una vera differenza tra fās e ius, nel senso che (in definitiva) tutto il diritto sarebbe di origine divina.
Inoltre, nel suo celebre studio Orestano metteva in relazione la definizione di fās data da Isidoro (fās lex divina est, ius lex humana) con alcune testimonianze antiche in cui ricorreva l’espressione lex divina, leges divinae (o deum). Il ricorso a tali testimonianze va inquadrato nella già citata teoria dello studioso, secondo cui sarebbe esistita una «prima» concezione dell’opposizione fra ius divinum e ius humanum, pertinente all’oggetto di queste due forme di ius (le res degli uomini vs. le res degli dèi); e una «seconda», piú recente, pertinente invece alla origine (rispettivamente umana e divina) di queste due forme di diritto. Di questa presunta evoluzione – dall’oggetto divino all’origine divina del ius divinum – la testimonianza di Isidoro avrebbe costituito il «termine finale». Va comunque notato che negli esempi portati da Orestano non si parla mai di lex divina in assoluto, ma di lex humana et divina o leges humanae et divinae (/deum), leggi cioè che pertengono sia agli uomini sia agli dèi; e che le sfumature di senso fra i vari casi citati sono notevoli. Soprattutto, però, nulla consente di attribuire a simili espressioni il senso di «legge di origine divina», «legge dettata dagli dèi», come nel caso di Isidoro. Il primo esempio è costituito dal celebre passo enniano che descrive l’«amico perfetto» di Servilio Gemino (Annales 281-283 Skutsch): multa tenens antiqua, sepulta vetustas / quae facit et mores veteresque novosque tenentem, / multorum veterum leges divumque hominumque. Il testo è incerto, ma a quel che si comprende fra le innumerevoli doti del prezioso «amico», descritte nei versi che precedono e seguono questa citazione, stanno anche le sue conoscenze (diremmo) di «antiquario»: egli è esperto di tradizioni antiche, che il trascorrere del tempo ha sepolto nell’oblio, di costumi antichi e nuovi, di «leggi umane e divine» proprie di numerosi «antichi». Insomma, è un esperto anche dello strato piú antico del ius divinum e del ius humanum nel senso piú tradizionale di questa opposizione. C’è poi il caso di Cicerone, De officiis 3.5.23: atque hoc [che si mantenga saldo il vincolo fra i cittadini] multo magis efficit ipsa naturae ratio, quae est lex divina et humana. Neppure in questo caso, però, è in gioco l’origine divina di una legge. Il contesto è stoico e la discussione verte sul divieto di «nuocere ad altri»: come si dice nelle righe precedenti ciò costituisce un principio riconosciuto dallo ius gentium, dalle leggi di tutti i popoli, dalle quali sono governate le singole civitates, che ha la sua origine in ciò che prima di tutto impone la natura, la legge naturale, comune a uomini e dèi. Infine, Orestano cita il senatusconsultum de sumptibus del 176-178 d.C. (CIL II Suppl. 6228, p. 1032; ILS II.1.5163) in cui ricorre il nesso quae omnibus legibus et divinis et humanis prohibentur. Il caso riguarda la cosiddetta «peste antonina» (seconda metà del II secolo), cui i principi Antonino Pio e Commodo, come si evince dal testo dell’iscrizione, cercano in ogni modo di porre rimedio. Essi ne individuano le cause (quae causa illi morbo vires daret) nell’ira divina scatenata da una colpa commessa, identificata nel fatto che alcuni intascavano danaro proveniente dai ludi gladiatorii. La violazione delle «leggi umane e divine» consiste dunque nel fatto di intascare foeda et inlicita vectigalia, danaro macchiato di sangue umano. Negli altri pochi casi di autori classici in cui ricorre, il nesso lex divina è sinonimo di «principio dettato dalla natura»: Columella, De re rustica 4.10.3 [autumno] divina quadam lege et aeterna fructum cum fronde stirpes deponunt; Avieno, Aratea 1802 quadam lege deorum his [gruibus] comes est imber.
PEETERS 1945 (cit. da CIPRIANO 1978, p. 28) infine proiettava il binomio fās/ius sul passato di Roma, città che si vuole creata dalla fusione fra Romani e Sabini: di conseguenza faceva di fās il diritto proprio dei Sabini che – piú magici dei Romani – avrebbero espresso tramite questo termine la nozione di «tabu»; mentre ius avrebbe designato il diritto proprio dei Romani; si veda anche l’ampia sintesi di F. SINI, s.v. «fas», in EV II (1985), pp. 466-68.