Appendice quinta

Cosmologie animistiche?

In alcune correnti degli studi antropologici piú recenti (rappresentate soprattutto da Eduardo Viveiros de Castro e Philippe Descola) si è verificata quella che è stata definita una «svolta ontologica», a seguito delle diverse filosofie anti-cartesiane che si sono sviluppate negli ultimi decenni. In altre parole le cosmologie amazzoniche ricostruite da questi studiosi (sempre tenendo conto del fatto che il terreno su cui si basano è tanto affascinante quanto scivoloso) mostrerebbero che in questi mondi ciò che è umano non è mai del tutto distinto da ciò che non è umano. Un’unica soggettività accomunerebbe non solo umani e animali, ma anche spiriti, fenomeni atmosferici e molti altri esseri od oggetti che gli occidentali considerano inanimati. In definitiva, ciò che si verifica in questo tipo di società è un fenomeno che, per converso, invita piuttosto a riflettere, e a mettere in discussione, alcuni aspetti del nostro modo di concettualizzare il mondo. Tra queste popolazioni infatti risulterebbe che l’opposizione uomo/natura, cosí cara alla cultura occidentale, non è condivisa1. «A differenza del naturalismo, che presuppone una dicotomia fondamentale fra natura oggettiva e natura soggettiva, l’animismo concepisce un universo intersoggettivo e personalizzato in cui la divisione cartesiana fra persona e cosa è dissolta e resa spuria. Nel cosmo animista gli animali, le piante, gli esseri e le cose possono apparire tutti come soggetti e persone dotati di volontà, intenzione e azione. Il primato della causalità fisica è sostituito dalla causalità intenzionale e dall’agire sociale»2. Vi sono dunque angoli di mondo (appartenenti non solo all’America meridionale e settentrionale, ma anche alla Siberia e all’Asia Sud-orientale) in cui il rapporto fra natura e persona, per come lo impostiamo noi, appare in qualche modo rovesciato. Secondo i parametri occidentali, infatti, uomini, animali e piante sono accomunati da uno stesso genere di fisicità (appartengono tutti alla natura), ma sono separati da una diversa interiorità, in quanto tale dote viene riservata solo agli umani; al contrario, nelle società animistiche vige una concezione del mondo in cui uomini, animali e piante sono accomunati da uno stesso tipo di interiorità, mentre a separarli è piuttosto la loro fisicità (uomo, animale e piante appartengono a ordini differenti e separati). Tale inversione di prospettiva fra queste due diverse visioni cosmologiche ha una conseguenza importante: presso le società di tipo animistico non avrebbe senso parlare di soprannaturale, per il semplice fatto che esse non condividono con l’Occidente una medesima idea di natura. Porre queste differenze di cosmologia, riscontrabili fra «noi» e «loro», in termini di un maggiore o minore progresso culturale, quasi che le società le quali non condividono la cosmologia naturalistica dell’Occidente fossero semplicemente piú arretrate – primitive – ci farebbe naturalmente ripiombare nei pregiudizi evoluzionistici del passato. «Nessuno al giorno d’oggi si sognerebbe di ricondurre tali idee a una mentalità “primitiva”»3. Tanto piú che civiltà antiche e altamente sofisticate, come quelle che si sono sviluppate in India e Giappone, «mostrano una simile riluttanza ad attribuire alla natura lo status di dominio indipendente. Nel pensiero giapponese non c’è spazio per una oggettivazione riflessiva della natura»4. Non è questa la sede, comunque, per sviluppare una problematica che appassiona gli antropologi contemporanei e tante riflessioni (invero assai attuali) potrebbe suscitare sul modo in cui noi occidentali pensiamo le relazioni fra il mondo che ci circonda, la natura e noi stessi. Specie se consideriamo da un lato la drammatica emergenza ecologica che ci troviamo a vivere, dall’altro il mutato modo di guardare a piante e animali – sempre piú considerati «soggetti» capaci di intenzioni – che in Occidente caratterizza ormai molta parte della scienza contemporanea5. In ogni caso tornare a riflettere sulla cultura romana avendo in mente categorie non-cartesiane, di tipo cioè «animistico», potrebbe costituire una prospettiva di grande interesse – se non altro per vedere se ne esiste qualche traccia oppure (come sostiene in particolare Descola) è proprio nel passato classico della nostra cultura che si afferma l’opposizione fra l’io e il mondo.