Origini e successo di una nuova formula culturale

1. Le corporazioni e la massoneria scozzese

Le origini della massoneria sono apparse sempre circondate da un velo di mistero; più si risale indietro nella storia, più questo mistero sembra infittirsi. Eppure, ritornando al passato, si ha talvolta l’impressione che questo mistero venisse creato ed alimentato dagli stessi membri dell’organizzazione massonica, a mano a mano che andava acquistando sempre maggiore prestigio. Alla vigilia della Rivoluzione francese la dimensione mitica che accompagnava l’origine della massoneria appariva ormai consolidata attorno ad alcuni punti chiave della leggenda muratoria, legati alla storia più antica, cioè al mito ermetico ed egizio, e a quella più recente, in particolare alle origini inglesi.

Ad una lettura più attenta, è un dato di fatto che gran parte di queste leggende e di queste ricerche ossessive sulle origini della muratoria venissero sviluppate soprattutto nel corso del XVIII secolo, quando ormai la massoneria esisteva da almeno un secolo. Inoltre, la dimensione mitica delle origini massoniche subì nel corso della storia moderna l’inevitabile attrazione di due tradizioni culturali ben diverse tra loro: l’una riferita alla storia inglese e alla lotta protestante, l’altra alla storia delle Crociate e alla tradizione cattolica.

Della prima versione c’è traccia già nella parte iniziale delle Constitutions of the Free-Masons, il documento fondamentale della massoneria inglese, redatte da James Anderson nel 1723. Vi si faceva risalire l’origine della massoneria al X secolo, al Medioevo inglese, quando il principe sassone Edwin aveva convocato la prima assemblea generale dei muratori. Da quell’epoca aveva iniziato la sua diffusione, trovando appoggi nei sovrani della dinastia Stuart soprattutto a partire dal Seicento, con Giacomo I e con Carlo II. Secondo questa fonte, quindi, lo sviluppo della massoneria sarebbe stato merito della dinastia inglese e in particolare dei sovrani scozzesi e cattolici, sensibili alle tradizioni più antiche del popolo britannico.

Le origini della muratoria sembrano quindi legate agli Stuart e al Medioevo, ed è su questo nucleo che si innestano ulteriori sviluppi. Nel 1738 apparve un trattatello scritto in francese e intitolato La Réception mystérieuse, che si presentava come traduzione fedele di un opuscolo inglese apparso otto anni prima ad opera di tale Samuel Prichard. In realtà, l’edizione francese non era una semplice traduzione ma una vera e propria rielaborazione dell’originale inglese. Tra le molte aggiunte e modificazioni inserite nell’edizione del 1738, c’era anche l’affermazione che le origini della massoneria erano strettamente collegate ad un evento specifico della storia politica inglese, cioè alla rivoluzione del 1642, all’opera di Oliver Cromwell e dei repubblicani avversari della dinastia Stuart e restauratori dell’anglicanesimo (Jacob, 1995). A partire da questo momento si consolidava così un nuovo mito, che legava le origini della massoneria alla Rivoluzione inglese e che sarebbe riaffiorato prepotentemente nelle situazioni più diverse. Nell’Olanda scossa dalla rivoluzione del 1747, quando i massoni sarebbero stati accusati di essere antimonarchici, repubblicani ed eredi della tradizione di Cromwell; durante la Rivoluzione americana del 1776, per sottolineare la matrice repubblicana e antidispotica delle logge; nel 1791, quando gli oppositori della Rivoluzione francese avrebbero accusato i massoni di aver ordito il complotto contro il Trono e l’Altare. Una curiosità, sulla quale ritorneremo: il 1738, l’anno in cui è documentato per la prima volta il mito repubblicano e antidispotico, è anche l’anno della prima condanna della massoneria da parte cattolica, attraverso la bolla di papa Clemente XIII.

Come si vede, nell’Europa degli anni Trenta del Settecento circolava già la tesi secondo cui le origini della massoneria risalivano alla tradizione repubblicana inglese, antimonarchica e rivoluzionaria, antidispotica e costituzionale: antigiacobita e whig. Una tesi sostenuta anche da parte cattolica, in chiave evidentemente negativa, dopo la condanna pontificia del 1738 e ripresa ogniqualvolta un rivolgimento politico metteva in campo l’alternativa fra l’assolutismo del principe e una costituzione repubblicana, come sarebbe avvenuto nell’Olanda del 1747 e nella Francia del 1791.

Accanto alla versione dell’origine inglese della massoneria, legata agli Stuart oppure, secondo l’altra ipotesi, all’esperienza repubblicana, nacque negli anni Trenta del XVIII secolo un’altra tradizione, di cui si trova traccia già nei manoscritti del cavaliere Andrew Michael Ramsay, risalenti – si noti la coincidenza cronologica – al 1738. Si tratta di un mito elaborato dai massoni di estrazione aristocratica, dai giacobiti sostenitori di Giacomo II Stuart, cioè dalla fazione cattolica e tory che aspirava ad una restaurazione della monarchia Stuart. Si fondava sulla tesi secondo cui la nascita della massoneria andava collegata alla tradizione cristiana e cattolica, e in particolare ai principi crociati di ritorno dalla Terrasanta. La massoneria sarebbe stata promossa dai re scozzesi, protetta poi in Inghilterra dal re Carlo I, e diffusa in Francia proprio a partire dalla Scozia.

Solo più tardi, nell’epoca della crisi dell’assolutismo e della società di Antico Regime, si sarebbero affermate altre leggende, nuovi miti, come quello dell’origine orientale della muratoria. Negli anni Settanta del Settecento i massoni francesi avrebbero sostenuto che la massoneria aveva avuto origine in Oriente, in terre dominate dal dispotismo e da climi torridi permeati di feudalesimo, con lo scopo di riscattare l’individuo dalla sua condizione di abbrutimento, fino a diventare una sorta di antidoto contro ogni forma di autoritarismo.

Già nella prima metà del Settecento il mito delle origini si colorava quindi di inequivocabili significati politici, che rimandavano ora alla tradizione anglicana e repubblicana inglese, ora a quella scozzese, cioè ad un paese che era sì a prevalenza calvinista ma governato da sovrani cattolici, gli Stuart. Su un punto, però, entrambe le versioni sembravano già allora concordi: nel ricercarne in Gran Bretagna le origini. Da lì sarà opportuno ripartire alla ricerca delle radici della muratoria in età moderna.

È accertato, ormai, che la massoneria si sviluppò originariamente in area britannica attraverso l’evoluzione e trasformazione delle antiche corporazioni o gilde, indebolite sempre più nel corso del Seicento con i ripetuti tentativi di affermare l’assolutismo. In Scozia le corporazioni persero i privilegi e i diritti monopolistici nel 1672 per intervento del parlamento, più o meno nello stesso periodo in cui ciò avveniva anche in Inghilterra. Nuove esperienze economiche, un mercato più dinamico, una società maggiormente aperta rendevano necessariamente meno rigidi i rapporti tra aristocrazia, gentry (la nobiltà al servizio del sovrano) e società civile, proprio nel momento in cui la presenza di corpi intermedi rappresentava, un po’ ovunque nell’Europa del tempo, un ostacolo alla concentrazione dei poteri nelle mani dei sovrani.

Le corporazioni di artigiani muratori godevano nella struttura sociale dell’Antico Regime di un prestigio superiore a quello di altre associazioni di mestiere. I mastri muratori, riconosciuti e accettati nella corporazione, entravano in possesso di una serie di tecniche, di conoscenze e di princìpi che consentivano loro di svolgere un’attività che sconfinava nella progettazione ingegneristica. La corporazione possedeva inoltre una tradizione culturale e propri miti assai più complessi rispetto a quelli delle altre gilde. Un patrimonio che si rifaceva ai segreti matematici e architettonici – lontani nel tempo e nella memoria – che avevano consentito la costruzione delle grandi cattedrali medioevali, realizzando edifici imponenti per dimensioni e complessità di calcolo. La corporazione muratoria scozzese possedeva già un complesso di tradizioni e leggende attestate sin dal Quattrocento (i cosiddetti Old Charges), secondo cui la muratoria, intesa come geometria, veniva considerata una delle sette arti liberali, fondata ad opera di personaggi citati dalla Genesi, cioè i figli di Lamec, fratello di Noè. Mentre Noè caricava sull’arca tutte le specie umane per la loro salvezza, Jabal figlio di Lamec aveva inciso su colonne di pietra le maggiori scoperte e invenzioni per salvarle dal fuoco e dal diluvio. Una di queste colonne era stata riscoperta molto più tardi da un pronipote di Noè, Ermete Trismegisto, e le informazioni tecniche così recuperate erano servite per la costruzione della torre di Babele. Tali conoscenze sarebbero state poi trasmesse agli egiziani da Abramo dopo la fuga in Egitto e ad esse Euclide avrebbe dato il nome di geometria. In Terrasanta, infine, i muratori avevano trovato protezione in David, e queste stesse maestranze avevano cominciato, sotto Salomone figlio di David, la costruzione del tempio di Gerusalemme.

Quando ci accingiamo a ricostruire le vere origini della muratoria per capire in che modo la corporazione dei muratori iniziò la trasformazione in loggia massonica, le informazioni a nostra disposizione cominciano a scarseggiare. Sappiamo che già dal tardo Cinquecento all’interno delle corporazioni di tagliapietre e di architetti scozzesi era vivo l’interesse per l’ermetismo rinascimentale, cioè per quella tradizione filosofica, logica e matematica che aspirava allo studio della natura e alla ricerca della perfezione umana attraverso lo studio dell’architettura e della filosofia. Questa attenzione per l’ermetismo si rifaceva alla cultura italiana e all’opera di Giordano Bruno, nonché alla tradizione classica che legava gli studi filosofici a quelli matematici. Si tratta di un complesso di conoscenze che venne diffuso nelle logge scozzesi intorno al 1590 da William Schaw (circa 1550-1602), maestro delle opere del re di Scozia (King’s Master of Works). Schaw, che conosceva sia il pensiero di Bruno sia il rosacrocianesimo, contribuì così a rafforzare nelle corporazioni artigiane scozzesi la consapevolezza che le loro tradizioni, la conoscenza dei princìpi di matematica e di architettura, la conservazione e la trasmissione del segreto della loro arte potevano essere utilizzati nella ricerca del modo di conoscere la natura in chiave mistica, di raggiungere la perfezione umana e quella universale, di comprendere i segreti dell’universo. Gli artigiani delle corporazioni sarebbero stati particolarmente sensibili e predisposti a queste suggestioni, poiché già nella loro stessa cultura – come si è visto – esistevano dei miti e tradizioni misteriche, che ricollegavano la loro arte al matematico Euclide e alla scienza degli egizi (Stevenson, 1988).

La figura di Schaw appare in qualche modo rappresentativa delle diverse tradizioni culturali che già dalla fine del Cinquecento confluivano nel patrimonio ideale delle gilde e poi delle logge massoniche. Da una parte l’ermetismo e il pensiero filosofico di Giordano Bruno e, più in generale, la cultura rinascimentale di origine italiana; dall’altra il rosacrocianesimo, una forma di misticismo diffusa nel mondo germanico, le cui origini leggendarie venivano fatte risalire all’opera di Christian Rosenkreutzer (un cavaliere che si asseriva fosse vissuto fra il 1378 e il 1485), ma che in realtà stava assumendo connotazioni più precise alla fine del XVI secolo. Proprio nel 1598 a Norimberga l’alchimista Studion fondò una Militia Crucifera Evangelica, cioè una società cavalleresca con scopi mistici, le cui teorie vennero poi esposte nell’opera Naometria (1604). In quegli stessi anni gli esponenti del rosacrocianesimo avviavano nell’Europa continentale un’intensa attività culturale basata sul recupero di dottrine teosofiche e occulte legate all’esoterismo musulmano e all’esperienza degli Alumbrados, gli Illuminati spagnoli che utilizzavano il misticismo ebraico della qabbalah. Tutte queste esperienze dovevano poi confluire, tra il 1614 e il 1619, nella codificazione delle regole, delle origini e degli scopi della confraternita dei Rosacroce attraverso gli scritti di Johan Valentin Andreae, la Fama Fraternitatis Rosae Crucis, la Confessio Fraternitatis e le cosiddette Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz (Chymische Hochzeit Christiani Rosencreutz).

William Schaw non è comunque l’unico personaggio al quale gli studiosi fanno risalire le basi intellettuali per la trasformazione della corporazione in loggia massonica. A lui sono state accostate altre figure, come quella di Alexander Dicson (1558-1604), un allievo di Giordano Bruno celebre per aver scritto un trattato dal titolo Thamus (Leida 1597) sull’arte magica della memoria, e quella del medico Robert Fludd (1574-1637), che a seguito di un viaggio di sei anni attraverso l’Europa (1598-1603) portò in Inghilterra i riti e le dottrine rosacrociane.

Vi sono poi altri elementi da tenere in considerazione. William Schaw era un architetto con importanti incarichi alla corte di Giacomo VI Stuart, per il quale sembra curasse le relazioni fra i cattolici scozzesi e quelli del continente, specie francesi. Da qui l’interrogativo se le gilde potessero essere, oltre che corporazioni di mestiere, anche una struttura di natura politica o «settaria». La corporazione, in questa fase, aveva già una sua organizzazione; era retta da statuti ed era guidata da un «guardiano dell’arte muratoria», carica che venne assegnata nel 1590 dal re di Scozia a Patrick Copland di Udoch (Stevenson, 1988). Otto anni più tardi Schaw si diceva «guardiano generale» (general Warden) delle gilde scozzesi ed emanava una serie di statuti e regole che riordinavano le gilde in logge e dettavano i princìpi cui tutti dovevano uniformarsi. Le regole per essere ammessi sembravano, in questo momento, ormai severe: vi si accedeva dopo quattordici anni di apprendistato, erano previste delle assemblee provinciali dei muratori e venivano istituiti un guardiano per ciascuna loggia e un guardiano generale eletto dai guardiani delle singole logge. Qualche altro indizio è suggerito dagli statuti del dicembre 1599 per la loggia di Kilwinning, riconosciuta dopo quella di Edimburgo come seconda loggia di Scozia competente per tutto il territorio occidentale, e seguita ben presto da una terza loggia, quella di Sterling. Questi statuti avevano la precisa funzione di introdurre una nuova regolamentazione comune a tutte le logge. Stabilivano una serie di prove per l’ammissione dei membri e li distinguevano in base al diverso grado di conoscenza dell’«arte della memoria»; imponevano il giuramento e introducevano la divisione tra apprendisti (prentice) e compagni (fellow-craft). Questa nuova organizzazione fa già supporre che sin dal tardo Cinquecento la loggia in Scozia non fosse più solo una corporazione di mestiere, ma anche un luogo di iniziazione all’arte della memoria e alla sua scienza (Giarrizzo, 1994). Che cosa poi fosse quest’arte della memoria o almeno come venisse intesa dai contemporanei, risulta più chiaro dalle discussioni di quegli anni fra Dicson e i teologi puritani. L’arte della memoria era vista come un processo di apprendimento che presupponeva un’anima insensibile e cieca rispetto al bene e al male, che doveva essere attivata o coltivata attraverso le immagini, grazie alla sollecitazione delle passioni per mezzo dell’astrologia e della cabala. Era considerata insomma un esercizio per rendere la mente attiva e non schiava del ricordo, un’arte che non poteva essere scritta ma doveva rimanere affidata alla tradizione, per essere custodita e tramandata come un segreto e comunicata, attraverso il rito di iniziazione, solo a coloro che sarebbero stati prescelti.

Fu questo probabilmente il percorso principale attraverso il quale furono trapiantate nella tradizione delle corporazioni di mestiere le prime dottrine mistiche e filosofiche. Un’impresa che consentiva alla muratoria di trasformarsi da «operativa» in «speculativa» e di apparire per ciò stesso oggetto di interesse non più soltanto agli occhi degli artigiani, ma anche dei gentiluomini con interessi filosofici.

Dagli anni Trenta del Seicento sono documentati infatti gli ingressi in loggia di persone estranee all’arte della muratoria e non è forse un caso che si trattasse di personalità con interessi ermetici e alchemici. Una di loro era Elias Ashmole, antichista e studioso di alchimia di Oxford ammesso ad una gilda nel 1640, grazie alla sua cultura matematica e ai suoi trascorsi di ufficiale di artiglieria, che gli avevano dato conoscenze di balistica e di arte militare. Casi analoghi furono quelli di Alexander Hamilton e di Robert Moray, entrambi artiglieri, ammessi nella loggia di Londra.

Questi e altri esempi mostrano come gradualmente, dall’inizio del Seicento, la muratoria mutò aspetto e cominciò ad ammettere nelle logge anche coloro che non svolgevano l’attività artigiana. La vicenda di Ashmole, di Hamilton e di Moray non deve tuttavia far supporre che questo processo di apertura e di allargamento fosse legato soltanto alla diffusione degli interessi per l’ermetismo rinascimentale. Vi furono anche altre ragioni che portarono la corporazione ad accettare al suo interno persone estranee all’arte muratoria.

La straordinaria documentazione della loggia di Dundee in Scozia, accuratamente vagliata dagli storici, fornisce molti elementi per capire come, almeno in quella parte dell’isola, si realizzarono tali mutamenti. All’inizio del Seicento Dundee da fiorente porto commerciale stava decadendo a città di provincia, vittima nel 1651 del saccheggio ad opera delle truppe parlamentari inglesi e scavalcata in termini di prestigio commerciale dai porti sull’Atlantico, divenuti sempre più importanti. Una carestia e il progressivo declino economico avevano completato un quadro già nel suo complesso a tinte fosche. Dundee contava in quell’epoca una dozzina di corporazioni artigiane, di differente importanza ma tutte organizzate al loro interno secondo le regole proprie delle associazioni di mestiere. I documenti della locale loggia ci mostrano come l’ammissione di non muratori debba essere letta proprio alla luce della crisi economica e sociale e in relazione alla necessità di trovare i mezzi per rinnovare il vincolo di solidarietà, anche finanziaria, che consentissero di aiutare i «fratelli caduti in rovina» e le vedove di quelli deceduti. La loggia, in altri termini, versava in gravi problemi economici, ai quali cercava di dare risposta ammettendo persone estranee all’attività artigianale, ma disposte a versare una somma di denaro per conoscere i segreti dell’arte muratoria e per partecipare alle discussioni filosofiche. È significativo il fatto che all’inizio l’ammissione sembrava comunque limitata a quanti, pur non essendo muratori, erano legati a loro da un vincolo di parentela, ed erano in grado di mantenere un rango sociale sufficientemente elevato in modo da garantire l’apporto finanziario. Un verbale della loggia di Dundee del novembre 1700 è straordinariamente chiaro nel punto in cui, riconoscendo le difficoltà finanziarie, si deliberava di ammettere estranei (strangers) dietro il versamento di un compenso, che garantiva l’estensione al nuovo socio della licenza (freedom) – cioè la facoltà di esercitare liberamente il proprio mestiere all’interno della città – e dei privilegi di cui godeva la gilda.

Questo spiega perché, come risulta dagli studi sulla composizione sociale delle logge in questa prima fase, i nuovi affiliati fossero in prevalenza mercanti, seguiti da un buon numero di nobili di campagna esponenti della gentry.

In quest’epoca due erano le fonti delle regole per la vita delle logge: gli statuti e i catechismi. Gli statuti contenevano le regole e i riti per l’ammissione e ne enunciavano i miti, la leggenda che accompagnava la nascita della muratoria. Venivano letti ad ogni raduno della loggia e, ricordando ai fratelli la loro antica tradizione, servivano a rafforzare il vincolo di appartenenza. I catechismi erano invece testi in forma di dialogo che contenevano la parte esoterica, quella «parola massonica» (Mason Word) che rappresentava il patrimonio intellettuale da trasmettere agli adepti, e solo a quelli più direttamente investiti di responsabilità organizzative. La conoscenza o meno della Mason Word costituiva all’interno della loggia l’elemento che discriminava il rango e la posizione dei diversi membri. Fino all’inizio del Settecento la vita in loggia sarebbe rimasta regolata talvolta da statuti, talvolta da catechismi, qualche altra volta da entrambi, con cerimonie di iniziazione e rituali ancora fluidi e molte differenze fra loggia e loggia. Solo dagli ultimi anni del XVII secolo cominciarono i primi cambiamenti: l’espressione freedom venne sostituita con quella di liberty, un’estensione dell’antico privilegio della gilda, basata sulla possibilità di svolgere liberamente il commercio all’interno della città, al di là delle limitazioni originarie che lo volevano riservato ai soli cittadini. Contemporaneamente, altri cambiamenti interessarono le regole fondamentali della vita massonica: venne introdotto un periodo di preparazione all’ingresso in loggia, seguito da una serie di prove, compreso l’esame sul catechismo massonico. Fu stabilito l’obbligo del giuramento, a seguito del quale poteva essere comunicata la «parola massonica», la cui conoscenza serviva ormai a riconoscere i fratelli in loggia. Persino la posizione della loggia obbediva ormai ad un preciso codice: la disposizione est-ovest (a est stava il guardiano e a ovest i «fratelli») era legata ad un significato misterico. Si sviluppava anche una nuova simbologia, rappresentata anzitutto dall’abbigliamento: grembiule, guanti, compasso, la squadra, il filo a piombo.

È questa la fase storica alla quale i documenti della loggia di Dundee fanno risalire la trasformazione definitiva della gilda artigiana in loggia, cioè in un luogo di sociabilità caratterizzato da una serie di pratiche e di rituali che si estendevano oltre la cerchia originaria degli artigiani. Una trasformazione che veniva resta possibile, però, da un particolare contesto politico.

2. La massoneria e la Rivoluzione inglese

La storia della Gran Bretagna fino agli ultimi anni del XVII secolo è contrassegnata dai continui conflitti fra il potere del parlamento inglese e quello dei sovrani, a partire da Carlo I Stuart (1625-1649) fautore di un progetto assolutistico, sfociato nella guerra contro la Scozia (1639-40), nella sconfitta militare e poi nella guerra civile, fino alla decapitazione del sovrano e alla proclamazione della repubblica (1649). Eppure proprio in questo periodo la muratoria cominciò a crescere e a dilatarsi, per estendersi negli anni della repubblica e della dittatura di Cromwell all’intero territorio inglese.

Nonostante la tradizione e la leggenda massonica, appare oggi assai dubbio il coinvolgimento dei muratori nelle vicende della Rivoluzione inglese. È più verosimile, invece, che la diffusione della muratoria dalla Scozia all’Inghilterra debba essere fatta risalire almeno al regno di Giacomo VI Stuart, re di Scozia, divenuto re d’Inghilterra, con il nome di Giacomo I, dopo la morte senza eredi diretti di Elisabetta I Tudor. Dal 1603, le due corone di Scozia e di Inghilterra si trovarono così unite in una sola persona e da quel momento le logge presero a insediarsi nel territorio inglese, subendo più decisamente l’influenza della tradizione rosacrociana del platonismo, dell’erudizione e dell’antiquaria (Arnold, 1989). Il caso di Elias Ashmole, citato in precedenza, che entrò in loggia nel 1646, ben può esemplificare questo cambiamento: Ashmole era nello stesso tempo antiquario e chimico, astrologo e cabalista. Era attratto dalla loggia e partecipava alle sue attività perché lo spazio massonico era diventato ai suoi occhi una forma di sociabilità di grande interesse, ancora maggiore rispetto a quello suscitato dalle più antiche istituzioni accademiche. Il caso di Ashmole rappresenta già un segnale della progressiva estensione del fenomeno delle logge in area inglese; altri indizi vengono dagli scritti di alcuni intellettuali suoi contemporanei. Nel 1686 veniva pubblicata a Oxford una storia naturale dello Staffordshire (The Natural History of Staffordshire) firmata da Robert Plot, conservatore del museo Ashmole, in cui si raccontava che nel nord dell’Inghilterra già esisteva una «Society of Freemasons». Questa società ammetteva i nuovi membri attraverso un rito iniziatico nel corso del quale venivano comunicati alcuni segni segreti, mentre la rivelazione di ulteriori conoscenze era rinviata ad un secondo momento, dopo la pronuncia di un solenne giuramento (Giarrizzo, 1994). Qualche anno più tardi altri eruditi e antiquari dello Wiltshire e del Chester, sempre regioni dell’Inghilterra settentrionale, parlavano dell’esistenza di una società «chiamata dei Framassoni». Dichiaravano di possedere una copia manoscritta degli Old Charges e facevano risalire la nascita della massoneria all’iniziativa di un pontefice medievale che aveva rilasciato lettere patenti ai costruttori di chiese e ad alcuni architetti italiani, di lì a poco riuniti in logge. Il rapporto tra la massoneria e il cattolicesimo sembrava confermato dal fatto che Ashmole e i suoi seguaci appartenevano all’area giacobita (così erano definiti i sostenitori della dinastia Stuart e dei discendenti di Giacomo I). Infatti la diffusione delle logge aumentò con la restaurazione degli Stuart alla fine della repubblica (1660) soprattutto in provincia, dove la monarchia impose «una scomposizione e una ricomposizione del settarismo politico-religioso degli anni Quaranta e Cinquanta secondo nuovi bisogni e modelli di sociabilità» (Giarrizzo, 1994).

Il radicamento nell’area inglese portò però ad un profondo cambiamento nella struttura della massoneria. Essa cominciava a perdere gradualmente il suo carattere provinciale, giacobita e cattolico per diventare un fenomeno prevalentemente urbano e protestante. Le antiche corporazioni di muratori non furono più in grado di controllare il mestiere e così dapprima in Scozia e poi nel resto dell’isola si spezzò ogni residuo legame tra massoneria operativa, quella legata al mestiere di muratore, e massoneria speculativa, ormai dedita prevalentemente agli studi filosofici, alchemici e scientifici. A promuovere la diffusione del modello vincente, quello della massoneria speculativa, erano ora anche gli ugonotti, cioè i calvinisti francesi in esilio, allontanati dalla Francia dopo la revoca dell’editto di Nantes nel 1685. Quattrocentomila emigranti si erano spostati dalla Francia nel resto d’Europa (molti nell’elettorato del Brandeburgo, futuro regno di Prussia) e di questi almeno ottantamila in Inghilterra, dove si erano schierati con il partito whig ed erano diventati sostenitori del sistema di governo basato sulla costituzione parlamentare. Con loro, poi, era giunto anche un modello culturale di società cavalleresca il cui originale – derivato dalle Highlands scozzesi – era stato già diffuso nei circoli giacobiti cattolici di Francia e Italia.

Proprio alla fine degli anni Ottanta la muratoria viveva così da vicino i grandi avvenimenti che avrebbero mutato il corso della storia inglese: il conflitto religioso e il problema della successione al re Carlo II. Due problemi che dovevano condurre direttamente l’Inghilterra verso la «gloriosa» rivoluzione del 1688-89: nel parlamento, dove si erano formati due schieramenti politici, quello dei tories sostenitori della monarchia, e quello dei whigs, avversari della successione cattolica, si affermarono dapprima (1681) i tories, assicurando la successione di Giacomo II Stuart, ma ben presto (1688) prevalsero i whigs, che offrirono la corona a Guglielmo d’Orange, ripristinando il protestantesimo e ristabilendo la monarchia costituzionale di nomina parlamentare (Jacob, 1983). La rivoluzione del 1688-89 ebbe però anche il potere di trasformare i whigs – e i massoni che vi erano legati – da una forza di opposizione con tendenze repubblicane in un partito di governo con nuove responsabilità politiche. Nelle logge, si cominciò ad assistere ad un progressivo «declino del magico», cioè ad una diminuzione dell’interesse per l’ermetismo, per il platonismo e la cabala a favore invece di una nuova scienza della natura, basata sul baconismo, sul deismo e sul newtonianesimo. Sempre più stretti divennero i rapporti con la Royal Society, fondata da sir Robert Moray e da Ashmole negli anni del regno di Carlo I. La cultura urbana dei whigs, insomma, non solo favoriva lo sviluppo della massoneria in Inghilterra ma ne accelerava anche la trasformazione. Non stupisce allora che la prima loggia londinese completamente speculativa, negli anni Novanta, fosse guidata da un vecchio whig come sir Robert Clayton, morto nel 1707, e annoverasse tra i suoi membri gli esponenti di spicco della cultura radicale e whig come il lord cancelliere d’Irlanda John Methuen, il membro del parlamento e amico di Locke Edwarde Clarke, il pubblicista Thomas Rawlins, il barone dello scacchiere William Simpson e il filosofo John Toland.

Quando venticinque anni più tardi, nel 1714, la questione della successione al trono venne a porsi nuovamente, la posizione della massoneria in area inglese era completamente diversa: ormai rappresentava lo strumento più idoneo a far confluire le forze whig e l’ideologia newtoniana nel sostegno ideologico alla nuova dinastia degli Hannover. Le logge, aumentate significativamente di numero, avevano acquistato una funzione istituzionale del tutto inedita, che ne rendeva necessaria la riorganizzazione complessiva; al di fuori dell’Inghilterra, e in virtù dei forti legami storici e delle alleanze con le Province Unite olandesi, la massoneria aveva comiciato ad estendersi sul continente, dove finiva per intercettare preesistenti modelli di società conviviali e cavalleresche, come quelle formate da ugonotti in esilio che prendevano il nome di Società dei Cavalieri del Giubilo, oppure di «Ordre de la boisson» a Montpellier, o ancora di «Ordre de la Chevalerie sociale de l’aimable commerce» a Verdun.

In questo quadro, che vedeva la muratoria avviata a presentarsi come una lobby politica (Giarrizzo, 1994), le logge inglesi si riunirono nel 1717 per dare vita ad un’istituzione comune, la Gran Loggia di Londra, nata per iniziativa di Jean Desaguliers, un rifugiato ugonotto, di James Anderson e di George Payne, futuro gran maestro. La Gran Loggia, che adottò una forma di organizzazione e una struttura di governo interne simile a quella dei circoli religiosi dei quaccheri, dei battisti e dei presbiteriani, serviva però anche a garantire l’appoggio del governo e a fornire un modello massonico cui uniformare tutte le logge inglesi. Lentamente, si impose nel suo ruolo di guida e assunse il compito di legittimarne l’esistenza, attraverso la convalida delle patenti e l’iscrizione nel gran libro delle logge, e di rappresentarle dinanzi alle autorità politiche e alle altre società sorte nel continente.

Al loro interno, conservavano grande importanza i catechismi massonici. Si trattava di documenti che circolavano in forma manoscritta, con la stessa rapidità ed efficacia con cui si diffondeva il modello associativo massonico. I testi insistevano sugli aspetti rituali e simbolici, sull’organizzazione interna, persino sugli arredi, stabilendo un numero minimo di «fratelli» per ciascuna loggia, che doveva avere almeno sette maestri e cinque apprendisti e che in nessun caso poteva essere composta da meno di cinque maestri e di tre apprendisti. Era un modo, evidentemente, per seguire più da vicino, per controllare e uniformare la vita delle logge. Ciascuna loggia, poi, aveva una copia delle costituzioni e degli Old Charges.

All’inizio del 1721 George Payne, che era anche uno studioso di storia antica, inviò una circolare a tutti i «fratelli» invitandoli a fornirgli copia di ogni scritto in cui erano rintracciabili notizie sulla vita e le usanze della muratoria in tempi antichi e che intendeva mettere a confronto con il proprio esemplare delle Old Gothic Constitutions. Nel giugno di quel­l’anno, poco dopo la cerimonia di insediamento del suo successore, il duca Montagu trasmise al nuovo gran maestro il suo manoscritto degli Old Charges, raccomandando ricerche più accurate e sistematiche sulla storia e sull’organizzazione della libera muratoria. E per questo, di lì a poco, Montagu incaricò James Anderson di raccogliere tutti i documenti e le testimonianze sulle vicende dell’Antica Fratellanza, che servissero a studiare, correggere e riordinare nel modo migliore la storia, i doveri e i regolamenti della muratoria.

James Anderson (circa 1680-1739) era il secondogenito di un vetraio di Aberdeen in Scozia. Già studente di arti e di teologia e pastore della chiesa scozzese, era giunto a Londra nel 1709 per predicare nella chiesa di Glasshouse Street, e dal 1710 era passato alla congregazione di Swallow Street a Piccadilly. Aveva anche pubblicato un’opera sui diritti storici della monarchia scozzese e due sermoni, il secondo dei quali per commemorare la decapitazione di Carlo I del 1649. Si trattava di opere nelle quali aveva cercato di proporre una visione della storia inglese tesa a superare le contrapposizioni ideologiche e religiose che avevano segnato gli anni della rivoluzione, della repubblica e delle guerre civili; si era schierato contro il radicalismo dei giacobiti e aveva appoggiato la successione hannoveriana, ponendosi a difesa delle prerogative del parlamento e dell’Act of Settlement, che aveva precluso definitivamente dal 1701 agli Stuart cattolici la successione al trono inglese.

Per realizzare il proprio compito, Anderson prese a collazionare le copie degli Old Charges trasmessigli dai «fratelli» e a raccogliere copie di altri documenti giunti dall’Italia, dalla Scozia e dall’Inghilterra, che in vario modo si riferivano alla tradizione cavalleresca e ai circoli ermetici. Il testo che risultò da questo lavoro, e che prese il nome di Constitutions, venne poi sottoposto al controllo dei deputati gran maestri e dei maestri di loggia, prima di essere presentato da Montagu nel giugno 1722 al duca di Wharton, eletto nel frattempo nuovo gran maestro. La pubblicazione, annunciata sul «Post Boy» del 26-28 febbraio 1723, avvenne intorno al maggio di quell’anno.

Le Constitutions sono divise in cinque parti, la prima delle quali è interamente dedicata alla storia della massoneria, identificata con la storia del genere umano da Adamo in poi, attraverso le fasi salienti dell’elaborazione della geometria e dell’architettura, rappresentata dalla costruzione del tempio di Gerusalemme, dall’opera di Vitruvio, da quella di Palladio e dall’ordine – non architettonico ma civile e morale – nato dalla pace di Augusta (1555). Si trattava di un’architettura morale e religiosa, imperniata sul principio per cui ciascun paese doveva seguire la religione del proprio principe e ciascun massone la religione del paese in cui era nato, ma senza confliggere con quella del paese in cui viveva. La seconda parte comprende i Charges, cioè i doveri massonici, ricavati secondo Anderson dagli antichi documenti delle logge inglesi, scozzesi e irlandesi e destinati alla lettura nel momento in cui veniva accolto in loggia un nuovo fratello. La terza parte è dedicata ai regolamenti massonici redatti da George Payne, gran maestro della Loggia inglese dal 1720 e la quarta al metodo per costituire una nuova loggia, redatto dal duca di Wharton (gran maestro dal 1722 al 1723). La quinta ed ultima parte consiste nell’elenco dei membri della Gran Loggia e delle venti logge che vi fanno capo, con gli inni massonici che accompagnavano la cerimonia di iniziazione. Per quanto riguarda l’organizzazione interna, si decise di assumere dalla tradizione scozzese i due gradi dei fratelli in loggia, cioè quello di apprendista (entered prentice) e di maestro (fellowcraft/master) e a questa originaria bipartizione venne aggiunto poi un grado intermedio, che di fatto esisteva già nella massoneria operativa scozzese, cioè quello di compagno o fratello (fellowcraft).

Le Constitutions di Anderson codificarono quindi la tradizione e allo stesso tempo vennero a rappresentare un modello a cui ispirarsi, l’architettura stessa della cultura massonica, che conciliava le tradizioni più antiche con le nuove esigenze dettate dal diffondersi della formula muratoria e dall’incontro con i problemi religiosi e politici del tempo. In esse l’Architetto dell’Universo veniva fatto coincidere con il mitico Architetto del Tempio, legando la leggenda massonica e la geometria alla nuova scienza newtoniana. Veniva anche stabilita l’esclusione della politica e della religione dalla vita della loggia, nel senso che non si doveva discutere o ragionare sull’ordine religioso e politico esistente: lo scopo della loggia non era quello di intervenire nella vita civile, ma di creare e raccogliere il consenso intorno alla monarchia hannoveriana. Tutto ciò non impediva che il fenomeno religioso e la storia delle religioni formassero oggetto di studio. Allo stesso tempo, poi, le Constitutions precisavano anche i caratteri interni della società massonica: nella loggia potevano essere ammessi solo uomini nati liberi e di età matura, non persone in condizione servile, donne e individui dalla condotta immorale o scandalosa. All’interno della loggia ci si innalzava nei gradi soltanto per valore e merito personale e poteva essere gran maestro solo una persona di nobile nascita, o un gentiluomo di prim’ordine, o un erudito, un architetto o un artista eminente.

Le Constitutions rappresentano così l’esperienza più alta nell’elaborazione della cultura massonica del primo Settecento e, allo stesso tempo, il momento a partire dal quale la muratoria, rivelandosi e svelando la sua organizzazione, divenne oggetto di attacchi sempre più aperti. La cultura massonica si mostrava in forma compiuta con un documento che consentiva ora agli avversari di avere un punto di riferimento più chiaro e immediato rispetto alla circolazione manoscritta e semiclandestina degli antichi Old Charges.

È l’inizio di quel fiume in piena che sarà rappresentato dalla letteratura antimassonica settecentesca. Già nel 1724, un dublinese pubblicò la lettera indirizzatagli da un Grand Mistress of the Female Free-Masons, identificato da taluni in Jonathan Swift, il celebre autore dei Viaggi di Gulliver. La lettera attaccava frontalmente le Constitutions utilizzando con grande abilità le stesse argomentazioni esoteriche della cultura massonica: si accusava la muratoria di essere legata alla cabala ebraica, al celtismo e all’esoterismo, e i massoni di essere maghi e cospiratori legati al demonio e gelosi custodi del «segreto». Nascevano qui i grandi temi della battaglia contro la muratoria: l’antireligiosità, il segreto, la natura cospiratoria, il rapporto stretto con la religione basato sulla negazione del cristianesimo e sul recupero del paganesimo.

Gli storici si sono interrogati sull’origine di questo tipo di argomentazione antimassonica e hanno scoperto che in quegli anni il luogo dove più venivano praticati gli studi sulla religione dei druidi, sull’ebraismo, sul celtismo e sui culti solari era quello della Royal Society di Londra, che come abbiamo visto era contiguo allo spazio massonico (Jacob, 1995). All’interno della Royal Society operava William Stukeley, uno studioso delle religioni pagane e in particolare di quella dei druidi, che conosceva la Gran Loggia e aveva partecipato al fallimentare tentativo di costituire una nuova loggia a Londra per introdurvi la tradizione celtica. Deluso da questa esperienza e dai rapporti con la Gran Loggia, abbandonò Londra nel 1727 per andare a prendere gli ordini religiosi con la protezione dell’arcivescovo di Canterbury e per non farvi più ritorno sino al 1740 circa.

È probabile quindi che una parte della letteratura antimassonica, negli anni Venti del Settecento, avesse trovato spunto negli studi di Stukeley per accusare i muratori di orientamenti anticristiani o comunque indirettamente religiosi. Certo è, ad ogni modo, che il problema della religione stava diventando centrale all’interno del discorso massonico. In quegli anni Isaac Newton completava lo studio di un nuovo modello dell’universo, legato alla meccanica celeste, svincolato dalla presupposto che l’armonia dei corpi fosse riconducibile soltanto ad un disegno divino. Tutte queste teorie attraevano quanti erano vicini alle idee materialiste, deiste e libertine, e Stukeley era amico di Newton. Una parte significativa della muratoria inglese, inoltre, proseguiva nella ricerca delle proprie origini attraverso lo studio delle religioni antiche, ebraica e celtica. Taluni credevano all’immortalità dell’anima e addirittura alla reincarnazione, altri invece no. Molti si affidavano all’antiquaria: indagavano sulle origini delle civiltà antiche utilizzando la storia e l’archeologia, promuovevano passeggiate archeologiche in Italia (e ne approfittavano per aprire logge massoniche a Firenze, come avvenne nel 1728). L’interesse per le religioni antiche riapriva infine tutta la questione – ad oggi non completamente chiarita – del rapporto fra la massoneria del primo Settecento con la tradizione panteistica seicentesca, cioè con quella parte della cultura libertina inglese che ipotizzava l’esistenza di una religione naturale utilizzando gli scritti del filosofo John Toland (1670-1722), in particolare del Cristianesimo senza misteri (1696) e del Pantheisticon. Si trattava di una corrente filosofica che certamente influenzava gli orientamenti di alcune società segrete inglesi e di alcuni gruppi criptomassonici (tra cui i cosiddetti «Cavalieri del Giubilo»), composti per lo più da rifugiati francesi che si proponevano come una forza di opposizione all’assolutismo e come interlocutori critici dell’ideologia newtoniana (Jacob, 1976), ma i cui rapporti con il mondo massonico rimangono ancora oggetto di discussione.

L’unione delle logge britanniche nella Gran Loggia di Londra nel 1717 e le Constitutions del 1723 avevano così creato il modello massonico, codificato la tradizione, stabilito le regole. L’unità mostrata da questi eventi era però ancora apparente: dietro ad essa v’erano logge che continuavano a fondarsi su patenti scozzesi e altre su quelle inglesi, sottolineando la territorialità dell’organizzazione muratoria. Rimaneva incerto l’atteggiamento rispetto alla religione e quello verso la politica, che oscillava fra il leale sostegno alla Corona e il rifiuto al coinvolgimento nelle istituzioni.

Dopo la fondazione della Gran Loggia di Londra il modello massonico si propagò con rapidità sorprendente nelle isole britanniche: nel 1740 le logge erano già più di 180. Queste nuove logge erano qualcosa di diverso rispetto alla massoneria scozzese nata dalle corporazioni e l’esempio della loggia di Dundee, evoluta da gilda medioevale, appariva sempre più isolato. Le logge erano per lo più di nuova fondazione, autorizzate in base a lettere patenti della Gran Loggia di Londra ed erano esclusivamente speculative, slegate dalle antiche origini operative. La massoneria diventava insomma una formula di successo, che coniugava una nuova forma di sociabilità con la possibilità di immaginare una società ideale, in qualche modo concorrente o alternativa alla società politica inglese del tempo.

3. La diffusione nel continente europeo: Olanda e Francia nella prima metà del Settecento

Fino a tutto il XVII secolo la massoneria rimase un fenomeno tipicamente britannico e solo nei primi anni del Settecento cominciò ad espandersi nel continente europeo. Per quali ragioni e con quali strategie? Gli studiosi hanno cercato di dare una risposta a questi interrogativi e in parte ci sono anche riusciti. Abbiamo visto come la massoneria britannica offrisse, ormai, un modello di sociabilità attraente ed interessante: possedeva una tradizione culturale, vantava nobili origini, godeva di protezioni politiche. Non è però nemmeno da sottovalutare il fatto che, propagandosi nel continente, il modello della loggia riusciva a soddisfare una sempre più diffusa esigenza di sociabilità e si rivelava in grado di intercettare e di assorbire in parte pratiche culturali, ermetiche, alchemiche già esistenti, riconducibili alle società cavalleresche medievali, ai Rosacroce, ai templari.

Ad ogni modo, la diffusione della formula massonica, soprattutto nel momento in cui cominciò ad affermarsi in modo egemonico, non risultò affatto indolore: sin dall’inizio venne accompagnata da diffidenza, da paure e da ostilità, che alcuni studiosi non esitano a spiegare in relazione agli ideali potenzialmente sovversivi di cui le logge si facevano portatrici: il repubblicanesimo, la tolleranza religiosa, l’ideologia del merito. In effetti, la presenza delle logge venne attentamente sorvegliata e talora anche repressa, ma con motivazioni spesso profondamente diverse da paese a paese. Oggi sappiamo che nelle Province Unite e poi negli altri paesi di religione protestante si diffusero due tipi di massoneria: quello giacobita e tendenzialmente cattolico, legato agli Stuart in esilio e alle origini scozzesi, e quello che potremmo definire protestante, protetto dagli Orange (lo statolder Guglielmo d’Olanda che divenne re d’Inghilterra nel 1689) e dagli Hannover, i principi tedeschi chiamati al trono inglese nel 1714. La possibilità di ritrovare uno piuttosto che l’altro modello si rivela importante per chiarire le vicende politiche, sociali e culturali differenti, nonché le circostanze stesse con cui vennero create le logge, spesso dovute a relazioni immediate, di tipo personale, fra intellettuali e uomini di governo al di qua e al di là della Manica.

Così avvenne nelle Province Unite olandesi. Negli anni Trenta del Settecento l’attività della Gran Loggia di Londra aveva cominciato a penetrarvi fino a cancellare le sporadiche presenze massoniche degli anni precedenti: una società privata aperta nel 1710 all’Aia da giornalisti ugonotti, una loggia di mercanti scozzesi e inglesi esistente a Rotterdam intorno al 1721, la cui presenza è documentata da un’indagine svolta dagli Stati Generali nel 1735, in un momento della repressione della muratoria nelle Province Unite. Si può già intuire il fatto che quelle prime forme di presenza massonica denotavano la volontà di costruire e riaffermare un’identità corporata che fornisse una rete di solidarietà per mercanti o artigiani scozzesi attivi fuori dalla patria, in terra straniera; i rapporti commerciali fra Rotterdam e la Scozia erano intensi, ed erano divenuti ancora più frequenti alla fine del Seicento. Dieci anni più tardi, la strategia di creazione delle logge di rito inglese rispondeva già a logiche totalmente diverse, in parte dipendenti dai vincoli dinastici con l’Inghilterra, e in parte dalla crisi politica che attraversava l’Olanda. Una crisi dovuta a divisioni istituzionali all’interno del paese, soprattutto determinate dal fatto che non tutte le province della repubblica, in particolare quelle d’Olanda e di Zelanda, riconoscevano quale capo militare (statolder) un esponente di casa d’Orange. La preoccupazione, costante nella storia olandese in età moderna, era di impedire una trasformazione della repubblica in principato, e di fatto si era tradotta nella contrapposizione fra un partito filobritannico e antifrancese, e quello repubblicano e aristocratico. Dal 1733 il partito orangista uscì notevolmente rafforzato grazie al matrimonio fra Guglielmo Carlo d’Orange e Anna, figlia di Giorgio II Hannover re d’Inghilterra e lo scoppio della guerra di successione austriaca, nel 1740, diede il pretesto agli orangisti per organizzare un esercito con a capo Guglielmo Carlo d’Orange e per scendere in guerra a sostegno delle Fiandre, minacciate dalla Francia. L’opposizione repubblicana, guidata dalle province d’Olanda e di Zelanda riuscì a far affidare il comando militare al principe di Waldeck finché, nel 1745, l’armata anglo-olandese subì una cocente sconfitta ad opera francese, ponendo lo stesso territorio zelandese di fronte al pericolo di un’invasione. Solo dinanzi alla minaccia nemica e alla sconfitta militare Olanda e Zelanda precipitosamente elessero statolder, nel maggio 1747, Guglielmo Carlo d’Orange che assunse il nome di Guglielmo IV.

Gran parte delle vicende della massoneria olandese si pone, quindi, nel quadro sopra delineato, che portò l’aristocrazia repubblicana ad una progressiva emarginazione dalla vita politica del paese determinando la cosiddetta rivoluzione pacifica del 1747. Le logge di rito inglese accoglievano tra i loro membri, oppure indirettamente appoggiavano, gli esponenti orangisti che puntavano alla restaurazione del principato; ed è per questo motivo che l’attività massonica – considerata una minaccia per la tranquillità e per la sicurezza della repubblica – veniva continuamente controllata e repressa. Il disegno che accompagnava la costruzione di una struttura massonica nelle Province Unite faceva così perno, dall’inizio degli anni Trenta, sul ruolo della Gran Loggia di Londra, che aveva favorito l’apertura di una prima loggia all’Aia nel 1734 e di una seconda ad Amsterdam l’anno successivo, entrambe considerate espressione dell’alleanza fra le Province Unite olandesi e l’Inghilterra. Appartenevano alla prima l’ambasciatore britannico lord Chesterfield e il newtoniano Jean Desaguliers, sostenitori degli Hannover e del governo Walpole allora in carica, nonché Francesco Stefano di Lorena, che ritroveremo nel suo ruolo di protettore della muratoria in Italia e nella monarchia asburgica. Contemporaneamente, nelle stesse Province Unite, Desaguliers cominciò a tenere una serie di conferenze sul sistema scientifico newtoniano, considerato non solo come una teoria cosmologica e fisica legata al principio della gravitazione universale, ma anche come base per un sistema culturale e politico nuovo fondato su basi razionali e meccanicistiche. L’altra figura idealmente presente in tale contesto, grazie alla sua eredità culturale sempre più discussa e apprezzata, era quella di John Toland (1670-1722), esponente dell’Illuminismo radicale inglese, deista e protagonista del dibattito culturale degli anni Settanta del Seicento, la cui opera aveva influenzato in modo significativo l’elaborazione del linguaggio e dei rituali massonici inglesi. Gli scritti di Toland venivano probabilmente diffusi nelle Province Unite da Prosper Marchand, una curiosa figura di editore e massone, rifugiato ugonotto dapprima in Inghilterra, nonché da Jean Rousset de Missy, maestro della loggia di Amsterdam, amico di Marchand, conoscitore delle opere di Toland, e panteista per sua stessa ammissione.

Negli ambienti olandesi degli anni Venti e Trenta del Settecento, di pari passo con il diffondersi delle logge autorizzate da Londra e con l’acuirsi della crisi politica interna fra orangisti e repubblicani, erano sempre più diffusi gli scritti dell’ala più radicale del pensiero whig, dei liberi pensatori e dei sostenitori di un nuovo sistema culturale basato non sull’idea della religione tradizionale ma su una religione della natura. Questo spiega anche l’ostilità della Repubblica e delle autorità governative che nel 1735 – un anno dopo l’autorizzazione ottenuta dal tesoriere generale di Guglielmo d’Orange dalla Gran Loggia di Londra per organizzare la massoneria nelle Province Unite – decretarono la chiusura delle logge dell’Aia e di Amsterdam e imposero persino limitazioni alle attività teatrali patrocinate dallo statolder.

Tuttavia, la strada per la diffusione della massoneria sul continente era stata ormai aperta: già nel 1737 un ufficiale fiammingo inaugurava la prima loggia ad Amburgo, in base ad una patente olandese che lo nominava gran maestro di Prussia e Brandeburgo; e lì venne iniziato nell’agosto 1738 il giovane Federico di Prussia. Nelle Province Unite, dopo la rivoluzione pacifica del 1747, l’attività massonica riprese anche nelle regioni originariamente più ostili, come le province d’Olanda, Zelanda e di Utrecht, dove la muratoria cominciò ad acquistare un carattere specificatamente militare, dovuto alla protezione dello statolder nonché alla posizione strategica delle piazzeforti di fronte al nemico francese. La loggia creata a Nimega nel 1749, città sede di una guarnigione, ebbe per maestro addirittura un principe di Sassonia, al servizio dell’Impero romano germanico.

Questo stretto rapporto fra l’alleanza politica e militare anglo-olandese con la diffusione delle logge non deve tuttavia lasciare in ombra alcune differenze significative che si registrano tra l’esperienza delle Province Unite e quella inglese. Anzitutto nel continente non si assistette all’evoluzione, tipicamente britannica, della gilda o corporazione in loggia massonica. Per lungo tempo, anzi, le corporazioni continuano a mantenere un’importanza notevole nella società olandese, e nella prima metà del Settecento il modello massonico e quello corporativo continuarono a convivere. In secondo luogo, la neutralità religiosa della loggia, imposta dalle Constitutions di Anderson, costringeva di fatto i massoni anche a non impegnarsi nella vita delle istituzioni ecclesiastiche: i «fratelli», persino, neppure venivano ammessi alla chiesa riformata calvinista e questa esclusione divenne motivo di aspri conflitti. Il caso dei due fratelli Merkes, massoni nella Nimega degli anni Cinquanta e per questo allontanati dalla chiesa riformata, fece discutere per quasi sei anni e costrinse i «fratelli» olandesi ad un duro scontro con i ministri di culto calvinisti per difendersi dalle accuse di propagare l’ateismo, di fomentare forme di ribellione all’autorità costituita, e di agire in contrarietà alla morale.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, all’ombra del principe d’Orange, il modello massonico prevalente divenne così quello della Gran Loggia di Londra, di stampo hannoveriano, e a lungo lo scenario risultò dominato da personaggi come i fratelli Karel e Willem Bentinck, tra i fondatori della loggia dell’Aia chiamata «Loge de Juste», famosa per essere stata dal 1751 anche la prima loggia aperta alle donne. Willem Bentinck, in particolare, era un membro del consiglio di amministrazione dell’università di Leida, dove si era adoperato per affidare gli incarichi di insegnamento a teologi di ispirazione liberale. Orangista convinto, vicino alle posizioni whig, aveva partecipato alla rivoluzione del 1747 e alla fine degli anni Cinquanta stava guidando la riorganizzazione territoriale della massoneria olandese. Nel 1756 il gran maestro britannico, il marchese di Carnavan, autorizzò così le logge olandesi a formare all’Aia una Gran Loggia dei Paesi Bassi, nucleo del nuovo sistema di governo massonico nelle Province Unite. Organizzata sulla base del modello assembleare degli Stati Generali della Repubblica, cioè del massimo organo legislativo, la Gran Loggia affrontò anche il compito arduo di regolare e sottomettere tutte le logge sul territorio olandese, pur se con non poche difficoltà, soprattutto per la resistenza opposta da quelle rimaste sotto il controllo dell’oligarchia repubblicana.

Lo sviluppo della muratoria a partire dalle province olandesi seguì da questo momento due vie: la costituzione di logge, spesso di tipo militare, nell’ambito germanico e la penetrazione nei Paesi Bassi spagnoli, passati nel 1713 alla corona austriaca. L’occasione fu data probabilmente dalla presenza del duca di Ursel, governatore di Namur negli anni Trenta del Settecento, che intratteneva stretti contatti con l’Inghilterra all’epoca dell’alleanza anglo-olandese, in funzione antifrancese. Negli anni Quaranta, poi, presenze massoniche vennero segnalate in molte località poi invase dai francesi, oltre che nelle città di Liegi, Anversa e Bruxelles. Infine, non è poi da dimenticare l’opera di Francesco Stefano duca di Lorena, che si recò in Inghilterra nel 1731 in occasione del secondo trattato di Vienna, passando per i Paesi Bassi austriaci e per le Province Unite. Iniziato a Londra ai primi di ottobre del 1731, alla presenza di lord Chesterfield, e di Jean Desaguliers, al ritorno in Lorena Francesco Stefano aprì una loggia di rito inglese e, nel momento in cui divenne granduca di Toscana (1737), portò questo modello anche nell’Italia centrale.

Rimane da capire se il modello massonico diffuso nelle Province Unite olandesi esercitò un’influenza diretta nella diffusione della muratoria in Francia, le cui origini rimangono incerte e confuse. Sembra che la nascita della prima loggia a Parigi risalga agli anni 1725-26 e che fosse composta da inglesi e irlandesi giacobiti, sostenitori della causa degli Stuart. Sia la diplomazia britannica, che rappresentava gli orientamenti whig e quindi hannoveriani, sia le autorità francesi, si impegnarono perciò a contrastarne l’attività, mantenuta comunque particolarmente intensa fino agli anni Cinquanta. Le figure di spicco della cultura del tempo non aderivano però alle logge giacobite francesi ma direttamente a quelle inglesi; un esempio è fornito dalla loggia di Westminster, alla quale erano stati ammessi Montesquieu e altri nobiluomini francesi, tra cui il conte Jean-Baptiste-François de Sade (padre del più noto romanziere marchese de Sade), che era un collaboratore del cardinale Fleury. A questa stessa loggia era affiliato il cavaliere scozzese Andrew Michael Ramsay (1680-1743), giacobita e sostenitore degli Stuart in esilio, che godeva di largo seguito in terra francese. Ramsay era stato autore, nel 1727, di un’operetta dal titolo Les voyages de Cyrus, dedicata al giovane Stuart e al giovane Luigi XV di Borbone, che ben presto era diventata una sorta di breviario politico antiassolutista, contrario alla nobiltà di toga, quella più recente, e favorevole invece a un regime aristocratico e alla riconferma dei privilegi dell’antica nobiltà di sangue. Il testo si poneva in confronto esplicito con il famoso Télémaque di François Fénelon, scritto mezzo secolo prima durante il regno di Luigi XIV, riproponendo la strategia letteraria del viaggio, destinata a grande successo anche nella letteratura massonica. Ramsay aveva trovato subito largo seguito fra gli esponenti dell’opposizione parlamentare francese, mentre era stato criticato dai materialisti, dai libertini e da personaggi come Voltaire, Jean Terasson (1731) e dall’abate Jacques Pernetti (1732).

Negli anni Trenta e Quaranta del Settecento, la diffusione della massoneria in Francia non passava quindi attraverso l’esperienza delle Province Unite, ma rispondeva ai disegni di una parte della diplomazia politica, che puntava a rompere l’alleanza anglo-olandese e a costituire un partito anglo-francese favorevole alla questione giacobita e cattolica e impegnato per normalizzare la successione degli Hannover, nel momento in cui si prospettava il matrimonio fra Anna – figlia del re d’Inghilterra – e Guglielmo Carlo d’Orange. Difatti, la Gran Loggia a Parigi venne costituita proprio da parte dei giacobiti ed ebbe nel 1732 per gran maestro uno scozzese, James-Hector MacLean. Giacobita e scozzese: è questo forse il motivo per cui la Gran Loggia di Londra, che pure aveva nello stesso anno concesso la patente autorizzativa alla loggia parigina di Bussy (fondata, pare, nel 1726 da whigs e hannoveriani), si rifiutò di riconoscere la nuova Gran Loggia (Giarrizzo, 1994). Il modello che da allora sembrò attecchire più rapidamente in Francia fu quindi proprio quello giacobita e aristocratico, che attraeva la nobiltà più recente, e più fedele alla monarchia, relegando in seconda posizione l’antica nobiltà di sangue e riuscendo proprio per questo a godere della protezione degli ambienti di corte. Nel 1734 un’altra loggia giacobita tenuta in casa della duchessa di Portsmouth accoglieva il figlio di Montesquieu. L’anno successivo, sempre a Parigi, il duca di Richmond apriva una loggia che accolse fra gli altri Montesquieu stesso e il segretario di Stato di Luigi XV, il conte di St. Florentin, sposato con una inglese di parte hannoveriana.

In questo modo la Gran Loggia di Francia divenne di fatto autonoma dalla Gran Loggia di Londra e accettò gli esponenti della massoneria di parte giacobita, in base ad un’operazione assecondata dalla stessa minoranza all’interno della Gran Loggia di Londra, rappresentata da Desaguliers e Richmond, che male tolleravano il controllo centrale inglese e regolarmente si recavano nella capitale francese. Sulla base di queste premesse si realizzò allora il tentativo, ricalcato sull’esperienza inglese, di unire tutte le logge parigine in una massoneria giacobita, distinta da quella inglese e in particolare dalla sua tradizione di democrazia costituzionale e parlamentare. Nel 1735 MacLean fece approvare dalla Gran Loggia parigina alcune modificazioni delle regole da applicare a tutte le logge francesi; l’anno dopo ottenne l’adesione di gran parte delle logge provinciali a quelle regole. Nel 1737, infine, Ramsay, tornato in primo piano, proclamò la nascita ufficiale della Gran Loggia di Francia indipendente da quella di Londra e dotata l’anno successivo di nuove costituzioni, rimodellate da Desaguliers a partire da quelle di Anderson.

Istituito un nuovo modello, occorreva creare una nuova tradizione e la Grande Loge (come prese a chiamarsi la Gran Loggia di Francia) si adoperò a questo scopo grazie alla figura e all’opera di Ramsay. Egli delineò un sistema massonico di tipo cavalleresco, fondato sul mito delle origini medievali e feudali. Contro le pretese egemoniche inglesi, rivendicava le origini scozzesi e aristocratiche della muratoria, proponendosi il ritorno alla disciplina originaria. Scriveva nel 1737: «Dalla Scozia la nostra società si diffuse in Inghilterra [...]. Le sciagurate discordie di religione che incendiarono e lacerarono l’Europa nel Cinquecento fecero degenerare l’ordine dalla grandezza e nobiltà d’origine». In altre parole, le dinastie protestanti avevano portato alla decadenza e alla corruzione della vera massoneria, i cui destini avrebbero potuto sollevarsi nuovamente solo all’ombra di una dinastia cattolica. Si trattava di una colossale operazione culturale che serviva a dare alla muratoria francese un’immagine e una struttura completamente nuove, mutandone gli scopi, le regole e l’organizzazione. Al sistema inglese dei due gradi (apprendista e maestro) ne veniva aggiunto un terzo, quello del compagno, evidenziando l’analogia fra i tre gradi massonici (apprendista, compagno, maestro) e i tre gradi monastici degli ordini religiosi (novizio, professo, adepto). Come si intuisce, si trattava di un’abile strategia per rendere più familiare alla tradizione cattolica il nuovo modello di sociabilità; contemporaneamente, le origini mitiche della muratoria venivano collegate con la storia delle Crociate, con la Terrasanta, con le forme di solidarietà templare e cavalleresca che ne erano derivate e che avevano segnato il mondo feudale. Il mondo templare, più in particolare, avrebbe continuato ad esercitare un fascino straordinario per i massoni durante tutta l’età moderna: un fascino legato al carattere militare e assieme monastico dell’Ordine dei Templari, fondato nel 1118 al termine della prima Crociata da undici frati armati per proteggere i pellegrini nei viaggi in Terrasanta, e che aveva stabilito la propria sede là dove si credeva sorgesse il tempio di Salomone, acquistando prestigio e ricchezze in tutt’Europa fino alla soppressione, stabilita nel 1312 in seguito ad accuse di sodomia, di avidità, di idolatria. Nella cultura massonica il mito dei templari sopravvissuti occultamente custodendo i loro segreti, tra cui l’ubicazione dell’Arca dell’Alleanza e le tecniche per costruire le grandi cattedrali gotiche, doveva alimentare così il legame con le tradizioni cristiane più antiche. Un passo successivo per la definizione della nuova identità della massoneria continentale doveva essere rappresentato dalla precisazione degli obiettivi: dovere del massone non era più solo il perseguimento delle virtù civili, come volevano gli inglesi, ma anche la comprensione della filosofia dei sentimenti e della teologia del cuore (Giarrizzo, 1994), che andavano a soddisfare il bisogno di religiosità della società cattolica.

In questo quadro, la massoneria della Gran Loggia di Londra continuò a controllare con Richmond e Waldegrave solo la loggia di Bussy, che rifiutò di confluire nella Gran Loggia francese e accolse invece un gran numero di artisti legati all’«Académie royale de peinture et de sculpture»; un’altra enclave era rappresentata dalla loggia «Coustos», che accoglieva molti musicisti: Louis-Nicolas Clérambault (1676-1749), il violinista Jean-Pierre Guignon (1702-1774), il flautista Jacques-Christophe Naudot (circa 1690-1762). Furono queste le logge aperte negli anni successivi agli ugonotti e agli anglofili. Lo spazio francese riproduceva e amplificava, in questo modo, i conflitti che già si erano manifestati nella massoneria britannica degli anni venti. Un contrasto che si poteva misurare anzitutto attraverso la territorialità dell’organizzazione massonica e che appariva già allora gravido di conseguenze dal punto di vista culturale: da un lato si delineava la massoneria giacobita, che cominciava a richiamarsi allo scozzesismo e ad agire come un gruppo di pressione politica; dall’altro le logge «hannoveriane», che si ispiravano all’idea dell’accademia, che privilegiavano le arti liberali, l’interesse per l’arte e per la scienza e che si richiamavano alla tradizione democratica e protestante.

Sembra paradossale, ma il tentativo di imporsi della massoneria giacobita e di rivendicare le sue matrici cristiane e cattoliche coincise anche con una fase di repressione dell’attività delle logge in Francia ad opera del cardinale Fleury, che vedeva nella muratoria un prodotto giunto dall’Inghilterra e una fucina di idee antimonarchiche e antiassolutiste. Ad un primo divieto di riunione, specificamente rivolto alla Gran Loggia, seguì, nel maggio 1737, il divieto di riunione di ogni tipo di associazione, soprattutto massonica. L’anno 1738, epoca della prima condanna pontificia della muratoria, segnò così il temporaneo fallimento del tentativo di consolidare a Parigi la Grande Loge, rivale di quella londinese, fino a togliere per quel momento ogni ulteriore spazio, nell’Europa continentale, per il confronto fra protestantesimo e cattolicesimo nella conquista delle logge.

4. Massoneria e religione

Il 1738 appare costellato, come si è visto, da singolari coincidenze cronologiche: il fallimento dei tentativi di costituire la Gran Loggia di Parigi, la nuova edizione delle costituzioni di Anderson, la prima condanna pontificia della massoneria. C’è un filo rosso che lega tutti questi avvenimenti e può essere individuato probabilmente nel rapporto sempre più stretto fra massoneria e religione. Le logge, per disposizione delle Constitutions, non potevano occuparsi direttamente di religione e questo perché, come aveva spiegato Anderson, il terreno religioso rimaneva controverso in Europa a seguito della frattura religiosa cinquecentesca e, rispetto ad essa, occorreva comunque tenere unito il mondo massonico. Le regole escludevano quindi la religione come pratica, ma non come oggetto di studio e sin dalle origini della muratoria speculativa i massoni si erano dedicati a ricerche sulle religioni, anche pagane, e sulle origini del cristianesimo. La condanna pontificia espressa nella costituzione In eminenti ebbe però delle conseguenze fondamentali nella storia della massoneria europea: quella di porre con maggiore chiarezza la questione del rapporto fra massoneria e religione e quella di spostare l’attenzione dalla relazione fra muratoria e protestantesimo a quella fra muratoria e cattolicesimo, esaltando le conflittualità con la Chiesa. La massoneria veniva condannata perché, rivendicando un uso della morale e una disciplina interna, non consentiva un controllo esterno, politico, sulla vita delle logge e revocava così in dubbio il principio di autorità, della Chiesa e dello Stato. Per questo motivo è utile cercare di ripercorrere, nel modo più preciso, le vicende che portarono alla genesi dell’atto papale e che ci riconducono a problemi culturali specificamente italiani, che dalla penisola poi si irradiano per cerchi concentrici nelle altre monarchie dell’Europa cattolica.

L’origine va ricercata nella Toscana degli anni Trenta del Settecento, tormentata dal problema dinastico legato alla malattia dell’ultimo dei Medici e alla mancanza di successori diretti, che prefiguravano l’imminente estinzione della secolare casata. Lo scoppio della guerra di successione polacca (1733-1735) e l’insediamento sul trono di Napoli di don Carlos di Borbone facevano intravedere già il complesso gioco, fatto di manovre diplomatiche e di compensazioni territoriali, che avrebbe portato sul trono di Lorena l’ex re di Polonia e su quello di Toscana l’ex duca di Lorena Francesco Stefano, dal 1731 iniziato in loggia. In questo clima, già nel 1734 il governo toscano aveva avviato una politica giurisdizionalista volta a riaffermare la sovranità granducale di fronte alle ingerenze di quella pontificia che, come è noto, si atteggiava non solo in potere spirituale ma anche in potere politico, rappresentato dal confinante Stato della Chiesa. Più in particolare, l’occasione dello scontro fu data dalla possibilità e dalla legittimità di istituire, per volere granducale, una Congregazione per i poveri indipendentemente da una serie di condizioni richieste e imposte dal pontefice. Proprio per bloccare questo progetto, l’Auditore alla Giurisdizione Pini denunciò all’Inquisizione l’esistenza a Firenze di una loggia massonica, fonte di pericolo e covo di un partito anticuriale e antiromano, sollecitando così un’indagine sulla muratoria, sulla sua natura e sui suoi scopi. All’epoca, l’unico sistema per attivare l’Inquisizione era quello di denunciare casi di eresia e infatti proprio su questo tema, cioè sul rapporto fra massoneria ed eresia, sia l’Inquisizione fiorentina, sia il Sant’Ufficio lavorarono nei tre anni successivi, per giungere alla costituzione In eminenti, firmata dal papa il 28 aprile 1738 e pubblicata il 4 maggio successivo. In quello stesso momento, il documento veniva comunicato anche alle altre corti cattoliche europee e furono così attivate e sollecitate indagini da parte di tutti gli uffici di Inquisizione nazionali (Portogallo 1738, Spagna e Sicilia 1738, Polonia 1739).

Posta in questi termini, la condanna pontificia del 1738 sembra una reazione spropositata della Chiesa cattolica romana di fronte ad un evento localizzato nella Toscana medicea. E in effetti, anche nell’interpretazione che ne dettero i contemporanei, la condanna non era diretta contro la massoneria in generale, bensì contro la sua degenerazione italiana, contro la propensione al deismo e al libertinismo, cioè alla possibilità di credere nella salvezza senza la grazia o fuori dalla predestinazione. Non deve stupire allora il fatto che già nel periodo immediatamente successivo e ancor più negli anni Settanta e Ottanta, il contenuto della bolla venne disatteso da gran parte del mondo cattolico e delle stesse gerarchie del clero, che entrarono massicciamente nelle logge francesi, tedesche, austriache e italiane. E tutto questo perché l’iniziazione veniva ritenuta del tutto compatibile con la qualità di cristiano e di cattolico, sino al momento in cui l’attività e le pratiche culturali all’interno delle logge non mettevano direttamente in discussione i fondamenti della religione e il principio di autorità.

A leggere con più attenzione gli avvenimenti toscani e le carte inquisitoriali, inoltre, ci si accorge che la condanna venne dettata non tanto dalla necessità di reprimere i cattivi costumi e di riaffermare questioni teologiche e dogmatiche quali l’immortalità dell’anima o il significato della Trinità. Piuttosto fu determinata dalla volontà di riaffermare l’autorità della Chiesa e la sua funzione di controllo sociale, sancita dall’uso e dal primato della confessione. Gli Inquisitori non apparivano particolarmente interessati a cerimonie, rituali, simboli, segreti e giuramenti, ma a contrastare i progetti degli Stati europei che tendevano a ridurre l’influenza della Chiesa nella sfera politica e civile. E ne individuarono quali artefici proprio i massoni, cercando di colpirli in quanto eretici. La condanna pontificia ebbe un effetto quasi dirompente per la storia della cultura europea, sia a causa dei processi che ne seguirono, sia perché contribuì a trasformare la massoneria da fatto di costume, e tutto sommato di secondario rilievo, in un fenomeno politico attraverso una sterminata letteratura antimassonica che percorrerà tutto il Settecento europeo: la morale massonica interferiva con la morale comune e con quella cristiana, e perciò stesso veniva ormai vista in conflitto con la Chiesa cattolica.

Immediatamente dopo la costituzione In eminenti, a Firenze l’Inquisizione fece arrestare e imprigionare il poeta Tommaso Crudeli, segretario della loggia, che venne processato come eretico e morì prigioniero ammalato di tubercolosi. A Lisbona l’Inquisizione perseguitò John Coustos, svizzero di origine ugonotta, massone e già fondatore a Parigi della loggia «Coustos-Villeroy». Accusato di eresia e di sodomia, venne torturato, processato, condannato a quattro anni di carcere e liberato nel 1744 per intervento del rappresentante inglese a Lisbona. Così la Chiesa cattolica, iniziando la persecuzione dei massoni, continuava paradossalmente a esaltarne la natura religiosa: come la Chiesa, anche la massoneria aveva così i suoi martiri (Giarrizzo, 1994).

La risposta massonica fu indiretta e provenne anzitutto da Londra: nel 1738 la Gran Loggia incaricò James Anderson di preparare una nuova versione delle Constitutions, che fu consegnata al gran maestro nel gennaio 1739; essa confermava il contenuto della versione precedente con alcune innovazioni, tra cui la formalizzazione del sistema a tre gradi, attraverso il riconoscimento e l’autonomia del grado di maestro. Inoltre affermava un rapporto più diretto fra il massone, che non poteva più essere né ateo né libertino, e Dio e con la religione. Occorreva schierarsi e i massoni lo facevano; rifiutando il tentativo di ricondurre la massoneria entro i precetti cattolici, riaffermavano il valore della tolleranza e si prefiggevano l’obiettivo comune del raggiungimento e del perfezionamento delle virtù sociali.

La radicalizzazione della condanna massonica nel mondo cattolico produsse quindi conseguenze ben più forti di quanto voluto. Intercettando il fenomeno massonico, paradossalmente la Chiesa cattolica contribuì a definire l’avversario, a conferirgli un’identità più precisa. Su questa linea si pose tutta la letteratura antimassonica che dilagò in Europa a partire da questo periodo, e che da una parte tendeva a distinguere una massoneria tendenzialmente «buona», che non rinnegava la fede cristiana e cattolica, da una massoneria «cattiva», atea, libertina, deista. E dall’altra attribuiva con toni sempre più accesi alla massoneria «cattiva» tutti i caratteri sovversivi che le saranno riconosciuti dagli avversari dei secoli successivi: il legame con l’Inghilterra patria della nuova scienza, della tolleranza religiosa e della libertà di opinione; il collegamento con la tradizione repubblicana inglese; l’alleanza – in area germanica – con il luteranesimo e il calvinismo, sancita dall’iniziazione, nel 1738, di Federico di Prussia, il futuro Federico il Grande. Non bisogna dimenticare che proprio questi anni, che nell’Europa centrale segnano la nascita del dualismo Prussia-Austria, coincisero con la guerra di successione austriaca (1740-48), da taluni contemporanei presentata anche come un nuovo conflitto tra protestantesimo e cattolicesimo.

L’offensiva antimassonica venne aperta su più fronti: nel 1747 uscì ad Amsterdam un libretto dal titolo Les Francs-Maçons écrasés, attribuito a Giovanni Bottarelli, un avventuriero e librettista conosciuto da Giacomo Casanova, che ne parla nelle sue memorie. Bottarelli descriveva la muratoria non come una semplice associazione, ma come un ordine segreto, come una chiesa invisibile, facendo proprie le argomentazioni della bolla pontificia del 1738 e utilizzando la propria esperienza di viaggiatore nei paesi protestanti (Olanda, Amburgo, Prussia), che lo aveva convinto della natura irrimediabilmente protestante e repubblicana della massoneria, ormai impadronitasi – secondo lui – delle tecniche proprie dei gesuiti per complottare contro la religione e la Chiesa cattolica. Bottarelli sgombrava il campo da ogni origine mitica della muratoria per fissarne la fondazione nell’Inghilterra di Cromwell, per rivelarne gli obiettivi segreti, cioè l’uguaglianza e la libertà naturale, e per dimostrare nel modo più evidente come le logge intendessero mettere in discussione l’autorità legittima nel sistema dell’Antico Regime.

Abbiamo riassunto le idee di Bottarelli perché la sua operetta conobbe una notevole diffusione nell’Europa del tempo e perché presentava delle tesi, sugli obiettivi segreti della massoneria, che ebbero una straordinaria eco e amplificazione per tutto il corso del XVIII secolo. Per capire però quali personaggi si agitassero dietro l’inquietante scenario della polemica antimassonica, può essere interessante seguire la narrazione di Giacomo Casanova, che fu massone e che conobbe Bottarelli a Londra negli anni Cinquanta, dopo che quest’ultimo aveva pubblicato un ulteriore libretto dal titolo L’ordre des francs-maçons trahi et le secret des Mopses dévoilé (L’ordine dei framassoni tradito e il segreto dei Mopses svelato). Casanova era stato denunciato per aver voluto sfregiare il volto di una ragazza e uno dei testimoni a suo sfavore era stato proprio Bottarelli. Uscito dal carcere su cauzione, il veneziano aveva voluto conoscere di persona il suo accusatore e si era recato in una povera casa di periferia dove, in una stanza, aveva trovato una donna, quattro bambini e un uomo che scriveva. L’uomo era Bottarelli e ammise di aver denunciato Casanova solo in cambio di due ghinee per poter mantenere la famiglia. E così, al momento di andarsene, prosegue Casanova, «diedi, per pura carità, una ghinea alla donna, che mi regalò un esemplare di un’opera del marito intitolata Il segreto dei Framassoni tradito e me ne andai dalla casa di quel briccone. Bottarelli era stato monaco a Pisa, sua città natale, e poi se ne era scappato con la moglie che era monaca e che aveva sposato a Londra» (Casanova, 1989).

Al di là della notizia aneddotica, il racconto è interessante anche per cogliere il sottobosco letterario che si stava sviluppando attorno ad un argomento come quello della massoneria, ormai sempre più alla moda nell’Europa del Settecento, interessante per un vasto pubblico di lettori e per scrittori a caccia di racconti che consentissero un guadagno economico e una circolazione del proprio nome. Forse aveva maggiore ragione Ludovico Antonio Muratori, il celebre erudito e storico modenese, che intorno al 1750, scrivendo negli Annali d’Italia, individuava con maggiore precisione e lucidità le possibili cause della così rapida diffusione della massoneria sul continente. Il papa – osservava – aveva condannato il segreto che avvolgeva l’attività dei massoni, inducendoli così ad abbandonarlo. I massoni avevano poi interpretato quest’atto come un invito ad abbandonare la segretezza e quindi avevano messo da parte ogni ritegno a divulgare il loro sistema rituale e a propagandare la loro società con tutti i mezzi a disposizione, libri, opuscoli e giornali.

18 maggio 1751: papa Benedetto XIV con la costituzione Providas condanna nuovamente la massoneria. La genesi di quest’atto è, se possibile, ancor più complicata da ricostruire rispetto a quello del 1738, anche se si presentava anzitutto come volontà di ribadirne l’efficacia. Ancora una volta, sembra che l’atto pontificio fosse prima di tutto la reazione della Chiesa alla politica del granducato di Toscana, in particolare contro l’editto di ammortizzazione dei beni ecclesiastici approvato nel marzo precedente e ritenuto opera di un complotto massonico. In realtà il pericolo massonico non giungeva tanto dalla Toscana, quanto dalla penisola iberica e dal regno di Napoli. In Spagna le logge, benché ufficialmente proibite e costantemente oggetto di persecuzioni da parte dell’Inquisizione, continuavano a moltiplicarsi e riscuotevano grande successo soprattutto fra i militari spagnoli e stranieri, molti dei quali guardavano con simpatia a Federico II di Prussia. Pure a Napoli il modello della loggia militare era oggetto di grande attenzione e attraeva molti ufficiali di origine svizzera, legati culturalmente e politicamente alla Francia. Il regno di Napoli, che a seguito della guerra di successione spagnola (1701-14) era passato dal controllo dei Borbone di Spagna alla nuova casa regnante, viveva il tentativo di realizzare la concordia tra l’ordine togato, quello dei magistrati, e il potente ceto dei baroni, in base a un disegno di cui la massoneria si faceva portavoce (Ferrone, 2000). In questo clima venne eletto gran maestro delle logge di rito inglese, di tipo hannoveriano, Raimondo di Sangro principe di Sansevero. Fu un momento di svolta: l’elezione di Sansevero riuscì a comporre il contrasto fra le logge napoletane hannoveriane, aperte ad ogni ceto sociale, e quella aristocratica di Francesco Zelaia, di derivazione francese, aristocratica, spiritualista, e caratterizzata dalla presenza di alti gradi.

Il breve periodo di governo massonico del principe di Sansevero coincise però non solo con la riacquistata armonia nell’agitato quadro massonico meridionale, ma anche con l’elaborazione di un progetto intellettuale più ampio che coinvolgeva direttamente i rapporti con la Chiesa. Ne sono frutto una serie di scritti che Sansevero pubblicò in quegli anni, tra cui soprattutto una Lettera apologetica, nella quale venivano tratteggiati sia i caratteri essenziali dell’ideologia massonica e del rapporto con la cabala, sia le linee fondamentali di un nuovo disegno politico: quello appunto di unire togati e nobili attraverso il comune spazio massonico, non più inteso solo come forma di sociabilità culturale, ma anche come un nuovo soggetto politico per l’instaurazione di un diverso assetto nei rapporti fra Chiesa e regno di Napoli. Un disegno che si rivolgeva anche ai ceti militari (non a caso veniva assunto ad esempio di forza e capacità organizzativa l’esercito prussiano) e che coalizzava così nobili, togati e militari dinanzi alle ingerenze politiche della Chiesa e ai ripetuti tentativi di introdurre l’Inquisizione a Napoli (Ferrone, 2000). Nel 1751, poi, lo stesso Sansevero curò la pubblicazione di Il conte di cabali ovvero ragionamenti sulle scienze segrete, la traduzione italiana, curata da Antonio Conti, di una versione francese del celebre saggio di Alexander Pope; e nel 1753, sempre a Napoli, l’abate Annibale Antonini ripubblicava i Voyages de Cyrus di Ramsay.

Dinanzi a tali attività, al pericolo che la massoneria napoletana venisse trasformandosi da forma di sociabilità in una forza ideologica, e al disegno destabilizzante tracciato nella Lettera apologetica, il principe di Sansevero venne accusato di tradimento e, nell’agosto del 1751, non esitò a scrivere direttamente a papa Benedetto XIV e al suo re per giustificarsi e spiegare in che cosa consistesse l’attività massonica, chi fossero i fratelli in loggia a Napoli e che cosa fosse il «segreto massonico», rivendicando alla massoneria soprattutto la sua natura socializzatrice e culturale. Una difesa inutile, perché la Lettera apologetica venne prontamente condannata dall’Inquisizione e messa all’Indice nel 1752.

Rientra nel quadro dei rapporti fra massoneria e religione anche un fenomeno che risale proprio agli anni Cinquanta del Settecento e che è stato definito come il «ritorno alla cabala», cioè come una riscoperta della tradizione ermetica e cabalistica seicentesca. Fu il massone Laurence Dermott, affiliato alla Gran Loggia d’Irlanda, ad attuare in quel periodo uno scisma dalla Gran Loggia d’Inghilterra, rivendicando un ritorno alle origini più antiche della muratoria, quelle biblico-cabalistiche legate ai principi noachidi, cioè a quelli dell’epoca precedente a Mosè e al Diluvio universale. Dermott pubblicò nel 1756 un testo dal titolo Ahiman Rezon che reintroduceva nella massoneria gli elementi cabalistici che i massoni newtoniani avevano progressivamente bandito per sottolineare piuttosto il rapporto fra l’ordine della natura e l’ordine razionale, espresso anche nella cultura rinascimentale dai monumenti architettonici e da quelli palladiani (Giarrizzo, 1994). Il fondamento su cui Dermott stabiliva il nuovo rapporto fra massoneria e cabala, fra massoneria e religione, risaliva ancora una volta alla leggenda sulle origini della costruzione del tempio di Gerusalemme. Attraverso la metafora di un viaggio estatico, Dermott immaginava di essere stato condotto da un guardiano delle porte del tempio dinanzi al Gran Sacerdote, il quale gli aveva spiegato come le origini della muratoria fossero legate alla ricostruzione del tempio ad opera degli ebrei tornati dalla cattività babilonese, e gli aveva svelato altresì la natura del segreto massonico, fonte della possibilità di comunicare direttamente con il Creatore. Per Dermott, quindi, solo la tradizione misterica e la cabala rappresentavano la vera scienza e la vera religione massonica, e non l’ordine razionale e l’architettura come aveva sostenuto Anderson.

Il pericolo di un ritorno alla cabala diventava così l’occasione per riprendere, nella Francia degli anni Cinquanta, la discussione sul rapporto fra massoneria e religione e per porre le logge sotto il controllo della Chiesa gallicana, la chiesa francese che si era resa indipendente da quella di Roma. La Gran Loggia del gran maestro Louis de Bourbon-Condé conte di Clermont, bandì addirittura ogni forma di tolleranza religiosa, imponendo ai fratelli battezzati l’obbligo di frequentare la messa.

Questo mondo in trasformazione, questo panorama massonico che si faceva sempre più inquieto alla metà del XVIII secolo, rifletteva in larga misura le nuove esigenze della società europea: esigenze che si riassumevano anche in un forte bisogno di religiosità e nella nuova composizione sociale delle logge, sempre meno aristocratiche e sempre più aperte ad ogni ordine e ceto. Proprio il bisogno di religiosità della società del tempo, di fronte ai processi sempre più avanzati di decristianizzazione e di laicizzazione, faceva sì che i massoni, non impegnati direttamente in politica, cominciassero lentamente ad abbandonare la neutralità religiosa per occuparsi più direttamente delle relazioni con la Chiesa. Se ne sarebbe fatto interprete un quarto di secolo dopo, alla metà degli anni Settanta, l’ambiente culturale tedesco, protagonista del tentativo di storicizzare il fenomeno del cristianesimo per mostrare come potesse esistere anche una nuova forma di religione, laica, basata sull’uso dell’intelletto e della ragione. L’occasione sarebbe giunta dalla riscoperta dei manoscritti del teologo di Wolfenbüttel H. Samuel Reimarus, pubblicati e annotati da Gotthold Ephraim Lessing. In quei brani, destinati a larga eco, la nascita della religione cristiana sarebbe stata spiegata essenzialmente come un atto di fede e di autoillusione provocato dalla reazione alla crocifissione di Gesù, evento che gli apostoli si erano rifiutati di accettare. I vangeli ne avrebbero poi codificato la tradizione e il rito. Si sarebbe trattato di un passo fondamentale per la diffusione dell’idea che il cristianesimo e il cattolicesimo dovevano essere considerati come un’esperienza storica e culturale, adatta a soddisfare il bisogno di religiosità delle comunità antiche e costruita allo stesso modo di ogni altra esperienza religiosa e mistica del mondo medievale e moderno, incluso il templarismo.

Così, nell’Europa del secondo Settecento, la ricerca massonica proseguiva nel tentativo di soddisfare il costante bisogno di religiosità dell’uomo, per capire e interpretare valori ritenuti non più esclusivi della tradizione cristiana, e per tracciare il cammino che doveva portare – per riprendere le parole di Lessing – ad una «rigenerazione» dell’essere umano.