L’irrompere della politica

1. Dalla Stretta Osservanza agli Illuminati di Baviera

In quegli anni lo spazio massonico era dominato sempre di più anche dal discorso politico e stava divenendo, per i massoni e per gli osservatori esterni, il terreno privilegiato di scontro tra forze diverse: la Chiesa e lo Stato, il cristianesimo e il mondo magico, la scienza ufficiale e le pseudoscienze, il modello di società aristocratico e quello «democratico». La massoneria non era ancora riuscita a diventare una religione, ma non si era nemmeno affermata come scienza e stava diventando sempre più di frequente, invece, lo strumento e persino lo scopo ultimo di progetti politici.

In Francia confluivano all’interno delle logge gran parte dei membri dei tribunali e in particolare dei parlamenti, oppositori della politica centralizzatrice di Luigi XV. Nel 1771 il conte di Clermont divenne protagonista del «caso Maupeou», facendosi portavoce delle proteste e delle resistenze del parlamento di Parigi contro i tentativi di Luigi XV e del suo cancelliere René Nicolas Augustin de Maupeou di privare le alte corti di giustizia delle loro prerogative e di sopprimerle. Quest’atto mirava a spezzare l’opposizione parlamentare che da quarant’anni condizionava la monarchia e incontrava peraltro anche l’approvazione di Voltaire, ma venne interpretato come un colpo di Stato e come una forma di dispotismo monarchico, tanto che – con l’avvento al trono di Luigi XVI (1774) – Maupeou cadde in disgrazia e fu costretto a ritirarsi a vita privata. Una parte della massoneria francese, soprattutto quella che si riconosceva nel Grande Oriente, divenne così espressione della resistenza parlamentare e dell’opposizione al centralismo ministeriale e monarchico, sfruttando in questo modo sia le aspirazioni delle forze conservatrici, che puntavano al mantenimento degli antichi privilegi dinanzi al sovrano, sia delle forze riformatrici, anch’esse contrarie all’assolutismo di Luigi XV in nome degli ideali di rappresentanza e di costituzionalismo. Come rivela la documentazione delle logge di Strasburgo, la diffusione del Grande Oriente di Francia, guidato anch’esso da una dirigenza aristocratica, non riusciva a ricompattare la massoneria francese, ma anzi stava moltiplicando i dissidi con le logge che accoglievano individui provenienti da altri ordini sociali, come i mercanti, gli attori e le persone di condizione servile, al punto da far sospendere le attività nelle logge la cui composizione sociale non rispettava i valori aristocratici ed esprimeva invece una maggiore democrazia interna.

Nel mondo germanico, gli eventi più significativi al termine della guerra di successione austriaca (1740-48) e della guerra dei Sette anni (1756-63) erano stati lo sgretolamento politico del Sacro Impero romano germanico e l’imporsi della Prussia sullo scenario europeo: lì si era affermata l’egemonia della nobiltà militare e delle accademie militari, e si era diffusa una letteratura legata alla figura del principe-filosofo, del sovrano illuminato Federico il Grande che era stato autore, negli anni giovanili, dell’Antimachiavel (1740). Lì, ora, il massone J.F. Bielfeld stendeva le Institutions politiques (1760) per l’educazione di Augusto Ferdinando, fratello del re.

Anche l’Europa centrale era percorsa però dalla «febbre degli alti gradi», dalla proliferazione delle logge e dei riti, dai tentativi di imporre nuovi modelli, nuove formule massoniche, che servissero a ricomporre l’unità delle logge e, nel contempo, a raccogliere l’eredità del mondo templare, della tradizione dei Rosacroce e della filosofia alchemica. Nasceva così il sistema della Stretta Osservanza, destinato a conoscere grande successo per tutta la seconda metà del secolo.

Chiamata così per distinguersi dalla cosiddetta «Larga Osservanza», cioè dal tradizionale sistema massonico a tre gradi, era stata fondata sul finire degli anni Cinquanta da una figura un po’ misteriosa, un ebreo convertito e avventuriero che si faceva chiamare Georg Friedrich von Johnson, fino ad allora impegnato nella difesa della tradizione templare all’interno del cosiddetto «sistema Clermont». Nel maggio 1764, in occasione di una riunione massonica nell’abbazia gotica di Altenberg, presso Colonia, Johnson con una parte dei suoi seguaci era stato messo in minoranza da Karl von Hund, un nobile sassone che dieci anni prima aveva fondato un sistema templare a sette gradi, altra variante del «sistema Clermont». Von Hund, presentando false patenti templari e chiamando a capo della Stretta Osservanza un gran maestro segreto che faceva credere fosse Carlo Stuart, conte di Albany, ultimo superstite della casa scozzese ormai in esilio in Italia, riuscì a screditare Johnson e a imporsi a capo della Stretta Osservanza. Ottenne l’appoggio di sei o sette logge, che si impegnò a «rettificare» (cioè a ricondurre entro le regole della tradizione templare) e che erano poste all’interno del territorio che nel Medioevo aveva costituito la settima provincia dell’ordine templare, di cui si proponeva la restaurazione. Poco dopo, il suo principale collaboratore, Christian Schubart, ottenne di far aderire alla Stretta Osservanza anche la loggia berlinese «Ai tre globi», quella nel cui ambito Gabriel de Lernay aveva ricostituito il Capitolo di Clermont, e di cui era vicemaestro. Nel 1766, poi, a loro si unì il teologo e storico del cristianesimo Johann A. Starck, che si adoperò per imprimere alla Stretta Osservanza una svolta criptocattolica, aggiungendo ai tradizionali gradi templari altri due (Le Forestier, 1991). Così, nei primi anni Settanta, il sistema della Stretta Osservanza divenne un fenomeno di grande successo, con una notevole carica attrattiva rispetto ad altri riti e sistemi, per allargarsi in cerchi concentrici fino a raggiungere la Francia, la Svizzera, i Paesi Bassi, la Polonia e la Russia, l’Austria e l’Ungheria.

Le ragioni della straordinaria propagazione della Stretta Osservanza sono molteplici. Anzitutto si trattava di una formula che puntava sugli alti gradi, che aveva una base cavalleresca e un’ideologia nobiliare, e perciò meglio interpretava la vocazione aristocratica della muratoria germanica. La sua gerarchia imitava quella degli ordini religiosi e si basava su una rigida disciplina: più si saliva di grado, maggiori erano l’acquisizione e la conoscenza di segreti, e più elevato era anche il grado di potere che si poteva raggiungere. In secondo luogo, la Stretta Osservanza si proponeva come erede e continuatrice della tradizione templare, delle radici del feudalesimo germanico: era organizzata in province templari, che in parte riproducevano quelle medioevali, e che tendevano alla costituzione di uno Stato templare a baluardo della cristianità, simile a quello dei Cavalieri dell’Ordine di Malta. Lo si voleva collocato ora al confine tra Ungheria e Turchia, ora a Lampedusa, ora a Maiorca. Infine, la Stretta Osservanza aveva abbandonato progressivamente la tradizione della cabala magica per recuperare quella esoterica. In questo modo, assunse un irresistibile fascino che faceva confluire in essa molte società massoniche o paramassoniche che vi ritrovano affinità operative, nel comune obiettivo di impegnarsi per la ricostruzione simbolica del Tempio di Gerusalemme, la cui distruzione aveva rappresentato la perdita dei valori originari dell’uomo (Giarrizzo, 1994).

Tuttavia, anche il percorso della Stretta Osservanza doveva incontrare ostacoli e brusche interruzioni, soprattutto a causa dei tentativi di porre un freno al potere di von Hund. Alla fine degli anni Sessanta venne attraversato come una meteora dalla figura di Johann W. Zinnendorf (1731-1782), già studente di medicina a Halle, maestro non ancora trentenne della loggia locale, passato nel 1763 nel Capitolo dei Rosacroce e poco dopo nella Stretta Osservanza. A Berlino tentò di collegare la massoneria templare con quella di rito inglese per limitare l’influenza di von Hund ma, fallita quest’impresa anche per il disinteresse di Londra, abbandonò nel 1767 la Stretta Osservanza per acquistare patenti e segreti del sistema svedese e per fondare una propria setta, basata su una curiosa mescolanza di massoneria, elementi cavallereschi francesi, templarismo tedesco, rosacrocianesimo, alchimia e mistica rinascimentale. Nel 1770, poi, formò la Gran Loggia territoriale di Germania, assieme ad altre undici logge, destinata però a spegnersi nel 1778.

Fallì poco dopo anche il tentativo di Ferdinand von Braunschweig, zio di Federico II di Prussia. Già gran maestro provinciale delle logge di rito inglese dal 1764, entrò nel 1771 nella Stretta Osservanza con l’obiettivo di arginare il templarismo di von Hund e riuscì a convocare nel 1772 un’assemblea nel convento di Kohlow in Brandeburgo (da cui il nome di «convento» dato a tutte le successive assemblee massoniche), facendosi eleggere Magnus Superior Ordinis per la Germania e riuscendo a stringere un accordo con i seguaci di Stark e del criptocattolicesimo. L’anno dopo, al convento di Berlino, non gli riuscì invece di assorbire il sistema svedese di von Zinnendorf, nonostante l’appoggio di Federico II, che contemporaneamente spingeva affinché la massoneria berlinese rinsaldasse i legami con la Gran Loggia d’Inghilterra.

Nel luglio del 1774, l’azione della Stretta Osservanza non incontrava ormai più freni e dallo spazio tedesco si spostava nel sud della Francia. A Lione giunse un emissario di von Hund, il barone von Weiler, con il compito di «rettificare» e convertire alla Stretta Osservanza i massoni di rito scozzese che nel frattempo avevano preso il sopravvento su quelli della Loggia provinciale del Grande Oriente di Francia: von Hund venne dichiarato direttore provinciale, mentre cancelliere risultò Jean Baptiste Willermoz, che avevamo già conosciuto come seguace di Martinès de Pasqually. Dalla Francia meridionale, così, veniva avviata la riforma della muratoria all’ombra della Stretta Osservanza che, con il nome di massoneria templare «lionese», si sarebbe diffusa in breve tempo a Strasburgo, in Svizzera e in Italia. Nell’ottobre, anche i vicini fratelli torinesi venivano invitati ad aderirvi, fino a trasformare la loggia provinciale di Torino «La Mystérieuse» nella Gran Loggia scozzese «La Verité». Passarono pochi mesi e nel maggio 1775 Ferdinand von Braunschweig organizzò il terzo convento della Stretta Osservanza. Le due anime al suo interno erano ormai definite: mentre Hund proseguì (fino alla morte nel 1776) a tessere la sua rete e a «rettificare» per mezzo dei suoi emissari logge francesi, tedesche, svizzere e italiane, Braunschweig – convinto che il modello templare non fosse adatto ad unificare la massoneria europea – pur accettando la struttura territoriale dell’ordine continuò a riformarne gli usi, a cambiarne abiti e riti, introducendo il grembiule di cuoio bianco, l’uso della spada sopra il pallio, il cappello ornato di coccarda rossa, un’acconciatura nuova a coda serrata e tesa. Alla fine del 1775 la Stretta Osservanza aveva portato a compimento la sua struttura territoriale con la settima provincia dell’Ordine (Germania inferiore) e l’ottava (Germania superiore), che venne a sua volta divisa in due Gran Priorati, di Germania e d’Italia. Quello d’Italia fu suddiviso in quattro baliaggi (romano, napoletano, lombardo e siciliano), che sancirono la definitiva penetrazione del nuovo rito nella penisola.

Era ormai evidente che la Stretta Osservanza non si presentava più solo come un sistema massonico, ma come una struttura di potere e che le logge stavano diventando un terreno di scontro fra coloro che ancora vedevano nella muratoria una forma di sociabilità e coloro che invece la utilizzavano con scopi politici. Così, attorno al tentativo di contrastare l’espansione dell’organizzazione di von Hund, si formavano e si scioglievano alleanze per arginarla temporaneamente e riportare in vita tradizioni culturali e misteriche già conosciute. In Francia una debole resistenza veniva opposta dal martinesimo (cioè dai seguaci di Martinès de Pasqually) e dal mesmerismo, mentre a Lione Willermoz stesso tentava di bloccare le interferenze germaniche chiamando a collaborare gli esponenti di punta degli «Élus Coens», tra cui Louis-Claude de Saint-Martin, che avrebbe posto le basi filosofico-religiose del nuovo martinismo, cioè di una teosofia cristiana che rigettava l’alchimia e l’ermetismo. Nel 1776, poi, Willermoz ottenne di realizzare un accordo fra il Grande Oriente di Francia e i rappresentanti del rito scozzese e l’anno successivo cominciò a realizzare una riforma dei 9 gradi templari che gli consentiva di eliminare dalla dottrina di Pasqually, alla quale si ispirava, la componente magica. Per Willermoz e i martinisti, destinati a raccogliere un certo consenso nell’area francese, il segreto massonico era inteso come un processo di espiazione-rigenerazione che consentiva all’uomo di riacquistare alcuni caratteri divini ormai perduti. Era la via per una riscoperta del rapporto fra massoneria e cristianesimo dinanzi al mondo tedesco, i cui echi si possono ritrovare, forse, già in una lettera di Niklas Anton Kirchberger a Lavater del 1772, in cui si prospettava il timore che dal mondo tedesco giungesse un nuovo complotto per rovesciare la religione cristiana (Giarrizzo, 1994).

Oltre alla Stretta Osservanza e ai martinisti francesi, il continente europeo vedeva in quegli anni la presenza di due altri importanti sistemi, quello dei Rosacroce e quello degli Illuminati di Baviera. Il Capitolo dei Rosacroce era stato ricostituito a Parigi nel 1769 nel pieno della crisi della Gran Loggia: si presentava anch’esso come un sistema a nove gradi, basato sulla gerarchia e sull’uso del segreto, al punto che i quasi seimila membri nulla sapevano dei loro superiori e nemmeno degli altri «fratelli», in quanto era fatto loro obbligo di non rivelare ad alcuno l’appartenenza all’ordine. I soli che conoscevano l’identità degli adepti erano i superiori. Gli statuti affermavano chiaramente che gli scopi di questo «Ordine santo e a Dio ben grato» erano i medesimi degli antichi Rosacroce, cioè migliorare l’uomo nel rispetto del timore di Dio, ridare vita ad un cristianesimo decaduto, alleviare le sofferenze dell’umanità, anche a mezzo dell’alchimia e dell’ermetismo. I Rosacroce, che si consideravano discendenti di Giacobbe e che nell’Europa centro-orientale (soprattutto nell’area asburgica) rappresentavano il modello di sociabilità più diffuso, contribuivano in misura non secondaria a riaprire in ambito massonico la discussione sul rapporto tra massoneria e religione e tra potere e conoscenza.

Accanto ai Rosacroce sorse nel 1776 in Baviera una nuova setta detta degli Illuminati, con l’obiettivo di vanificare il paventato disegno degli ex membri della Compagnia di Gesù (soppressa nel 1773 perché accusata di cospirazione politica a danno delle monarchie cattoliche) per impadronirsi delle logge onde realizzare un tentativo di riscossa criptocattolica. Ne era fondatore Adam Weishaupt (1748-1840), un professore di diritto ecclesiastico e di filosofia a Ingolstadt, che aveva fatto di Monaco il centro del reclutamento dei propri affiliati e sosteneva che per contrastare i piani segreti dei gesuiti era necessario costruire un modello settario affine a quello della disciolta Compagnia, con una analoga struttura gerarchica e piramidale, sancita dal giuramento, dalla disciplina, dal segreto. Lo scopo era quello di edificare una nuova religione universale, un progetto emancipatorio, da affermare sul piano politico ed operativo mediante l’interessamento e il coinvolgimento di esponenti delle alte cariche dello Stato.

Molto più tardi, alla metà degli anni Novanta, Weishaupt avrebbe ricordato di essersi ispirato ad alcuni testi rosacrociani per ideare la propria setta; è certo comunque che nel 1776, costretto a lasciare l’insegnamento a causa di dissidi interni all’università di Ingolstadt, Weishaupt creò la sua organizzazione partendo da alcune associazioni studentesche, attraverso una serie di vicende che conosciamo con precisione. Il 1° maggio 1776, prossimo ad essere congedato, Weishaupt riunì nella sua stanza dell’università di Ingolstadt cinque studenti, ai quali se ne unirono dopo qualche settimana pochi altri; nasceva così un’associazione assai ristretta che però nell’estate del 1778 contava già una trentina di membri e che alla fine del 1779 raggiunse il centinaio. Si basava su un sistema a tre gradi, dei quali quello più basso corrispondeva al noviziato, la fase preparatoria. Vigeva il principio già adottato dai Rosacroce, per cui il novizio non poteva conoscere alcun superiore, a parte quello che lo aveva avvicinato all’Ordine. La formazione del novizio avveniva attraverso la lettura degli scritti di Seneca e di Epitteto, ma anche di opere di chimica, di commercio e di economia politica (uno degli autori più letti era Adam Smith). Utilizzando la struttura dell’accademia, nella quale ogni membro assumeva un nome in codice, gli Illuminati riuscirono a diffondersi non solo in Baviera ma anche in altri paesi tedeschi di religione cattolica, come la monarchia asburgica.

Nel 1780 fece ingresso nella setta Adolph von Knigge (1752-1796), un personaggio dalla forte personalità e dagli antichi interessi atomistici, che aveva collaborato con Karl von Hessen ai progetti di riforma della Stretta Osservanza. Era sua intenzione trasformare la setta in Ordine per far confluire, ambiziosamente, gli Illuminati nella massoneria post-templare. Il disegno era quello di riformare l’intero sistema massonico dell’area tedesca, creando le premesse per distinguere nella muratoria il governo e l’esercizio del potere dagli obiettivi meramente speculativi della ricerca massonica. Knigge era probabilmente l’uomo adatto per rinnovare i programmi della Stretta Osservanza, per darle nuovo impulso attraverso la collaborazione con gli Illuminati di Baviera, e per tradurre le utopie massoniche in veri e propri progetti politici che aspirassero a rimodellare l’assetto degli Stati europei. Così, a partire dagli ultimi mesi del 1781, avviò un’intensa campagna di stampa per affermare i valori della tolleranza religiosa e civile, per individuare progetti di riforme politiche e per preparare una «rivoluzione degli spiriti» che liberasse la Baviera e l’intero continente europeo dal giogo dell’Antico Regime e dai condizionamenti della Chiesa cattolica.

Di fronte ai conflitti sempre più evidenti all’interno della massoneria europea, però, la stessa Stretta Osservanza, che aveva puntato tutto sul sistema dei gradi e degli ordini interni dimenticando i contenuti, cominciava a ripiegarsi su se stessa, senza riuscire a trovare un soccorso nello scozzesismo francese del sistema lionese di Saint-Martin e Willermoz o nelle tradizioni di altri riti. La crisi della muratoria e delle logge, dinanzi alle lacerazioni interne, suscitava interrogativi sempre più frequenti negli stessi massoni sulla natura e sulle finalità del loro ordine. Solo nel momento in cui le difficoltà diventavano sempre più gravi, i rappresentanti della massoneria europea si sarebbero ritrovati nella località tedesca di Wilhelmsbad per tentare di ricomporre le divisioni interne e per ricondurre ad unità il sistema delle logge, cercando di dare una nuova risposta alle trasformazioni politiche e culturali degli anni Ottanta.

2. Massoneria ed editoria

Uno degli aspetti della storia della massoneria forse meno studiati, nonostante la notevole importanza per la nascita della cultura moderna, è quello dell’editoria massonica. Lo sviluppo e il grande successo delle logge nel corso del XVIII secolo coincisero non solo con l’affermarsi di nuovi modi di fare politica, ma anche con la diffusione dell’alfabetizzazione, con la riforma dei sistemi educativi, con la nascita della scuola pubblica e dell’istruzione obbligatoria. La conseguenza di tutto ciò fu la crescita di un pubblico sensibile ai processi di acculturazione progressiva tipici dell’età dei Lumi, attento alle dimensioni della politica e sempre più interessato alle nuove forme di consumo culturale. Un pubblico avido di letture, protagonista nei meccanismi di circolazione e di assimilazione non solo delle grandi opere filosofiche, giuridiche e teologiche, ma anche – e in misura sempre maggiore – della cosiddetta bassa letteratura, cioè di romanzi, novelle, almanacchi, gazzette. Il mondo massonico intercettò assai precocemente queste strategie e le nuove esigenze della società europea, attraverso un’offerta sempre più ampia di orazioni, almanacchi, catechismi, riviste e, in generale, di pubblicazioni a basso costo e di facile leggibilità, destinate alla formazione dell’iniziato e alla propaganda al di fuori delle logge.

Questo impegno era riconoscibile già alla metà del XVIII secolo nelle Province Unite olandesi, uno dei paesi europei che potevano vantare lunghe tradizioni nell’arte e nella circolazione della stampa. Prosper Marchand, che aveva avuto un ruolo importante nella diffusione della massoneria in quelle regioni, era infatti un editore di successo e le stesse logge olandesi, in coincidenza con la crisi politica e istituzionale della repubblica, avevano dato avvio a inedite forme di consumo culturale, promuovendo ad esempio riedizioni e traduzioni dei trattati sul governo di John Locke, il filosofo inglese che aveva legittimato la rivoluzione inglese e che serviva ora a giustificare la cosiddetta «rivoluzione pacifica» olandese. Le vicende delle edizioni e delle traduzioni delle opere di Locke nel corso del Settecento sono interessanti quindi non solo perché documentano i rapporti fra le logge continentali e quelle inglesi, ma anche perché ci mostrano come l’editoria stesse conquistando spazi sempre più ampi, fino a svolgere un ruolo essenziale per l’elaborazione di un nuovo linguaggio politico e massonico. In tale contesto, nel 1755, Jean Rousset de Missy – l’organizzatore della loggia di Amsterdam – ripubblicò anonimamente in traduzione francese i trattati di Locke firmando l’introduzione con le iniziali L.C.R.D.M.A.D.P., cioè «Le Chevalier de Rousset de Missy Académie du Plessis»; in realtà la traduzione non era opera sua ma di David Mazel, un ugonotto che l’aveva stesa più di sessant’anni prima, nel 1691, quando l’Olanda era ancora alleata con l’Inghilterra nella guerra contro la Francia. Rousset de Missy nella sua introduzione presentava però Locke come un pensatore politico repubblicano ed era intervenuto nella traduzione operando alcune cesure, aggiungendo qualche paragrafo sull’idea della rappresentanza e dell’opposizione politica e mettendo in atto un abile gioco linguistico per trasformare i termini inglesi di commonwealth e community in république (Jacob, 1995). Negli anni successivi, la diffusione del pensiero di Locke nel continente europeo sarebbe stata condizionata non poco dalla riedizione curata da Rousset de Missy, la stessa che anche Jean-Jacques Rousseau avrebbe letto e annotato.

Accanto alle riedizioni e alle traduzioni di testi filosofici, scientifici e religiosi, le logge iniziarono a promuovere anche una letteratura «minore», destinata però ad un più largo consumo. Venivano stampate le orazioni massoniche, tenute durante le assemblee per celebrare le virtù e l’esempio forniti dai membri della loggia, dai principi che la proteggevano o dagli eroi dell’antichità. Venivano pubblicati i catechismi, cioè i testi in forma di dialogo – spesso tra un «fratello» e l’apprendista massone – che dovevano istruire sulla vita in loggia, sui compiti dell’iniziato, sui riti e sugli scopi della muratoria. Un altro fenomeno editoriale di grande rilievo era quello degli almanacchi, spesso di formato tascabile, che rappresentavano il tipo di testi più diffuso nel mondo massonico, oggetto di commercio ma anche di scambio fra le logge di diversi paesi. Piccoli nelle dimensioni, agevolmente consultabili, erano in realtà delle vere e proprie guide all’universo della muratoria europea. Servivano anche come agende, segnalavano le date delle festività massoniche, spesso riportavano gli elenchi e l’ubicazione delle logge «sorelle», ed erano completati dai testi delle orazioni e dei canti da tenere nelle riunioni delle logge. Qualche volta il loro contenuto era originale, più spesso però gli editori utilizzavano materiali di provenienza britannica e francese. In Gran Bretagna il più importante editore di almanacchi era William Preston, segretario della Grande Loggia di Londra, mentre per l’area occidentale del continente europeo ci si doveva rivolgere, negli anni Cinquanta, all’olandese Johan Schreuder, tipografo ufficiale delle logge di lingua olandese e francese. Costui era contemporaneamente anche capo della loggia «Bien Aiméé» di Amsterdam, che aveva anche ripubblicato i trattati sul governo di John Locke. Dieci anni più tardi la sua attività venne proseguita da Van Laak, il cancelliere e fornitore di libri della Grande Loggia dell’Aia.

Nella seconda metà del Settecento la letteratura massonica – intesa sia come letteratura per massoni, sia come letteratura prodotta nello spazio massonico ma destinata ad un pubblico più ampio –, divenne così un vero e proprio genere di consumo. Gli esempi sono numerosi e si riferiscono un po’ a tutti i paesi europei. Nella monarchia asburgica, accanto a opere di argomento letterario come Das gelehrte Österreich (L’Austria letterata, Vienna 1776-78), scritta da Ignaz de Luca, massone e docente di scienze della politica a Linz, venivano stampati dal 1783 il «Journal für Freymaurer» («Giornale per massoni») e le «Physikalischen Arbeiten der Einträchtigen Freunde» («Materiali di fisica degli amici concordi»), due periodici curati dalla loggia «Zur wahren Eintracht» e destinati a larghissima circolazione nel mondo tedesco. Si trattava di raccolte aperte anche ai non massoni e dedicate agli studi storici, filosofici, geologici, chimici e naturalistici, che servivano alla formazione culturale del massone, ma anche ad informare i profani sulla natura delle attività muratorie. Sempre negli anni Ottanta, il circuito delle logge promuoveva anche la circolazione e la traduzione nelle diverse lingue europee di testi che forse altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti al pubblico del continente, come la Scienza della legislazione (1780-91) del napoletano Gaetano Filangieri, ben presto tradotta nelle lingue francese, spagnola e tedesca per iniziativa di «fratelli» nelle logge di quei paesi. Nella penisola italiana, ancora, fu il tipografo cremonese Lorenzo Manini, legato alla loggia «San Paolo Celeste» e al massone Isidoro Bianchi a ridestare l’interesse per le civiltà d’oltre oceano pubblicando le Lettere americane (1780) di Gianrinaldo Carli, con una prefazione di Benjamin Franklin. Al confine svizzero, infine, l’attività della tipografia di Coira e Poschiavo venne a rappresentare il collegamento più immediato fra la massoneria italiana e la setta degli Illuminati di Baviera, attraverso l’impegno del trentino Carl’Antonio Pilati, che sin dal 1781 manifestò l’intenzione di far «tradurre in italiano i migliori storici tedeschi e di farli pubblicare per far conoscere in Italia queste produzioni tedesche», trovando validi collaboratori nei tipografi Baldassarre Zini e Pantaleone Dante.

Il rapporto fra massoneria e editoria negli anni Ottanta del XVIII secolo è importante non solo per ricostruire i circuiti culturali che portavano alla diffusione e alla traduzione di testi legati al mondo dei Lumi, ma anche per individuare le trasformazioni economiche e sociali nel mercato e nell’industria libraria. Molti tipografi aderivano infatti alle logge non tanto perché interessati a discussioni ermetiche, filosofiche o politiche, ma semplicemente per il fatto che spesso i massoni erano gli intellettuali più fecondi e la vita in loggia rappresentava l’occasione per aumentare il numero di commissioni e per fare buoni affari. Il caso della monarchia asburgica è indicativo: erano massoni i tipografi viennesi Johann Thomas von Trattner (membro della loggia «Zu den drei Adlern», «Alle tre aquile»), Ignaz Alberti (Albrecht), iniziato nella loggia «Zum heiligen Joseph» («San Giuseppe»), Rudolf Gräffer, Aloys Blumauer, Johann Christian Wappler, tutti membri della loggia «Zur gekrönten Hoffnung» («Alla speranza incoronata»). Nella penisola italiana erano massoni, tra gli altri, i tipografi Lorenzo Manini a Cremona e Giuseppe Remondini a Bassano. Ancora, era iniziato nella loggia «Zur wahren Eintracht» («Alla vera concordia») di Vienna Georg Philipp Wucherer, un luterano che sarebbe stato poi uno dei maggiori protagonisti dell’Illuminismo asburgico e che si sarebbe orientato, più tardi, verso forme di sociabilità democratica ed attività cospiratorie, causa di continui sequestri, confische, inchieste di polizia e distruzione di libri sequestrati, fino al bando dai territori della monarchia austriaca.

3. L’Illuminismo e la crisi della muratoria europea

Alla fine degli anni Settanta i segnali della grave crisi che agitava la muratoria diventavano sempre più evidenti. In tutt’Europa i massoni, di fronte al dilagare delle logge, alla moltiplicazione dei riti, alle continue rivendicazioni, da parte dei diversi modelli, di rappresentare l’unica e «vera» muratoria, si trovavano costretti a interrogarsi sulla natura e sulle finalità della loro opera, sul tipo di attività da svolgere, sulla loro stessa identità culturale e politica. Tutto ciò dipendeva solo in parte da ragioni interne al mondo delle logge: all’orizzonte si profilavano altri fenomeni destinati a produrre grandi cambiamenti nel panorama massonico, e cioè il confronto sempre più ravvicinato con il mondo dei Lumi e l’impatto sulla cultura europea delle vicende che portarono alla rivoluzione americana.

Nell’ultimo quarto del XVIII secolo stava diventando ormai chiaro che l’Illuminismo attraversava una fase di trasformazione radicale: non si presentava più soltanto come un insieme di idee, fondato sui valori della tolleranza, dell’uguaglianza, della libertà, propagandate da un ristretto gruppo di intellettuali, affidate alle grandi opere dei philosophes francesi e destinate ad una limitata circolazione tra il pubblico colto delle accademie e delle istituzioni scientifiche. Stava diventando ormai un sistema culturale, un processo di acculturazione progressiva che coinvolgeva settori sempre più ampi della società europea, che faceva uso di nuove strategie e di inedite forme di consumo culturale, che veniva diffuso attraverso la letteratura romanzesca, i giornali, le gazzette e il teatro. Oltre a tutto questo, sembrava diventare anche un progetto politico. Parlare della tolleranza, religiosa e civile, nell’Europa del secondo Settecento non significava più limitarsi alla formulazione di incerti auspici da rivolgere ai governanti, all’elaborazione di utopie politiche, di vaghi progetti di riforma. Significava fare i conti con le patenti di tolleranza a favore dei culti non cattolici nella monarchia asburgica, con i disegni per l’emancipazione civile degli ebrei nel mondo tedesco, con il riconoscimento delle prime libertà politiche nel mondo britannico. Dal 1776, inoltre, l’Europa si trovava di fronte ad altri avvenimenti che lasciavano percepire come ogni discussione politica stesse acquistando una rilevanza completamente nuova, fino a tradursi in una concreta esperienza di governo: la rivoluzione americana e la nascita degli Stati Uniti, cioè di un paese fondato sulle idee di repubblica, di rappresentanza politica, di costituzionalismo. Da un capo all’altro del vecchio continente le notizie sulle iniziative e sulle imprese militari dei coloni americani occupavano le pagine dei giornali e delle gazzette: la rivoluzione americana veniva presentata non solo come un avvenimento politico e militare ma anche come la traduzione, nei documenti scritti e nella pratica di governo, dei princìpi e dei valori espressi dalla cultura dell’Illuminismo (Vincent, 1990). La redazione delle costituzioni dei singoli Stati, l’abolizione di istituzioni tipiche del mondo feudale come la primogenitura e il fedecommesso in Virginia, l’affermazione del principio della rappresentanza politica e non più solo dei ceti, la stesura della costituzione federale venivano viste certamente come le conquiste di un popolo di fronte al despota inglese, ma anche come il frutto delle riflessioni e della cultura di uomini come Thomas Jefferson, Benjamin Franklin, John Adams, George Washington, tutti appartenenti alla massoneria europea o americana.

Mutava di conseguenza, ancora una volta, il linguaggio delle logge: all’inizio degli anni Sessanta rimandava ancora a quello del contratto sociale di Rousseau; l’uguaglianza in loggia veniva rivendicata in base alle leggi di natura, si faceva appello al cuore e ai sentimenti dell’individuo quali motori del progresso umano e fonti di risanamento della società corrotta nei costumi e nello spirito. Trascorsi vent’anni, il discorso appariva dominato dal mito repubblicano: in Danimarca le logge rivendicavano la loro «libertà repubblicana»; nella loggia parigina «Neuf Soeurs» di Parigi, la stessa di Voltaire, Benjamin Franklin veniva acclamato nel 1779 come membro della comunità dei «cittadini della democrazia massonica»; la Grande Loggia d’Austria si spingeva ad affermare che «ogni loggia è una democrazia» (Jacob, 1995). All’elogio della libertà corrispondeva la condanna del dispotismo: quello delle logge «madri» che volevano imporre statuti e forme di legittimazione, quello della Grande Loggia di Liegi denunciato come forma di «schiavitù» dai massoni di Maastricht nel 1786, con la precisazione che quelle pretese erano in conflitto con «lo spirito di libertà e di affrancamento insito nel nome stesso di franchi e liberi muratori».

La muratoria, quindi, non rappresentava più soltanto un modello di sociabilità che offriva un processo di legittimazione nell’ascesa sociale degli individui in base a criteri alternativi a quelli praticati nelle società di Antico Regime. Essa mutava gradualmente fisionomia, metteva a nudo la sua natura di spazio aperto e per definizione libero, adatto a riempirsi di contenuti nuovi e a modificarsi in relazione alle nuove esigenze della società occidentale. E, allo stesso tempo, rivelava una serie di contraddizioni e di conflitti interni che mettevano irrimediabilmente a confronto istanze diverse e progetti differenti, accomunati solo in parte da una nuova filosofia della storia che faceva della tolleranza, del mistero e del sapere scientifico gli elementi portanti di un più ampio disegno culturale.

Non meraviglia, quindi, il fatto che da più parti le logge venissero considerate come un terreno di conquista, tendenzialmente adatto ad essere occupato da forze culturali diverse, da quelle più conservatrici a quelle più eversive, dai difensori della tradizione ermetica così come dagli illuministi. Era ormai sempre più evidente il fatto che l’organizzazione massonica appariva come lo spazio più adatto al conseguimento di scopi politici, ma quali fossero precisamente non era ancora del tutto chiaro. Uno dei segnali più forti della progressiva crisi degli obiettivi tradizionali della muratoria veniva dall’area protestante, ove la discussione sul rapporto tra fede e ragione si stava risolvendo irrimediabilmente in favore di quest’ultima. Scrivendo nel 1778 il terzo dei suoi dialoghi per massoni, Lessing cominciava ad avere più chiara l’idea che l’Illuminismo, attraverso la massoneria, non solo poteva diventare una nuova religione ma addirittura una nuova Chiesa. Il concetto di rivelazione, scriveva, si risolveva in realtà in uno strumento per l’educazione del genere umano, che però non dava ad esso nulla di più che l’umana ragione da sola non potesse far raggiungere. La rivelazione in senso cristiano era stata un fatto essenzialmente culturale e storico. Dio si era rivelato infatti non ad ogni singolo individuo, bensì ad un particolare popolo, al popolo di Israele, cioè a quello più rozzo e incolto, al fine di educarlo e di educare, attraverso esso, l’intero genere umano. Per Lessing, in altre parole, il rapporto tra fede e ragione, così come la preoccupazione di una parte della massoneria di lasciare avvolte nel segreto e nei simboli le verità rivelate, erano falsi problemi. Se la ragione umana era sufficiente a portare la verità rivelata al di fuori dell’involucro protettivo rappresentato dalla religione o dai misteri massonici, allora il problema diventava piuttosto quello di educare il genere umano all’uso della ragione e a questo compito avrebbero dovuto dedicarsi sia i massoni sia gli illuministi.

Sempre sul rapporto tra massoneria, religione e politica si soffermava di lì a poco un altro massone, protagonista degli ultimi tentativi di cristianizzare i Lumi, cioè l’ex gesuita e rettore dell’università di Innsbruck Karl Michaeler. Michaeler, che era iniziato nella più importante loggia di Vienna, scriveva nel 1782 una serie di articoli destinati a larga eco e discussione nell’Europa centrale, per spiegare la natura delle condanne pontificie della massoneria e il rapporto fra massoneria e cristianesimo. È interessante soffermarsi brevemente su queste pagine, non soltanto per la loro forza suggestiva e quasi impressionistica, ma anche perché appaiono rivelatrici dei disagi, delle preoccupazioni e dei tentativi di continuare a far convivere dentro le logge forze culturali ormai sempre più distanti fra loro. L’impegno di Michaeler era rivolto interamente alla possibilità di essere massoni e allo stesso tempo buoni cristiani e, nel dimostrare questo, risaliva all’origine delle tradizioni massoniche per individuare un nucleo di conoscenze e di riti comuni a quelli del cattolicesimo. Michaeler spiegava come il segreto massonico corrispondeva in tutto e per tutto all’uso del segreto presso le antiche comunità cristiane vittime delle persecuzioni nell’epoca dell’Impero romano. Il segreto, originariamente opposto dai seguaci di Cristo agli ebrei e ai pagani per la sopravvivenza stessa del loro credo, corrispondeva quindi essenzialmente ad un sistema di autotutela e di protezione rispetto alle minacce esterne. Ma le analogie fra il cristianesimo antico e la massoneria non si esaurivano solo nella funzione del segreto: riguardavano anche i misteri, cioè le verità comunicate all’uomo per mezzo della rivelazione o dei riti iniziatici, e che potevano essere riconosciute in determinati segni e simboli, nei diversi gradi di iniziazione ai misteri, e infine nei documenti fondamentali della società cristiana e di quella massonica. L’uso del triangolo si ritrovava anche nelle prime comunità cristiane per rappresentare il nome di Cristo e la Trinità; il segno della croce rimandava non solo alla Passione e all’esperienza delle Crociate, ma anche all’alfabeto massonico, basato su questo simbolo. Persino i tre gradi massonici (apprendista, compagno, maestro) rivelavano analogie con i tre sacramenti del battesimo, della comunione e dell’ordinazione sacerdotale. Non a caso, sosteneva Michaeler, il battesimo cristiano veniva amministrato originariamente a persona adulta e consapevole, divenendo così una sorta di prova per l’ingresso nella Chiesa, come lo era la cerimonia dell’iniziazione massonica. Si trattava, quindi, di un atto di volontà, di accettazione e di solenne conferma dell’appartenenza alla comunità del nuovo adepto. Infine, anche la gerarchia della Chiesa somigliava alla gerarchia massonica: ogni comunità religiosa aveva infatti un suo capo, come in loggia c’era un maestro, e tutte le comunità riunite in province erano presiedute da un vescovo, così come le logge avevano un gran maestro provinciale. Gli ostiari o custodi delle porte delle chiese, fino al XII secolo, svolgevano le stesse funzioni dei fratelli sorveglianti in loggia; negli edifici sacri c’era un incaricato per la custodia dei libri battesimali, così come in loggia il segretario teneva i libri dell’ordine muratorio. Nelle chiese v’erano persone incaricate di leggere la Bibbia così come nelle logge c’erano dei fratelli con lo specifico compito di dare lettura delle costituzioni e delle leggi massoniche (Trampus, 2000).

Nel momento in cui Lessing e Michaeler stendevano queste riflessioni, le tre anime principali della muratoria europea, la Stretta Osservanza, il rito inglese e il Grande Oriente di Francia, si confrontavano già con i fenomeni che stavano alterando la fisionomia massonica del continente. Si trattava della presenza e delle pretese egemoniche degli illuministi e dell’ala più impegnata sul piano politico, attraverso uomini come Friedrich Nicolai a Berlino; dei tentativi di trasformare le logge in gruppi di pressione politica repubblicana e antidispotica, attuati da personaggi come Nicolas Bonneville, fondatore in Francia del «Cercle Social», e Adolph von Knigge in Germania; della creazione degli Illuminati di Baviera, con il loro progetto politico e rivoluzionario; del disastroso esito di vicende come quelle di Mesmer e di Cagliostro, che venivano trasformate in casi istituzionali e spinte a forza sul terreno del rapporto fra massoneria e politica.

Era chiaro, allora, che a questo punto le diverse anime della massoneria europea sentivano la necessità di confrontarsi, di chiarire quali fossero gli obiettivi comuni, di valutare il peso della tradizione e di individuare il sistema migliore – centralizzato o piuttosto federativo – per ricondurre ad unità le logge ed i riti dei diversi paesi. Già nel 1775 a Wolfenbüttel, all’interno della cerchia del duca Ferdinand von Braunschweig-Lüneburg-Wolfenbüttel (1721-1791) cui facevano riferimento anche Lessing e Karl von Hessen, si era incominciato a pensare su come riformare la muratoria e sull’opportunità di convocare una nuova assemblea. La morte di von Hund l’anno successivo aveva rallentato ma non bloccato questo processo e nel 1777 Karl Eberhard von Waechter, emissario di von Hund e poi di Braunschweig per la «rettificazione» delle logge italiane, era stato inviato a Firenze allo scopo di ottenere dal conte di Albany, l’ultimo degli Stuart, il vero segreto della massoneria. Nell’autunno del 1779 il duca di Braunschweig poteva quindi inviare una circolare a tutti i maestri delle logge che si rifacevano all’antico rito scozzese invitandoli a riunirsi per sanare i difetti della società massonica, troppo preoccupata «da un lato di accrescere, con troppe ammissioni senza esame né selezione, il patrimonio della loggia, di fornire ai singoli membri vantaggi economici», dall’altro di lavorare unicamente per la restaurazione dell’ordine templare «che non conviene più al nostro spirito e agli spiriti del nostro secolo», che anzi attirava «su di noi l’irrisione del mondo e forse, per considerazioni politiche, la persecuzione dei capi degli Stati» (Giarrizzo, 1994).

Le adesioni a questa proposta furono numerose, ma le proposte di riforma non andavano tutte nello stesso segno. Il barone Franz von Ditfurth, per la Stretta Osservanza, proponeva di abolire l’ordine templare e di sostituirlo con una federazione di logge indipendenti. Willermoz, da Lione, insisteva sul fatto che solo scopo della massoneria doveva rimanere la conoscenza dell’uomo e della natura. Altri continuavano ad oscillare fra ideali filantropici e conservazione della struttura templare e segreta. Karl von Hessen scrisse a Willermoz e ai lionesi, proponendo di estendere a tutto il mondo tedesco il sistema lionese, mantenendo il cerimoniale della Stretta Osservanza e i primi tre gradi del sistema svedese di Zinnendorf. Nel settembre 1780 il duca di Braunschweig inviò a tutti una nuova circolare chiarendo i punti in discussione: chi erano i veri superiori della massoneria? Dove stavano? Le loro decisioni dovevano considerarsi istruzioni oppure ordini? La massoneria si riferiva ad una società più antica e in caso affermativo a quale? Qual era il rapporto fra la massoneria e l’antico ordine del Tempio? Come organizzare i cerimoniali e i riti? Quale doveva essere lo scopo della massoneria? Era pubblico o segreto? E così via. Su un punto sembravano però tutti d’accordo: unificare e rendere omogenea la muratoria implicava necessariamente il riconoscimento della sua natura religiosa e politica. La massoneria era sì uno strumento per migliorare l’individuo, ma anche per riformare le costituzioni politiche degli Stati, prevenire il dispotismo e restaurare il vero cristianesimo, dinanzi ad una cattolicità che era degenerata in potere temporale, in «regalità umana».

Nell’aprile 1781 Ferdinand von Braunschweig aveva maturato ormai la convinzione che per realizzare il progetto di una muratoria unitaria occorreva anzitutto individuare un patrimonio culturale e scientifico comune, «un corpo di dottrina e di istruzioni», rappresentato dalla filosofia dei lionesi di Willermoz, dalla tradizione della Stretta Osservanza e dalla massoneria spiritualista. Contemporaneamente, altri lavoravano per difendere la massoneria da attacchi esterni, come Johann August von Stark, o per ricondurre alla muratoria le nuove sette, come si proponeva Knigge con gli Illuminati di Baviera. Nel mezzo, una personalità come quella di Nicolai – illuminista berlinese e rappresentante delle logge di rito inglese, cioè di uno schieramento in quel momento minoritario di fronte al simbolismo e allo scozzesismo – intraprendeva un viaggio massonico che da Berlino lo avrebbe portato, attraverso l’Austria e la Svizzera, verso la penisola italiana, alla scoperta delle tante massonerie europee e allo studio delle diversità e delle ragioni più profonde della crisi del sistema templare e della Stretta Osservanza.

A Wilhelmsbad, nota località termale prussiana vicino a Kassel, per iniziativa di Ferdinand von Braunschweig-Lüneburg gli esponenti dei tre principali schieramenti – i martinisti del sistema di Lione, i razionalisti della Stretta Osservanza e i seguaci delle scuole alchemiche ed ermetiche – si confrontarono fra il 16 luglio e il 1° settembre 1782 in ventinove sedute, dedicate al futuro dell’Ordine muratorio, agli obiettivi della massoneria, alla stesura di un codice di leggi massoniche e alla ridefinizione del sistema dei gradi. I partecipanti al convento erano in tutto trentacinque e provenivano da tutte le logge europee a suo tempo «rettificate» in nome dello scozzesismo. Si produssero scritti, si stesero verbali, vennero affrontate tutte le principali questioni interne alla muratoria, dalla funzione del segreto alla presenza del clero nelle logge, al significato delle condanne papali. I risultati furono in larga parte frutto di compromessi. In linea generale, venne accettato il progetto del gruppo di Ferdinand von Braunschweig, Karl von Hessen e Willermoz, che comportava l’abolizione del sistema templare e la sua sostituzione con quello lionese: rimanevano a difendere la tradizione templare solo le massonerie di frontiera, come ad esempio quella russa che voleva servirsene nella difesa ideologica e culturale contro i turchi. Si decise di mantenere una parte della massoneria simbolica e di chiarire che la muratoria perseguiva comunque, prima di tutto, scopi spirituali e filantropici. Parallelamente, erano state messe al lavoro alcune commissioni incaricate di approfondire determinati problemi, come la formulazione di un nuovo codice di leggi massoniche e la riforma del sistema dei gradi. Quando, il 1° settembre 1782, Karl von Hessen chiuse i lavori del convento, la distinzione tra vincitori e vinti era diventata ormai chiara. Gli sconfitti non erano soltanto i difensori del templarismo, ma anche i Rosacroce, gli ermetici e soprattutto gli Illuminati, accusati di perseguire scopi politici utilizzando strutture e strategie della Chiesa e degli ordini religiosi, tra cui quelle dei gesuiti (Hammermayer, 1980). In altre parole, la massoneria uscita da Wilhelmsbad si confermava come una forma di organizzazione culturale e politica, ostile però ad una struttura territoriale centralizzata, al controllo degli Stati e alla tradizione aristocratica. Tra coloro che avevano perso, i Filaleti, capeggiati da Langes des Savalette, avrebbero tentato di convocare a Parigi una nuova assemblea – alternativa a quella di Wilhelms­bad e con l’esclusione del Grande Oriente – che in trenta sedute dal 1785 al 1787 avrebbe tentato senza successo di diffondere un nuovo sistema in dodici gradi. Joachim von Bode, invece, sarebbe andato a creare nel 1783 a Francoforte l’Alleanza Eclettica, una setta senza una geografia e una gerarchia definite, creata per attrarre tutte le logge che si basavano sul sistema a tre gradi, compresi gli Illuminati di Weishaupt, ma destinata comunque a breve vita.

In realtà, i lavori del convento di Wilhelmsbad anziché risolvere definitivamente i problemi interni alla massoneria, ne acuirono la crisi. Sottraendola al controllo dei governi e rifiutandone la matrice aristocratica, finiva inevitabilmente la stagione della collaborazione con i principi. In Austria, nel 1785, Giuseppe II poneva così tutte le logge sotto il controllo diretto del governo determinando l’allontanamento di coloro che avevano lavorato per realizzare il progetto illuminista e favorendo invece elementi conservatori e reazionari. Contemporaneamente fallivano i disegni egemonici della Stretta Osservanza, fallivano i tentativi dei Filaleti e dell’Alleanza Eclettica. In Baviera gli Illuminati, accusati di cospirazione contro lo Stato, venivano messi al bando e perseguitati. In Francia il Grande Oriente si rivelava incapace di mediare fra le logge con aspirazioni democratiche e quelle elitarie e aristocratiche. Nel desolato panorama della massoneria europea in progressiva rovina rimanevano soltanto Mesmer e Cagliostro, accompagnati da un rigurgito di tendenze misticheggianti e di ipnotismo visionario (Giarrizzo, 1994). Questo era il quadro che si trovavano a constatare nei loro viaggi massonici intellettuali come Johann Wolfgang von Goethe e Friedrich Münter, impegnati nel tentativo di recuperare i relitti della muratoria. Il grande poeta tedesco, che aveva lasciato la Stretta Osservanza, prima per gli Illuminati di Baviera e poi per l’Alleanza Eclettica, iniziava l’itinerario di viaggio che lo avrebbe portato alla scoperta dell’Italia e a denunciare i nuovi dispotismi dei sovrani illuminati, da Giuseppe II a Federico il Grande. Friedrich Münter, teologo luterano danese e studioso di lingue orientali, si spostava da Copenhagen a Vienna, dal Tirolo a Venezia fino a Napoli nel tentativo di ricompattare ciò che restava delle logge attorno ad un progetto eclettico-illuminato.

La crisi della massoneria coincideva così con la crisi dell’Antico Regime, in un’Europa caratterizzata sempre più da tendenze radicali, da idee misticheggianti e da un bisogno di religiosità cresciuto di pari passo con l’acuirsi del processo di decristianizzazione. Lo spazio veniva lasciato libero a quelle forze che meglio sapevano cavalcare le tensioni politiche e ideologiche, ad esperienze individuali e collettive ormai sulla via della radicalizzazione politica. E nel 1786, quando Ferdinand von Braunschweig lasciò la dirigenza di ciò che restava del sistema templare, in Baviera Adam Weishaupt veniva processato e condannato, e a Vienna con la Stretta Osservanza moriva anche Ignaz von Born, mentre il suo pupillo Aloys Blumauer si avviava a diventare giacobino.

4. Verso la Rivoluzione francese

Gli studiosi e ricercatori che hanno indagato sulla diffusione delle logge alla fine del Settecento hanno potuto cogliere, assieme ai segnali di crisi interna della muratoria, anche un altro fenomeno che attira il nostro interesse: la progressiva disaffezione per la formula massonica, la diminuzione delle logge, il diradarsi delle sedute. Per quale motivo accadeva tutto questo? Dipendeva soltanto dalle difficoltà interne? Come mai ciò avveniva proprio nel momento – l’approssimarsi della Rivoluzione francese – che sembrava rappresentare la realizzazione degli ideali e dei princìpi tanto a lungo rivendicati?

Per rispondere a questi interrogativi dobbiamo riprendere il nostro percorso là dove era sembrato interrompersi, con la fine della Stretta Osservanza e del sistema templare, con la condanna degli Illuminati, con la morte o il ritiro dei principali protagonisti della stagione precedente. Alla fine degli anni Ottanta, quasi contemporaneamente all’irrompere della politica e del discorso illuminista all’interno delle logge, gran parte degli intellettuali massoni, posti dinanzi alla deriva radicale di alcuni settori e di alcune sette (tra cui gli Illuminati e, più tardi, la «Deutsche Union» di Karl F. Bahrdt), avevano cominciato a denunciare un uso nuovo e distorto del segreto, incompatibile con lo spirito dei Lumi e con la stessa cultura massonica. Friedrich Nicolai, nel 1788, cercava di chiarire ciò che stava avvenendo: molte società segrete, diversamente dalla tradizione delle logge, stavano utilizzando le strategie della muratoria per realizzare obiettivi politici sottraendosi al controllo delle leggi e dell’opinione pubblica, rifiutando di riconoscere il supremo tribunale della ragione. Gli uomini che vivevano la vigilia della Rivoluzione avevano evidentemente presenti le vicende cospiratorie degli Illuminati di Baviera, ma percepivano anche altri cambiamenti, primo fra tutti la rapida trasformazione di alcune strutture settarie in associazioni politiche che, di fatto, portava al trasferimento del dibattito politico dalle logge alle società di lettura, ai clubs. Anche le personalità che prima avevano guidato la vita massonica abbandonavano sempre più spesso le logge per impegnarsi più direttamente nella vita politica, per assumere incarichi di governo, per partecipare in prima persona ai grandi cambiamenti istituzionali. Louis-Philippe duca d’Orléans, il gran maestro della massoneria francese che dopo il 1789 si fece chiamare Philippe-Egalité, così avrebbe spiegato l’atteggiamento di quegli anni: nell’epoca in cui nessuno poteva prevedere la Rivoluzione si erano dedicati all’attività massonica; ma dopo l’89 avevano «abbandonato il fantasma per la realtà» (Jacob, 1995).

Che all’interno delle logge quasi nessuno potesse prevedere l’imminente rivoluzione appare in larga misura confermato dalla vita massonica degli anni e dei mesi precedenti la presa della Bastiglia. In Francia, nonostante i problemi istituzionali e le difficoltà economiche, la muratoria continuava nel lento lavoro di adeguamento e di riforme interne. La Gran Loggia giunse ad adottare appena nel 1786 il rito scozzese; moltissime logge della capitale e delle province continuavano a dichiararsi fedeli alla Chiesa e al re, anche nel 1788-89; la componente aristocratica continuava a governare e, spesso, a frenare le richieste di maggiore democrazia da parte delle logge provinciali. Si discutevano progetti riformatori, quasi tutti però intesi nel senso di una solo parziale rappresentanza della struttura territoriale della massoneria, e comunque tale da non compromettere i processi di centralizzazione proseguiti dalle Grandi Logge nazionali. Anche nei primi mesi della Rivoluzione la Gran Loggia di Parigi continuò a presentare la massoneria come modello di buon governo, di ordine e di disciplina, adatto a impedire un ritorno all’anarchia e al disordine; in altre parole, veniva continuamente sottolineata l’analogia fra ordine massonico e ordine politico, ma rimaneva molta cautela nell’accreditare le logge come scuole di governo. Nelle fasi più delicate dell’esperienza rivoluzionaria, poi, molte logge riscoprirono la loro antica vocazione filantropica e solidaristica, impegnandosi a garantire ai «fratelli» e alle vedove, in disagiate condizioni economiche, l’indispensabile sostentamento, fino a che nel 1793, in coincidenza con le prime restrizioni della libertà di associazione, molte di esse e la stessa Gran Loggia furono costrette a cessare le attività.

Se si vuole tentare di riassumere, allo stato attuale delle ricerche, ciò che sappiamo sul rapporto fra la massoneria e la Rivoluzione francese, forse possiamo accettare ciò che i massoni stessi dichiaravano negli anni rivoluzionari, sostenendo metaforicamente che fino all’89 le logge erano state essenzialmente degli «operosi alveari», senza però un immediato riflesso nella vita istituzionale. A mano a mano che ci si avvicina agli anni rivoluzionari e a quelli del cosiddetto «triennio repubblicano» o «giacobino» (1796-99), si notano poi chiaramente sia il trasferimento dei dibattiti politici dalle società massoniche verso le nuove società politiche, sia l’uscita dalle logge di gran parte di coloro che diverranno i protagonisti degli anni successivi. Ancora una volta, la massoneria europea aveva esaurito la funzione di luogo di pratica e di discussione politica assunta negli anni Ottanta e si apprestava ad essere riempita di nuovi contenuti. Rimanevano nelle logge le forze più tradizionali e lealiste, e coloro che continuavano a impegnarsi per la difesa e la conservazione della «vera massoneria».

Visto in questa prospettiva, il divergere delle esperienze nell’età rivoluzionaria – da una parte la trasformazione di alcuni settori della muratoria e delle organizzazioni settarie in clubs politici, dall’altro la permanenza nelle logge di quanti si sentivano più legati alla tradizione – non rappresenta altro che la logica conclusione della crisi e delle divisioni interne maturate nei vent’anni precedenti. E spiega pure, almeno in parte, l’opinione poi diventata leggenda di coloro che – sul versante antirivoluzionario e cattolico – avrebbero distinto una massoneria «buona» (quella inglese, fedele all’antico ordine) da una massoneria «cattiva» (quella tedesca della Stretta Osservanza e degli Illuminati), alla quale sarebbero state addossate tutte le responsabilità del complotto rivoluzionario contro il Trono e contro l’Altare (Barruel, 1797).

Era prevedibile comunque, anche in ragione dei posteriori avvenimenti, che la parte della massoneria europea sulla quale maggiormente doveva appuntarsi l’attenzione era quella più direttamente legata all’esperienza rivoluzionaria. Negli anni 1791-93 il modello di loggia che più riscuoteva successo era quello della società giacobina, creata sull’esempio delle logge di Marsiglia ed esportata nella Germania renana così come nell’Italia meridionale. Nel 1792 le logge di Altona e di Amburgo si collegavano ai clubs politici di Magonza (Mainz) creando le premesse per la nascita del giacobinismo tedesco e delle repubbliche renane della fine degli anni novanta. In Ungheria altre logge si trasformavano in società segrete con scopo di propaganda e di cospirazione, in vista delle rivendicazioni costituzionali dinanzi al sovrano asburgico. Nel regno di Napoli la trasformazione di alcune logge in clubs «alla marsigliese», a Tropea in Calabria, a Napoli, a Pozzuoli, portava alla nascita delle «Società degli amici della libertà e dell’uguaglianza». Le cronache del tempo ci raccontano cosa facessero i «fratelli» nel momento in cui veniva proclamata la repubblica francese: portavano il berretto frigio, cantavano inni massonici e giacobini, favorivano la crescita di una serie di piccoli clubs formati da non più di undici persone, leggevano le gazzette francesi. Analoghi fenomeni si verificavano a Torino, Genova e Venezia (Giarrizzo, 1994). Quello che poi sarebbe accaduto è parte della storia europea: poco dopo la formazione della prima coalizione contro la Francia Luigi XVI salì sul patibolo (gennaio 1793) e nel volgere di pochi mesi – contrassegnati dal crollo dei girondini, dall’assassinio di Marat e dalla preparazione della costituzione dell’anno I – venne instaurato il regime del Terrore (estate 1793), seguito dalla dittatura di Robespierre. In questo clima, in ogni parte del continente tutte le forme di società massoniche vennero soppresse, accusate di cospirazione contro lo Stato e contro i governi. In Francia Philippe-Egalité, il duca d’Orléans, fu costretto a difendere e a giustificare il proprio passato massonico. Nell’area germanica e in quella italiana si scatenò un’ondata di denunce, di arresti e di processi; in Spagna e in Portogallo si riattivò l’Inquisizione per reprimere ogni tipo di attività massonica. Soltanto le invasioni dell’esercito repubblicano francese alla guida del generale Bonaparte avrebbero ridestato i tentativi insurrezionali e le aspirazioni costituzionali.

In questo terremoto politico e militare i settori della muratoria meno coinvolti nelle battaglie per le rivendicazioni democratiche apparentemente tacevano. In realtà, si preparava lentamente la reazione alla deriva giacobina. In Inghilterra Edmund Burke, esponente del partito whig e iniziato alla loggia «Jerusalem n° 44», aveva già dato alle stampe le sue celebri Reflections on the Revolution in France (1790), per condannare poi la violenza giacobina, separare le vicende della massoneria da quelle della Rivoluzione e riproporre l’esempio del costituzionalismo inglese agli europei inorriditi dalla ghigliottina: primi passi del dibattito, mai più sopito, sulle vere o presunte colpe massoniche nelle origini e negli sviluppi della Rivoluzione francese.