I percorsi della massoneria nel continente, che abbiamo potuto ricostruire sin qui, sono apparsi legati essenzialmente alla nascita e alla diffusione dei principali riti, alle varianti più significative degli originari modelli scozzese e inglese. Tuttavia le analisi delle grandi trasformazioni non bastano sempre a rendere conto di tutte le variazioni nel tempo e nello spazio. I ritmi e i modi di espansione della muratoria nel continente non furono certamente omogenei e rimasero legati, oltre che alle specifiche vicende politiche dei singoli paesi, anche a quella che possiamo considerare la doppia formazione del mondo massonico in età moderna: da una parte la nascita di singole logge, occasionalmente nel tempo e senza una precisa strategia geografica; dall’altra la creazione di una struttura territoriale più diffusa, legata spesso alle logiche dei modelli «nazionali», che portò invece ad una presenza più capillare della massoneria negli Stati europei.
Nella storia della muratoria e all’interno delle singole regioni europee possiamo riconoscere spesso sia l’una sia l’altra tendenza, che spiegano così precocità, ritardi e, quando possibile, gli elementi di originalità. È il caso, ad esempio, della penisola italiana. Nel Meridione d’Italia, le prime logge erano state create poco dopo le guerre di successione spagnola e polacca, che avevano portato sul trono di Napoli (1734) don Carlos di Borbone, poi re di Spagna con il nome di Carlo III. All’inizio le logge riproducevano il modello militare già diffuso nel resto d’Europa ma ben presto a Napoli ne erano sorte altre ad opera di massoni già iniziati nelle grandi capitali europee, soprattutto a Parigi. Alla metà degli anni Quaranta si erano affermati due principali modelli massonici: quello della loggia spiritualista, aristocratica, creata da Francesco Zelaia, e quello della loggia razionalista di rito inglese hannoveriano, aperta dal mercante Louis Larnage. In questo quadro, nel quale già cominciava ad attivarsi la sorveglianza inquisitoriale, il principe di Sansevero era stato nominato gran maestro della massoneria napoletana, proprio per assumere una funzione di garanzia e di equilibrio fra le due anime e per trasformare la massoneria napoletana in uno strumento di pressione politica al servizio della costruzione dello Stato moderno e impedire, così, la degenerazione della monarchia in una forma di dispotismo. La pubblicazione della Lettera apologetica del principe di Sansevero nel 1750, con la dichiarazione del suo programma di riforma della massoneria in senso panteistico ed eterodosso, aveva poi scatenato la reazione della Chiesa e la condanna dell’intera massoneria napoletana (Ferrone, 2000).
Questo spiega perché nel regno di Napoli e, più in generale, nell’intero Meridione l’attività massonica stentò a riprendersi per oltre un decennio. Soltanto nel 1763 venne fondata la loggia «Les Zelés» sulla base di lettere patenti della Gran Loggia d’Olanda e, a partire da quest’epoca, altre logge si diffusero con impressionante rapidità in tutta la provincia, da Teramo a Catanzaro, da Catania a Palermo, accanto ad una serie di piccole accademie e società agrarie. Sei anni più tardi veniva ricostituita a Napoli una loggia con patente inglese, che intendeva riproporre il modello delle logge hannoveriane tendenzialmente più democratiche e ostili agli altri gradi, mentre nel 1773 gli esponenti della massoneria aristocratica, vicini allo scozzesismo, diedero vita alla Gran Loggia Nazionale, all’ombra della protezione della regina Maria Carolina, la principessa austriaca figlia di Maria Teresa e moglie di Ferdinando IV di Borbone.
Dietro a questa operazione c’era l’intendimento strategico di spostare politicamente l’asse dei rapporti Napoli-Madrid verso Vienna e di trasformare la muratoria da forma di sociabilità in strumento della vita politica e culturale. Questo spiega la forte reazione delle istituzioni governative, del ministro Bernardo Tanucci e di Carlo III di Spagna, che nel 1775 portarono ad un editto contro i massoni e ad una serie di arresti. Ma la pronta reazione dell’opinione pubblica europea, dell’alta aristocrazia e del partito stesso di corte guidato da Maria Carolina, a fronte della debolezza e dell’arrendevolezza manifestate da Ferdinando IV, costrinsero alle dimissioni l’anziano Tanucci, accusato di aver ideato ad arte la minaccia di un complotto massonico al solo scopo di liberarsi degli avversari politici.
Da quel momento e fino agli anni della Rivoluzione francese la muratoria nel regno di Napoli continuò ad espandersi con ritmi inarrestabili. I due modelli, quello aristocratico ormai legato alla Stretta Osservanza e capeggiato da Diego Naselli, e quello di rito inglese capeggiato dal duca di San Demetrio, che si richiamava alle logge olandesi e britanniche in nome di un ideale più democratico e antidispotico, tornarono a confrontarsi e a vivacizzare l’ambiente culturale. Nel 1776 Naselli aderì alla Stretta Osservanza e in tale contesto, che vedeva anche la presenza di letterati quali Vittorio Alfieri e Aurelio Bertola, venne promossa quattro anni dopo la creazione di istituzioni culturali come le società di lettura e l’Accademia Reale delle Scienze (Chiosi, 1992). Le logge di rito inglese, invece, continuarono ad approfondire il discorso politico nella ricerca di soluzioni antidispotiche, nella critica del riformismo settecentesco e del sistema dell’Antico Regime, e nella prefigurazione dei diritti costituzionali, soffocati soltanto dinanzi alle forche erette con la rivoluzione napoletana del 1799.
Anche per la Lombardia le notizie sull’esistenza delle prime logge risalgono agli anni Trenta del Settecento, anche se rimangono incerte e confuse. Occorre attendere la metà degli anni Cinquanta per trovare il primo processo contro una loggia costituita da due ginevrini e un commerciante torinese. Dagli atti sappiamo che vi appartenevano giovani aristocratici già legati in qualche modo alla massoneria napoletana e fiorentina, e giovani ufficiali della guarnigione austriaca (Francovich, 1974). L’impressione è che, almeno in questo caso, i «fratelli» fossero per lo più giovani aristocratici esclusi da una diretta partecipazione al governo dello Stato milanese, o perché impoveriti o perché nobilitati troppo recentemente. Mancano tuttavia i documenti per chiarire il fenomeno, così come mancano indizi sicuri sull’atteggiamento dell’Accademia dei Pugni, la società fondata dai fratelli Pietro e Alessandro Verri, da Cesare Beccaria e da altri giovani intellettuali negli anni sessanta per dare vita alla celebre rivista «Il Caffè» (1765). Benché si sia tentato di sottolinearne il carattere «massonizzante», cioè affine a idee e a valori diffusi nel mondo massonico, non esiste alcuna prova di un legame diretto con la muratoria, negato anzi e respinto dagli stessi Verri e Beccaria, che spiegavano il loro disinteresse per la vita in loggia con l’esigenza di maggiore flessibilità e libertà (Venturi, 1969).
Non è un caso, forse, che la diffusione della Stretta Osservanza in Lombardia prese avvio non da Milano ma da Cremona, dove alla metà degli anni Settanta nacque la loggia «San Paolo Celeste», animata da uno straordinario organizzatore culturale come l’abate Isidoro Bianchi, autore di molti saggi su Rousseau, sul contrattualismo, e di un libretto intitolato Dell’instituto dei veri liberi muratori (1786). Attorno a questa loggia si svolse gran parte dell’attività massonica lombarda del tardo Settecento, volta alla promozione di un’intensa attività editoriale che coinvolse librai e tipografi e servì a instaurare relazioni con la massoneria europea e nordamericana, e soprattutto con Benjamin Franklin.
Nel regno di Sardegna, e nel Piemonte in particolare, una prima loggia riconosciuta da Londra venne istituita nel 1749 e negli anni successivi gran parte dello sviluppo della muratoria rimase legato al modello delle logge militari. A Torino la prima loggia nacque nel 1765, cioè nel periodo immediatamente successivo alla guerra dei Sette anni, quando la massoneria piemontese prese quale punto di riferimento il giovane duca di Savoia, il futuro Vittorio Amedeo III. Allo stato attuale delle conoscenze, sembra che la massoneria rappresentasse in quegli anni soprattutto lo spazio più adatto a far convergere le aspettative di quanti avversavano il governo controllato dai cosiddetti avvocati-burocrati, che attraverso il ministro Giambattista Bogino dominarono l’assolutismo sabaudo nel periodo 1730-73. Questo spiegherebbe perché, ancora all’inizio degli anni Settanta e nonostante la protezione del duca di Savoia, la massoneria piemontese non riuscì ad abbandonare del tutto il modello della loggia militare e continuò a faticare nel dialogo con gli ambienti di corte. Ciò nonostante il fervore era notevole: venne creata una «Società privata torinese» (1757) e furono intensificati i contatti con massoni stranieri, tra cui il calvinista francese Louis Dutens, segretario dal 1758 dell’ambasciatore inglese a Torino e promotore, con altri, di operazioni culturali importanti come l’edizione delle opere di Leibniz. Nel Piemonte di Carlo Emanuele III, e nel contesto dell’assolutismo boginiano, la massoneria funzionò quindi essenzialmente come un mondo parallelo alla repubblica letteraria ufficiale, e solo dal 1773, con la successione di Vittorio Amedeo, la situazione cominciò a mutare radicalmente.
L’ascesa al trono del duca di Savoia, cioè di colui che era stato protettore delle logge negli anni precedenti, garantì alla muratoria piemontese uno spazio e una funzione istituzionale prima inediti. Alla guida di Sebastiano Giraud, ben presto membro della Stretta Osservanza, riuscì a intrecciare una stretta serie di relazioni con le logge delle principali città europee: Parigi, Berlino, Pietroburgo, Vienna. Così, anche nel Piemonte, il fenomeno massonico esplose: già nel 1774 la loggia «Trois Mortiers» di Chambéry contava 114 membri; nel 1775, a seguito del patto di alleanza con la Stretta Osservanza e della nascita del Gran Priorato d’Italia, venne organizzata una Gran Loggia provinciale, che si poneva a capo di un’estesa rete massonica all’interno dell’ottava provincia della Stretta Osservanza europea (Maruzzi, 1930). Per questo motivo, negli anni successivi, i rappresentanti piemontesi furono sempre presenti nei principali «conventi» massonici europei, compreso quello di Wilhelmsbad. In poco tempo nell’intero territorio del regno di Sardegna il modello rigido, gerarchizzato, piramidale della Stretta Osservanza si affermò con decisione, fino a trasformare la massoneria in un gruppo di rilevanza politica, vicino al partito di governo: accoglieva gentiluomini della casa reale, intellettuali come Vittorio Alfieri, funzionari e uomini di governo, e utilizzava quale organo delle attività politiche, culturali e scientifiche la Reale Accademia delle Scienze. Alla fine degli anni Settanta il Piemonte era ormai inserito in un circuito culturale totalmente rinnovato, che lo innalzava a livello europeo ponendo gli intellettuali torinesi a confronto con i maggiori dibattiti del tempo, quali la feudalità, il patriottismo, la denuncia del dispotismo, le libertà repubblicane, il mito americano (Ferrone, 1998). Solo le reazioni alla Rivoluzione francese riuscirono a frenare questo impeto e nel 1790 il Ministero per gli Interni emanò una prima circolare contro le adunanze massoniche, considerate veicolo di diffusione delle idee rivoluzionarie, seguita ben presto da un decreto di Vittorio Amedeo III che proibiva l’attività delle logge «nelle attuali circostanze in cui i fedeli nostri sudditi debbono impiegarsi per la comune difesa ed a pro dello Stato».
Più tarda, rispetto al caso del Piemonte sembra essere stata invece la diffusione della massoneria nella repubblica di Venezia, dove rimase a lungo affidata a presenze occasionali e a fenomeni episodici. Incerta e a lungo discussa è stata l’appartenenza alla muratoria di personaggi di spicco come Scipione Maffei, Francesco Algarotti e Antonio Conti, che vennero iniziati non nel Veneto ma in altri paesi europei, così come avvenne per il patrizio veneziano Filippo Vincenzo Farsetti, dal 1737 membro della loggia parigina «Coustos-Villeroy». Certo è che la diffusione della massoneria era oggetto di grande interesse, tanto da suscitare la curiosità di personaggi come Giacomo Casanova e Carlo Goldoni, autore nel 1753 della commedia Le donne curiose, che descriveva l’attività in una loggia e la curiosità femminile per essa. Negli anni Sessanta e Settanta la dimensione della sociabilità massonica venne poi ulteriormente sottolineata nei giornali letterari diretti a Venezia da Gasparo Gozzi (il «Sognatore italiano») e a Vicenza da Elisabetta Caminer Turra (il «Giornale enciclopedico»). Bisognò tuttavia attendere un decennio per assistere ad una più diffusa presenza massonica nello Stato veneto. Sembra che l’istituzione di logge di rito inglese e di rito scozzese a Venezia, Verona, Vicenza, Brescia e Padova risalga al 1770, e fosse di poco successiva alla creazione di un fitto reticolo di società agrarie. Se si guarda alla composizione sociale in quegli anni si può notare, poi, accanto alla presenza di patrizi e negozianti, un considerevole numero di membri stranieri (Targhetta, 1988). Dopo il 1773 e in coincidenza con l’irrompere della Stretta Osservanza, la fisionomia delle logge cominciò a mutare a favore della componente aristocratica mentre le attività vennero trasferite da Venezia a Padova, dove nel 1778 fu organizzata la nuova struttura territoriale. Questo spostamento della massoneria dall’area urbana di Venezia a quella della Terraferma e il diffondersi della Stretta Osservanza sono stati interpretati come effetto della nuova funzione assunta dalla nobiltà di provincia, sempre più impegnata nel tentativo di costituirsi in gruppo di pressione politica, teso a sollecitare riforme all’interno dello Stato per ottenere una maggiore rappresentanza delle città della Terraferma. La crisi istituzionale del 1780 (la cosiddetta «congiura Pisani», dal nome del suo animatore) nata dall’estremo tentativo di riformare lo Stato veneto e la sensazione, sempre più acuta, che nelle logge ormai si lavorava per realizzare «il sistema di Rousseau» e una società di uguali, determinarono nel 1785 l’intervento repressivo degli Inquisitori di Stato e la chiusura di tutte le logge, a Venezia e nella Terraferma.
Rispetto a quella italiana, la vita massonica nella penisola iberica incontrò gravi difficoltà per tutto il XVIII e XIX secolo, fino alla rivoluzione del 1868. In effetti, una prima loggia era stata fondata a Madrid nel 1728, ma l’attività era stata gravemente compromessa dalla bolla pontificia del 1738 e dalle indagini dell’Inquisizione. Tutto il Settecento spagnolo è costellato da una serie di denunce, di processi e di condanne che ci fanno capire come la presenza massonica, ancorché non organizzata e sporadica, fosse tutt’altro che assente. Era riconducibile per lo più alla presenza di gruppi di commercianti e capitani marittimi irlandesi (Ferrer Benimeli, 1974), e si basava su relazioni con le logge di Marsiglia, di Genova e di Napoli. Il processo intentato a Siviglia nel 1745 contro Juan Bautista Masuco documenta non soltanto rapporti con le logge di rito inglese di Napoli, ma anche la diffusione dei rituali, di libri e di catechismi massonici. La seconda condanna pontificia del 1751, seguita da un decreto contro le associazioni muratorie promulgato da Ferdinando VI, aprì poi la strada ad una vivace letteratura antimassonica, che individuava soprattutto nelle logge di Barcellona – popolate prevalentemente da militari di origine fiamminga – i centri di attività cospiratorie contro lo Stato e la religione cattolica.
Nel vicino Portogallo la massoneria trovò invece uno spazio più ampio. Benché anche in quel paese l’esecuzione delle condanne pontificie fosse stata sollecita, l’atteggiamento dei sovrani Giovanni V e Giuseppe I era già orientato in senso giurisdizionalista, cioè verso un controllo delle ingerenze della Chiesa di Roma. La maggiore concentrazione di logge si registrava a Lisbona, dove ce n’era sia una cattolica, prevalentemente composta da militari irlandesi, sia una protestante di tipo hannoveriano. Nel 1741, poi, era stata costituita una nuova loggia ad opera di John Coustos, che nelle sue peregrinazioni tra la Francia e Londra aveva deciso di recarsi in Brasile passando per Lisbona; rimasta attiva solo per pochi anni, riuscì tuttavia ad attrarre un gran numero di francesi emigrati in Portogallo, per lo più ugonotti, commercianti di tessuti, orologiai, gioiellieri, parrucchieri e librai (Oliveira Marqués, 1990). L’evento determinante per la sorte della massoneria portoghese fu però la successione al trono di Giuseppe I (1750) e l’inizio del governo (1750-1777) di Sebastião José de Carvalho e Melo, futuro marchese di Pombal. Fu questo il periodo durante il quale la massoneria venne sempre maggiormente tollerata, fiorirono nuove logge, mutò la loro composizione sociale, non più costituita da negozianti e artigiani ma anche da giovani militari e nobili vicini all’ambiente di corte. A coronamento di questa fase, che vide anche la cacciata dei gesuiti dal territorio portoghese (1759), giunse nel 1774 il nuovo regolamento dell’Inquisizione, con il quale venne eliminato il delitto di appartenenza alla muratoria dall’elenco dei crimini contro il Sant’Ufficio e la cattolicità, determinando sul territorio portoghese la revoca dell’efficacia delle bolle papali del 1738 e del 1751 (Ferro, 1998).
In Russia, benché le prime tracce di una presenza massonica risalissero all’inizio degli anni Quaranta, a quando il giacobita scozzese James Keith aprì una prima loggia, l’attività fu inizialmente alquanto scarsa. Tuttavia negli anni del regno di Caterina II (1762-1796) la massoneria conobbe una notevole diffusione, grazie all’intensificarsi delle relazioni culturali con il resto d’Europa, al vivacizzarsi della vita intellettuale e, non ultimo, all’emanazione di un manifestato di Pietro III (1762) che esentava molti nobili dall’obbligo di prestare servizio nella burocrazia statale, lasciandoli così liberi di aspirare a forme di promozione sociale attraverso la cultura, il mondo universitario e l’attività intellettuale (De Madariaga, 1991).
La riorganizzazione delle logge fu dovuta essenzialmente all’opera di Ivan Perfil’evic Elagin, già segretario di Stato di Caterina II, poi direttore degli spettacoli di corte e senatore. Nel 1771 fondò a Mosca la Gran Loggia Provinciale di Russia istituendo contemporaneamente una struttura territoriale di logge di rito inglese, legittimata da una patente della Gran Loggia di Londra. Nello stesso tempo giungeva in territorio russo anche il rito della Stretta Osservanza, dipendente dalla Grande Loggia di Zinnendorf a Berlino, e la conseguenza fu che nel 1776 le logge dei due sistemi si fusero in un’unica organizzazione, a capo della quale venne posto Elagin in qualità di gran maestro di una nuova Grande Loggia Provinciale unita, riconosciuta dalla Gran Loggia inglese.
Il caso russo appare così esemplificativo della coesistenza e della concorrenza di tutti i principali riti che agitavano il quadro massonico europeo nella seconda metà del XVIII secolo. Accanto all’obbedienza di rito inglese e alla Stretta Osservanza, infatti, già dalla fine degli anni Settanta era apparsa la massoneria di rito svedese, che introduceva rituali dell’ordine templare ed elementi legati al mondo mistico e medievale, e che ricevette un esplicito riconoscimento nel 1777 in occasione del viaggio in Russia di Gustavo III di Svezia. Le logge svedesi, che si svilupparono prevalentemente a San Pietroburgo, rappresentavano una forma di opposizione politica invisibile, al di fuori del controllo dell’entourage governativo di Caterina II, legata alle aspettative che si concentravano sull’erede al trono, il granduca Paolo, e sul contenimento del dispotismo di Caterina II.
Alla vigilia del convento di Wilhelmsbad i riti praticati in Russia erano tre: quello legato alla tradizione inglese, quello della Stretta Osservanza e quello svedese. Al di fuori di questi, emergevano personalità e intellettuali legati prevalentemente all’ambiente universitario di Mosca, come l’editore Nikolaj Novikov e il tedesco I.G. Schwartz, che apparivano più vicini alla tradizione rosacrociana. Negli anni Ottanta, comunque, la massoneria russa era popolata già in gran parte da esponenti dei massimi organi dello Stato, dell’Accademia delle Scienze e dell’università, che favorivano la discussione sulle riforme economiche e educative, la nascita di istituzioni come il seminario pedagogico di Mosca (1779), l’Unione degli studenti universitari, e un seminario dei traduttori (1782) per diffondere testi francesi, inglesi e italiani nella cultura russa (Smith, 1999).
In questo quadro, il breve soggiorno di Cagliostro fra il 1779 ed il 1780, concluso con la sua espulsione dal territorio dell’impero zarista, non lasciò significative tracce; soltanto dopo il 1786 Caterina II cominciò a guardare con sospetto all’attività massonica, soprattutto perché i programmi delle logge iniziavano a confliggere con lo «Statuto dell’Istruzione» elaborato dal governo proprio in quell’anno. Dal 1791, poi, vennero sempre meno tollerate anche le simpatie del granduca Paolo e dei Rosacroce di San Pietroburgo per il re di Prussia, soprattutto dal momento in cui Berlino aveva cercato di costringere la zarina – sotto la minaccia della guerra – a cedere le conquiste territoriali ottenute a scapito dell’Impero ottomano. Solo allora si intensificarono le persecuzioni dei massoni e i controlli sull’attività editoriale di Novikov, culminati nel 1794 con l’ordine di chiusura di tutte le logge.
Nei territori della monarchia asburgica il percorso che portò all’espandersi della muratoria fu lungo e faticoso; negli anni Sessanta del Settecento era ancora forte la presenza dei Rosacroce mentre la formula rappresentata dalla disciplina e dalle gerarchie del «sistema Clermont» – introdotta negli anni Trenta attraverso la mediazione di Francesco Stefano di Lorena – aveva iniziato a svilupparsi soprattutto a partire dal 1742, con la creazione della loggia viennese «Aux Trois Canons». L’esigenza di difendere la cattolicità della monarchia e la fedeltà alla Chiesa di Roma, anche per effetto delle condanne pontificie del 1738 e del 1751, portarono dapprima ad un controllo più rigido delle logge e poi, nel 1764, alla proibizione della vita pubblica della muratoria.
Già negli anni Settanta, comunque, andavano profilandosi alcuni cambiamenti che prefiguravano uno straordinario sviluppo della sociabilità culturale massonica. A Vienna, alla fine degli anni Settanta, erano attive ben quattro logge, con circa trecento aderenti, che rivelavano le diverse aree di influenza della massoneria di rito inglese rispetto a quella di rito scozzese. Di esse, la loggia «Zur Hoffnung» («Alla speranza»), la più antica, si era legata nel 1775 alla grande loggia provinciale di Berlino assumendo il nome di «Zur gekrönten Hoffnung» («Alla speranza incoronata»), mentre la loggia «Zu den drei Adlern» («Alle tre aquile»), dipendente dalla loggia di rito scozzese di Praga, era stata costituita sin dal 1770. L’alto numero delle logge nei territori della monarchia e l’elevatissimo numero dei suoi aderenti sembrano confermare la funzione assunta dalla massoneria come nuova forma di sociabilità, alternativa e concorrente rispetto alle tradizionali istituzioni culturali, soprattutto dopo la morte di Maria Teresa e l’avvento al trono di Giuseppe II (1780): «la massoneria qui è di gran voga – scriveva nel 1784 Georg Forster – tutto è maçon». Il caso della loggia «Zur wahren Eintracht» («Alla vera concordia») è significativo: nel 1782 contava appena 36 membri, ne raggiunse nel 1783 il doppio e aveva nel 1785 ben 176 affiliati. Studi recenti sullo sviluppo della massoneria nella capitale austriaca hanno sottolineato l’aumento esponenziale e rapidissimo degli iniziati nel periodo 1781-85, particolarmente nelle logge più vicine agli indirizzi politici di Giuseppe II (Reinalter, 1983; Huber, 1989).
L’animatore della massoneria austriaca era Ignaz von Born, un ex novizio della Compagnia di Gesù, che l’aveva abbandonata nel 1761. All’inizio degli anni Settanta si era impiegato nell’amministrazione mineraria in Boemia e aveva incominciato una serie di viaggi e di studi di mineralogia. Di lì a poco era diventato consigliere di amministrazione delle miniere a Praga. Dieci anni dopo von Born era già divenuto un esponente di rilievo della muratoria boema, affiliato dal 1770 alla loggia «Zu den drei gekrönten Säulen» («Alle tre colonne incoronate») di Praga, e socio di numerose accademie scientifiche tra cui la Royal Society e l’Accademia delle Scienze di Torino. Nel 1777 venne chiamato a Vienna per riordinare le collezioni del gabinetto naturale imperiale e due anni più tardi fu nominato consigliere aulico, trovandosi a contatto con Franz Anton Mesmer, lo studioso massone teorico del magnetismo animale. A questo periodo risalgono l’ampia diffusione del sistema della Stretta Osservanza, che soppiantò definitivamente la più antica tradizione rosacrociana, e l’avvio di un’intensa attività culturale, rappresentata da iniziative editoriali, dall’attivazione di un circuito scientifico formato da società private, da gabinetti di scienze naturali e dal coinvolgimento di artisti come Mozart e Haydn.
All’inizio degli anni Ottanta fu avviata la riorganizzazione territoriale della muratoria nei territori asburgici e nel 1784 venne costituita, riunendo le quattro logge provinciali, la Gran Loggia nazionale austriaca, con l’obiettivo di coordinare l’attività di tutte le diciassette logge operanti in territorio austriaco, grazie ad una apposita patente promulgata da Giuseppe II e al contemporaneo distacco dalla Loggia provinciale di Berlino. Si realizzava, insomma, una vera e propria «rivoluzione massonica», che portava le logge sotto il controllo diretto dello Stato e che, attraverso il coinvolgimento di un alto numero di funzionari e burocrati, sanciva una più stretta connessione tra l’attività muratoria e la vita politica e amministrativa. L’11 dicembre 1785, infine, venne emanato un provvedimento dell’imperatore, il cosiddetto Freimaurerpatent («patente massonica»), con il quale veniva legalizzata formalmente l’esistenza della massoneria in Austria, allo scopo preciso, però, di introdurre un penetrante sistema di controllo attraverso la registrazione delle logge e la schedatura dei loro membri. Le vicende degli Illuminati e l’influenza della Stretta Osservanza avevano reso evidente la trasformazione delle logge in centri di potere politico, potenzialmente alternativo a quello istituzionale; inoltre, il loro enorme sviluppo e quello del numero degli affiliati, nonché l’eco dei lavori del convento di Wilhelmsbad, facevano chiaramente intendere come la massoneria fosse diventata uno strumento essenziale per influenzare l’opinione pubblica. Si procedette così ad una drastica riduzione del numero delle logge, che vennero fuse e riunite in quelle più grandi. Cessarono le pubblicazioni del «Journal für Freymaurer» e si pensò persino di imporre un notevole ridimensionamento e una semplificazione dei rituali. In questo frangente falliva il progetto massonico e politico di von Born e nei territori della monarchia asburgica la muratoria si avviava a diventare il centro della vita politica reazionaria e controrivoluzionaria.